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venerdì 23 dicembre 2022

GRANDE INSEGNAMENTO

 

23 dicembre 1943



   Dice Gesù:
   «Grande insegnamento e troppo trascurato quello che si legge nel cap. 4° di Nehemia.
   Vigilanza, costanza e orazione. Ecco le tre armi più potenti delle frecce, delle lance e delle spade. Ed ecco anche la necessità che fra il popolo di Dio vi siano coloro che sono specialmente votati ad orare per coloro che lavorano e che non sanno usare contemporaneamente le mani alle occupazioni e il cuore alla preghiera.


   I giovani, dice[731] il libro dell’Esdra, che lavoravano, anche quelli che erano occupati al lavoro e non alle difese, lavoravano con la spada cinta al fianco e pronta alla lotta. Né vi erano ribellioni al comando che li designava ora per il lavoro e ora per le difese. I superiori sono sempre ispirati da Dio e quando assegnano un compito vanno ubbiditi con prontezza e senza mormorare.


   Tutti hanno questo dovere. E specialmente lo avete verso Dio, Superiore eccelso, il quale nella sua provvidenza predispone le missioni e le mutazioni nelle missioni. Guai a quei cuori attaccati alle cose che periscono, che si ribellano all’ubbidienza dicendo: “Io mi sento meglio in questo stato e non voglio questo altro stato”.


   Non voglio! Come potete dire che non volete? Dove è l’ubbidienza, la sommissione, l’amore alla Volontà di Dio che vi traspare da dietro ai comandi dell’uomo? Solo in una cosa vi è lecito non volere. Quando l’uomo vi impone di compiere il male. Allora dovete resistere e dire: “No” anche se ciò fa di voi dei martiri.


   E voi che avete potestà di comando, nel piccolo o nel grande che sia, udite ciò che vi dice il Signore, che ha parlato prima ai soggetti attraverso il Libro ed or parla a voi.
   Ricordate che dirigere è doppio onere che non l’esser diretti. Sta a voi non rendervi responsabili delle altrui rovine. I soggetti rispondono a Dio per se stessi. Voi, per voi e per loro. Alla dignità della carica corrisponde severità di condotta verso voi stessi. Dovete essere di esempio poiché l’esempio trascina, tanto nel bene che nel male. E da superiori malvagi o semplicemente accidiosi non si possono avere che soggetti malvagi e accidiosi.


   Così in una comunità e così in uno stato. I piccoli guardano i grandi e sono lo specchio dei grandi. Ricordatevelo.
   Altra dote dopo l’intemeratezza è la bontà. La bontà frena gli istinti più delle carceri e delle prescrizioni. Fatevi amare e sarete ubbiditi. Trascinerete alla bontà essendo buoni. Ma guai se sarete avidi, ingiusti, malvagi. Sarete odiati, scherniti, disubbiditi anche e soprattutto nei comandi buoni che darete, e ubbiditi, anche più di quanto non vorreste, nel copiare la vostra avidità, la vostra ingiustizia, la vostra malvagità.


   Non inebriatevi talmente del vostro onore da essere incapaci di intendere i soggetti nei loro giusti bisogni e nei loro lamenti. Esser capi vuol dire esser “padri”. Per questo Dio vi ha dato un’autorità. Non perché ne facciate sferza sui minori. Non siete onnipresenti come Dio. Ciò è vero. Ma quando si vuole si può, per quanto si vuole. E chi vuole sapere la verità, la sa.


   Vigilanza, dunque, su tutto e tutti. Non stolta e cieca fiducia e accidiosa noncuranza riguardo ai vostri aiutanti. Non tutti sono dei giusti e molti Giuda sono sparsi fra le file degli aiutanti dei capi. Non fatevi schiavi di essi mendicando il loro consenso pur di imperare. Siate giusti e basta. E quando vedete che in vostro nome si esercita un dispotismo colpevole, fate di esser sempre in condizione di libertà di obblighi verso i vostri rappresentanti, in modo da poterli riprendere senza tema che da accusati si facciano accusatori.


