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lunedì 1 luglio 2013

Ambrogio Autperto



L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, riprendendo il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato su Ambrogio Autperto.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Ambrogio Autperto

Cari fratelli e sorelle,

la Chiesa vive nelle persone e chi vuol conoscere la Chiesa, comprendere il suo mistero, deve considerare le persone che hanno vissuto e vivono il suo messaggio, il suo mistero. 

Perciò parlo da tanto tempo nelle catechesi del mercoledì di persone dalle quali possiamo imparare che cosa sia la Chiesa. Abbiamo cominciato con gli Apostoli e i Padri della Chiesa e siamo pian piano giunti fino all’VIII secolo, il periodo di Carlo Magno.
Oggi vorrei parlare di Ambrogio Autperto, un autore piuttosto sconosciuto: le sue opere infatti erano state attribuite in gran parte ad altri personaggi più noti, da sant’Ambrogio di Milano a sant’Ildefonso, senza parlare di quelle che i monaci di Montecassino hanno ritenuto di dover rivendicare alla penna di un loro abate omonimo, vissuto quasi un secolo più tardi. A prescindere da qualche breve cenno autobiografico inserito nel suo grande commento all’Apocalisse, abbiamo poche notizie certe sulla sua vita. L’attenta lettura delle opere di cui via via la critica gli riconosce la paternità consente però di scoprire nel suo insegnamento un tesoro teologico e spirituale prezioso anche per i nostri tempi.

Nato in Provenza, da distinta famiglia, Ambrogio Autperto – secondo il suo tardivo biografo Giovanni – fu alla corte del re franco Pipino il Breve ove, oltre all’incarico di ufficiale, svolse in qualche modo anche quello di precettore del futuro imperatore Carlo Magno. Probabilmente al seguito di Papa Stefano II, che nel 753-54 si era recato alla corte franca, Autperto venne in Italia ed ebbe modo di visitare la famosa abbazia benedettina di san Vincenzo, alle sorgenti del Volturno, nel ducato di Benevento. Fondata all’inizio di quel secolo dai tre fratelli beneventani Paldone, Tatone e Tasone, l’abbazia era conosciuta come oasi di cultura classica e cristiana. Poco dopo la sua visita, Ambrogio Autperto decise di abbracciare la vita religiosa ed entrò in quel monastero, dove poté formarsi in modo adeguato, soprattutto nel campo della teologia e della spiritualità, secondo la tradizione dei Padri. Intorno all’anno 761 venne ordinato sacerdote e il 4 ottobre del 777 fu eletto abate col sostegno dei monaci franchi, mentre gli erano contrari quelli longobardi, favorevoli al longobardo Potone. La tensione a sfondo nazionalistico non si acquietò nei mesi successivi, con la conseguenza che Autperto l’anno dopo, nel 778, pensò di dare le dimissioni e di riparare con alcuni monaci franchi a Spoleto, dove poteva contare sulla protezione di Carlo Magno. Con ciò, tuttavia, il dissidio nel monastero di S. Vincenzo non venne appianato, e qualche anno dopo, quando alla morte dell’abate succeduto ad Autperto fu eletto proprio Potone (a. 782), il contrasto tornò a divampare e si giunse alla denuncia del nuovo abate presso Carlo Magno. Questi rinviò i contendenti al tribunale del Pontefice, il quale li convocò a Roma. Chiamò anche come testimone Autperto che, però, durante il viaggio morì improvvisamente, forse ucciso, il 30 gennaio 784.

Ambrogio Autperto fu monaco ed abate in un’epoca segnata da forti tensioni politiche, che si ripercuotevano anche sulla vita all’interno dei monasteri. Di ciò abbiamo echi frequenti e preoccupati nei suoi scritti. 

Egli denuncia, ad esempio, la contraddizione tra la splendida apparenza esterna dei monasteri e la tiepidezza dei monaci: sicuramente con questa critica aveva di mira anche la sua stessa abbazia. Per essa scrisse la Vita dei tre fondatori con la chiara intenzione di offrire alla nuova generazione di monaci un termine di riferimento con cui confrontarsi. 

