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giovedì 7 maggio 2015

È così insensibile il morire di un'anima!

 Linee essenziali 
del vostro carattere di apostoli.


Esser sempre vigili e pronti.

I vostri lombi siano cinti, sempre cinti, e le vostre lampade accese come è di coloro che da un attimo all'altro devono partire o correre incontro ad un che arriva. E infatti voi siete, voi sarete, sin che la morte vi fermi, gli instancabili pellegrini alla ricerca di chi è errante; e finché la morte la spenga, la vostra lampada deve esser tenuta alta e accesa per indicare la via agli sviati che vengono verso l'ovile di Cristo.

Fedeli dovete essere al Padrone che vi ha preposti a questo servizio. Sarà premiato quel servo che il Padrone trova sempre vigilante e che la morte sorprende in stato di grazia.
Non potete, non dovete dire: "Io sono giovane. Ho tempo di fare questo e quello, e poi pensare al Padrone, alla morte, all'anima mia".  
Muoiono i giovani come i vecchi, i forti come i deboli. E all'assalto della tentazione sono vecchi e giovani, forti e deboli, ugualmente soggetti. Guardate che l'anima può morire prima del corpo e voi potete portare, senza sapere, in giro un' anima putrida. È così insensibile il morire di un'anima! Come la morte di un fiore. Non ha grido, non ha convulsione... china solo la sua fiamma come corolla stanca, e si spegne.
Dopo, molto dopo talora, immediatamente dopo talaltra, il corpo si accorge di portare dentro un cadavere verminoso, e diviene folle di spavento, e si uccide per sfuggire a quel connubio...
Oh! non sfugge! Cade proprio con la sua anima verminosa su un brulicare di serpi nella Geenna.

Non siate disonesti come sensali o causidici che parteggiano per due opposti clienti, non siate falsi come i politicanti che dicono "amico" a questo e a quello, e poi sono di questo e di quello nemici. Non pensate di agire in due modi. Dio non si irride e non si inganna. Fate con gli uomini come fate con Dio, perché offesa fatta agli uomini è come fatta a Dio. Vogliate che Dio veda voi quali volete esser veduti dagli uomini.

Siate umili.
Non potete rimproverare il vostro Maestro di non esserlo. Io vi do l'esempio. Fate come faccio.
Umili, dolci, pazienti. Il mondo si conquista con questo. Non con violenza e forza.

Forti e violenti siate contro i vostri vizi. Sradicateli, a costo di lacerarvi anche lembi di cuore. Vi ho detto, giorni or sono, di vigilare gli sguardi. Ma non lo sapete fare. Io vi dico: meglio sarebbe diveniste ciechi con lo strapparvi gli occhi ingordi, anziché divenire lussuriosi.

Siate sinceri. Io sono Verità. Nelle eccelse come nelle umane cose. Voglio siate schietti voi pure. Perché andare con inganno o con Me, o coi fratelli, o con il prossimo? Perché giocare di inganno? Che? Tanto orgogliosi qual siete, e non avete l'orgoglio di dire: "Voglio non esser trovato bugiardo"?

E schietti siate con Dio. Credete di ingannarlo con forme di orazione lunghe e palesi? Oh! poveri figli! Dio vede il cuore! Siate casti nel fare il bene. Anche nel fare elemosina. Un pubblicano ha saputo esserlo prima della sua conversione. E voi non lo sapreste? Sì, ti lodo, Matteo, della casta offerta settimanale che Io e il Padre solo conoscevamo tua, e ti cito ad esempio. È una castità anche questa, amici. Non scoprire la vostra bontà come non scoprireste una figlia giovinetta agli occhi di una folla. Siate vergini nel fare il bene. È vergine l'atto buono quando è esente da connubio di pensiero di lode e di stima o da fomite di superbia.

Siate sposi fedeli della vostra vocazione a Dio. Non potete servire due padroni. Il letto nuziale non può accogliere due spose contemporaneamente. Dio e Satana non possono dividersi i vostri amplessi. L'uomo non può, e non lo possono né Dio né Satana, condividere un triplice abbraccio in antitesi fra i tre che se lo dànno.

Siate alieni da fame d'oro come da fame di carne, da fame di carne come da fame di potenza. Satana questo vi offre. Oh! le sue bugiarde ricchezze! Onori, riuscita, potere, dovizie: mercati osceni che hanno a moneta la vostra anima. Siate contenti del poco. Dio vi dà il necessario. Basta. Questo ve lo garantisce come lo garantisce all'uccello dell'aria, e voi siete da ben più degli uccelli.

Ma vuole da voi fiducia e morigeratezza. Se avrete fiducia, Egli non vi deluderà. Se avrete morigeratezza, il suo dono giornaliero vi basterà. Non siate pagani, pur essendo, di nome, di Dio. Pagani sono coloro che, più che Dio, amano l'oro e il potere per apparire dei semidei. Siate santi e sarete simili a Dio nell'eternità.

Non siate intransigenti. Tutti peccatori, vogliate essere con gli altri come vorreste che gli altri con voi fossero: ossia pieni di compatimento e perdono. Non giudicate. Oh! non giudicate! Da poco siete con Me, eppure vedete quante volte già Io, innocente, fui a torto mal giudicato e accusato di peccati inesistenti. Il mal giudizio è offesa. E solo chi è santo vero non risponde offesa ad offesa. Perciò astenetevi da offendere per non essere offesi. Non mancherete così né alla carità né alla santa, cara, soave umiltà, la nemica di Satana insieme alla castità. Perdonate, perdonate sempre. Dite: "Perdono, o Padre, per essere da Te perdonato dei miei infiniti peccati".

Miglioratevi d'ora in ora, con pazienza, con fermezza, con eroicità. E chi vi dice che divenire buoni non sia penoso? Anzi vi dico: è fatica più grande di tutte. Ma il premio è il Cielo e merita perciò consumarsi in questa fatica.



