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mercoledì 26 aprile 2017

Svégliati!

AMORE - PERDONO - COMPASSIONE


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9 agosto 2010
Il Signore GESÙ Cristo mi dice: «Svegliati! Esci da questo letargo dove ti ha immersa la maldicenza del mondo. Ritirati da essa! Non è questo il Mio Cammino. La Mia Parola non può essere dimenticata, né nascosta sotto il moggio. È con Essa che Io nutro i Popoli che devono mettersi in marcia: tutti hanno bisogno del Mio nutrimento per ricevere la Mia Luce, che li guiderà verso la Speranza.

Che fate voi della Mia Parola...?

La Mia Terra ha bisogno di voi, come voi avete bisogno di Essa. La sua forza deve rinascere in lei, anche attraverso la stessa cura che voi le prodigate, perché è proprio recuperando il Suo nuovo vigore, che voi realizzerete quel cambiamento tanto atteso da tutti gli Angeli e da tutti i Santi. Un cambiamento che farà di questa Umanità straziata «dei figli e delle figlie di DIO», che avranno l'Identità promessa dal «Figlio Unigenito di DIO».

Tutta l'Umanità fa parte integrante della Creazione, e quindi non ne è separata. DIO spera molto nei Suoi Figli. Non sapete che, nella Nuova Creazione, la persona gioca un ruolo importante nella decisione degli eventi ?

La Preghiera fa ancora dei miracoli... La Preghiera è una forma di avvicinamento alle forze stesse della Terra, perché tutto è stato creato dal Padre di ogni Bontà. Tutte le speranze attuali non possono realizzarsi se l'essere umano non diventa ciò che chiede nella preghiera per sé, e per coloro con i quali condivide la propria vita.

Dovete diventare AMORE, PERDONO E COMPASSIONE.

Ed è allora che, pregando con le mani giunte come la Madre di DIO, voi potete estendere la vostra preghiera a DIO per la PACE, fino in capo al mondo ! E se più persone si riuniscono insieme con gli stessi sentimenti di PACE, di AMORE, di PERDONO e di COMPASSIONE, allora sì che, con l'animo sincero, possono dare vita a un cambiamento fino all'altro capo del mondo, implorando l'Onnipotente!

Se la Pace è questa realtà nel Piano di DIO, essa deve diventare, nel gruppo di preghiera, realtà sperata da ogni singolo partecipante. Allora, raggiungendo DIO con la vostra sincerità, voi potrete tutto sperare e attendere TUTTO dal vostro Creatore Beneamato.

Nell'AMORE di DIO
GESÙ Cristo.


  

domenica 10 luglio 2016

L'AMORE MIRA ALL'ETERNITA'

 Il dovere di amare

5. C'è un altro insegnamento che ci viene dall'amore di Dio manifestato nella croce di Cristo. L'amore di Dio per l'uomo è fedele ed eterno: "Ti ho amato di amore eterno", dice Dio all'uomo nei profeti (Ger 31, 3), e ancora: "Alla mia fedeltà non verrò mai meno" (Sal 89, 34). Dio si è legato ad amare per sempre, si è privato della libertà di tornare indietro. È questo il senso profondo dell'alleanza che in Cristo è divenuta "nuova ed eterna".

Nell'enciclica papale [Deus caritas est] leggiamo: "Fa parte degli sviluppi dell'amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice senso:  nel senso dell'esclusività - "solo quest'unica persona" - e nel senso del "per sempre". L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità" (12).

Nella nostra società ci si domanda sempre più spesso che rapporto ci può essere tra l'amore di due giovani e la legge del matrimonio; che bisogno ha di "vincolarsi" l'amore che è tutto slancio e spontaneità. Così sono sempre più numerosi coloro che rifiutano l'istituzione del matrimonio e scelgono il cosiddetto amore libero o la semplice convivenza di fatto. Solo se si scopre il profondo e vitale rapporto che c'è tra legge e amore, tra decisione e istituzione, si può rispondere correttamente a quelle domande e dare ai giovani un motivo convincente per "legarsi" ad amare per sempre e a non aver paura di fare dell'amore un "dovere".

"Soltanto quando c'è il dovere di amare, - ha dichiarato il filosofo che, dopo Platone, ha scritto le cose più belle sull'amore, Kierkegaard -, allora soltanto l'amore è garantito per sempre contro ogni alterazione; eternamente liberato in beata indipendenza; assicurato in eterna beatitudine contro ogni disperazione" (13). Il senso di queste parole è che la persona che ama, più ama intensamente, più percepisce con angoscia il pericolo che corre il suo amore. Pericolo che non viene da altri, ma da lei stessa. Essa sa bene infatti di essere volubile e che domani, ahimé, potrebbe già stancarsi e non amare più o cambiare l'oggetto del suo amore. E poiché, adesso che è nella luce dell'amore, vede con chiarezza quale perdita irreparabile questo comporterebbe, ecco che si premunisce "legandosi" ad amare con il vincolo del dovere e ancorando, in tal modo all'eternità il suo atto d'amore posto nel tempo.

Ulisse voleva giungere a rivedere la sua patria e la sua sposa, ma doveva passare attraverso il luogo delle Sirene che ammaliavano i naviganti con il loro canto e li portavano a schiantarsi contro gli scogli. Cosa fece? Si fece legare all'albero della nave, dopo aver turato le orecchie con cera ai compagni. Giunto sul luogo, ammaliato, gridava per essere sciolto e raggiungere le Sirene, ma i compagni non potevano udirlo e così poté rivedere la sua patria e riabbracciare la sposa e il figlio (14). È un mito, ma aiuta a capire il perché, anche umano ed esistenziale, del matrimonio "indissolubile" e, su un piano diverso, dei voti religiosi.

Il dovere di amare protegge l'amore dalla "disperazione" e lo rende "beato e indipendente" nel senso che protegge dalla disperazione di non poter amare per sempre. Datemi un vero innamorato - diceva lo stesso pensatore - ed egli vi dirà se, in amore, c'è opposizione tra piacere e dovere; se il pensiero di "dovere" amare per tutta la vita procura all'amante paura e angoscia, o non piuttosto gioia e felicità somma.

Apparendo, un giorno della settimana santa, alla beata Angela da Foligno, Cristo le disse una parola divenuta celebre: "Non ti ho amato per gioco!" (15). Cristo non ci ha amato davvero per gioco. C'è una dimensione ludica e giocosa nell'amore, ma esso stesso non è un gioco; è la cosa più seria e più carica di conseguenze che esista al mondo; la vita umana dipende da esso. Eschilo paragona l'amore a un leoncello che si alleva in casa, "docile e tenero dapprima più d'un fanciullo", con il quale si può anche scherzare, ma che, crescendo, è capace di fare strage e lordare la casa di sangue (16).

