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mercoledì 28 novembre 2018

Difesa della "Veritas". Veritas jam vicit.

Marco Tosatti

Le lame teologiche continuano a incrociarsi, dopo il primo post di Romana Vulneratus Curia, e i successivi interventi di padre Giovanni Cavalcoli e di Cesare Baronio. Che ha inviato a Stilum Curiae questa risposta dettagliata alle osservazioni del padre domenicano. Eccola.
<<Reverendo Padre Cavalcoli,
La ringrazio di aver risposto alle mie osservazioni e di darmi modo di alimentare questa salutare disputa teologica con un figlio di San Domenico. Vorrà perdonarmi se, a beneficio del pio Lettore, mi permetterò di render meno accademica la nostra dissertazione, affinché questi possa trovarvi spunto di riflessione e di approfondimento.
Procedendo con il metodo della disputa, nel quale immagino Ella sia più versato di me, riassumerò il contenuto della Sua risposta dividendolo in proposizioni, in modo da poterle commentare singolarmente.
  1. I fedeli sono liberi di scegliere o la Messa Vetus Ordo o quella Novus Ordo.
  2. L’importante è che sia i fedeli che il celebrante rispettino le relative norme della celebrazione con diligenza e senza confondere le une con le altre.
  3. Chi segue il Vetus Ordo non deve disprezzare chi sceglie il Novus e viceversa.
  4. La Messa è sostanzialmente la stessa di sempre in entrambi casi. Cambiano solo leforme cerimoniali e le rubriche.
I. I fedeli sono liberi di scegliere o la Messa Vetus Ordo o quella Novus Ordo.  continua

AMDG et DVM

venerdì 16 novembre 2018

Denzinger




Sursum Corda 16 novembre 2018 

Siano lodati Gesù e Maria!

Bello l'Invito a tutti i "professoroni" a leggersi la Bolla Papale "Quo Primum" di San Pio V, che impedisce a qualsiasi persona,..., di poter annullare, modificare o impedire il Messale secondo la Tradizione. 

Inoltre, ci sono anche tre canoni dogmatici, che mettono dei paletti ben chiari:

Denzinger 1613 (dal Concilio di Trento, sez 9 sui Sacramenti): Se qualcuno afferma che i riti tramandati e approvati dalla Chiesa cattolica, soliti ad essere usati nell’amministrazione solenne dei sacramenti, possano essere disprezzati o tralasciati a discrezione senza peccato da chi amministra il Sacramento, o cambiati da qualsivoglia pastore di chiese con altri nuovi riti: sia anatema.
Denzinger 1759: Se qualcuno dirà che il rito della Chiesa Romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, é da condannarsi; o che la messa deve essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice l’acqua non deve essere mischiata col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo: sia anatema.
Denzinger 2666 (condanna del Sinodo di Pistoia): La proposizione che asserisce che: “é contro la prassi apostolica ed i progetti di Dio se non vengono predisposte per il popolo vie più facili per unire la sua voce con la voce di tutta la Chiesa” intesa sull’uso della lingua volgare da introdurre nelle preghiere liturgiche: é falsa, temeraria, turbativa dell’ordinamento prescritto per la celebrazione dei misteri e facile generatrice di molti mali.

Ave Maria!

AVE MARIA PURISSIMA!

martedì 24 ottobre 2017

SAN RAFFAELE Arcangelo



Santi Arcangeli:

San Gabriele, San Michele, San Raffaele

Liturgia della Festa – 24 ottobre: San Raffaele 


La vicinanza della grande solennità [Cristo Re , e Tutti i Santi], che farà convergere sopra di noi gli splendori del cielo, ispira alla Chiesa un raccoglimento profondo. Salvo l’omaggio che intende rendere ai gloriosi Apostoli Simone e Giuda, poche feste di rito semplice romano rompono il silenzio degli ultimi giorni di ottobre e conviene che le nostre anime si uniformino alle disposizioni della Chiesa. Tuttavia, non ci sottrarremo ad esse, se ricorderemo brevemente l’Arcangelo che la Chiesa oggi solennizza.
Ministero di san Raffaele
L’ufficio che adempiono verso di noi gli spiriti celesti è espresso in modo mirabile nelle scene graziose, che rivestono di toccante bellezza la storia di Tobia. Ricordando i buoni uffici della guida e dell’amico, che chiama fratello Azaria, Tobiolo dice al padre: “Come ricompenseremo i suoi benefici? Mi ha guidato e ricondotto sano e salvo, ha ricuperato egli stesso il denaro che Gabelo ci doveva, devo a lui se ho incontrata la sposa che mi era destinata e ne ha cacciato il demonio, riempiendo di gioia i suoi genitori, mi ha liberato dal pesce, che stava per inghiottirmi e a te ha fatto vedere finalmente la luce del cielo: siamo stati da lui colmati di benefici” (Tob. 12, 2-3).
Padre e figlio, desiderano mostrare nel modo possibile a uomini la gratitudine a chi tanto l’aveva meritata. L’angelo si fa conoscere e orienta tutta la loro riconoscenza al supremo benefattore. “Benedite il Dio del cielo e glorificatelo sopra tutto ciò che ha vita, perché egli ha fatto splendere sopra di voi la sua misericordia. Quando voi pregavate in lacrime e seppellivate i morti io presentavo al Signore le vostre preghiere e siccome eravate graditi a Dio era necessario che foste provati dalla tentazione. Ora il Signore mi ha mandato per guarirvi e liberare dal demonio la sposa di vostro figlio. Io sono l’angelo Raffaele, uno dei sette che stiamo davanti al Signore. Pace a voi, non temete e lodate Dio” (ibid. 12, 4-22).
Confidenza
Ricordiamo anche noi i benefici del cielo, perché, con la certezza di Tobia, che vedeva con i suoi occhi l’Arcangelo Raffaele, noi sappiamo dalla fede che l’angelo del Signore segue i nostri passi dalla culla alla tomba. Abbiamo per lui lo stesso confidente abbandono e il cammino della vita, più seminato di pericoli che il cammino nel paese dei Medi, sarà per noi sicuro e gli incontri che faremo saranno felici, perché preparati dal Signore e la sua benedizione, splendore anticipato della patria, si diffonderà sopra di noi e sui nostri cari.

Lode
Prendiamo dal Breviario Ambrosiano un inno in onore dell’Arcangelo radioso:
Raffaele, guida divina, ricevi con bontà l’inno sacro che le nostre voci supplichevoli e gioiose ti dedicano.
Dirigi il nostro cammino verso la salvezza, sostieni i nostri passi, perché non andiamo vagando senza meta, avendo perduto il sentiero del cielo.
Guarda a noi dal cielo e riempi le nostre anime dello splendore brillante che discende dal Padre santo dei lumi.
Restituisci ai malati la salute, fa’ cessare la notte dei ciechi e guarendo i loro corpi, riconforta i loro cuori.
Tu, che stai davanti al sommo Giudice, scusaci per i nostri delitti; placa l’ira vendicatrice dell’Onnipotente, tu cui noi affidiamo le nostre preghiere.
Tu, che sostenesti il gran combattimento, confondi il nostro superbo nemico e, per vincere lo spirito di rivolta, donaci forza, aumenta in noi la grazia.
Sia gloria a Dio Padre e al suo unico Figlio con lo Spirito Paraclito e ora e sempre. Così sia.
da: - P. GUÉRANGER, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 1208-1210.
http://divinumofficium.com/cgi-bin/horas/officium.pl
AMDG et BVM

martedì 12 settembre 2017

Santa Messa Tridentina


“Ciò che per le
generazioni anteriori
era sacro,
anche per noi
resta sacro e grande”

(Benedetto XVI, 7.7.2007)

AMDG et BVM

domenica 7 maggio 2017

“¡Elí, Elí! (Eloim Eloim) ¿lemá sabactaní?”

“Deus meus, Deus meus , ut quid dereliquisti me?” (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) 
(Mt. 27, 46).