E amate. Oh! quale, quale parola devo dire per persuadervi all'amore? Nessuna ve ne è atta a convertirvi ad esso, poveri uomini che Satana aizza! E allora, ecco Io dico: "Padre, affretta l'ora del lavacro. Questa terra e questo tuo gregge è arido e malato. Ma vi è una rugiada che lo può molcere e mondare. Apri, apri la fonte di essa. Me apri, Me. Ecco, Padre. Io ardo di fare il tuo desiderio che è il mio e quello dell'Amore eterno. Padre, Padre, Padre! Guarda il tuo Agnello e siine il Sacrificatore"».

<<SPIRITO SANTO, ISPIRAMI.
AMORE DI DIO, CONSUMAMI.
NEL VERO CAMMINO, CONDUCIMI.
MARIA, MADRE MIA, GUARDAMI.
CON GESU’ BENEDICIMI.
DA OGNI MALE, DA OGNI ILLUSIONE,
DA OGNI PERICOLO, PRESERVAMI.>>

domenica 14 dicembre 2014

La Carità non si gonfia



Chi ama Gesù Cristo
non s'invanisce de' propri pregi,
ma si umilia e gode di vedersi umiliato
anche dagli altri.

Caritas non inflatur.

1. Il superbo è come un pallone di vento che comparisce grande a se stesso, ma in sostanza tutta la sua grandezza si riduce ad un poco di vento che, aprendosi il pallone, tutto in un subito svanisce. Chi ama Dio è vero umile nè si gonfia per vedere in sè qualche pregio; perchè vede che quanto ha, tutto è dono di Dio, e del suo non ha altro che il niente ed il peccato; onde nel conoscere i favori fattigli da Dio più si umilia, vedendosi così indegno e così da Dio favorito.

2. Dice S. Teresa, parlando delle grazie speciali che Dio le facea: «Iddio fa con me come si fa con una casa che, stando per cadere, si aiuta con puntelli». Quando un'anima riceve qualche amorosa visita di Dio, provando in sè un ardore straordinario di amor divino accompagnato da lagrime o da una gran tenerezza di cuore, si guardi dal pensare che il Signore la favorisca allora per qualche sua buona opera; ma allora dee più umiliarsi, pensando che Dio l'accarezza acciocchè ella non l'abbandoni; altrimenti se per tali doni ne concepisce qualche vanità, stimandosi più favorita perchè si porta con Dio più bene degli altri, un tal difetto farà che Dio la privi de' suoi favori. Per conservar la casa due sono le cose più necessarie, il fondamento ed il tetto: il fondamento in noi ha da essere l'umiltà, nel riconoscere che a niente vagliamo e niente possiamo: il tetto poi è la divina protezione in cui solamente dobbiam confidare.

3. Allorchè ci vediamo più favoriti da Dio bisogna che più ci umiliamo. S. Teresa quando riceveva qualche grazia speciale, allora procurava di mettersi avanti gli occhi tutte le sue colpe commesse, e così il Signore più a sè l'univa. Quanto più l'anima si confessa indegna di grazie, tanto più Iddio di grazie l'arricchisce. Taide, prima peccatrice e poi santa, si umiliava tanto con Dio che stimavasi indegna anche di nominarlo; onde non ardiva di dire, «Dio mio», ma diceva, «Creatore mio, abbi pietà di me: Plasmator meus, miserere mei». E scrive S. Girolamo che per tale umiltà vide apparecchiarsele un gran trono in cielo. Si legge similmente di S. Margherita da Cortona, nella sua vita, che visitandola un giorno il Signore con maggior tenerezza d'amore, ella esclamando gli disse: «Ma come, Signore, vi siete scordato di quella ch'io sono stata? come con tante finezze mi pagate le tante ingiurie che vi ho fatte?» E Dio le rispose che quando un'anima l'ama e si pente di cuore d'averlo offeso, egli si scorda di tutte le offese ricevute; come già lo disse per Ezechiele: Si autem impius egerit poenitentiam... omnium iniquitatum eius quas operatus est, non recordabor (Ezech. XVIII, 21 et 22). Ed in pruova di ciò le fe' vedere che le aveva apparecchiato in cielo un gran soglio in mezzo a' serafini. — Oh se giungessimo ad intendere il valore dell'umiltà! Vale più un atto d'umiltà che non è l'acquistare tutte le ricchezze del mondo.

4. Dicea S. Teresa: «Non credere di aver fatto profitto nella perfezione se non ti tieni per lo peggiore di tutti, e se non desideri di esser posposto a tutti». E così facea la santa, e così han fatto tutti i santi. S. Francesco d'Assisi, S. Maria Maddalena de' Pazzi e gli altri, si riputavano i maggiori peccatori del mondo, e si ammiravano come la terra gli sostenesse e non si aprisse loro sotto i piedi; e ciò lo diceano con vero sentimento. Trovandosi vicino alla morte il V. Giovanni d'Avila che fin da giovine fece una vita santa, venne un sacerdote ad assisterlo, e gli dicea cose molto sublimi, trattandolo da quel gran servo di Dio e gran dotto ch'egli era: ma il P. Avila gli fe' sentire: «Padre, vi prego a raccomandarmi l'anima, come si raccomanda l'anima ad un malfattore condannato a morte, perchè tale son io». Tale è il sentimento che hanno i santi di se stessi in vita ed in morte.