Queste considerazioni non basteranno a mutare la cultura in atto che esalta la libertà di cambiare e la spontaneità del momento, la pratica dell'"usa e getta" applicata anche all'amore. (Si incaricherà, purtroppo, la vita a farlo, quando alla fine ci si ritroverà con delle ceneri in mano e la tristezza di non aver costruito nulla di duraturo con il proprio amore). Ma che almeno servano, queste considerazioni, a confermare della bontà e bellezza della propria scelta coloro che hanno deciso di vivere l'amore tra l'uomo e la donna secondo il progetto di Dio e serva a invogliare tanti giovani a fare la stessa scelta.

Non ci resta ormai che intonare con Paolo l'inno all'amore vittorioso di Dio. Egli ci invita a fare con lui una meravigliosa esperienza di guarigione interiore. Ripensa a tutte le cose negative e ai momenti critici della sua vita:  la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada. Guarda ad essi alla luce della certezza dell'amore di Dio e grida:  "In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati!".

Solleva quindi lo sguardo; dalla sua vita personale passa a considerare il mondo che lo circonda e il destino umano universale, e di nuovo la stessa giubilante certezza:  "Io sono persuaso che né morte né vita... , né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo  Gesù,  nostro  Signore"  (Rm  8, 37-39).

Raccogliamo il suo invito, in questo Venerdì di passione, e ripetiamo tra noi le sue parole mentre fra poco adoreremo la croce di Cristo

mercoledì 18 maggio 2016

Testo della meditazione che il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto il 5.10.2009 al Sinodo


Il Papa: "Le cose più grandi della vita — Dio, amore, verità — sono gratuite. Dio si dà nel nostro cuore..."


Pubblichiamo di seguito il testo della meditazione che il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto questa mattina alle ore 9, nell’Aula del Sinodo, nel corso della prima Congregazione Generale della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, dopo la lectio brevis dell’Ora Terza:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo dato inizio ora al nostro incontro sinodale invocando lo Spirito Santo e sapendo bene che noi non possiamo in questo momento realizzare quanto c'è da fare per la Chiesa e per il mondo: solo nella forza dello Spirito Santo possiamo trovare quanto è retto e poi attuarlo. 
E tutti i giorni inizieremo il nostro lavoro invocando lo Spirito Santo con la preghiera dell'Ora Terza «Nunc sancte nobis Spiritus». 
Perciò vorrei adesso, insieme con voi, meditare un po' questo inno, che apre il lavoro di ogni giorno, sia adesso nel Sinodo, ma anche dopo nella vita nostra quotidiana.

«Nunc sancte nobis Spiritus». 
Noi preghiamo che la Pentecoste non sia solo un avvenimento del passato, il primo inizio della Chiesa, ma sia oggi, anzi adesso: «nunc sancte nobis Spiritus». Preghiamo che il Signore adesso realizzi l'effusione del suo Spirito e ricrei di nuovo la sua Chiesa e il mondo. Ci ricordiamo che gli apostoli dopo l'Ascensione non hanno iniziato — come forse sarebbe stato normale — a organizzare, a creare la Chiesa futura. Hanno aspettato l'azione di Dio, hanno aspettato lo Spirito Santo. 

Hanno compreso che la Chiesa non si può fare, che non è il prodotto della nostra organizzazione: la Chiesa deve nascere dallo Spirito Santo. Come il Signore stesso è stato concepito ed è nato dallo Spirito Santo, così anche la Chiesa deve essere sempre concepita e nascere dallo Spirito Santo. 

Solo con questo atto creativo di Dio noi possiamo entrare nell'attività di Dio, nell'azione divina e collaborare con Lui. In questo senso, anche tutto il nostro lavoro al Sinodo è un collaborare con lo Spirito Santo, con la forza di Dio che ci previene. E sempre dobbiamo di nuovo implorare il compiersi di questa iniziativa divina, nella quale noi possiamo poi essere collaboratori di Dio e contribuire a far sì che di nuovo nasca e cresca la sua Chiesa.

La seconda strofa di questo inno — «Os, lingua, mens, sensus, vigor, / Confessionem personent: / Flammescat igne caritas, / accendat ardor proximos» — è il cuore di questa preghiera. Imploriamo da Dio tre doni, i doni essenziali della Pentecoste, dello Spirito Santo: confessio, caritas, proximos. Confessio: c'è la lingua di fuoco che è "ragionevole", dona la parola giusta e fa pensare al superamento di Babilonia nella festa di Pentecoste. La confusione nata dall'egoismo e dalla superbia dell'uomo, il cui effetto è quello di non poter comprenderci più gli uni gli altri, va superata dalla forza dello Spirito, che unisce senza uniformare, che dà unità nella pluralità: ciascuno può capire l'altro, anche nelle diversità delle lingue. Confessio: la parola, la lingua di fuoco che il Signore ci dà, la parola comune nella quale siamo tutti uniti, la città di Dio, la santa Chiesa, nella quale è presente tutta la ricchezza delle diverse culture. Flammescat igne caritas. 

Questa confessione non è una teoria ma è vita, è amore. Il cuore della santa Chiesa è l’amore, Dio è amore e si comunica comunicandoci l'amore. E infine il prossimo. La Chiesa non è mai un gruppo chiuso in sé, che vive per sé come uno dei tanti gruppi che esistono nel mondo, ma si contraddistingue per l'universalità della carità, della responsabilità per il prossimo.

Consideriamo uno per uno questi tre doni. 
Confessio: nel linguaggio della Bibbia e della Chiesa antica questa parola ha due significati essenziali, che sembrano opposti ma che in effetti costituiscono un'unica realtà. Confessio innanzitutto è confessione dei peccati: riconoscere la nostra colpa e conoscere che davanti a Dio siamo insufficienti, siamo in colpa, non siamo nella retta relazione con Lui
Questo è il primo punto: conoscere se stessi nella luce di Dio. Solo in questa luce possiamo conoscere noi stessi, possiamo capire anche quanto c'è di male in noi e così vedere quanto deve essere rinnovato, trasformato. Solo nella luce di Dio ci conosciamo gli uni gli altri e vediamo realmente tutta la realtà.