   Siate onesti e giusti. Onesti nel non approfittare della sorte a danno dei minori. Giusti nel saper punire coloro che per essere qualcosa si sono creduto lecito ogni sistema.
   Se così farete sempre potrete dire a Dio: “Ricordati di me in bene, perché ho fatto del bene a coloro che Tu mi hai dato»


[731] dice, in Neemia 4, 9-17, secondo la neo-volgata. (Nella volgata, il libro di Nehemia era chiamato anche secondo libro di Esdra).

giovedì 7 novembre 2013

«Povero fanciullo! ... Torna qui, Giovanni, al fianco del tuo Maestro e ascolta la lezione.




....................
Oh! ieri notte poco ho dormito per fame e freddo, e questa notte mai ho dormito... 
e non ho saputo resistere più questa mattina... e sono venuto perché ho avuto 
paura di morire d’inedia... ed è questo quello che più mi fa male: di non avere 
saputo vegliare per pregare e vegliare su Te, ma di averlo saputo fare per i 
morsi della fame... Sono un servo sciocco e vile. Castigami, Gesù!».

«Povero fanciullo! Vorrei che tutto il mondo avesse a gridare queste tue
colpe! Ma ascolta, alzati e ascoltami, ed il tuo cuore tornerà in pace. Hai 
disubbidito anche a Simone di Giona?».

«No, Maestro. Non lo avrei mai fatto, perché Tu hai detto che dovevamo 
stare a lui soggetti come a fratello maggiore. Ma egli, quando io gli ho 
detto: “Il mio cuore non sta tranquillo a vederlo andar solo”, ha risposto:
“Hai ragione. Ma io non posso andare perché ho l’ubbidienza di guidare 
voi tutti. Vai tu, e Dio sia teco”. Gli altri hanno alzato la voce e Giuda 
più degli altri. Hanno ricordato l’ubbidienza e hanno anche rimproverato 
Simone Pietro».

«Hanno? Sii sincero, Giovanni».
«È vero, Maestro. È stato Giuda che ha rimproverato Simone e trattato 
male me. Gli altri hanno soltanto detto:
“Il Maestro ha ordinato di stare insieme”. E a me, non al capo nostro, 
lo dicevano. Ma Simone ha risposto: “Dio vede il fine dell’atto e perdonerà. 
E il Maestro perdonerà, perché questo è amore”, e mi ha benedetto e 
baciato e mandato dietro di Te, come quel giorno che Tu andasti con 
Cusa oltre il lago». (Vedi Vol 7 Cap 464)

«E allora Io di questa colpa non ho da assolverti...».
«Perché è troppo grave?».

«No. Perché non esiste. Torna qui, Giovanni, al fianco del tuo Maestro e 
ascolta la lezione. Bisogna saper applicare gli ordini con giustizia e 
discernimento, sapendo comprendere lo spirito dell’ordine, non soltanto le
lettere che compongono l’ordine. Io ho detto: “Non dividetevi”. Ti sei 
diviso e perciò avresti peccato. Ma prima Io avevo detto: “State uniti 
di corpo e di spirito, soggetti a Pietro”. Con quelle parole Io ho eletto lui mio
legittimo rappresentante fra voi, con facoltà piena di giudicare e di comandare 
su voi. Perciò, quanto Pietro ha fatto o farà in mia assenza, sarà ben fatto. 
Perché, avendolo Io investito del potere di guidarvi, lo Spirito del
Signore, che è in Me, sarà anche con lui e lo guiderà nel dare quegli ordini 
che le circostanze impongono e che la Sapienza suggerirà all’Apostolo capo 
per il bene di tutti. Se Pietro ti avesse detto: “Non andare” e se tu fossi
ugualmente venuto, neppure il movente buono del tuo atto - il volermi seguire 
per amore che vuol difendere ed essere con Me nei pericoli - sarebbe stato 
sufficiente ad annullare la tua colpa. Ci sarebbe proprio voluto il mio
perdono. Ma Pietro, il tuo Capo, ti ha detto: “Va”. L’ubbidienza a lui ti 
giustifica completamente. Ne sei persuaso?».
«Sì, Maestro».