5. Così bisogna che facciamo ancor noi se vogliamo salvarci e conservarci in grazia di Dio sino alla morte, mettendo tutta la nostra confidenza solamente in Dio. Il superbo confida nelle sue forze e perciò cade; ma l'umile, perchè solo confida in Dio, benchè sia assalito da tutte le tentazioni le più veementi, sta forte e non cade, dicendo sempre: Omnia possum in eo qui me confortat (Phil. IV, 13). Il demonio ora ci tenta di presunzione, ora di sconfidenza: quando egli ci dice che per noi non v'è timor di cadere, allora più tremiamo, perchè se per un momento Iddio non ci assiste colla sua grazia, siamo perduti. Quando poi ci tenta a sconfidare, allora voltiamoci a Dio e diciamogli con gran confidenza: In te Domine speravi, non confundar in aeternum (Ps. XXX, 2): Dio mio, in voi ho poste le mie speranze, spero di non avermi a veder mai confuso e privo della vostra grazia. Questi atti di sconfidare di noi e confidare in Dio dobbiamo esercitarli sino all'ultimo punto della nostra vita, pregando sempre il Signore che ci dia la santa umiltà.

6. Ma non basta, ad esser umili, l'aver basso concetto di noi ed il tenerci per quei miserabili che siamo; il vero umile, dice Tommaso da Kempis, disprezza sè e desidera essere disprezzato ancora dagli altri. Questo è quel tanto che ci raccomandò Gesù Cristo a praticare secondo il suo esempio:Discite a me, quia mitis sum et humilis corde (Matth. XI, 29). Chi dice di essere il maggior peccatore del mondo e poi si sdegna cogli altri che lo disprezzano, dà segno ch'è umile di bocca, ma non di cuore. Scrive S. Tommaso d'Aquino che quando alcuno, vedendosi disprezzato, si risente, ancorchè facesse miracoli, si tenga per certo ch'egli è molto lontano dalla perfezione. La divina Madre mandò S. Ignazio di Loyola ad istruire nell'umiltà S. Maria Maddalena de' Pazzi, ed ecco l'insegnamento che il santo le diede: «L'umiltà è un godimento di tutto ciò che c'induce a disprezzare noi stessi». Si noti, un godimento: se il senso si risente ne' disprezzi che riceviamo, almeno collo spirito dobbiamo goderne.

7. E come mai un'anima che ama Gesù Cristo, vedendo il suo Dio sopportare schiaffi e sputi in faccia, come soffrì nella sua Passione, — tunc exspuerunt in faciem eius et colaphis eum ceciderunt, alii autem palmas in faciem eius dederunt (Matth. XXVI, 67) — potrà non amare i disprezzi? A questo fine il Redentore ha voluto che sugli altari si esponesse la sua immagine, non già in forma di glorioso, ma di crocifisso, affinchè avessimo sempre avanti gli occhi i suoi disprezzi, a vista de' quali i santi godono in vedersi vilipesi in questa terra. E questa fu la domanda che S. Giovanni della Croce fe' a Gesù Cristo, allorchè gli apparve colla croce sulla spalla: Domine, pati et contemni pro te: Signore, in vederti così disprezzato per amor mio, non altro ti cerco, che il farmi patire ed esser disprezzato per amor tuo.

8. Dice S. Francesco di Sales: «Il sopportare gli obbrobri è la pietra di paragone dell'umiltà e della vera virtù». Se una persona che fa la spirituale, fa orazione, si comunica spesso, digiuna, si mortifica, ma poi non può sopportare un affronto, una parola pungente, che segno è? È segno ch'è canna vacante, senza umiltà e senza virtù. E che sa fare un'anima che ama Gesù Cristo, se non sa soffrire un disprezzo per amor di Gesù Cristo che ne ha sofferti tanti per lei? Scrive il da Kempis nel suo libretto d'oro dell'Imitazione di Gesù Cristo: «Giacchè tanto abborrisci di esser umiliato, è segno che non sei morto al mondo, non hai umiltà e non hai Dio avanti gli occhi. Chi non ha Dio avanti gli occhi si conturba per ogni parola di biasimo che sente». Tu non puoi sopportare schiaffi e ferite per Dio: sopporta almeno qualche parola.

9. Oh che ammirazione e scandalo dà una persona che si comunica spesso, e poi si risente ad ogni parola di suo disprezzo! All'incontro, che bella edificazione dà un'anima che, ricevendo disprezzi, risponde con qualche parola dolce per placare chi l'ha offesa; o pure non risponde nè se ne lamenta cogli altri, ma se ne resta con volto sereno senza dimostrarne amarezza! Dice S. Giovanni Grisostomo che il mansueto è utile non solo a se stesso, ma anche agli altri col buon esempio che loro dà di dolcezza nell'esser disprezzato: Mansuetus utilis sibi et aliis.

Il da Kempis intorno a questa materia avverte molte cose nelle quali dobbiamo umiliarci. Dice così: «Si ascolterà quanto dicono gli altri, e quanto dici tu sarà dispregiato. Dimanderanno gli altri e riceveranno: dimanderai tu e ti sarà negato. Gli altri saran grandi nella bocca degli uomini, e di te si tacerà. Agli altri sarà commessa questa o quella incombenza, ma tu a nulla verrai giudicato buono. Con queste pruove il servo fedele suole sperimentarsi dal Signore, come egli sappia reprimersi e quietarsi. Si contristerà alcuna volta la natura, ma farai gran guadagno se tutto sopporterai con silenzio».

10. Dicea S. Giovanna di Chantal: «Chi è vero umile, venendo umiliato più s'umilia». Sì, perchè il vero umile non mai crede di esser umiliato abbastanza quanto merita. Quelli che fanno così son chiamati beati da Gesù Cristo: non son chiamati beati quei che dal mondo sono stimati, onorati e lodati per nobili, per dotti, per potenti; ma quei che sono maledetti dal mondo, perseguitati e mormorati: perchè a costoro sta preparata, se tutto soffrono con pazienza, una gran mercede in paradiso: Beati estis cum maledixerint vobis, et persecuti vos fuerint, et dixerint omne malum adversum vos mentientes, propter me. Gaudete et exsultate, quoniam merces vestra copiosa est in caelis (Matth. V, 11 et 12).