Mi sembra che dobbiamo tener presente tutto questo nelle nostre analisi sulla riconciliazione, la giustizia, la pace. Sono importanti le analisi empiriche, è importante che si conosca esattamente la realtà di questo mondo. Tuttavia queste analisi orizzontali, fatte con tanta esattezza e competenza, sono insufficienti. Non indicano i veri problemi perché non li collocano alla luce di Dio. Se non vediamo che alla radice vi è il Mistero di Dio, le cose del mondo vanno male perché la relazione con Dio non è ordinata. E se la prima relazione, quella fondante, non è corretta, tutte le altre relazioni con quanto vi può essere di bene, fondamentalmente non funzionano. Perciò tutte le nostre analisi del mondo sono insufficienti se non andiamo fino a questo punto, se non consideriamo il mondo nella luce di Dio, se non scopriamo che alla radice delle ingiustizie, della corruzione, sta un cuore non retto, sta una chiusura verso Dio e, pertanto, una falsificazione della relazione essenziale che è il fondamento di tutte e altre.

Confessio: comprendere nella luce di Dio le realtà del mondo, il primato di Dio e infine tutto l'essere umano e le realtà umane, che tendono alla nostra relazione con Dio

E se questa non è corretta, non arriva al punto voluto da Dio, non entra nella sua verità, anche tutto il resto non è correggibile perché nascono di nuovo tutti i vizi che distruggono la rete sociale, la pace nel mondo.

Confessio: vedere la realtà nella luce di Dio, capire che in fondo le nostre realtà dipendono dalla nostra relazione col nostro Creatore e Redentore, e così andare alla verità, alla verità che salva. Sant'Agostino, riferendosi al capitolo 3° del Vangelo di san Giovanni, definisce l'atto della confessione cristiana con «fare la verità, andare alla luce». Solo vedendo nella luce di Dio le nostre colpe, l'insufficienza della nostra relazione con Lui, camminiamo alla luce della verità. E solo la verità salva. Operiamo finalmente nella verità: confessare realmente in questa profondità della luce di Dio è fare la verità.

Questo è il primo significato della parola confessio, confessione dei peccati, riconoscimento della colpevolezza che risulta dalla nostra mancata relazione con Dio. Ma un secondo significato di confessione è quello di ringraziare Dio, glorificare Dio, testimoniare Dio. Possiamo riconoscere la verità del nostro essere perché c'è la risposta divina. Dio non ci ha lasciati soli con i nostri peccati; anche quanto la nostra relazione con la Sua maestà è ostacolata, Egli non si ritira ma viene e ci prende per mano. Perciò confessio è testimonianza della bontà di Dio, è evangelizzazione. 

Potremmo dire che la seconda dimensione della parola confessio è identica all'evangelizzazione. Lo vediamo nel giorno di Pentecoste, quando san Pietro, nel suo discorso, da una parte accusa la colpa delle persone — avete ucciso il santo e il giusto —, ma, nello stesso momento, dice: questo Santo è risorto e vi ama, vi abbraccia, vi chiama a essere suoi nel pentimento e nel battesimo, come pure nella comunione del suo Corpo. Nella luce di Dio, confessare diventa necessariamente annunciare Dio, evangelizzare e così rinnovare il mondo.

La parola confessio però ci ricorda ancora un altro elemento. Nel capitolo 10° della Lettera ai Romani san Paolo interpreta la confessione del capitolo 30° del Deuteronomio. In quest’ultimo testo sembra che gli ebrei, entrando nella forma definitiva dell'alleanza, nella Terra Santa, abbiano paura e non possano realmente rispondere a Dio come dovrebbero. Il Signore dice loro: non abbiate paura, Dio non è lontano. Per arrivare a Dio non è necessario attraversare un oceano ignoto, non sono necessari viaggi spaziali nel cielo, cose complicate o impossibili. 

Dio non è lontano, non è dall'altra parte dell'oceano, in questi spazi immensi dell'universo. Dio è vicino. È nel tuo cuore e sulle tue labbra, con la parola della Torah, che entra nel tuo cuore e si annuncia nelle tue labbra. Dio è in te e con te, è vicino.

San Paolo sostituisce, nella sua interpretazione, la parola Torah con la parola confessione e fede. Dice: realmente Dio è vicino, non sono necessarie spedizioni complicate per arrivare a Lui, né avventure spirituali o materiali. 

Dio è vicino con la fede, è nel tuo cuore, e con la confessione è sulle tue labbra. È in te e con te. Realmente Gesù Cristo con la sua presenza ci dà la parola della vita. Così entra, nella fede, nel nostro cuore. Abita nel nostro cuore e nella confessione portiamo la realtà del Signore al mondo, a questo nostro tempo. 

Mi sembra questo un elemento molto importante: il Dio vicino. Le cose della scienza, della tecnica comportano grandi investimenti: le avventure spirituali e materiali sono costose e difficili. Ma Dio si dona gratuitamente. Le cose più grandi della vita — Dio, amore, verità — sono gratuite. Dio si dà nel nostro cuore. Direi che dovremmo spesso meditare questa gratuità di Dio: non c'è bisogno di grandi doni materiali o anche intellettuali per essere vicini a Dio. Dio si dona gratuitamente nel suo amore, è in me nel cuore e sulle labbra. 

Questo è il coraggio, la gioia della nostra vita. È anche il coraggio presente in questo Sinodo, perché Dio non è lontano: è con noi con la parola della fede. Penso che anche questa dualità sia importante: la parola nel cuore e sulle labbra. Questa profondità della fede personale, che realmente mi collega intimamente con Dio, deve poi essere confessata: fede e confessione, interiorità nella comunione con Dio e testimonianza della fede che si esprime sulle mie labbra e diventa così sensibile e presente nel mondo. Sono due cose importanti che vanno sempre insieme.

Poi l'inno del quale parliamo indica anche i luoghi in cui si trova la confessione: «oas, lingua, mens, sensus, vigor». Tutte le nostre capacità di pensare, parlare, sentire, agire, devono risuonare — il latino usa il verbo «personare» — la parola di Dio. Il nostro essere, in tutte le sue dimensioni, dovrebbe essere riempito da questa parola, che diventa così realmente sensibile nel mondo, che, tramite la nostra esistenza, risuona nel mondo: la parola dello Spirito Santo.

E poi brevemente altri due doni. 

