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domenica 15 marzo 2015

15. I misteri del Signore


I misteri del Signore

Durante tutto il corso dell'anno la celebrazione del Sacrificio Eucaristico e l'Ufficio Divino si svolgono soprattutto intorno alla persona di Gesù Cristo; e si organizzano in modo così consono e congruo, da farvi dominare il nostro Salvatore nei suoi misteri di umiliazione, di redenzione e di trionfo. 
Rievocando questi misteri di Gesù Cristo, la sacra Liturgia mira a farvi partecipare tutti i credenti in modo che il divin Capo del Corpo Mistico viva nella pienezza della sua santità nelle singole membra. 

Siano, le anime dei cristiani, come altari sui quali si ripetano e si ravvivano le varie fasi del Sacrificio che immola il Sommo Sacerdote: 

i dolori, cioè, e le lacrime che lavano ed espiano i peccati; 
la preghiera a Dio rivolta che si eleva fino al cielo; 
la propria immolazione fatta con animo pronto, generoso e sollecito e, infine, 
l'intima unione con la quale abbandoniamo a Dio noi e le nostre cose e riposiamo in Lui, «essendo il succo della religione imitare colui che adori». 
Conformemente a questi modi e motivi con i quali la Liturgia propone alla nostra meditazione in tempi fissi la vita di Gesù Cristo, la Chiesa ci mostra gli esempi che dobbiamo imitare, e i tesori di santità che facciamo nostri, perché è necessario credere con lo spirito a ciò che si canta con la bocca, e tradurre nella pratica dei privati e pubblici costumi ciò che si crede con lo spirito. 

Avvento 

Infatti, nel tempo dell'Avvento, eccita in noi la coscienza dei peccati miseramente commessi; e ci esorta affinché, frenando i desideri con la volontaria mortificazione del corpo, ci raccogliamo in pia meditazione e siamo spinti dal desiderio di tornare a Dio, che solo può liberarci con la sua grazia dalla macchia dei peccati e dai mali che ne conseguono. 

Natale 

Con la ricorrenza del Natale del Redentore, sembra quasi ricondurci alla grotta di Betlemme, perché vi impariamo che è assolutamente necessario nascere di nuovo e riformarci radicalmente; il che è possibile soltanto quando ci uniamo intimamente e vitalmente al Verbo di Dio fatto uomo, e siamo partecipi della sua divina natura, alla quale veniamo elevati. 

Epifania 

Con la solennità della Epifania, ricordando la vocazione delle Genti alla fede cristiana, vuole che noi ringraziamo ogni giorno il Signore per così grande beneficio, desideriamo con grande fede il Dio vivo, comprendiamo con devozione e in profondità le cose soprannaturali, e prediligiamo il silenzio e la meditazione per potere facilmente capire e conseguire i doni celesti.

 Settuagesima 

Nei giorni della Settuagesima e della Quaresima, la Chiesa, nostra Madre, moltiplica le sue cure perché ognuno di noi si renda diligentemente conto delle sue miserie, sia attivamente incitato alla emendazione dei costumi, e detesti in modo particolare i peccati cancellandoli con la preghiera e la penitenza; giacché l'assidua preghiera e la penitenza dei peccati commessi ci ottengono l'aiuto divino, senza il quale è inutile e sterile ogni opera nostra. 

Passione 

Nel sacro tempo, poi, nel quale la Liturgia ci propone gli atroci dolori di Gesù Cristo, la Chiesa ci invita al Calvario, per seguire le orme sanguinose del Divin Redentore, affinché portiamo volentieri la Croce con Lui, abbiamo in noi gli stessi sentimenti di espiazione e di propiziazione, e perché insieme moriamo tutti con Lui. 

Pasqua 

Con la solennità Pasquale, che commemora il trionfo di Cristo, l'anima nostra è pervasa di intima gioia, e dobbiamo opportunamente pensare che anche noi dobbiamo risorgere insieme con il Redentore da una vita fredda ed inerte, a una vita più santa e fervente, offrendoci tutti e con generosità a Dio, e dimenticandoci di questa misera terra per aspirare soltanto al cielo: «Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, . . . aspirate alle cose di lassù». 