11. Principalmente poi dobbiamo praticar l'umiltà quando siamo ripresi da' superiori o da altri di qualche difetto. Taluni fanno come i ricci che quando non sono toccati paiono tutti placidi e mansueti; ma se poi li tocca un superiore o un amico ammonendoli di una cosa mal fatta, subito diventano tutti spine, e rispondono con risentimento che ciò non è vero o che hanno avuta ragione di farlo, e che non ci capiva quell'ammonizione; in somma chi li riprende loro diventa nemico, facendo come coloro che se la pigliano col cerusico perchè gli fa sentire dolore con medicargli la piaga: Medicanti irascitur, scrive S. Bernardo. L'uomo santo ed umile, dice S. Gio. Grisostomo, quando è corretto geme per l'errore commesso; il superbo all'incontro, quando è corretto anche geme, ma geme perchè vede scoverto il suo difetto, e perciò si sturba, risponde, e si sdegna con chi l'avverte. Ecco la bella regola che dava S. Filippo Neri, quando alcuno si vede incolpato: «Chi vuol farsi veramente santo, dicea, non dee mai scusarsi, ancorchè sia falso quello di che viene tacciato». In ciò dee eccettuarsene il solo caso in cui sembrasse esser necessaria la difesa per togliere lo scandalo. Oh quanto merito si fa appresso Dio chi è ripreso, benchè a torto, e tace e non si scusa! 

Dicea S. Teresa: «Talvolta più si avanza e si perfeziona una anima con lasciar di scusarsi, che con sentire dieci prediche; poichè col non iscusarsi comincia ad acquistar la libertà di spirito ed a non curarsi più se si dice bene o male di lei».
Affetti e preghiere.

O Verbo Incarnato, deh vi prego, per li meriti della vostra santa umiltà che vi fe' abbracciare tante ignominie ed ingiurie per amor nostro, liberatemi dalla superbia e datemi parte della vostra santa umiltà. E come mai potrò dolermi io d'ogni obbrobrio che mi sia fatto, dopo specialmente d'essermi fatto tante volte reo dell'inferno? Deh, Gesù mio, per lo merito di tanti disprezzi che soffriste nella vostra Passione, datemi la grazia di vivere e morire umiliato in questa terra, come voi viveste e moriste umiliato per me. Io per amor vostro vorrei vedermi disprezzato e abbandonato da tutti, ma senza voi non posso niente.
V'amo, mio sommo bene, v'amo, o diletto dell'anima mia: io v'amo, e da voi spero, come propongo, di soffrir tutto per voi, affronti, tradimenti, persecuzioni, dolori, aridità, abbandoni; basta che non mi abbandoniate voi, unico amore dell'anima mia. Non permettete ch'io mi allontani più da voi.
Datemi desiderio di darvi gusto. Datemi fervore nell'amarvi. Datemi pace nel patire. Datemi rassegnazione in tutte le cose contrarie.
Abbiate pietà di me. Io non merito niente, ma tutto spero da voi che mi avete comprato col vostro sangue.

E tutto spero da voi, regina e madre mia Maria, che siete il rifugio dei peccatori.

sabato 6 dicembre 2014

"Non basta fare opere buone, ma bisogna farle bene. Acciocchè le opere nostre sian buone e perfette è necessario farle col puro fine di piacere a Dio. Questa fu la degna lode che fu data a Gesù Cristo: Bene omnia fecit (Marc. VII, 37). Molte azioni saranno in sè lodevoli, ma perchè saran fatte per altro fine che della divina gloria, poco o niente varranno appresso Dio. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Iddio rimunera le nostre opere a peso di purità".




Caritas non aemulatur.

L'anima che ama Gesù Cristo
non invidia i grandi del mondo,
ma solamente coloro che più amano Gesù Cristo.

1. Spiega S. Gregorio quest'altro contrassegno della carità, e dice che la carità non invidia, poichè non sa invidiare a' mondani quelle terrene grandezze ch'ella non desidera, ma disprezza: Non aemulatur, quia per hoc quod in praesenti mundo nihil appetit, invidere terrenis successibus nescit (Mor. l. 10. c. 8). Quindi bisogna distinguere due sorta di emulazioni, una malvagia e l'altra santa. La malvagia è quella che invidia e si rattrista per li beni mondani che gli altri possedono in questa terra. L'emulazione poi santa è quella che non già invidia, ma più tosto compatisce i grandi di questo mondo che vivono tra gli onori e piaceri terreni. Ella non cerca nè desidera altro che Dio, ed altro non pretende in questa vita che di amarlo quanto può; e perciò santamente invidia chi l'ama più di lei, mentr'ella nell'amarlo vorrebbe superare anche i serafini.

2. Questo è quell'unico fine che hanno in terra le anime sante, fine che innamora e ferisce di amore talmente il cuore di Dio che gli fa dire: Vulnerasti cor meum, soror mea sponsa, vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum (Cant. IV, 9). Quell'uno degli occhi significa l'unico fine che ha l'anima sposa in tutti i suoi esercizi e pensieri, di piacere a Dio. Gli uomini del mondo nelle loro azioni guardano le cose con più occhi, cioè con diversi fini disordinati, di piacere agli uomini, di farsi onore, di acquistar ricchezze e, se non di altro, di contentare se stessi; ma i santi non hanno che un occhio, per guardare in tutto ciò che fanno il solo gusto di Dio; e dicono con Davide: Quid... mihi est in caelo? et a te quid volui super terram?... Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum (Ps. LXXII, 25 et 26): che altro io voglio, mio Dio, in questo e nell'altro mondo, se non voi solo? Voi solo siete la mia ricchezza, voi l'unico signore del mio cuore. Si godano pure, dicea san Paolino, i ricchi i loro tesori di terra, si godano i re i loro regni, voi, Gesù mio, siete il mio tesoro e 'l regno mio: Habeant sibi divitias suas divites, regna sua reges, Christus mihi gloria et regnum est.