La carità: è importante che il cristianesimo non sia una somma di idee, una filosofia, una teologia, ma un modo di vivere, il cristianesimo è carità, è amore. Solo così diventiamo cristiani: se la fede si trasforma in carità, se è carità. Possiamo dire che anche lógos e caritas vanno insieme. Il nostro Dio è, da un parte, lógos, ragione eterna. Ma questa ragione è anche amore, non è fredda matematica che costruisce l'universo, non è un demiurgo; questa ragione eterna è fuoco, è carità. In noi stessi dovrebbe realizzarsi questa unità di ragione e carità, di fede e carità. E così trasformati nella carità diventare, come dicono i Padri greci, divinizzati. Direi che nello sviluppo del mondo abbiamo questo percorso in salita, dalle prime realtà create fino alla creatura uomo. Ma questa scala non è ancora finita. L'uomo dovrebbe essere divinizzato e così realizzarsi. L'unità della creatura e del Creatore: questo è il vero sviluppo, arrivare con la grazia di Dio a questa apertura. La nostra essenza viene trasformata nella carità. Se parliamo di questo sviluppo pensiamo sempre anche a questa ultima meta, dove Dio vuole arrivare con noi.

Infine, il prossimo. La carità non è qualcosa di individuale, ma universale e concreta. Oggi nella Messa abbiamo proclamato la pagina evangelica del buon samaritano, in cui vediamo la duplice realtà della carità cristiana, che è universale e concreta. Questo samaritano incontra un ebreo, che quindi sta oltre i confini della sua tribù e della sua religione. Ma la carità è universale e perciò questo straniero in tutti i sensi è per lui prossimo. L'universalità apre i limiti che chiudono il mondo e creano le diversità e i conflitti. Nello stesso tempo, il fatto che si debba fare qualcosa per l'universalità non è filosofia ma azione concreta. Dobbiamo tendere a questa unificazione di universalità e concretezza, dobbiamo aprire realmente questi confini tra tribù, etnie, religioni all'universalità dell'amore di Dio. E questo non in teoria, ma nei nostri luoghi di vita, con tutta la concretezza necessaria. Preghiamo il Signore che ci doni tutto ciò, nella forza dello Spirito Santo. Alla fine l'inno è glorificazione del Dio trino ed unico e preghiera di conoscere e di credere. Così la fine ritorna all'inizio. Preghiamo affinché possiamo conoscere, conoscere diventi credere e credere diventi amare, azione. Preghiamo il Signore affinché ci doni lo Spirito Santo, susciti una nuova Pentecoste, ci aiuti a essere i suoi servitori in questa ora del mondo. Amen.

LUNEDÌ 5 OTTOBRE 2009

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

venerdì 18 ottobre 2013

Le insidie dell'Avversario


8 luglio 1977.
Le insidie del mio Avversario.

«Lasciatevi sempre condurre da Me, figli prediletti, con la più grande fiducia nel mio Cuore Immacolato.

Per essere docili ai miei comandi, per formare la mia schiera invincibile voi dovete resistere alle insidie del mio Avversario che mai, come in questi tempi, si è scatenato contro di voi.

Vuole condurvi alla sfiducia e allo scoraggiamento. Vi fa soffrire con la sua azione subdola e ingannatrice.
Insinua persino il dubbio che non siate veramente scelti e da Me prediletti, tanto vi persuade della vostra grande miseria, e vi fa sentire la misura della vostra umana fragilità.
Per condurvi alla paralisi dello spirito e rendervi così inoffensivi, si scatena contro di voi con tentazioni di ogni genere.

State attenti, figli miei prediletti: queste sono le insidie del mio Avversario.
È la sua arma segreta che adopera contro di voi. È il suo morso velenoso con cui tenta di nuocere a questo mio piccolo calcagno.

La vostra Mamma vuole oggi svelarvi la sua trama e mettervi in guardia contro queste sue insidie.

- Voi siete i miei gigli e perciò vi tormenta spesso con immagini, fantasie e tentazioni impure.
Siate sereni, siate fiduciosi. Mai come in questi momenti di fronte a Dio ed alla vostra Mamma celeste, così fulgida e inviolata, risplende tutta la vostra purezza, perché nasce da un dono che voi rinnovate con la vostra volontà, nella più grande sofferenza di tutto il vostro essere.
Da ogni insidia che Satana vi tende ne uscite più puri, più belli, più nuovi. E la sofferenza che sentite è da Me stessa usata quale terribile arma per strappare al mio Avversario tanti vostri
fratelli Sacerdoti che, da anni e anni, tiene imprigionati e schiavi.

- Voi siete le mie rose che dovete profumare d'amore solo per mio Figlio Gesù e per Me.
Vi insidia perciò con il presentare al vostro cuore delle creature a cui insensibilmente cerca di legarvi. Anche qui è sempre subdola la sua azione. Spesso vi presenta creature buone, anche virtuose, persino dotate di doni straordinari, che però possono esservi di ostacolo al vostro atto di amore verso mio Figlio Gesù che Io vorrei rendere sempre più puro, incessante e perfetto.

Basta il più piccolo attaccamento a qualsiasi creatura, perché il vostro atto di amore non sia più come il mio Cuore Immacolato desidera. E le vostre anime vengono così oscurate da ombre che vi impediscono di ricevere e di comprendere tutta la luce che Io vi dono, e di cui avete bisogno per comporre questa mia corona di amore.
Oh, figli miei prediletti! Venite a Me voi tutti, perché siete così piccoli, insicuri, incapaci.
Venite, perché siete i miei bimbi, perché avete tutti bisogno di Me per camminare sulla via dell'amore perfetto.

- Voi siete i miei ciclamini per la vostra interiore piccolezza, per l'infanzia del vostro spirito.
Satana vi insidia col farvi sentire adulti, sicuri, col fare riporre in voi stessi, nelle vostre idee, nelle vostre azioni il motivo della vostra sicurezza. E poiché è qualità dei piccoli la fiducia e l'abbandono, ecco che vi tenta sempre di più con il dubbio e la sfiducia in questa mia azione verso di voi.

Egli cerca di convincervi che siete voi a fare, che dovete essere voi ad organizzare e ad agire, che ogni cosa dipende solo da voi.
E voi fate sempre di più e non lasciate fare a Me stessa.
Io non vi posso più condurre, perché, così, non siete più capaci di essere docili.
Se non restate piccoli così, il mio disegno non può essere compiuto.

Per questo, figli miei prediletti, ho voluto svelarvi le insidie con cui il mio Avversario tenterà sempre più di ingannarvi e di sedurvi.

Rispondete sempre e solo con fiducia eroica in Me. Ho solo bisogno di questa da voi, miei piccoli bimbi, per schiacciare la testa al mio Avversario, mentre tenterà di mordere il mio calcagno, insidiando voi, figli miei amatissimi».


TE DEUM LAUDAMUS

venerdì 4 ottobre 2013

Santa Ildegarda di Bingen


LETTERA APOSTOLICA


Santa Ildegarda di Bingen, Monaca Professa dell’ordine di San Benedetto, è proclamata Dottore della Chiesa universale

A perpetua memoria.