Pentecoste 

Nel tempo di Pentecoste, finalmente, la Chiesa ci esorta con i suoi precetti e la sua opera, ad offrirci docilmente all'azione dello Spirito Santo, il quale vuole accendere i nostri cuori di divina carità, perché progrediamo ogni giorno nella virtù con impegno maggiore, e così ci santifichiamo, come Cristo Signore e il suo Padre celeste sono santi. 

Tutto l'anno liturgico, dunque, può dirsi un magnifico inno di lode che la famiglia cristiana indirizza al Padre celeste per mezzo di Gesù eterno suo mediatore; ma richiede da noi anche uno studio diligente e bene ordinato per conoscere e lodare sempre più il nostro Redentore; uno sforzo intenso ed efficace, un indefesso addestramento per imitare i suoi misteri, per entrare volontariamente nella via dei suoi dolori, e per partecipare finalmente alla sua gloria ed alla sua eterna beatitudine. 

Da quanto è stato esposto appare chiaramente, Venerabili Fratelli, quanto siano lontani dal vero e genuino concetto della Liturgia quegli scrittori moderni, i quali, ingannati da una pretesa più alta disciplina mistica, osano affermare che non ci si deve concentrare sul Cristo storico, ma sul Cristo «pneumatico e glorificato»; 
e non dubitano di asserire che nella pietà dei fedeli si sarebbe verificato un mutamento, per cui il Cristo è stato quasi detronizzato, con l'occultamento del Cristo glorificato che vive e regna nei secoli dei secoli e siede alla destra del Padre, mentre al suo posto è subentrato il Cristo della vita terrena.

Alcuni, perciò, arrivano fino al punto di voler rimuovere dalle chiese le immagini del Divin Redentore che soffre in Croce. Ma queste false opinioni sono del tutto contrarie alla sacra dottrina tradizionale. «Credi nel Cristo nato in carne - così Sant'Agostino - e arriverai al Cristo nato da Dio, Dio presso Dio». 

La sacra Liturgia, poi, ci propone tutto Cristo, nei vari aspetti della sua vita: il Cristo, cioè, che è Verbo dell'Eterno Padre, che nasce dalla Vergine Madre di Dio, che ci insegna la verità, che sana gli infermi, che consola gli afflitti, che soffre, che muore; che, infine, risorge trionfando sulla morte, che, regnando nella gloria del cielo, ci invia lo Spirito Paraclito, che vive sempre nella sua Chiesa: «Gesù Cristo ieri ed oggi: Egli è anche nei secoli». 

E inoltre non ce lo presenta soltanto come un esempio da imitare, ma anche come un maestro da ascoltare, un pastore da seguire, come mediatore della nostra salvezza, principio della nostra santità, e Mistico Capo di cui siamo membra, viventi della sua stessa vita. 

E siccome i suoi acerbi dolori costituiscono il mistero principale da cui proviene la nostra salvezza, è secondo le esigenze della fede cattolica porre ciò nella sua massima luce, poiché esso è come il centro del culto divino, essendone il Sacrificio Eucaristico la quotidiana rappresentazione e rinnovazione, ed essendo tutti i Sacramenti congiunti con strettissimo vincolo alla Croce. 