3. Quindi avvertiamo che non basta fare opere buone, ma bisogna farle bene. Acciocchè le opere nostre sian buone e perfette è necessario farle col puro fine di piacere a Dio. Questa fu la degna lode che fu data a Gesù Cristo: Bene omnia fecit (Marc. VII, 37). Molte azioni saranno in sè lodevoli, ma perchè saran fatte per altro fine che della divina gloria, poco o niente varranno appresso Dio. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Iddio rimunera le nostre opere a peso di purità». Viene a dire che secondo è pura la nostra intenzione, così il Signore gradisce e premia le nostre azioni. Ma oh Dio, e quanto è difficile a trovare un'azione fatta solo per Dio! Io mi ricordo d'un santo religioso vecchio che molto avea faticato per Dio e morì in concetto di santità; ora costui un giorno, dando un'occhiata alla sua vita, tutto mesto ed atterrito mi disse: «Oimè, che guardando tutte le opere di mia vita, non ne trovo una fatta solo per Dio». Maledetto amor proprio che ci fa perdere o tutto o la maggior parte del frutto delle nostre buone azioni. Quanti nei loro impieghi più santi di predicatori, confessori, missionari, faticano, stentano, e poco o niente guadagnano, perchè non guardano Dio solo, ma la gloria mondana o l'interesse o la vanità di comparire o almeno la propria inclinazione!

4. Dice il Signore: Attendete a non fare il bene per essere veduti dagli uomini, altrimenti non avrete alcun premio dal Padre celeste: Attendite ne iustitiam vestram faciatis coram hominibus, ut videamini ab eis: alioquin mercedem non habebitis apud Patrem vestrum, qui in caelis est (Matth. VI, 1). Chi fatica per contentare il suo genio, già riceve il suo premio: Amen dico vobis, receperunt mercedem suam (Ibid. 5). Mercede però che si riduce ad un poco di fumo o ad una effimera soddisfazione che presto passa, e niente profitto ne resta all'anima. Dice il profeta Aggeo che chi fatica per altro che per piacere a Dio, ripone le sue mercedi in un sacco rotto che quando va ad aprirlo niente più vi ritrova: Et qui mercedes congregavit misit eas in sacculum pertusum(Agg. I, 6). E da ciò poi nasce che costoro, se dopo le loro fatiche non ottengono l'intento di qualche cosa che imprendono, molto s'inquietano. Questo è il segno che non hanno avuto per fine la sola gloria di Dio: chi fa un'opera per la sola gloria di Dio, ancorchè poi quella non riesca, niente si turba: mentre egli già ha ottenuto il suo fine di dar gusto a Dio, avendo operato con retta intenzione.

5. Ecco i segni per vedere se uno che s'impiega in qualche affare spirituale opera solo per Dio. 1º Se non si disturba allorchè non ottiene l'intento, perchè non volendolo Dio neppur egli lo vuole. 2º Se gode egualmente del bene che han fatto gli altri, come se esso l'avesse fatto. 3º Se non desidera più un impiego che un altro, ma gradisce quello che vuole l'ubbidienza de' superiori. 4º Se dopo le sue operazioni non cerca dagli altri nè ringraziamenti nè approvazioni: e perciò se mai dagli altri ne vien mormorato o disapprovato, non si affligge, contentandosi solamente di aver contentato Dio. E se mai ne riceve qualche lode dal mondo, non se ne invanisce, ma risponde alla vanagloria che gli si presenta innanzi per esser accettata, ciò che le rispondea il Ven. Giovanni d'Avila: «Va via, sei arrivata tardi, perchè l'opera già me la trovo data tutta a Dio».

6. Questo è l'entrare nel gaudio del Signore, cioè godere del godimento di Dio, come sta promesso ai servi fedeli: Euge, serve bone et fidelis quia super pauca fuisti fidelis... intra in gaudium domini tui (Matth. XXV, 23). Ma se noi arriviamo ad aver la sorte di fare qualche cosa che piace a Dio, dice il Grisostomo, che altro andiamo cercando? Si dignus fueris agere aliquid quod Deo placet, aliam praeter id mercedem requiris? (Chrys. L. 2. de Compunct. cord.). Questa è la maggior mercede, la maggior fortuna a cui può giungere una creatura, il dar gusto al suo Creatore.
7. E ciò è quello che pretende Gesù Cristo da un'anima che l'ama: Pone me, le dice, ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum(Cant. VIII, 6). Vuole che lo metta come segno sopra il suo cuore e sopra il suo braccio: sopra il suo cuore, acciocchè quanto ella medita di fare, intenda di farlo sol per amore di Dio; sopra il suo braccio, acciocchè quanto opera, tutto lo faccia per dar gusto a Dio; sicchè Dio sia sempre l'unico scopo di tutti i suoi pensieri e di tutte le sue azioni. Dicea S. Teresa che chi vuol farsi santo bisogna che viva senza altro desiderio che di dar gusto a Dio. E la sua prima figlia, la Ven. Beatrice dell'Incarnazione, dicea: «Non v'è prezzo con cui possa pagarsi qualunque cosa, benchè minima, fatta per Dio». E con ragione, perchè tutte le cose fatte per piacere a Dio sono atti di carità che ci uniscono a Dio e ci acquistano beni eterni.

8. Dicesi che la purità d'intenzione è l'alchimia celeste per la quale il ferro diventa oro, cioè le azioni più triviali, come il lavorare, il cibarsi, il ricrearsi, il riposare, fatte per Dio, diventano oro di santo amore. Quindi credea per certo S. Maria Maddalena de' Pazzi che quei che fanno con pura intenzione tutto quel che fanno, vadano diritto in paradiso senza entrar nel purgatorio. Si narra nell'Erario Spirit. (to. 4. cap. 4) che un santo solitario prima di fare qualunque azione solea fermarsi per un poco ed alzare gli occhi al cielo. Richiesto perchè ciò facesse, rispose: «Procuro di accertare il colpo». E volea dire che siccome il sagittario prima di scoccar la saetta prende la mira per indovinare il tiro, così egli prima di metter mano a qualunque azione prendea di mira Iddio, acciocchè quell'opera riuscisse di suo piacere. Così dobbiamo fare ancor noi; anzi nel proseguire l'opera incominciata è bene che rinnoviamo da quando in quando l'intenzione di dar gusto a Dio.