Uno scopo simile perseguiva anche il piccolo trattato ascetico Conflictus vitiorum et virtutum ("Conflitto tra i vizi e le virtù"), che ebbe grande successo nel Medioevo e fu pubblicato nel 1473 a Utrecht sotto il nome di Gregorio Magno e un anno dopo a Strasburgo sotto quello di sant’Agostino. In esso Ambrogio Autperto intende ammaestrare i monaci in modo concreto sul come affrontare il combattimento spirituale giorno per giorno. In modo significativo egli applica l’affermazione di 2 Tim 3,12: "Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati" non più alla persecuzione esterna, ma all’assalto che il cristiano deve affrontare dentro di sé da parte delle forze del male. Vengono presentate in una specie di disputa 24 coppie di combattenti: ogni vizio cerca di adescare l’anima con sottili ragionamenti, mentre la rispettiva virtù ribatte tali insinuazioni servendosi preferibilmente di parole della Scrittura.

In questo trattato sul conflitto tra vizi e virtù, Autperto contrappone alla cupiditas (la cupidigia) il contemptus mundi (il disprezzo del mondo), che diventa una figura importante nella spiritualità dei monaci. Questo disprezzo del mondo non è un disprezzo del creato, della bellezza e della bontà della creazione e del Creatore, ma un disprezzo della falsa visione del mondo presentataci e insinuataci proprio dalla cupidigia. 

Essa ci insinua che "avere" sarebbe il sommo valore del nostro essere, del nostro vivere nel mondo apparendo come importanti. E così falsifica la creazione del mondo e distrugge il mondo. Autperto osserva poi che l’avidità di guadagno dei ricchi e dei potenti nella società del suo tempo esiste anche nell’interno delle anime dei monaci e scrive perciò un trattato intitolato De cupiditate, in cui, con l’apostolo Paolo, denuncia fin dall’inizio la cupidigia come la radice di tutti i mali. Scrive: "Dal suolo della terra diverse spine acute spuntano da varie radici; nel cuore dell’uomo, invece, le punture di tutti i vizi provengono da un’unica radice, la cupidigia" (De cupiditate 1: CCCM 27B, p. 963). Rilievo, questo, che alla luce della presente crisi economica mondiale, rivela tutta la sua attualità. Vediamo che proprio da questa radice della cupidigia tale crisi è nata.
Ambrogio immagina l’obiezione che i ricchi e i potenti potrebbero sollevare dicendo: ma noi non siamo monaci, per noi certe esigenze ascetiche non valgono. E lui risponde: "È vero ciò che dite, ma anche per voi, nella maniera del vostro ceto e secondo la misura delle vostre forze, vale la via ripida e stretta, perché il Signore ha proposto solo due porte e due vie (cioè la porta stretta e quella larga, la via ripida e quella comoda); non ha indicato una terza porta ed una terza via" (l. c., p. 978). Egli vede chiaramente che i modi di vivere sono molto diversi. Ma anche per l’uomo in questo mondo, anche per il ricco vale il dovere di combattere contro la cupidigia, contro la voglia di possedere, di apparire, contro il concetto falso di libertà come facoltà di disporre di tutto secondo il proprio arbitrio. Anche il ricco deve trovare l’autentica strada della verità, dell’amore e così della retta vita. Quindi Autperto, da prudente pastore d’anime, sa poi dire, alla fine della sua predica penitenziale, una parola di conforto: "Ho parlato non contro gli avidi, ma contro l’avidità, non contro la natura, ma contro il vizio" (l. c., p. 981).