Perciò l'anno liturgico, che la pietà della Chiesa alimenta e accompagna, non è una fredda e inerte rappresentazione di fatti che appartengono al passato, o una semplice e nuda rievocazione di realtà d'altri tempi. Esso è, piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa e che prosegue il cammino di immensa misericordia da Lui iniziato con pietoso consiglio in questa vita mortale, quando passò beneficando allo scopo di mettere le anime umane al contatto dei suoi misteri, e farle vivere per essi; misteri che sono perennemente presenti ed operanti, non nel modo incerto e nebuloso nel quale parlano alcuni recenti scrittori, ma perché, come ci insegna la dottrina cattolica e secondo la sentenza dei Dottori della Chiesa, sono esempi illustri di perfezione cristiana, e fonte di grazia divina per i meriti e l'intercessione del Redentore, e perché perdurano in noi col loro effetto, essendo ognuno di essi, nel modo consentaneo alla propria indole, la causa della nostra salvezza. Si aggiunge che la pia Madre Chiesa, mentre propone alla nostra contemplazione i misteri di Cristo, con le sue preghiere invoca quei doni soprannaturali per i quali i suoi figli si compenetrano dello spirito di questi misteri per virtù di Cristo. 

Per influsso e virtù di Lui, noi possiamo, con la collaborazione della nostra volontà, assimilare la forza vitale come rami dall'albero, come membra dal capo, e ci possiamo progressivamente e laboriosamente trasformare «secondo la misura dell'età piena di Cristo». 

Le feste dei Santi 

Nel corso dell'anno liturgico si celebrano non soltanto i misteri di Gesù Cristo, ma anche le feste dei Santi, nelle quali, sebbene si tratti di un ordine inferiore e subordinato, la Chiesa ha sempre la preoccupazione di proporre ai fedeli esempi di santità che li spingano ad adornarsi delle stesse virtù del Divin Redentore. 

È necessario, difatti, che noi imitiamo le virtù dei Santi, nelle quali brilla in vario modo la virtù stessa di Cristo, come di Lui essi furono imitatori. Poiché in alcuni rifulse lo zelo dell'apostolato; in altri si dimostrò la fortezza dei nostri eroi fino all’effusione del sangue; in altri brillò la costante vigilanza nell'attesa del Redentore; in altri rifulse il verginale candore dell'anima e la modesta dolcezza della cristiana umiltà; in tutti, poi, arse una fervidissima carità verso Dio e verso il prossimo. 

La Liturgia pone davanti ai nostri occhi tutti questi leggiadri ornamenti di santità perché ad essi salutarmente guardiamo, e perché «noi che godiamo dei loro meriti siamo accesi dai loro esempi». 

È necessario, dunque, conservare «l'innocenza nella semplicità, la concordia nella carità, la modestia nell'umiltà, la diligenza nel governo, la vigilanza nell'aiutare chi soffre, la misericordia nel curare i poveri, la costanza nel difendere la verità, la giustizia nella severità della disciplina, perché nulla in noi manchi di ogni virtù che ci è stata proposta ad esempio.

Queste sono le tracce che i Santi, nel loro ritorno alla patria, ci lasciarono, perché seguendo il loro cammino, possiamo seguirli nella beatitudine». E perché anche i nostri sensi siano salutarmente impressionati, la Chiesa vuole che nei nostri templi siano esposte le immagini dei Santi, sempre, però, allo stesso fine, che cioè «imitiamo le virtù di coloro dei quali veneriamo le immagini». 

Ma c'è ancora un altro motivo del culto del popolo cristiano per i Santi: quello di implorare il loro aiuto, e di «esser sostenuti dal patrocinio di coloro delle lodi dei quali ci dilettiamo». Da ciò facilmente si deduce il perché delle numerose formule di preghiere che la Chiesa ci propone per invocare il patrocinio dei Santi. 

Tra i Santi, poi, ha un culto preminente Maria Vergine, Madre di Dio

La sua vita, per la missione affidatale da Dio, è strettamente inserita nei misteri di Gesù Cristo, e nessuno, di certo, più di lei ha calcato più da vicino e con maggiore efficacia le orme del Verbo Incarnato, nessuno gode di maggiore grazia e potenza presso il Cuore sacratissimo del Figlio di Dio, e, attraverso il Figlio, presso il Padre celeste. 