9. Quei che ne' loro affari non guardano altro che il volere divino godono quella santa libertà di spirito che hanno i figli di Dio, la quale fa che abbraccino ogni cosa che piace a Gesù Cristo, non ostante qualunque ripugnanza dell'amor proprio o del rispetto umano. L'amore a Gesù Cristo mette i suoi amanti in una totale indifferenza, per cui tutto ad essi è eguale, il dolce e l'amaro: niente vogliono di quel che piace a se stessi, e tutto vogliono di quel che piace a Dio. Colla stessa pace s'impiegano nelle cose grandi e nelle picciole, nelle cose grate e nelle dispiacevoli: basta loro che piacciano a Dio.

10. Molti all'incontro voglion servire a Dio, ma in quell'impiego, in quel luogo, con quei compagni, con quelle circostanze, altrimenti o lasciano l'opera o la fanno di mala voglia. Questi non hanno la libertà di spirito, ma sono schiavi dell'amor proprio, e perciò poco meritano anche in ciò che fanno; e vivono inquieti, mentre riesce loro grave il giogo di Gesù Cristo. I veri amanti di Gesù Cristo amano di fare solo quel che piace a Gesù Cristo, e perchè piace a Gesù Cristo; quando vuole, dove vuole e nel modo che vuole Gesù Cristo; ed o che voglia Gesù Cristo impiegarli in una vita onorata dal mondo, o in una vita oscura e negletta. Ciò importa l'amar Gesù Cristo con puro amore; ed in ciò noi dobbiamo affaticarci, combattendo contra gli appetiti dell'amor proprio che vorrebbe vederci occupati in opere grandi di onore e di nostra inclinazione.

11. E bisogna che siamo distaccati da tutti gli esercizi anche spirituali, quando il Signore ci vuole impiegati in altre opere di suo gusto. Un giorno il P. Alvarez, trovandosi molto occupato, desiderava sbrigarsene per andare a fare orazione, poichè gli parea che in quel tempo egli non era con Dio; ma il Signore allora gli disse: «Quantunque io non ti tenga meco, ti basti che io mi serva di te». Ciò vale per quelle persone che talvolta s'inquietano per vedersi obbligate dall'ubbidienza o dalla carità a lasciare le loro solite divozioni: sappiano che tal inquietudine allora certamente non viene da Dio, ma viene o dal demonio o dal loro amor proprio. Diasi gusto a Dio, e si muoia. Questa è la prima massima de' santi.


Affetti e preghiere.

Eterno mio Dio, io vi offerisco tutto il mio cuore; ma oh Dio, e qual cuore vi offerisco? Cuore bensì creato per amarvi, ma che, in vece d'amarvi, tante volte si è ribellato da voi. Ma guardate, Gesù mio, che se un tempo questo mio cuore vi è stato ribelle, ora sta tutto addolorato e pentito de' disgusti che vi ha dati. Sì, mio caro Redentore, mi pento di avervi disprezzato, e sto risoluto di volervi ubbidire ed amare ad ogni costo. Deh tiratemi tutto al vostro amore; fatelo per quell'amore che mi portaste morendo in croce per me.

V'amo, Gesù mio, v'amo con tutta l'anima, v'amo più di me stesso, o vero, o unico amante dell'anima mia, mentre non trovo altri che voi che per amor mio avete sacrificata la vita.
Mi fa piangere il vedere l'ingratitudine che vi ho usata. Povero me, io già mi era perduto, ma spero che voi colla grazia vostra mi abbiate restituita la vita. Questa sarà la mia vita, l'amarvi sempre, sommo mio bene.
Fate ch'io v'ami, o amore infinito, e niente più vi dimando.

O Maria, madre mia, accettatemi per vostro servo, e fatemi accettare da Gesù vostro figlio.

LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

martedì 23 settembre 2014

La carità non invidia, poichè non sa invidiare a' mondani quelle terrene grandezze ch'ella non desidera, ma disprezza



Caritas non aemulatur.


L'anima che ama Gesù Cristo
non invidia i grandi del mondo,
ma solamente coloro che più amano Gesù Cristo.

1. Spiega S. Gregorio quest'altro contrassegno della carità, e dice che la carità non invidia, poichè non sa invidiare a' mondani quelle terrene grandezze ch'ella non desidera, ma disprezza: Non aemulatur, quia per hoc quod in praesenti mundo nihil appetit, invidere terrenis successibus nescit (Mor. l. 10. c. 8). 
Quindi bisogna distinguere due sorta di emulazioni, una malvagia e l'altra santa. La malvagia è quella che invidia e si rattrista per li beni mondani che gli altri possedono in questa terra. L'emulazione santa è quella che non già invidia, ma piùttosto compatisce i grandi di questo mondo che vivono tra gli onori e piaceri terreni. Ella non cerca nè desidera altro che Dio, ed altro non pretende in questa vita che di amarlo quanto può; e perciò santamente invidia chi l'ama più di lei, mentr'ella nell'amarlo vorrebbe superare anche i serafini.

2. Questo è quell'unico fine che hanno in terra le anime sante, fine che innamora e ferisce di amore talmente il cuore di Dio che gli fa dire: Vulnerasti cor meum, soror mea sponsa, vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum (Cant. IV, 9). Quell'uno degli occhi significa l'unico fine che ha l'anima sposa in tutti i suoi esercizi e pensieri, di piacere a Dio. 