L’opera più importante di Ambrogio Autperto è sicuramente il suo commento in dieci libri all’Apocalisse: esso costituisce, dopo secoli, il primo commento ampio nel mondo latino all’ultimo libro della Sacra Scrittura. Quest’opera era frutto di un lavoro pluriennale, svoltosi in due tappe tra il 758 ed il 767, quindi prima della sua elezione ad abate. Nella premessa, egli indica con precisione le sue fonti, cosa assolutamente non normale nel Medioevo. Attraverso la sua fonte forse più significativa, il commento del Vescovo Primasio Adrumetano, redatto intorno alla metà del VI secolo, Autperto entra in contatto con l’interpretazione che dell’Apocalisse aveva lasciato l’africano Ticonio, che era vissuto una generazione prima di sant’Agostino. Non era cattolico; apparteneva alla Chiesa scismatica donatista; era tuttavia un grande teologo. In questo suo commento egli vede soprattutto nell’Apocalisse riflettersi il mistero della Chiesa. Ticonio era giunto alla convinzione che la Chiesa fosse un corpo bipartito: una parte, egli dice, appartiene a Cristo, ma c’è un’altra parte della Chiesa che appartiene al diavolo. Agostino lesse questo commento e ne trasse profitto, ma sottolineò fortemente che la Chiesa è nelle mani di Cristo, rimane il suo Corpo, formando con Lui un solo soggetto, partecipe della mediazione della grazia. Sottolinea perciò che la Chiesa non può mai essere separata da Gesù Cristo. Nella sua lettura dell’Apocalisse, simile a quella di Ticonio, Autperto non s’interessa tanto della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi, quanto piuttosto delle conseguenze che derivano per la Chiesa del presente dalla sua prima venuta, l’incarnazione nel seno della Vergine Maria. E ci dice una parola molto importante: in realtà Cristo "deve in noi, che siamo il suo Corpo, quotidianamente nascere, morire e risuscitare" (In Apoc. III: CCCM 27, p. 205). Nel contesto della dimensione mistica che investe ogni cristiano, egli guarda a Maria come a modello della Chiesa, modello per tutti noi, perché anche in noi e tra noi deve nascere Cristo. Sulla scorta dei Padri che vedevano nella "donna vestita di sole" di Ap 12,1 l’immagine della Chiesa, Autperto argomenta: "La beata e pia Vergine … quotidianamente partorisce nuovi popoli, dai quali si forma il Corpo generale del Mediatore. Non è quindi sorprendente se colei, nel cui beato seno la Chiesa stessa meritò di essere unita al suo Capo, rappresenta il tipo della Chiesa". In questo senso Autperto vede un ruolo decisivo della Vergine Maria nell’opera della Redenzione (cfr anche le sue omelie In purificatione s. Mariae e In adsumptione s. Mariae).

La sua grande venerazione e il suo profondo amore per la Madre di Dio gli ispirano a volte delle formulazioni che in qualche modo anticipano quelle di san Bernardo e della mistica francescana, senza tuttavia deviare verso forme discutibili di sentimentalismo, perché egli non separa mai Maria dal mistero della Chiesa. Con buona ragione quindi Ambrogio Autperto è considerato il primo grande mariologo in Occidente. 

Alla pietà che, secondo lui, deve liberare l’anima dall’attaccamento ai piaceri terreni e transitori, egli ritiene debba unirsi il profondo studio delle scienze sacre, soprattutto la meditazione delle Sacre Scritture, che qualifica "cielo profondo, abisso insondabile" (In Apoc. IX). Nella bella preghiera con cui conclude il suo commento all’Apocalisse sottolineando la priorità che in ogni ricerca teologica della verità spetta all’amore, egli si rivolge a Dio con queste parole: "Quando da noi sei scrutato intellettualmente, non sei scoperto come veramente sei; quando sei amato, sei raggiunto".

Possiamo vedere oggi in Ambrogio Autperto una personalità vissuta in un tempo di forte strumentalizzazione politica della Chiesa, in cui nazionalismo e tribalismo avevano sfigurato il volto della Chiesa. Ma lui, in mezzo a tutte queste difficoltà che conosciamo anche noi, seppe scoprire il vero volto della Chiesa in Maria, nei Santi. 