1. «Luce del suo popolo e del suo tempo»: con queste parole il Beato Giovanni Paolo II, Nostro venerato Predecessore, definì Santa Ildegarda di Bingen nel 1979, in occasione dell’800° anniversario della morte della Mistica tedesca. E veramente, sull’orizzonte della storia, questa grande figura di donna si staglia con limpida chiarezza per santità di vita e originalità di dottrina. Anzi, come per ogni autentica esperienza umana e teologale, la sua autorevolezza supera decisamente i confini di un’epoca e di una società e, nonostante la distanza cronologica e culturale, il suo pensiero si manifesta di perenne attualità.

In Santa Ildegarda di Bingen si rileva una straordinaria armonia tra la dottrina e la vita quotidiana. In lei la ricerca della volontà di Dio nell’imitazione di Cristo si esprime come un costante esercizio delle virtù, che ella esercita con somma generosità e che alimenta alle radici bibliche, liturgiche e patristiche alla luce della Regola di San Benedetto: rifulge in lei in modo particolare la pratica perseverante dell’obbedienza, della semplicità, della carità e dell’ospitalità. In questa volontà di totale appartenenza al Signore, la badessa benedettina sa coinvolgere le sue non comuni doti umane, la sua acuta intelligenza e la sua capacità di penetrazione delle realtà celesti.

2. Ildegarda nacque nel 1089 a Bermersheim, presso Alzey, da genitori di nobile lignaggio e ricchi possidenti terrieri. All’età di otto anni fu accettata come oblata presso la badia benedettina di Disibodenberg, ove nel 1115 emise la professione religiosa. Alla morte di Jutta di Sponheim, intorno al 1136, Ildegarda fu chiamata a succederle in qualità di magistra. Malferma nella salute fisica, ma vigorosa nello spirito, si impegnò a fondo per un adeguato rinnovamento della vita religiosa. Fondamento della sua spiritualità fu la regola benedettina, che pone l’equilibrio spirituale e la moderazione ascetica come vie alla santità. In seguito all’aumento numerico delle monache, dovuto soprattutto alla grande considerazione della sua persona, intorno al 1150 fondò un monastero sul colle chiamato Rupertsberg, nei pressi di Bingen, dove si trasferì insieme a venti consorelle. Nel 1165, ne istituì un altro a Eibingen, sulla riva opposta del Reno. Fu badessa di entrambi.

All’interno delle mura claustrali curò il bene spirituale e materiale delle Consorelle, favorendo in modo particolare la vita comunitaria, la cultura e la liturgia. All’esterno s’impegnò attivamente a rinvigorire la fede cristiana e a rafforzare la pratica religiosa, contrastando le tendenze ereticali dei catari, promuovendo la riforma della Chiesa con gli scritti e la predicazione, contribuendo a migliorare la disciplina e la vita del clero. Su invito prima di Adriano iv e poi di Alessandro III, Ildegarda esercitò un fecondo apostolato — allora non molto frequente per una donna — effettuando alcuni viaggi non privi di disagi e difficoltà, per predicare perfino nelle pubbliche piazze e in varie chiese cattedrali, come avvenne tra l’altro a Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz, Bamberga e Würzburg. La profonda spiritualità presente nei suoi scritti esercita un rilevante influsso sia sui fedeli, sia su grandi personalità del suo tempo, coinvolgendo in un incisivo rinnovamento la teologia, la liturgia, le scienze naturali e la musica.
Colpita da malattia nell’estate del 1179, Ildegarda, circondata dalle Consorelle, si spense in fama di santità nel monastero del Rupertsberg, presso Bingen, il 17 settembre 1179.
3.  Nei suoi numerosi scritti Ildegarda si dedicò esclusivamente a esporre la divina rivelazione e far conoscere Dio nella limpidezza del suo amore. La dottrina ildegardiana è ritenuta eminente sia per la profondità e la correttezza delle sue interpretazioni, sia per l’originalità delle sue visioni. I testi da lei composti appaiono animati da un’autentica «carità intellettuale» ed evidenziano densità e freschezza nella contemplazione del mistero della Santissima Trinità, dell’Incarnazione, della Chiesa, dell’umanità, della natura come creatura di Dio da apprezzare e rispettare.

Queste opere nascono da un’intima esperienza mistica e propongono una incisiva riflessione sul mistero di Dio. Il Signore l’aveva resa partecipe, fin da bambina, di una serie di visioni, il cui contenuto ella dettò al monaco Volmar, suo segretario e consigliere spirituale, e a Richardis di Strade, una consorella monaca. Ma è particolarmente illuminante il giudizio dato da San Bernardo di Chiaravalle, che la incoraggiò, e soprattutto da papa Eugenio III, che nel 1147 la autorizzò a scrivere e a parlare in pubblico. La riflessione teologica consente ad Ildegarda di tematizzare e comprendere, almeno in parte, il contenuto delle sue visioni. Ella, oltre a libri di teologia e di mistica, compose anche opere di medicina e di scienze naturali. Numerose sono anche le lettere — circa quattrocento — che indirizzò a persone semplici, a comunità religiose, a papi, vescovi e autorità civili del suo tempo. Fu anche compositrice di musica sacra. Il corpus dei suoi scritti, per quantità, qualità e varietà di interessi, non ha paragoni con alcun’altra autrice del Medio Evo. 

Le opere principali sono lo Scivias, il Liber vitae meritorum e il Liber divinorum operum. Tutte narrano le sue visioni e l’incarico ricevuto dal Signore di trascriverle. Le Lettere, nella consapevolezza delle stessa autrice, non rivestono una minore importanza e testimoniano l’attenzione di Ildegarda alle vicende del suo tempo, che ella interpreta alla luce del mistero di Dio. A queste vanno aggiunti 58 sermoni, diretti esclusivamente alle sue Consorelle. Si tratta delle Expositiones Evangeliorum, contenenti un commento letterale e morale a brani evangelici legati alle principali celebrazioni dell’anno liturgico. I lavori a carattere artistico e scientifico si concentrano in modo specifico sulla musica con la Symphonia armoniae caelestium revelationum; sulla medicina con il Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum e il Causae et curae; sulle scienze naturali con la Physica. Infine si notano anche scritti di carattere linguistico, come la Lingua ignota e le Litterae ignotae, nei quali compaiono parole in una lingua sconosciuta di sua invenzione, ma composta prevalentemente di fonemi presenti nella lingua tedesca.
Il linguaggio di Ildegarda, caratterizzato da uno stile originale ed efficace, ricorre volentieri ad espressioni poetiche dalla forte carica simbolica, con folgoranti intuizioni, incisive analogie e suggestive metafore.