Essa è più santa dei Cherubini e dei Serafini, e senza alcun paragone più gloriosa di tutti gli altri Santi, essendo «piena di grazia», Madre di Dio, e avendoci dato col suo felice parto il Redentore. A Lei, che è «Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra» ricorriamo tutti noi «gementi e piangenti in questa valle di lacrime», e affidiamo con fiducia noi e tutte le nostre cose alla sua protezione. Essa è diventata Madre nostra mentre il Divin Redentore compiva il sacrificio di Sé, e perciò, anche a questo titolo, noi siamo figli suoi. Essa ci insegna tutte le virtù; ci dà suo Figlio, e, con Lui, tutti gli aiuti che ci sono necessari, perché Dio «ha voluto che tutto noi avessimo per mezzo di Maria». 

Per questo cammino liturgico che ogni anno ci è aperto di nuovo, sotto l'azione santificatrice della Chiesa, confortati dagli aiuti e dagli esempi dei Santi, soprattutto della Immacolata Vergine Maria, «accostiamoci con cuore sincero, con pienezza di fede, purgati il cuore da coscienza di colpa e lavati il corpo con acqua pura», al «grande Sacerdote», per vivere e sentire con Lui, e penetrare per suo mezzo «fino al di là del velo» ed ivi onorare il Padre celeste per tutta la eternità. 

Tale è l'essenza e la ragione d'essere della sacra Liturgia: essa riguarda il Sacrificio, i Sacramenti e la lode di Dio; l'unione delle nostre anime con Cristo e la loro santificazione per mezzo del Divin Redentore, perché sia onorato Cristo, e per Lui ed in Lui la Santissima Trinità: Gloria al Padre, al Figliolo e allo Spirito Santo. 

AMDG et BVM

mercoledì 24 settembre 2014

1. - UN REGALO ECCEZIONALE di EMMANUEL ANDRÈ

Di EMMANUEL ANDRÈ
Titolo originale: Traité du Ministère Ecclésiastique - Versione dal francese di D.C. Masetti OSB
Imprimatur: Monte Oliveto Maggiore, 29 Giugno 1979 - † Angelo M. Sabatini, Abate Ordinario

INTRODUZIONE



Il ministero ecclesiastico è un'opera straordinaria della bontà di Dio; perciò per scriverne convenientemente occorre possedere una grande fede per penetrare i disegni di Dio stesso, e una grande carità per scrivere intorno alle meravigliose invenzioni di Dio per l'eterna salvezza degli uomini. 


Pur sapendo quanto ci manca di questa fede e di questa carità osiamo trattare di un argomento così grande. Non lo faccio pero senza chiedere perdono al Signore dell'ardimento col quale, così imperfetti, ci avviciniamo a cose tanto perfette. Col perdono di Dio e concedendoci Egli l'assistenza del suo divino Spirito ci proponiamo di scrivere il presente Trattato del Ministero Ecclesiastico in quattro libri. Dei quali il primo sarà consacrato alla natura del Ministero ecclesiastico; il secondo dimostrerà come questo ministero può essere snaturato; il terzo farà conoscere il terreno sul quale si deve esercitare; e il quarto sarà un'esposizione delle virtù necessarie per la sua riuscita. 


"Ci aiuti la tua grazia, o Dio onnipotente, affinché noi, che abbiamo ricevuto il ministero sacerdotale, siamo capaci di servirti degnamente e devotamente con assoluta purezza e pura coscienza. E se, purtroppo, non possiamo mantenerci in una innocenza di vita così grande come sarebbe necessario, dacci almeno la grazia di piangere giustamente quello che abbiamo fatto di male e di dedicarci al tuo servizio in spirito di umiltà e con propositi di buona volontà, in modo più fervente di come abbiamo fatto per il passato. Amen". (Imitazione di Cristo, lib. IV, cap. XI)