«Devo assolverti dalla colpa di presunzione? Dimmi, senza riflettere se 
Io vedo il tuo cuore. Hai tu presunto con superbia di volermi imitare per 
poter dire: “Colla mia volontà ho abolito le necessità della carne, perché io 
posso ciò che voglio”? Pensaci bene...».

Giovanni riflette. Poi dice: «No, Signore. Esaminandomi bene no, non l’ho 
fatto per questo. Speravo poterlo fare perché ho capito che la penitenza è 
sofferenza della carne, ma è luce dello spirito. Ho capito che è un mezzo 
di fortificare la nostra debolezza e ottenere tanto da Dio. Tu lo fai per questo. 
Io per questo lo volevo fare. E credo di non errare dicendo che, se lo fai Tu 
forte, Tu potente, Tu santo, io, noi, lo dovremmo fare sempre, se sempre
fosse possibile farlo, per essere meno deboli e materiali. Ma non l’ho potuto 
fare. Ho sempre fame io, e sonno tanto...», e il pianto riprende a gocciare 
lento,  umile, vera confessione della limitatezza delle capacità umane.

«Ebbene, anche questa piccola miseria della carne credi tu che sia stata inutile? 
Oh! come te la ricorderai in futuro, quando sarai tentato ad essere severo ed 
esigente coi tuoi discepoli e fedeli! Essa ti riaffiorerà alla mente dicendoti: 
“Ricordati che tu pure hai ceduto alla stanchezza, alla fame. Non volere gli 
altri più forti di te. Sii padre dei tuoi fedeli come il tuo Maestro fu un padre 
per te quella mattina”. Tu avresti potuto benissimo vegliare e non sentire poi 
questa gran fame. Ma il Signore ha permesso che tu soggiacessi a questi bisogni 
della carne per farti umile, sempre più umile e sempre più compassionevole ai 
tuoi simili. 
Molti non sanno distinguere fra tentazione e colpa consumata. La prima è una 
prova che dà merito e non leva grazia, la seconda è caduta che leva merito e 
grazia. Altri non sanno distinguere fra eventi naturali e colpe, e si fanno scrupolo 
di aver peccato mentre, ed è il tuo caso, non hanno che ubbidito a leggi naturali 
buone. Distinguo, dicendo “buone”, le leggi naturali dagli istinti sfrenati. Perché 
non tutto ciò che ora si dice “legge di natura” è tale ed è buona. Buone erano
tutte le leggi connesse alla natura umana, che Dio aveva date ai progenitori: 
il bisogno del cibo, del riposo, della bevanda. Poi, col peccato, sono subentrati 
e si sono mescolati alle leggi naturali, inquinando con la smoderatezza
ciò che era buono, gli istinti animali, le sregolatezze, le sensualità d’ogni specie. 
E Satana ha tenuto vivo il fuoco, il fomite dei vizi col suo tentare. 
Ora lo vedi che, se non è peccato cedere al bisogno di riposo e di cibo, è
invece peccato la gozzoviglia, l’ebrietà, l’ozio prolungato. Anche il bisogno 
di coniugarsi e procreare non è peccato, anzi Dio ha dato l’ordine di farlo 
per popolare la Terra di uomini. Ma non è più buono l’atto del
congiungimento per sola soddisfazione del senso. Sei persuaso anche 
di questo?».

«Sì, Maestro. Ma allora dimmi una cosa. Coloro che non vogliono 
procreare, peccano ad un ordine di Dio? Tu dicesti una volta che lo stato 
di vergine è buono».

«È il più perfetto. Come è il più perfetto quello di chi, non pago di fare 
buon uso delle ricchezze, se ne spoglia del tutto. Sono le perfezioni 
alle quali può giungere una creatura. E gran premio avranno. Tre sono 
le cose più perfette: la povertà volontaria, la castità perpetua, l’ubbidienza 
assoluta in tutto ciò che non è peccato. 
Queste tre cose rendono l’uomo simile agli angeli. E una è 
perfettissima:  dare la propria vita per amore di Dio e dei fratelli.
Questa cosa rende la creatura simile a Me, perché la porta all’assoluto 
amore. E chi ama perfettamente è simile a Dio, è assorbito e fuso con Dio. 
Sta’ dunque in pace, mio diletto. Non c’è colpa in te. Io te lo dico. Perché
dunque aumenti il tuo pianto?».