4.  Con acuta sensibilità sapienziale e profetica, Ildegarda fissa lo guardo sull’evento della rivelazione. La sua indagine si sviluppa a partire dalla pagina biblica, alla quale, nelle successive fasi, resta saldamente ancorata. Lo sguardo della Mistica di Bingen non si limita ad affrontare singole questioni, ma vuole offrire una sintesi di tutta la fede cristiana. Nelle sue visioni e nella successiva riflessione, pertanto, ella compendia la storia della salvezza, dall’inizio dell’universo alla consumazione escatologica. La decisione di Dio di compiere l’opera della creazione è la prima tappa di questo immenso percorso, che, alla luce della Sacra Scrittura, si snoda dalla costituzione della gerarchia celeste fino alla caduta degli angeli ribelli e al peccato dei progenitori. A questo quadro iniziale fa seguito l’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, l’azione della Chiesa che continua nel tempo il mistero dell’incarnazione e la lotta contro satana. L’avvento definitivo del regno di Dio e il giudizio universale saranno il coronamento di questa opera.

Ildegarda pone a se stessa e a noi la questione fondamentale se sia possibile conoscere Dio: è questo il compito fondamentale della teologia. La sua risposta è pienamente positiva: mediante la fede, come attraverso una porta, l’uomo è in grado di avvicinarsi a questa conoscenza. Tuttavia Dio conserva sempre il suo alone di mistero e di incomprensibilità. Egli si rende intelligibile nel creato, ma questo, a sua volta, non viene compreso pienamente se viene distaccato da Dio. Infatti, la natura considerata in sé fornisce solo delle informazioni parziali, che non di rado diventano occasioni di errori e di abusi. Perciò anche nella dinamica conoscitiva naturale occorre la fede, altrimenti la conoscenza resta limitata, insoddisfacente e fuorviante.
La creazione è un atto di amore, grazie al quale il mondo può emergere dal nulla: dunque tutta la scala delle creature è attraversata, come la corrente di un fiume, dalla carità divina. Fra tutte le creature, Dio ama in modo particolare l’uomo e gli conferisce una straordinaria dignità, donandogli quella gloria che gli angeli ribelli hanno perduto. L’umanità, così, può essere considerata come il decimo coro della gerarchia angelica. Ebbene, l’uomo è in grado di conoscere Dio in se stesso, cioè la sua individua natura nella trinità delle persone. Ildegarda si accosta al mistero della Santissima Trinità nella linea già proposta da Sant’Agostino: per analogia con la propria struttura di essere razionale, l’uomo è in grado di avere almeno un’immagine della intima realtà di Dio. Ma è solo nell’economia dell’incarnazione e della vicenda umana del Figlio di Dio che questo mistero diventa accessibile alla fede e alla consapevolezza dell’uomo. La santa ed ineffabile Trinità nella somma unità era nascosta ai servitori della legge antica. Ma nella nuova grazia veniva rivelata ai liberati dalla servitù. La Trinità si è rivelata in modo particolare nella croce del Figlio.
Un secondo «luogo» in cui Dio si rende conoscibile è la sua parola contenuta nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Proprio perché Dio «parla», l’uomo è chiamato all’ascolto. Questo concetto offre a Ildegarda l’occasione di esporre la sua dottrina sul canto, in modo particolare quello liturgico. Il suono della parola di Dio crea vita e si manifesta nelle creature. Anche gli esseri privi di razionalità, grazie alla parola creatrice vengono coinvolti nel dinamismo creaturale. Ma, naturalmente, è l’uomo quella creatura che, con la sua voce, può rispondere alla voce del Creatore. E può farlo in due modi principali: in voce oris, cioè nella celebrazione della liturgia, e in voce cordis, cioè con una vita virtuosa e santa. L’intera vita umana, pertanto, può essere interpretata come un’armonia e una sinfonia: mentre l’armonia significa la restaurazione della relazione e la piena esperienza della redenzione, l’attuale esistenza umana con i suoi pericoli, contraddizioni e peccati, corrisponde a una sinfonia, a un insieme di suoni e di accordi allo stesso modo armoniosi e dissonanti. In questa sinfonia Dio fa ascoltare soprattutto la sua misericordia.
5. L’antropologia di Ildegarda prende inizio dalla pagina biblica della creazione dell’uomo (Gen 1, 26), fatto a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo, secondo la cosmologia ildegardiana fondata sulla Bibbia, racchiude tutti gli elementi del mondo, perché l’universo intero si riassume in lui, che è formato della materia stessa della creazione. Perciò egli può in modo consapevole entrare in rapporto con Dio. Ciò accade non per una visione diretta, ma, seguendo la celebre espressione paolina, «come in uno specchio» (1 Cor 13, 12). L’immagine divina nell’uomo consiste nella sua razionalità, strutturata in intelletto e volontà. Grazie all’intelletto l’uomo è capace di distinguere il bene e il male, grazie alla volontà egli è spinto all’azione.
L’uomo è visto come unità di corpo e di anima. Si nota nella Mistica tedesca un apprezzamento positivo della corporeità e, anche negli aspetti di fragilità che il corpo manifesta, ella è capace di cogliere un valore provvidenziale: il corpo non è un peso di cui liberarsi e, perfino quando è debole e fragile, «educa» l’uomo al senso della creaturalità e dell’umiltà, proteggendolo dalla superbia e dall’arroganza. In una visione Ildegarda contempla le anime dei beati del paradiso, che sono in attesa di ricongiungersi ai loro corpi. Infatti, come per il corpo di Cristo, anche i nostri corpi sono orientati verso la risurrezione gloriosa, per una profonda trasformazione per la vita eterna. La stessa visione di Dio, nella quale consiste la vita eterna, non si può conseguire in modo definitivo senza il corpo.

L’uomo esiste nella forma maschile e femminile. Ildegarda riconosce che in questa struttura ontologica della condizione umana si radica una relazione di reciprocità e una sostanziale uguaglianza tra uomo e donna. Nell’umanità, però, abita anche il mistero del peccato ed esso si manifesta per la prima volta nella storia proprio in questo rapporto tra Adamo ed Eva. A differenza di altri autori medievali, che vedevano la causa della caduta nella debolezza di Eva, Ildegarda la coglie soprattutto nella smodata passione di Adamo verso di lei.
Anche nella sua condizione di peccatore, l’uomo continua ad essere destinatario dell’amore di Dio, perché questo amore è incondizionato e, dopo la caduta, assume il volto della misericordia. Perfino la punizione che Dio infligge all’uomo e alla donna fa emergere l’amore misericordioso del Creatore. In tal senso, la più precisa descrizione della creatura umana è quella di un essere in cammino, homo viator. In questo pellegrinaggio verso la patria, l’uomo è chiamato ad una lotta per poter scegliere costantemente il bene ed evitare il male.
La scelta costante del bene produce un’esistenza virtuosa. Il Figlio di Dio fatto uomo è il soggetto di tutte le virtù, perciò l’imitazione di Cristo consiste proprio in un’esistenza virtuosa nella comunione con Cristo. La forza delle virtù deriva dallo Spirito Santo, infuso nei cuori dei credenti, che rende possibile un comportamento costantemente virtuoso: questo è lo scopo dell’umana esistenza. L’uomo, in tal modo, sperimenta la sua perfezione cristiforme.