17. – La 17ma opera fatta da Gesù Cristo in questo mondo fu che durante tutto il tempo che stette inchiodato sulla croce non cessò di pregare, dicendo ad alta voce:“¡Elí, Elí! ¿lemá sabactaní?”, ebraico che in latino vuol dire: “Deus meus, Deus meus , ut quid dereliquisti me?” (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) (Mt. 27, 46).
      Dice san Girolamo che in quel momento Gesù iniziò la recita del salmo “Dio mio, Dio mio!” (Sal. 21) e prolungò la sua orazione dicendo i salmi seguenti fino a quel passo che dice: “Nelle tue mani raccomando il mio spirito” (Sal. 30, 6; Lc. 23, 46). In tutto sono 150 versetti, e Cristo li recitò tutti dalla croce: e corrispondono al numero dei salmi del Salterio.
E mentre stette in croce quei giudei non cessarono di lanciarGli ingiurie e vituperi dicendoGli: “Malvagio tu, che hai ingannato il mondo [nel manoscritto:  O, tu malvat, que has enganat lo món!] Imbroglione!, che salvò altri e non può ora salvare se stesso”. 
Altri dicevano: “Falso profeta! Dicesti avresti distrutto il Tempio di Dio e in tre giorni l’avresti ricostruito”. 
Un altro ancora diceva: “Se è il Figlio di Dio, che discenda immediatamente dalla croce!” (cf. Mt. 27, 40-42). 
E altre ingiurie Gli dicevano. E il benigno Signore nulla diceva, ma teneva pazienza e continuava orando.
      E questo lo ripresenta il Sacerdote quando stende le braccia e poi dice: “Pertanto, Signore, noi tuoi servi ricordando … Unde et memores, Domine, nos servi tui,...”. Così ugualmente il Sacerdote non cessa di dire queste parole per mostrarci che Gesù in croce continuava la preghiera e non desisteva.

18. – La 18ma opera compiuta da Gesù in questo mondo fu che nonostante Egli fosse tutta una ferita e avesse quattro piaghe alla mani e ai piedi, pur tuttavia volle ancora sopportare per amore nostro che gliene aprissero un’altra nel costato, e uscì sangue e acqua. 
Fu questo un gran miracolo perché il suo sangue fu sparso nel sudore e nella flagellazione, e nell’atto della coronazione di spine, ed altresì nella perforazione delle mani e dei piedi, eppure dopo essere morto all’aprirGli il costato uscì sangue e acqua (cf. Gv. 19, 34).

Tutto ciò si ripresenta nella Messa quando il Sacerdote con l’Ostia traccia cinque croci, dicendo: “Per Lui, con Lui ed in Lui...” Per ip+sum, et cum ip+so, et in ip+so, est tibi Deo Patri+Omnipotenti, in unitate Spiritus+Sancti, omnis honor, et gloria. ... per significare in questo modo le cinque piaghe di nostro Signore Gesù Cristo, ecc.
JHS
MARIA!

sabato 13 agosto 2016

Dieci ragioni...


Dieci ragioni comparative di superiorità della Messa tradizionale sulla nuova

Vogliamo edificare i nostri lettori, laici e ancor più i sacerdoti, con la traduzione di un breve articolo di Padre Mark, priore benedettino a Tulsa, USA (dove il trad-friendly vescovo Slattery ha installato questo nuovo monastero, con il carisma specifico dell'Adorazione Eucaristica per la santificazione dei sacerdoti). Il religioso spiega di avere iniziato, cinque anni fa, a celebrare la Messa rivolto "spalle al popolo" (come i novatori amano dire; anzi amavano: ora non ci ridono più e preferiscono cambiare argomento). Messa novus ordo, dapprima; dopo il motu proprio, Messa di sempre. Leggete quindi le ragioni per cui ritiene nettamente superiore la celebrazione tradizionale; lo leggano in particolare i preti che ancora non si sono cimentati con questa forma di celebrazione: gustate et videte quam suavis est Dominus.
Enrico

Il 17 Dicembre 2010 segnerà il quinto anniversario del mio celebrare davanti all'altare ad orientem per il Santo Sacrificio della messa. Ho iniziato a offrire la S. Messa esclusivamentead orientem presso il monastero della Croce gloriosa, dove ho servito per un certo numero di anni come cappellano. Ho preparato il cambiamento nell'avvento 2005 con un'appropriata catechesi mistagogica e pastorale.
Poi è venuto Summorum Pontificum

Dopo il 14 settembre 2007, il Summorum Pontificum ha reso molto più facile celebrare il rito tradizionale della Santa Messa e, dopo aver iniziato la mia missione a Tulsa, ho celebrato in forma straordinaria ogni giorno, non avendo alcun desiderio e non vedendo alcuna necessità, nel contesto della vita monastica contemplativa, di celebrare in forma ordinaria.
Nessun ritorno