«Perché una colpa c’è sempre. Quella di aver saputo venire da Te per 
bisogno e aver saputo vegliare per fame, e non per amore. Non me lo 
perdonerò mai. Non mi accadrà più. Non dormirò più mentre Tu soffri. 
Non ti dimenticherò dormendo mentre Tu piangi».

«Non impegnare il futuro, Giovanni. La tua volontà è pronta, ma ancora 
potrebbe essere sopraffatta dalla carne.
E ne avresti profondo e inutile avvilimento se poi ti sovvenissi di questa 
promessa fatta a te stesso, non mantenuta poi per fralezza di carne. Guarda. 
Io ti dico ciò che devi dire per essere in pace, qualunque cosa ti avvenga. 
Di’ con Me: “Io, con l’aiuto di Dio, propongo, per quanto mi sarà possibile, 
di non più cedere alle pesantezze della carne”. E sta’ fermo in questo volere. 
Se poi un giorno, pur non volendolo, la carne stanca e afflitta vincerà la 
tua volontà, ebbene, allora come ora dirai: “Riconosco di essere un povero 
uomo come tutti i miei fratelli, e ciò mi serva per tener mozzo il mio orgoglio”. 
Oh! Giovanni, Giovanni! Non è il tuo sonno innocente quel che può darmi 
dolore! Tieni. Queste ti riconforteranno del tutto. Le dividiamo insieme,
benedicendo chi me le ha offerte», e prende le mele ormai cotte e bollenti, 
e ne dà tre a Giovanni e tre le tiene per Sé.

«Chi te le ha date, Signore? Chi è venuto da Te? Chi sapeva che qui eri? 
Io non ho sentito voci né passi. Eppure, dopo la prima notte, ho sempre 
vegliato...».
«Sono uscito alla prima luce. Vi erano fasci di legna davanti l’entrata e 
sopra pane, formaggi e mele. Non ho visto nessuno. Ma solo alcuni 
possono aver avuto desiderio di ripetere un pellegrinaggio e un gesto 
d’amore...», dice lentamente Gesù.

«È vero! I pastori! Lo avevano detto: “Andremo nella terra di Davide... 
Sono giorni di ricordi...”. Ma perché non si sono fermati?».
«Perché! Hanno adorato e...».
«E hanno compatito. Adorato Te e compatito me... Sono migliori 
di noi quegli uomini».
«Sì. Hanno serbato buona, sempre più buona la loro volontà. Per loro 
non fu danno il dono che Dio ha loro dato...». Gesù non sorride più. 
Pensa e si fa triste.
Poi si scuote. Guarda Giovanni, che lo guarda, e dice: «Ebbene? 
Vogliamo andare? Non sei più sfinito?».
«No, Maestro. Non sarò molto resistente, credo, perché ho le 
membra indolenzite. Ma credo che posso camminare».
«E allora andiamo. Va’ a prendere la tua sacca, mentre Io raccolgo 
gli avanzi nella mia, e andiamo. Prenderemo la via che va verso il 
Giordano per evitare Gerusalemme».
E al ritorno di Giovanni si rimettono in cammino, rifacendo la via fatta 
nel venire e allontanandosi per la campagna che si riscalda al mite sole 
decembrino.  
(M.Valt. 539: La perfezione spiegata a Giovanni di Zebedeo 
che si è accusato di colpe inesistenti.)