6.  Per poter raggiungere questo scopo, il Signore ha donato i sacramenti alla sua Chiesa. La salvezza e la perfezione dell’uomo, infatti, non si compiono solo mediante uno sforzo della volontà, bensì attraverso i doni della grazia che Dio concede nella Chiesa.

La Chiesa stessa è il primo sacramento che Dio pone nel mondo perché comunichi agli uomini la salvezza. Essa, che è la «costruzione delle anime viventi», può essere giustamente considerata come vergine, sposa e madre e, dunque, è strettamente assimilata alla figura storica e mistica della Madre di Dio. La Chiesa comunica la salvezza anzitutto custodendo e annunziando i due grandi misteri della Trinità e dell’Incarnazione, che sono come i due «sacramenti primari», poi mediante l’amministrazione degli altri sacramenti. Il vertice della sacramentalità della Chiesa è l’eucaristia. I sacramenti producono la santificazione dei credenti, la salvezza e la purificazione dei peccati, la redenzione, la carità e tutte le altre virtù. Ma, ancora una volta, la Chiesa vive perché Dio in essa manifesta il suo amore intratrinitario, che si è rivelato in Cristo. Il Signore Gesù è il mediatore per eccellenza. Dal grembo trinitario egli viene incontro all’uomo e dal grembo di Maria egli va incontro a Dio: come Figlio di Dio è l’amore incarnato, come Figlio di Maria è il rappresentante dell’umanità davanti al trono di Dio.

L’uomo può giungere perfino a sperimentare Dio. Il rapporto con lui, infatti, non si consuma nella sola sfera della razionalità, ma coinvolge in modo totale la persona. Tutti i sensi esterni e interni dell’uomo sono interessati nell’esperienza di Dio: «Homo autem ad imaginem et similitudinem Dei factus est, ut quinque sensibus corporis sui operetur; per quos etiam divisus non est, sed per eos est sapiens et sciens et intellegens opera sua adimplere. [...] Sed et per hoc, quod homo sapiens, sciens et intellegens est, creaturas conosci; itaque per creaturas et per magna opera sua, quae etiam quinque sensibus suis vix comprehendit, Deum cognoscit, quem nisi in fide videre non valet» (Explanatio Symboli Sancti Athanasii: pl 197, 1066). Questa via esperienziale, ancora una volta, trova la sua pienezza nella partecipazione ai sacramenti.

Ildegarda vede anche le contraddizioni presenti nella vita dei singoli fedeli e denunzia le situazioni più deplorevoli. In modo particolare, ella sottolinea come l’individualismo nella dottrina e nella prassi da parte tanto dei laici quanto dei ministri ordinati sia un’espressione di superbia e costituisca il principale ostacolo alla missione evangelizzatrice della Chiesa verso i non cristiani.