Gli uomini del mondo nelle loro azioni guardano le cose con più occhi, cioè con diversi fini disordinati, di piacere agli uomini, di farsi onore, di acquistar ricchezze e, se non di altro, di contentare se stessi; ma i santi non hanno che un occhio, per guardare in tutto ciò che fanno il solo gusto di Dio; e dicono con Davide: Quid... mihi est in caelo? et a te quid volui super terram?... Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum (Ps. LXXII, 25 et 26): che altro io voglio, mio Dio, in questo e nell'altro mondo, se non voi solo? Voi solo siete la mia ricchezza, voi l'unico signore del mio cuore. Si godano pure, dicea san Paolino, i ricchi i loro tesori di terra, si godano i re i loro regni, voi, Gesù mio, siete il mio tesoro e 'l regno mio: Habeant sibi divitias suas divites, regna sua reges, Christus mihi gloria et regnum est.


3. Quindi avvertiamo che non basta fare opere buone, ma bisogna farle bene.

sabato 20 settembre 2014

Era egli benigno con tutti, co' superiori, co' suoi eguali e cogl'inferiori, in casa e fuor di casa.



Caritas benigna est.
Chi ama Gesù Cristo ama la dolcezza.

1. Lo spirito di dolcezza è proprio di Dio: Spiritus enim meus super mel dulcis (Eccli. XXIV, 27). Quindi l'anima amante di Dio ama tutti coloro che sono amati da Dio, quali sono i nostri prossimi; onde volentieri va sempre cercando di soccorrer tutti, consolar tutti, e tutti contentar, per quanto l'è permesso. 

Dice S. Francesco di Sales che fu il maestro e l'esempio della santa dolcezza: «L'umile dolcezza è la virtù delle virtù che Dio tanto ci ha raccomandata; perciò bisogna praticarla sempre e da per tutto». Onde il santo ci dà poi questa regola: «Ciò che vedrete potersi far con amore, fatelo; e ciò che non può farsi senza contrasto, lasciatelo». S'intende sempre che può lasciarsi senza offesa di Dio, perchè l'offesa di Dio dee impedirsi sempre e subito che si può, da chi è tenuto ad impedirla.

2. Questa dolcezza dee specialmente praticarsi co' poveri, i quali ordinariamente, perchè son poveri, son trattati aspramente dagli uomini. Dee usarsi particolarmente ancora cogli infermi i quali si trovano afflitti dall'infermità, e per lo più sono poco assistiti dagli altri. Più particolarmente poi dee usarsi la dolcezza coi nemici. Vince in bono malum (Rom. XII, 21). Bisogna vincer l'odio coll'amore, e la persecuzione colla dolcezza; così han fatto i santi, e si han conciliato l'affetto de' loro più ostinati nemici.

3. «Non vi è cosa, dice S. Francesco di Sales, che tanto edifichi i prossimi, quanto la caritatevole benignità nel trattare». Il santo perciò ordinariamente facea vedersi colla bocca a riso e colla faccia che spirava benignità, accompagnata dalle parole e dai gesti. Onde dicea S. Vincenzo de' Paoli non aver egli conosciuto uomo più benigno. Dicea di più sembrargli che monsignor di Sales avesse l'immagine espressa della benignità di Gesù Cristo. 

Egli anche nel negare quel che non potea concedere senza offesa della coscienza, si dimostrava talmente benigno, che gli altri, benchè non avessero l'intento, ne partivano affezionati e contenti. 

Era egli benigno con tutti, co' superiori, co' suoi eguali e cogl'inferiori, in casa e fuor di casa. A differenza di coloro, come lo stesso santo dicea, che sembrano angeli fuori di casa e demoni in casa. Anche trattando co' servi, il santo non si lagnava mai de' loro mancamenti; appena qualche volta gli avvertiva, ma sempre con parole benigne. Cosa molto lodevole a tutti i superiori. 

Il superiore dee usare tutta la benignità co' suoi sudditi. Nell'imporre ciò che quelli hanno da eseguire, dee più presto pregare che comandare. Dicea S. Vincenzo de' Paoli: «Non v'è modo a' superiori di esser meglio ubbiditi da' sudditi, che la dolcezza». E parimente S. Giovanna di Chantal dicea: «Ho sperimentato più modi nel governo, ma non ho trovato migliore che il dolce e sofferente».

Ave Maria Purissima!

giovedì 18 settembre 2014

Col patire si distingue la paglia dal grano


Caritas patiens est.
L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.

1. Questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patimenti. La patria nostra, ove Dio ci ha preparato il riposo in un gaudio eterno, è il paradiso. In questo mondo poco tempo abbiamo da starvi; ma in questo poco tempo molti sono i travagli che abbiamo da soffrire. Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis (Iob. XIV, 1). 

Si ha da patire, e tutti han da patire: siano giusti, siano peccatori, ognuno ha da portar la sua croce. Chi la porta con pazienza si salva, chi la porta con impazienza si perde. Le stesse miserie, dice S. Agostino, mandano altri al paradiso, altri all'inferno: Una eademque tunsio bonos perducit ad gloriam, malos reducit in favillam. Colla pruova del patire, dice lo stesso santo, si distingue la paglia dal grano nella chiesa di Dio: chi nelle tribolazioni si umilia e si rassegna al divino volere è grano per lo paradiso; chi s'insuperbisce e si adira, e perciò lascia Dio, è paglia per l'inferno.


2. Nel giorno in cui avrà da giudicarsi la causa della nostra salute, per aver la sentenza felice de' predestinati, la nostra vita dovrà trovarsi uniforme alla vita di Gesù Cristo: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29). Questo fu il fine per cui l'Eterno Verbo discese in terra, per insegnarci col suo esempio a portare con pazienza le croci che Dio ci manda: Christus passus est pro vobis, scrisse S. Pietro, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius (I Petr. II, 21). Sicchè Gesù Cristo volle patire per animarci a patire. 