MANE NOBISCUM, DOMINE

mercoledì 10 luglio 2013

Parabola dei dieci comandamenti


Le parabole di Gesù
(040)
Parabola dei dieci comandamenti (452.8 - 452.9 - 452.10)
Un padre di famiglia aveva due figli, ugualmente amati e dei quali egli voleva essere in uguale misura benefattore. Questo padre aveva, oltre alla dimora che erano i figli, dei possessi dove erano grandi tesori nascosti. I figli sapevano di questi tesori ma non sapevano la via per andarvi perchè il padre, per motivi suoi propri, non aveva rivelato ai figli la via per giungervi e ciò per molti e molti anni. Però, ad un certo momento, chiamò i suoi due figli e disse:
"E' bene che ormai voi conosciate dove sono i tesori che il padre vostro a messo da parte per voi, per poterli raggiungere quando io ve lo dirò. Intanto conoscetene la strada e i segnali che ho messo in essa, perchè voi non smarriate la via giusta. Sentitemi dunque. I tesori non sono in pianura dove stagnano le acque, arde il solleone, sciupa la polvere, soffocano gli spini e i triboli, e dove facilmente i ladri possono giungere per derubarvi. I tesori sono in cima a quell'alto monte, alto e scabro. Io li ho collocati là in cima e là vi attendono. Il monte ha più di un sentiero, anzi ha molti sentieri. Ma uno solo è buono. Gli altri, quali finiscono in precipizi, quali in caverne senza uscita, quali in fosse d'acqua melmosa, quali in serpai di vipere, quali in crateri di zolfo acceso, quali contro muraglie insuperabili.
Quello buono, invece, è faticoso, ma giunge alla vetta senza interruzione di precipizi o altri ostacoli. Perchè voi lo possiate riconoscere io ho messo lungo di esso a distanze regolari dieci monumenti di pietra con sopra incise queste tre parole di riconoscimento: <Amore, ubbidienza, vittoria>.
Andate seguendo questo sentiero e raggiungerete il luogo del tesoro. Io, poi, per altra via, nota a me solo, verrò e ve ne aprirò le porte perchè siate felici".
I due figli salutarono il padre che finchè potè essere udito da loro ripetè: "Seguite la via che vi ho detto. E' per il vostro bene. Non lasciatevi tentare dalle altre anche se vi sembrano migliori. Perdereste il tesoro e me con esso..."
Eccoli giunti ai piedi del monte. Un primo monumento era alla base, proprio all'inizio del sentiero che era al centro di una raggiera di sentieri, che salivano alla conquista del monte in ogni senso. I due fratelli iniziarono la salita sul terreno buono. Era ancora molto buono nel primo tempo, benchè senza un filo d'ombra. Dall'alto del cielo il sole vi scendeva a picco inondandolo di luce e di calore. La candida roccia in cui era tagliato, il terso cielo sul loro capo, il caldo sole ad abbraccio delle loro membra: ecco ciò che vedevano e sentivano i fratelli. Ma ancora animati da buona volontà, dal ricordo del padre e delle sue raccomandazioni, salivano gioiosi verso la cima. Ecco un secondo monumento.... e poi ecco il terzo. Il sentiero era sempre più faticoso, solitario, ardente.
Non si vedevano neppur più gli altri sentieri nei quali erano erbe e piante o acque chiare, e soprattuitto salita più dolce perchè meno ripida e tracciata nel suolo non già sulla roccia.
"Nostro padre ci vuol far giungere morti" disse un figlio giungendo al quarto monumento. E cominciò a rallentare il passo. L'altro lo confortò a proseguire dicendo: "Egli ci ama come altri se stessi e più ancora perchè ci ha salvato il tesoro così meravigliosamente. Questo sentiero nella roccia che senza smarrimenti sale dal basso alla cima lo ha scavato lui. Questi monumenti li ha fatti lui per guida nostra. Pensa, fratello mio! Lui, da solo, ha fatto tutto questo, per amore! Per darlo a noi! Per fare che vi giungiamo senza sbaglio possibile e senza pericolo."
Camminarono ancora. Ma i sentieri lasciati a valle ogni tanto si riaccostavano al sentiero nella roccia, e sempre più lo facevano più il monte avvicinandosi alla cima si faceva più stretto nel suo cono. E come erano belli, ombrosi, invitanti...
"Io quasi prendo uno di quelli" disse il malcontento giungendo al sesto monumento. "Tanto anche quello va alla cima".
"Tu non lo puoi dire... Non vedi se sale o se scende.."
"Eccolo lassù!"
"Non sai se è questo. E poi il padre lo ha detto di non lasciare l'onesto sentiero... "
Di male voglia lo svogliato proseguì.
Ecco il settimo monumento: "Oh! io me ne vado proprio":
"Non lo fare, fratello!"
Su per il sentiero veramente difficilissimo, ormai. Ma la cima era ormai prossima.
Ecco l'ottavo monumento e vicino, proprio rasente il sentiero fiorito. "Oh! lo vedi che, se non in linea retta, va proprio su anche questo?"