Una delle vette del magistero di Ildegarda è l’accorata esortazione a una vita virtuosa che ella rivolge a chi si impegna in uno stato di consacrazione. La sua comprensione della vita consacrata è una vera «metafisica teologica», perché fermamente radicata nella virtù teologale della fede, che è la fonte e la costante motivazione per impegnarsi a fondo nell’obbedienza, nella povertà e nella castità. Nel realizzare i consigli evangelici la persona consacrata condivide l’esperienza di Cristo povero, casto e obbediente e ne segue le orme nell’esistenza quotidiana. Questo è l’essenziale della vita consacrata.
7. L’eminente dottrina di Ildegarda riecheggia l’insegnamento degli apostoli, la letteratura patristica e gli autori contemporanei, mentre trova nella Regola di San Benedetto da Norcia un costante punto di riferimento. La liturgia monastica e l’interiorizzazione della Sacra Scrittura costituiscono le linee-guida del suo pensiero, che, concentrandosi nel mistero dell’Incarnazione, si esprime in una profonda unità stilistica e contenutistica che percorre intimamente tutti i suoi scritti.
L’insegnamento della santa monaca benedettina si pone come una guida per l’homo viator. Il suo messaggio appare straordinariamente attuale nel mondo contemporaneo, particolarmente sensibile all’insieme dei valori proposti e vissuti da lei. Pensiamo, ad esempio, alla capacità carismatica e speculativa di Ildegarda, che si presenta come un vivace incentivo alla ricerca teologica; alla sua riflessione sul mistero di Cristo, considerato nella sua bellezza; al dialogo della Chiesa e della teologia con la cultura, la scienza e l’arte contemporanea; all’ideale di vita consacrata, come possibilità di umana realizzazione; alla valorizzazione della liturgia, come celebrazione della vita; all’idea di riforma della Chiesa, non come sterile cambiamento delle strutture, ma come conversione del cuore; alla sua sensibilità per la natura, le cui leggi sono da tutelare non da violare.
Perciò l’attribuzione del titolo di Dottore della Chiesa universale a Ildegarda di Bingen ha un grande significato per il mondo di oggi e una straordinaria importanza per le donne. In Ildegarda risultano espressi i più nobili valori della femminilità: perciò anche la presenza della donna nella Chiesa e nella società viene illuminata dalla sua figura, sia nell’ottica della ricerca scientifica sia in quella dell’azione pastorale. La sua capacità di parlare a coloro che sono lontani dalla fede e dalla Chiesa rendono Ildegarda una testimone credibile della nuova evangelizzazione.
In virtù della fama di santità e della sua eminente dottrina, il 6 marzo 1979 il Signor Cardinale Joseph Höffner, Arcivescovo di Colonia e Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, insieme con i Cardinali, Arcivescovi e Vescovi della medesima Conferenza, tra i quali eravamo anche Noi quale Cardinale Arcivescovo di Monaco e Frisinga, sottopose al Beato Giovanni Paolo II la Supplica, affinché Ildegarda di Bingen fosse dichiarata Dottore della Chiesa universale. Nella Supplica, l’Em.mo Porporato metteva in evidenza l’ortodossia della dottrina di Ildegarda, riconosciuta nel XII secolo da Papa Eugenio III, la sua santità costantemente avvertita e celebrata dal popolo, l’autorevolezza dei suoi trattati. A tale Supplica della Conferenza Episcopale Tedesca, negli anni se ne sono aggiunte altre, prima fra tutte quella delle Monache del monastero di Eibingen, a lei intitolato. Al desiderio comune del Popolo di Dio che Ildegarda fosse ufficialmente proclamata santa, dunque, si è aggiunta la richiesta che sia anche dichiarata «Dottore della Chiesa universale».
Con il nostro consenso, pertanto, la Congregazione delle Cause dei Santi diligentemente preparò una Positio super Canonizatione et Concessione tituli Doctoris Ecclesiae universalis per la Mistica di Bingen. Trattandosi di una rinomata maestra di teologia, che è stata oggetto di molti e autorevoli studi, abbiamo concesso la dispensa da quanto disposto dall’art. 73 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus. Il caso fu quindi esaminato con esito unanimemente positivo dai Padri Cardinali e Vescovi radunati nella Sessione Plenaria del 20 marzo 2012, essendo Ponente della Causa l’Em.mo Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nell’Udienza del 10 maggio 2012 lo stesso Cardinale Amato Ci ha dettagliatamente informati sullo status quaestionis e sui voti concordi dei Padri della menzionata Sessione Plenaria della Congregazione delle Cause dei Santi. Il 27 maggio 2012, Domenica di Pentecoste, avemmo la gioia di comunicare in Piazza San Pietro alla moltitudine dei pellegrini convenuti da tutto il mondo la notizia del conferimento del titolo di Dottore della Chiesa universale a Santa Ildegarda di Bingen e san Giovanni d’Ávila all’inizio dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi e alla vigilia dell’Anno della Fede.
Oggi, dunque, con l’aiuto di Dio e il plauso di tutta la Chiesa, ciò è fatto. In Piazza San Pietro, alla presenza di molti Cardinali e Presuli della Curia Romana e della Chiesa cattolica, confermando ciò che è stato fatto e soddisfacendo con grande piacere i desideri dei supplicanti, durante il sacrificio Eucaristico abbiamo pronunziato queste parole: 
«Noi accogliendo il desiderio di molti Fratelli nell’Episcopato e di molti fedeli del mondo intero, dopo aver avuto il parere della Congregazione delle Cause dei Santi, dopo aver lungamente riflettuto e avendo raggiunto un pieno e sicuro convincimento, con la pienezza dell’autorità apostolica dichiariamo  San Giovanni d’Avila, sacerdote diocesano, e Santa Ildegarda di Bingen, monaca professa dell’Ordine di San Benedetto, Dottori della Chiesa universale, Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Queste cose decretiamo e ordiniamo, stabilendo che questa lettera sia e rimanga sempre certa, valida ed efficace, e che sortisca e ottenga i suoi effetti pieni e integri; e così convenientemente si giudichi e si definisca; e sia vano e senza fondamento quanto diversamente intorno a ciò possa essere tentato da chiunque con qualsivoglia autorità, scientemente o per ignoranza. 

Dato a Roma, presso San Pietro,
col sigillo del Pescatore, 
il 7 ottobre 2012, anno ottavo 
del Nostro Pontificato.

BENEDICTUS PP. XVI

lunedì 30 settembre 2013

Santa Teresa del Bambino Gesù




L'Amore misericordioso.


«Figli prediletti, entrate nel Cenacolo spirituale del mio Cuore Immacolato, perché Io possa farvi penetrare nel divino mistero dell'Amore Misericordioso di mio figlio Gesù.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché in Lui si riflette la divina Misericordia del Padre, che ha tanto amato il mondo, da mandargli il suo Figlio Unigenito per la sua salvezza.

In Gesù la misericordia del Padre si fa Persona e si realizza nel suo disegno di redenzione.
Per mezzo di Lui il Padre fa scendere il suo perdono sulla umanità che si era allontanata col peccato e la riporta ad una piena comunione di amore e di vita con il suo Creatore e il suo Signore.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché, facendosi uomo, porta su di sé la fragilità, la debolezza, la sofferenza di tutta la umanità.

Quando è Bambino porta nel suo cuore i gemiti e i sospiri di tutti i bambini del mondo; 
da giovane vive le vicissitudini e le difficoltà della gioventù così fragile ed esposta al vento impetuoso delle passioni; 
quando giunge a maturità porta dentro la sua divina Persona i problemi, le angosce, i dolori di tutti.

Si china sui poveri per annunciare a loro il vangelo di salvezza; proclama la liberazione ai prigionieri; solleva i derelitti, perdona i peccatori, guarisce gli ammalati, consola gli afflitti e scaccia Satana da coloro che ha posseduto.
- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché è mite ed umile di cuore.
Lasciatevi attrarre dietro la sua mitezza.
Vedete come è dolce, sensibile, compassionevole con tutti; dai suoi nemici si lascia condurre docile e mansueto, come agnello che viene portato al suo cruento sacrificio.

Lasciatevi possedere dalla sua umiltà.
Il Primo si fa ultimo; il Maestro diventa discepolo; il Signore si mette al servizio di tutti.
La pienezza della sua divinità in Lui viene nascosta sotto il velo umano della sua umiltà.


- Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché vuole attirare tutti dentro la fornace ardente del suo divino Amore.
Lasciatevi attirare da Lui.
Non resistete ai suoi richiami.
Camminate con Me sulla strada del suo divino amore.
Figli prediletti, fate anche voi la dolce esperienza dell'amore a Gesù.


Oggi celebrate la memoria liturgica di Santa Teresa del Bambino Gesù, di cui ricorre il primo centenario della sua nascita al cielo.
Oggi Io la dono a tutti voi come vostra piccola sorella.
Lei si è consacrata vittima all'Amore Misericordioso di Gesù.
Lei si è lasciata consumare tutta dal fuoco ardente della sua divina carità.
Imitatela in questa sua piccola via.
Diventate anche voi piccoli, semplici, umili, miti e mansueti.
Diventate tutti bambini, percorrendo la via della infanzia spirituale, che Lei vi ha tracciato.

Offritevi anche voi come vittime all'Amore Misericordioso di Gesù, perché, attraverso di voi, possa effondere presto sul mondo il grande prodigio della Divina Misericordia».

Sale (Alessandria), 1° ottobre 1997. Santa Teresa del Bambino Gesù. MSM.

Ad Te, Domina, clamabo et exaudies me:
in voce laudis tuae laetificabis me.