LIBRO PRIMO

Natura del Ministero ecclesiastico


CAPITOLO I
ORIGINE DEL MINISTERO

Dio ha tanto amato il mondo che gli ha dato il suo Unico Figlio e mentre inviava nel mondo il suo Divino Figlio gli diede un grande ministero da compiere verso l'umanità decaduta. Egli doveva soddisfare, come Redentore, la giustizia di suo Padre e poi meritarci le grazie necessarie alla salvezza e creare un'istituzione che, attingendo continuamente dal tesoro dei suoi divini meriti, facesse giungere a tutti gli eletti le grazie che dovevano condurli alla vita eterna. Nostro Signor G.C. compì in modo pieno la missione ricevuta dal Padre e alla vigilia della sua morte poté affermare con tutta verità: "Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l'opera che mi hai dato da fare" (Gv. 17,4) e ciò ripeterà più espressamente sulla croce un istante prima di morire esclamando: "Tutto è compiuto" (Gv. 19,30). Egli aveva formato i suoi Apostoli al ministero, aveva consegnato a loro ogni verità, rivelato ogni cosa e posto nelle loro mani i sacramenti. Però prima di metterli in azione per l'esercizio del ministero aveva dato a loro lo Spirito Santo. L'opera che gli Apostoli dovevano compiere, era opera divina, poteva essere compiuta soltanto con lo spirito di Dio, non essendo lo spirito dell'uomo acconcio a una simile fatica: e lo Spirito di Dio fu dato.

CAPITOLO II

Nostro Signore G. C. dopo aver creato ed esercitato egli stesso il santo ministero, lo affido agli Apostoli come coloro che dovevano continuare l'opera sua. A questo scopo concesse ad essi il potere d'ordine e di giurisdizione e, allo stesso tempo le virtù necessarie per il buon uso di questi terribili poteri. "Onus angelicis humeris formidandum", dice il Concilio di Trento.

Gesù creo gli Apostoli e li fece ministri perfetti. "Ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza" (2 Cor. 3,6) perché egli aveva altrettanta facilità nel dar loro i poteri.
Gli Apostoli trasmisero facilmente i poteri, avendo a loro disposizione i sacramenti, ma non poterono trasmettere le virtù. Ciò ci mostra come il ministero poté alle volte fallire e ci fa toccare con mano l'innata debolezza negli eredi degli Apostoli.
Senza anticipare vediamo ciò che era il ministero in mano agli Apostoli. Ce lo dice San Pietro in una sola parola: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4).
Si ha oggi questo concetto e del ministero e dell'ordine che bisogna seguire per compierli bene? Ne dubitiamo assai: perché, se non erriamo, ci sembra che oggi il grande affaccendarsi sia l'amministrazione dei sacramenti e poi la predicazione; mentre la preghiera è considerata come un'opera personale del sacerdote, anziché come l'opera principale del ministero. Un autentico rovesciamento dell'ordine stabilito da Dio.


CAPITOLO III
IL CORPO E L'ANIMA DEL MINISTERO

Nel ministero bisogna, come nella Chiesa, distinguere il corpo e l'anima: allo stesso modo dei composti nei quali si distingue la materia e la forma. Il corpo del Ministero è la parte esteriore, rituale: l'amministrazione dei sacramenti.

L'anima del ministero, è certamente la preghiera, l'unione interiore a nostro Signore; unione che ci deve far attingere da Dio lo spirito interiore, il solo capace di fecondare le opere esterne.
La predicazione appartiene al corpo del ministero; mentre se la si considera doversi ispirare, vivificarsi, animarsi nella preghiera e in essa attingere potenza ed efficacia, allora appartiene all'anima del Ministero. E questo ci rivela la profondità dell'affermazione di San Pietro citata più sopra: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4).


CAPITOLO IV
L'ORDINE VERO DELLE TRE GRANDI FUNZIONI DEL MINISTERO

Poiché il ministero secondo nostro Signore e gli Apostoli è contenuto principalmente in queste tre funzioni: preghiera, predicazione e amministrazione dei sacramenti, è necessario osservare che San Pietro ha messo prima di tutto la preghiera, dopo la predicazione e finalmente, come una risultante, l'amministrazione dei sacramenti.