"Non sai se è quello".
"Si. Lo riconosco."
"Ti inganni".
"No. Io vado".
"Non lo fare. Pensa al padre, ai pericoli, al tesoro".
"Ma vadano in perdita tutti! Che me ne faccio del tesoro se giungo in cima morente? Quale pericolo più grande di questa via? E quale odio più grande di questo del padre che ci ha beffati con questo sentiero per farci morire? Addio. Giungerò prima di te, e vivo..." e si gettò nel sentiero attiguo, scomparendo con una esclamazione di gioia dietro i tronchi che l'ombreggiavano.
L'altro proseguì tristemente... Oh! la via nel suo ultimo tratto era proprio tremenda! Il viandante non ne poteva più. Era come ubriaco di fatica, di sole! Al nono monumento si fermò ansante appoggiandosi alla pietra scolpita e leggendo macchinalmente le parole incise. Vicino era un sentiero d'ombra, d'acque, di fiori.. "Quasi, quasi.... Ma no! No. Lì è scritto, e l'ha scritto mio padre: <Amore, ubbidienza, vittoria>. Devo credere. Al suo amore, alla sua verità, e devo ubbidire per mostrare il mio amore.... Andiamo.... L'amore mi sorregga..."
Ecco il decimo monumento...Il viandante esausto, arso dal sole, camminava curvo come sotto un giogo... Era l'amoroso e santo giogo della fedeltà che è amore, ubbidienza, fortezza, speranza, giustizia prudenza, tutto... Invece di appoggiarsi si gettò seduto a quella larva d'ombra che il monumento faceva al suolo. Si sentiva morire.... Dal sentiero accosto veniva un rumore di ruscelli e odor di bosco... " Padre, padre, aiutami col tuo spirito, nella tentazione.... aiutami a essere fedele sino alla fine!"
Da lontano, ridente, la voce del fratello: "Vieni, ti aspetto. Qui è un eden... Vieni..."
"Se andassi?..." e gridando forte: Si sale proprio alla vetta?"
"Si, vieni. C'è una galleria fresca che porta su. Vieni! La vedo già, la vetta, oltre la galleria nel masso..."
"Vado? Non vado? Chi mi soccorre? Vado..." Puntò le mani per rialzarsi e mentre lo faceva notò che le parole scolpite non erano più sicure come quelle del primo monumento: "Ogni monumento, le parole erano più leggere... come se il padre mio, spossato, avesse faticato ad inciderle. E... guarda! .... Anche qui quel segno rosso bruno che già era visibile al quinto monumento.... Solo che qui esso empie il cavo di ogni parola ed è scolato fuori, rigando il masso come di lacrime scure, come... di sangue..."
Grattò col dito là dove era una macchia vasta quanto due mani. E la macchia si sfarinò lasciando scoperte, fresche, queste parole: "Così vi ho amato. Sino a spargere il sangue per condurvi al Tesoro".
"Oh! oh! Padre mio! E io potevo pensare a non fare il tuo comando?! Perdono, padre mio! Perdono". Il figlio pianse contro il masso, e il sangue che empiva le parole si rifece fresco splendendo come rubino, e le lacrime furono cibo e bevanda al figlio buono, e forza.... Si alzò... per amore chiamò il fratello, forte, forte... Voleva dirgli la sua scoperta... l'amore del padre, dirgli: "Torna". Nessuno rispose...
Il giovane riprese l'andare, quasi a ginocchi sulla pietra rovente, perchè era proprio sfinito nella carne dalla fatica, ma lo spirito era sereno. Ecco la vetta... E là ecco il padre.
"Padre mio!"
"Figlio diletto!"
Il giovane si abbandonò sul petto paterno, il padre lo accolse coprendolo di baci.
"Sei solo?"
"Sì... Ma presto giungerà il fratello..."
"No. Non giungerà più. Ha lasciato la via dei dieci monumenti. Non vi è tornato dopo i primi disinganni ammonitori. Vuoi vederlo? Eccolo là. Nel baratro di fuoco... E' stato pertinace nella colpa. Lo avrei ancora perdonato e atteso se, dopo aver conosciuto l'errore, fosse tornato sui suoi passi e, sebbene con ritardo, fosse passato per dove l'amore è passato per primo soffrendo sino a spargere il suo sangue migliore, la parte più cara di se stesso per voi."
"Egli non sapeva..."
"Se egli avesse guardato con amore le parole scolpite nei dieci monumenti avrebbe letto il loro vero significato. Tu lo hai letto sin dal quinto monumento e lo hai fatto notare all'altro dicendo: <Il padre qui deve essersi ferito!> e lo hai letto nel sesto, settimo, ottavo, nono... sempre più chiaro, sinchè hai avuto l'istinto di scoprire ciò che era sotto il sangue mio. Sai il nome di quell'istinto? <Tua vera unione con me>. Le fibre del tuo cuore, fuse alle mie fibre, hanno trasalito, e ti hanno detto: <Qui avrai la misura di come ti ama il padre!>. Ora entra nel possesso del Tesoro e di me stesso, tu, amoroso, ubbidiente, vittorioso in eterno."