E seppe così capire che cosa vuol dire essere cattolico, essere cristiano, vivere della Parola di Dio, entrare in questo abisso e così vivere il mistero della Madre di Dio: dare di nuovo vita alla Parola di Dio, offrire alla Parola di Dio la propria carne nel tempo presente. E con tutta la sua conoscenza teologica, la profondità della sua scienza, Autperto seppe capire che con la semplice ricerca teologica Dio non può essere conosciuto realmente com’è. Solo l’amore lo raggiunge. Ascoltiamo questo messaggio e preghiamo il Signore perchè ci aiuti a vivere il mistero della Chiesa oggi, in questo nostro tempo.



Saluto in lingua italiana

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina con l’Arcivescovo Mons. Salvatore Ligorio; della diocesi di Mondovì, con il Vescovo Mons. Luciano Pacomio; e dell’Arcidiocesi di Lanciano-Ortona, con l’Arcivescovo Mons. Carlo Ghidelli. Cari fratelli e sorelle, come afferma san Paolo, nessuna difficoltà può separarci dall’amore di Cristo, (cfr. Rm 8,35-39). Per questo, testimoniate con fervore la vostra comune adesione a Cristo ed edificate la Chiesa nella carità e nella verità. Saluto i Seminaristi dei Seminari Maggiori, partecipanti al convegno promosso dalla Pontifica Unione Missionaria, ed i rappresentanti del Movimento dei Laici Missionari della Carità, esortando ciascuno a riscoprire il dono della sequela di Cristo, aderendo sempre, con il suo aiuto, alla volontà del Padre. Saluto con affetto gli esponenti dell’Unione mutilati per il servizio istituzionale, ed auspico che la loro visita alle tombe degli Apostoli susciti in tutti un rinnovato desiderio di testimonianza cristiana. Un saluto speciale rivolgo ai soci dell’Associazione Nazionale S. Paolo Italia, qui convenuti così numerosi. Cari amici, vi incoraggio a proseguire generosamente la vostra importante opera in favore dell’animazione dei ragazzi e dei giovani, mediante gli Oratori e i Circoli giovanili. Come l’Apostolo delle genti, siate ferventi annunciatori del Vangelo. Il mio particolare pensiero va pure agli studenti della scuola "Giuseppe Susanna" del I° Circolo didattico "Don Lorenzo Milani" di Galatone, come pure agli alunni dell’Istituto professionale alberghiero di San Pellegrino Terme.

Saluto, ora, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Il Signore risorto riempia del suo amore il cuore di ciascuno di voi, cari giovani, perché siate pronti a seguirlo con l'entusiasmo e la freschezza della vostra età; sostenga voi, cari malati, nell'accettare con serenità il peso della sofferenza; guidi voi, cari sposi novelli, a fondare nella fedele donazione reciproca, famiglie impregnate del profumo della santità evangelica.

Desidero infine rivolgere una speciale parola ai Giovani del Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo, che ricordano oggi il 25° anniversario della consegna della croce dell’Anno Santo ai giovani del mondo. Era, infatti, il 22 aprile del 1984, quando alla fine dell'Anno Santo della Redenzione, l’amato Giovanni Paolo II affidò ai giovani del mondo la grande croce di legno che, per suo stesso desiderio, era stata tenuta presso l'altare maggiore della basilica di San Pietro durante quello speciale Anno Giubilare. Da allora, la croce fu accolta nel Centro internazionale giovanile San Lorenzo, e da lì cominciò a viaggiare per i Continenti, aprendo i cuori di tanti ragazzi e ragazze all'amore redentore di Cristo. Questo suo pellegrinaggio prosegue ancora, soprattutto in preparazione delle Giornate Mondiali della Gioventù, tanto da essere ormai nota come "Croce delle GMG". Cari amici, vi affido di nuovo questa croce! Continuate a portarla in ogni angolo della terra, perchè anche le prossime generazioni scoprano la Misericordia di Dio e ravvivino nei loro cuori la speranza in Cristo crocifisso e risorto!