Ecco l'ordine vero delle sante funzioni del ministero.
Innanzitutto è necessario entrare in relazione scambievole con Dio: punto principale, perché bisogna captare la grazia, divenirne familiare, come dice San Gregorio, e poi dedicarsi alle anime presso le quali si dovrà esercitare il ministero.
Dopo aver pregato bisogna predicare e istruire: e la predicazione fatta potente dalla preghiera che l'ha preceduta, conduce le anime a desiderare, a chiedere e poi a ricevere i sacramenti.
Questa l'economia nell'opera della salvezza delle anime, questo l'ordine col quale Nostro Signore vuole che si compiano le sante funzioni.


CAPITOLO V
PRIMA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREGHIERA

Nostro Signore c'insegna che bisogna pregare sempre: "Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai" (Lc. 18,1). Il compimento di questo precetto, preso a rigor di termine, ci sarebbe impossibile: perciò i santi Padri lo hanno spiegato nel senso che bisogna pregare spesso perché l'anima sia continuamente sotto l'azione e sotto la protezione della preghiera fatta precedentemente.

A questo scopo lo Spirito Santo ha ispirato alla Chiesa di stabilire le ore della preghiera, e sono considerati sempre oranti coloro che sono fedeli alla preghiera nei tempi prescritti, nelle ore prescritte, e meglio, nelle ore canoniche. Infatti il Venerabile Beda dice che "semper orat qui statuta tempora non praetermittit orandi".
Le ore canoniche sono note. Gli Apostoli ci hanno dato l'esempio della preghiera nel corso delle ore canoniche: "verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inno a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli". Era una preghiera vocale, dal momento che era intesa da coloro che stavano in prigione con gli Apostoli (At. 16,25).
Nel giorno della Pentecoste la Chiesa nascente era riunita per la preghiera di Terza, quando discese lo Spirito Santo: "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo... all'ora terza del giorno" (At. 2,1-15).
San Pietro sale a pregare in una stanza alta ed era l'ora di Sesta: "Salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare" (At. 10,9).
San Pietro e San Giovanni salgono al tempio per pregare all'ora di Nona: "Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio" (At. 3,1). Questo passo è estremamente importante: gli Apostoli avevano le loro ore fisse per pregare: "Horam orationis", e Nona era una di queste.
Il Centurione Cornelio, prima ancora di essere cristiano, pregava all'ora Nona, e fu allora che ricevette la visita dell'angelo che lo indirizzo a San Pietro: "Verso quest'ora, stavo recitando la preghiera delle tre del pomeriggio" (At. 10,30).
La tradizione della Chiesa è costante su questo punto così importante della preghiera nelle ore canoniche. Gli esempi dei Santi sono uniformi in tutti i secoli, e li vediamo tutti e sempre fare delle preghiere nelle ore canoniche il loro primo dovere. E come San Pietro diceva: "Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense" (At. 6,2), non volendo sacrificare la predicazione per un servizio esterno di carità, tanto meno egli avrebbe sacrificato la preghiera, che anteponeva alla predicazione, ad ogni altra cosa come ne fanno testimonianza le parole già citate: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4). Secondo San Pietro il Ministero consisteva innanzitutto nella preghiera, e, dopo nella predicazione; l'amministrazione dei sacramenti veniva dopo come una cosa secondaria. Una parte per così dire materiale che spesso gli Apostoli lasciavano ai diaconi per il battesimo e ai presbiteri per il battesimo e per gli altri sacramenti.
San Paolo pur avendo convertito numerosi abitanti di Corinto, in Corinto battezzo soltanto pochissime persone perché la massa dei fedeli era già stata battezzata da Apollo e da Cefa; ed egli dice chiaramente che nostro Signore non l'aveva inviato a battezzare, ma a predicare il Vangelo: "Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo" (1 Cor. 1,17). Ciò è di basilare importanza tanto più che oggi le idee sono diametralmente all'opposto di quelle degli Apostoli: i vescovi e i sacerdoti dopo aver somministrato i sacramenti credono volentieri di aver compiuto il loro ministero, mentre ne hanno compiuto soltanto la parte materiale, perché l'essenziale non consiste in questo.