mercoledì 22 febbraio 2012

TENTATO da SATANA. TREMENDO. "Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal Male"



Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,12-15.
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nell' "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta: 
Volume 1 Capitolo 46 pagina 287.


Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui, solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da essere ridotta a polvere giallastra, che ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Moto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.

Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma sembra una ‘C’ che fa un embrione di grotta e seduto su un sasso trascinato in quell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo, avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.

Gesù è magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto soleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso che gli fa da riparo, come preso da vertigine.

Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma con cui noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc.ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, degli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nella quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. 

L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico fascinatore anch’esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza all’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.
Si avvicina a Gesù: "Sei solo?"
Gesù lo guarda e non risponde.
"Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?"
Gesù lo guarda da capo e tace.
"Se avessi dell’acqua nella borraccia te la darei. Ma ne sono senza anch’io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. vieni con me. Ti guiderò."
Gesù non alza più neppure gli occhi.
"Non rispondi? Sai che se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni".
Gesù stringe le mani in muta preghiera.

"Ah! sei proprio Tu, dunque? E’ tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? E’ lontano. Ora sei sulla terra e in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui attendendo di mordere e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te."

Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.
"Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti poso essere maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.
Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. E’ sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami, ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo, devi avere la tua Eva.

E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuole regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi, ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi dell’umanità.
E’ bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani di un uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio, quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.

Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: "Voglio", perché esse divengano pane fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio. Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.
Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con le tue preghiere perché io possa..."
"Taci. ‘Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio’."
Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il digrigno in sorriso.
"Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni , allora, e vedi cosa è nella casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!"
" ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto".
"Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose e il Tempio continuerebbe ad essere mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.
E allora vieni. Adorami, Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi, saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te che avrai tutti i regni della terra sotto il tuo scettro. E coi regni tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviranno, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho di essere adorato! E’ quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. E’ il mio inferno questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo. tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!".
E Satana si butta in ginocchio supplicando.
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata quando dice: "Va' via, Satana! E’ scritto ‘Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo’!".
Satana con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.

Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.
Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli che fanno una mite luce, sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi rapiti in una gioia non di questa terra.


Dice Gesù:
"Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il Mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.
Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: "Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem" e te l’ho fatto ripetere molte volte e tante te le ho ripetute. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.

Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre di più.

Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.

E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. 

Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta.

Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito.
Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto".
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortianohttp://www.mariavaltorta.com/


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!