— Oh Dio! qual fu la vita di Gesù Cristo? Vita d'ignominie e di pene. Il Profeta chiamò il nostro Redentore: Despectum, novissimum virorum, virum dolorum (Is. LIII, 3): l'uomo disprezzato e trattato come l'ultimo, il più vile di tutti gli uomini, l'uomo de' dolori; sì, perchè la vita di Gesù Cristo fu tutta piena di travagli e di dolori...


lunedì 20 gennaio 2014

Dalla "Lettera agli Efesini" di sant'Ignazio di Antiochia:


Quaggiù non c'è cosa più bella che vivere nella fede e nella carità di Cristo, come han vissuto i Santi Padri. Nella "Lettera agli Efesini" di sant'Ignazio di Antiochia c'è un passo magnifico da non perdere di vista in questi mesi:



XV.
È meglio tacere ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro e ha detto e ha fatto, e ciò che tacendo ha fatto è degno del Padre. 

Chi possiede veramente la parola di Gesù è in grado di capire anche il suo silenzio e di giungere così alla perfezione. Egli con la sua parola  opererà e con il suo silenzio si farà conoscere. 

Nulla sfugge al Signore, anche i nostri segreti sono davanti al suo sguardo. Dunque tutto facciamo nella consapevolezza che Egli abita in noi templi suoi,  ed egli il Dio (che è) in noi, come è e apparirà al nostro volto se giustamente Lo amiamo.

XVI. 

Non ingannatevi, fratelli miei. Quelli che corrompono la famiglia "non erediteranno il regno di Dio" (cfr. 1 Cor. 6, 9-10: "9Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né quelli che peccano contro natura, 10né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né i calunniatori, né i rapinatori erediteranno il regno di Dio."). 

Se quelli che fanno ciò secondo la carne muoiono, tanto più colui che con una dottrina perversa corrompe la fede di Dio per la quale Cristo fu crocifisso! 

Egli, divenuto impuro, finirà nel fuoco eterno e insieme a lui anche chi lo ascolta.

XVII. 
Per questo il Signore accettò il profumo versato sul suo capo per infondere l'immortalità alla Chiesa. 
Non lasciatevi ungere dal cattivo odore del principe di questo mondo che non vi imprigioni fuori della vita che vi attende. 
Perché non diveniamo tutti saggi ricevendo la scienza di Dio che è Gesù Cristo? A che rovinarsi pazzamente, misconoscendo il carisma che il Signore ci ha veramente mandato?

giovedì 4 luglio 2013

Mai giudicare



Dice Gesù:



Quel che Dio ha purificato, per quanto possa avere l'apparenza


 di essere impuro, è uno spirito il quale cerca Dio con purezza d'intenti.




Ti ho già detto e attraverso a te lo dico a tanti ancor meno di te 

evangelizzati nella mia dottrina, che non dovete mai giudicare. 


Dio solo è giudice. Quando dall'alto del mio trono Io vedo uno spirito retto che persegue il suo anelito e cerca Dio con ogni suo mezzo, cerca di servire e di amare questo Dio con tutte le sue forze, Io lo giustifico e lo rendo puro e gradevole all'occhio mio come un mio figlio, e là dove gli uomini fanno difetto sopperisco Io dando luci di spirito.



Quante volte, la mia Parola, o tiepidi cristiani cattolici, non brilla e diviene luce nel cuore di uno che non vi è fratello di cattolicesimo, ma che vi supera per amore al Cristo e, anche se non conosce il Cristo, per amore al Dio vero che sente -- per quanto sia a lui ignoto -- essere vivente eterno nel suo Creato!



 In verità vi dico che lo Spirito di Dio non conosce limitazioni e si fa Maestro del vero a molti che voi reputate essere invisi a Dio.



Come marea che copre questo lido scoprendo il lido oppposto che, troppo insabbiato, non permette al flutto di salire a mondarlo e irrorarlo di sé, lo Spirito Santo, al quale troppi di voi cattolici precludete il venire con la vostra forma di vita, effonde le sue luci ad altri più meritevoli di voi di riceverle e li purifica a Dio, poiché Egli è il Purificatore, il Preparatore e il Perfezionatore dell'opera del Verbo.



Come nella storia umana lo Spirito, per bocca dei Profeti, preparò gli uomini alla mia venuta e, dopo il mio ritorno a Dio, perfezionò in voi la capacità di comprendere la mia Parola, così ugualmente è sempre Lui, la terza Divina Persona, che mi prepara la via nei cuori che non mi hanno ancora ricevuto come Verità e che me li irriga perche' la mia Verità, deposta come seme portato da vento divino, divenga in essi albero grande sul quale tutte le virtù facciano dimora. 



Egli battezza prima di Me i pagani di ora (e per pagani intendo tutti i non cattolici); e volesse la vostra buona volontà che vi avesse a ribattezzare anche voi, che state divenendo o già siete tornati pagani. Battezza col fuoco dell'amore vero.



Onde torno a dirvi: Non giudicate profano ciò che Dio ha purificato ed abbiate viscere di fraterna carità per tutti.



mercoledì 1 maggio 2013

San Giuseppe artigiano


La festa liturgica di San Giuseppe artigiano dev'essere "un giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglia del lavoro" (Venerabile Pio XII, Papa). Perché così avvenga ispiriamoci tutti all'insegnamento paolino che oggi la Liturgia ci offre e all'esempio di San Giuseppe, capo della Sacra Famiglia di Nazareth, che ha incarnato queste Parole di vita.




"Fratelli, 14 rivestitevi della carità, che è vincolo di perfezione. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
 17E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.
 23Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, 24sapendo che dal Signore riceverete come ricompensa l’eredità. Servite il Signore che è Cristo!".

Bonitas Domini Dei nostri
sit super nos, et opus manuum nostrarum
secunda nobis,..alleluja. Ps. 89, 17