CAPITOLO VI
SECONDA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREDICAZIONE

La predicazione della parola di Dio non è un'opera umana. La scienza per quanto grande sia e l'eloquenza per quanto potente, non sono punto la predicazione della parola di Dio.

La scienza può essere utile, ed utile l'eloquenza, ma nella predicazione della parola di Dio c'è qualcosa più della scienza e meglio dell'eloquenza. Sottolineiamo bene l'espressione "Parola di Dio". Per parlare questa parola, bisogna averla ricevuta: e se è vero che la si riceve dalla Chiesa, non è men vero che essa diviene parola di vita grazie allo Spirito di Dio infuso in noi durante la preghiera. La parola che dobbiamo predicare deve perciò venire da Dio e deve essere annunziata dallo Spirito di Dio. Gli Apostoli hanno veramente predicato, la prima volta, nel giorno della Pentecoste: "Furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare..." (At. 2,4). Vi è perciò una distanza infinita tra il nostro insegnamento e gli insegnamenti umani. Gli uomini annunziano la parola dell'uomo, noi la parola di Dio: gli uomini parlano col loro spirito, noi abbiamo lo spirito di Dio: gli uomini intendono far nascere la scienza nei loro uditori, noi la fede. Quale differenza!
Ora, come per generare la scienza bisogna possedere la scienza, allo stesso modo per generare la fede nelle anime bisogna essere già se stessi penetrati dalla fede. La parola che noi annunciamo dev'essere la stessa parola della fede: "Verbum Fidei", dice San Paolo (Rom. 10,8), "Fides ex auditu" (Rom. 10,17).
Pertanto, noi non siamo dei professori di religione, ma i mezzi di Dio per far penetrare la fede nelle anime: "Come se Dio esortasse per mezzo nostro", dice ancora San Paolo ( 2 Cor. 5,20). perciò oltre il chiedere a Dio con la preghiera che la nostra parola sia veramente la sua parola; dobbiamo essere ricolmi dello Spirito di Dio per annunciare la divina parola, sapendo poi che in questo formidabile ministero facciamo un'opera eminentemente divina per cui ci occorre essere umili, oranti e supplichevoli, spogli di noi stessi, e in qualche modo di tutta la nostra umanità se vogliamo che l'opera nostra sia veramente l'opera di Dio che faccia nascere la fede nei nostri uditori: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato" (Gv. 6,29).


CAPITOLO VII
TERZA FUNZIONE DEL MINISTERO: I SACRAMENTI

Dopo aver pregato e parlato, l'uomo di Dio, "Homo Dei" (1 Tm. 6,11), vedendo la fede ormai nata nell'anima degli ascoltatori e operarvi le opere necessarie alla giustificazione, darà i sacramenti.

I sacramenti che elargiscono tanta grazia, non danno pero le disposizioni necessarie per riceverli. Ecco un punto capitale nella dottrina cristiana: e ciò dimostra quanto si sbagliano coloro che credono che tutto è salvo quando si sono ricevuti i sacramenti.
I sacramenti sono dei segni sensibili della grazia invisibile; e il sacerdote che amministra i sacramenti, pur stando attento al rito esterno, deve applicarsi interiormente a chiedere la grazia interiore: egli deve entrare in comunione con Dio che dà la grazia, con Nostro Signore Gesù Cristo che l'ha meritata e con l'anima che la riceve. 
Nella religione non c'è nulla che sia soltanto esteriorità. Dio è spirito, e in tutto ciò che viene da lui, come tutto ciò che a lui va, dev'essere spirito.
Noi siamo anima e corpo: Nostro Signore è Dio e uomo; i sacramenti hanno forma e materia: tutto questo in armonia l'un con l'altro. Si turberebbe quest'armonia dimenticando od omettendo nella nostra religione quanto Dio volle che vi fosse conservato.
L'uomo che dimenticasse la sua anima per non veder altro che il suo corpo; chi in nostro Signore vedesse soltanto l'umanità, imitando per così dire gli antichi Antropomorfiti; il sacerdote, che nei sacramenti non vedesse altro che il rito esterno, sarebbero fuori dalla verità. Ora, soltanto la verità salva: "La verità vi farà liberi" (Gv. 8,32).