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 19 marzo 2012

SANTA BRIGIDA SEMPRE ATTUALE




«Ascoltate voi cui è data per grazia divina la capacità di udire le cose dello spirito. 

Se un vescovo si prefigge di seguire la via stretta e perfetta lungo cui passano poche persone, per prima cosa deponga il peso gravoso che lo circonda ed opprime, ossia la cupidigia delle cose temporali, ricorrendo al mondo solo per lo stretto necessario, conformemente all'umile tenore di vita che si confà ad un vescovo. 

Il buon Matteo fece lo stesso, lui che, chiamato da Dio, non esitò ad abbandonare il carico gravoso del mondo, trovando così un peso leggero. 

Un vescovo, inoltre, deve essere cinto, conformemente alla sacra Scrittura che dice: 'Tobia, pronto per partire, trovò un angelo in piedi e cinto dalla testa ai piedi'. Cosa significava quell'angelo se non il fatto che ogni vescovo deve indossare la cintura della giustizia e dell'amore divino, ed essere pronto a percorrere le strade lungo cui camminò Colui che disse: 'Io sono il Buon Pastore che dà la propria vita per le sue pecore'? 

Egli, inoltre, deve essere pronto a dire la verità nuda e cruda attraverso le sue parole. 

Deve essere deciso a custodire con le proprie opere l'equità e la giustizia, in se stesso come negli altri, senza abbandonare mai la giustizia né per le minacce, né per gli obbrobri, né per la falsa amicizia, né per il vano timore. Perciò il vescovo che sarà cinto in questo modo vedrà Tobia, ossia gli uomini giusti, venire a lui, seguire la sua strada e imitare la sua vita. 

In terzo luogo, deve mangiare e bere dell'acqua prima di mettersi in cammino, come si legge a proposito di Elia, che al suo risveglio trovò al suo capezzale un po' di pane e di acqua. Cos'è, dunque, il pane che venne dato al Profeta se non il bene corporale e spirituale che gli veniva somministrato? Nel deserto, infatti, gli veniva preparato del pane materiale come esempio, benché Dio potesse sostentarlo nella carne e senza pane, ciò affinché l'uomo capisse che era gradito alla Divinità impiegare i beni con sobrietà e temperanza per la consolazione della carne. 

Anche l'infusione spirituale veniva ispirata al Profeta, poiché Elia camminò quaranta giorni grazie alla forza di questo pane; infatti se non gli fosse stata ispirata l'intima unzione della grazia, egli sarebbe certamente venuto meno per la lunga fatica, perché la sua complessione era debole; tuttavia egli fu rinvigorito in modo da affrontare un cammino così impegnativo. 

Dunque, poiché l'uomo vive della Parola di Dio, avvertiamo il vescovo di prendere un boccone di pane, ossia di amare Dio sopra ogni cosa. Egli troverà questo pane al suo capezzale; in altre parole, la ragione gli dirà che bisogna amare Dio sopra ogni cosa, sia per la creazione e la redenzione sia per la sua lunga pazienza e la sua bontà. Lo preghiamo anche di bere un po' d'acqua, ossia di considerare intimamente le amarezze della Passione di Gesù Cristo; infatti chi può meditare degnamente le angosce patite dall'umanità di Cristo, quando questi chiedeva che il calice fosse allontanato da lui e quando le sue gocce di sangue bagnavano la terra? 
Il vescovo, dunque, beva quest'acqua di grazia e mangi il pane d'amore; in questo modo sarà riconfortato per seguire la strada di Gesù. Quindi, dopo aver intrapreso la via della salvezza, se il vescovo desidera andare oltre lungo questo cammino, la mattina gli sarà molto utile rendere grazie a Dio con tutto il cuore, considerare con attenzione ogni propria azione e chiedere aiuto a Dio per compiere con grande fedeltà la sua divina volontà». Libro III; 1.

LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!