CAPITOLO VIII
IL MINISTERO È UN MISTERO INTERIORE


Benché nel ministero ci siano diversi elementi esterni, tuttavia risponde a verità l'affermare che, preso nel suo insieme, il ministero è cosa interiore. Infatti, chiedere la grazia, concorrere al suo stabilirsi nelle anime, a conservarvisi e a farla sviluppare non è forse l'essenziale e il tutto del ministero? Chi non vede che tutte queste cose sono fatti interiori? E perché è così, come d'altronde non se ne può dubitare, si comprende sempre più chiaramente quant'è profonda l'affermazione del principe degli Apostoli che dice: "Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At. 6,4). Egli pone in primo luogo la preghiera: perché il ministero, che agisce sugli uomini, manifesta la sua efficacia nella misura con la quale il ministero è entrato in comunicazione con Dio per mezzo della preghiera. Dio solo dà senza aver ricevuto, perché, essendo Dio, ha in se stesso ogni bene: noi che non siamo Dio, non possiamo dare se non dopo che abbiamo ricevuto. E quando si tratta dei mezzi di santificazione delle anime da chi li potremo ricevere se non da Dio; e come Dio ce li darà con la loro piena efficacia se noi non lo preghiamo, con umiltà, con fiducia e con perseveranza?
Quanto sono ammirevoli sotto quest'aspetto gli antichi missionarî benedettini nostri Padri! Quando arrivavano in un paese idolatra vi cercavano un luogo solitario e un sito inaccessibile dove si mettevano in preghiera, lottavano con i demoni, con le fiere; si costruivano una capanna di legno, cantando i salmi nelle ore canoniche del giorno e della notte... "Nos vero orationi instantes erimus". Quando poi avevano pregato, spesse volte per anni, andavano da loro contadini e pastori, domandavano chi erano, che cosa facevano e da lì alle prime lezioni di catechismo non c'era che un passo e col tempo i catecumeni... "Orationi et ministerio Verbi instantes erimus".
Poi sorgeva una comunità cristiana: poteva venire la persecuzione, ma era vinta e la fede trionfante piantata nelle anime perché tutto fluiva da un principio interiore: la preghiera, l'unione con Dio. In questa unione e in questa incessante comunione con Dio i cristiani ricevevano le grazie di luce e di conversione per le anime; e il ministero era benedetto da Dio.

DIVINA PASTORA ORA PRO NOBIS

giovedì 5 aprile 2012

GIOVEDI' SANTO: MESSA DEL CRISMA, BASILICA VATICANA




giovedì 5 aprile 2012

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI GIOVEDI' SANTO MESSA DEL CRISMA, BASILICA VATICANA


Cari fratelli e sorelle!
In questa Santa Messa i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19), come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre. Egli stesso è la Verità. 

Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini. Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui. 

“Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?” 

Così, dopo questa omelia, interrogherò singolarmente ciascuno di voi e anche me stesso. Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi? 

Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’Ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore. La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. 
Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?

Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada.

Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore.

Cari amici, resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento. Ma forse la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui. Il Signore lo sa. Per questo ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi. Proprio per questa ragione, Paolo senza timidezza ha detto alle sue comunità: imitate me, ma io appartengo a Cristo. Egli era per i suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape.

Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale. C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell’insegnamento, il (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso. Nell’incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola. L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo facciamo tutti l’esperienza di aver bisogno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo.

Ogni nostro annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16). Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant’Agostino:
E che cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non appartengo a me stesso e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso. Il Curato d’Ars non era un dotto, un intellettuale, lo sappiamo. Ma con il suo annuncio ha toccato i cuori della gente, perché egli stesso era stato toccato nel cuore.

L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama
zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo. 

Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo servire la sua verità e il suo amore. Amen.

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LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!