Ciò detto, dopo cinque anni di celebrazione ad orientem, posso dire che mai ho voglia di ritornare in posizione versus populum. Quando viaggio, io sono, tuttavia, talvolta obbligato a celebrare versus populum, in particolare in Irlanda, in Francia e in Italia; ciò mi lascia una sensazione di inadeguatezza estrema. Soffro di quello che potrei solo descrivere come una mancanza di sacro pudore, o di modestia di fronte ai Santi Misteri. Quando sono obbligato a celebrare versus populum, mi sento visceralmente, per così dire, che c'è qualcosa di molto sbagliato - teologicamente, spiritualmente e antropologicamente - nell’offerta del Santo Sacrificio girato verso l’assemblea.
Dieci vantaggi

Quali sono i vantaggi di stare all'altare rivolto ad orientem, come li ho sperimentati negli ultimi due anni [ossia, utilizzando la forma straordinaria: gli ultimi due anni sono successivi al motu proprio]? Me ne vengono subito alla mente dieci:
  1. Il Santo Sacrificio della Messa è percepito con una direzione e una messa a fuoco teocentriche
  2. Ai fedeli è risparmiato il faticoso clericocentrismo che ha tanto sopraffatto la celebrazione della Santa Messa negli ultimi quarant 'anni.
  3. E’ diventato di nuovo evidente che il canone della messa (Prex Eucharistica) è indirizzato al Padre, dal sacerdote, in nome di tutti.
  4. Il carattere sacrificale della Messa è meravigliosamente espresso e affermato.
  5. Quasi impercettibilmente si scopre la giustezza di pregare in silenzio in alcuni momenti, di recitare alcune parti della messa dolcemente e di cantillare gli altri.
  6. Offre al sacerdote celebrante il vantaggio di una santa modestia.
  7. Mi trovo sempre più identificato con Cristo, eterno sommo sacerdote e Hostia perpetua, nella liturgia del Santuario celeste, oltre il velo, davanti al volto del Padre.
  8. Durante il canone della messa ricevo la grazia di un profondo raccoglimento.
  9. Le persone sono diventate più riverenti nel loro comportamento.
  10. L'intera celebrazione della Santa messa ha guadagnato in riverenza, attenzione e devozione.


sabato 30 gennaio 2016

domenica 15 novembre 2015

BISOGNA RIMBOCCARSI LE MANICHE



di Giorgio Mariano

Nel II secolo a.C. un sacerdote, di nome Mattatia (in ebraico «dono di Dio»), alla vista dell’apostasia generale del popolo d’Israele, dal Sommo Sacerdote all’ultimo israelita, pianse su Gerusalemme, stracciandosi le vesti per la corruzione, l’idolatria e il tradimento perpetrato da tutto il popolo contro la fede dei padri.

Vennero, dunque, a chiamarlo i messaggeri del re Antioco Epìfane, per convincerlo ad accettare i “nuovi” riti, di sottomettersi, per obbedienza, alla pratica del nuovo culto. “Ma Mattatia rispose a gran voce: «Anche se tutti i popoli nei domini del re lo ascolteranno e ognuno si staccherà dal culto dei suoi padri e vorranno tutti aderire alle sue richieste, io, i miei figli e i miei fratelli cammineremo nell'alleanza dei nostri padri; ci guardi il Signore dall'abbandonare la legge e le tradizioni; non ascolteremo gli ordini del re per deviare dalla nostra religione a destra o a sinistra”. (1Mac 2, 19-22).

A ben vedere, questo brano del primo libro dei Maccabei, riporta delle forti analogie con gli avvenimenti dei nostri tempi.


Quello che è successo ai Frati Francescani dell’Immacolata, per esempio, è semplicemente sconcertante e doloroso, e tuttavia è ancora più sconvolgente la loro risposta a questa ingiusta oppressione: hanno deposto le armi, hanno scelto la non belligeranza. 

L’atteggiamento che hanno sposato è quello di obbedire all’ingiustizia e contemporaneamente affidarsi ciecamente all’Immacolata la quale, a dir loro, li libererà, prima o poi, da questa persecuzione. 

Premesso che la devozione e la fiducia sconfinata nella Santa Madre di Dio è santissima nonché doverosa per ogni battezzato, tuttavia la Madonna non ci priva del nostro intelletto, né la devozione a Lei ci esime dal resistere alle ingiustizie e di rimboccarci le maniche dinanzi all’errore e al sopruso: occorre ispirarsi davvero a  San Massimiliano Kolbe. In parole povere, “bisogna dar battaglia perché Dio conceda vittoria!” (Santa Giovanna d’Arco)

L’immobilismo apparentemente pio ed eroico in cui i Francescani dell’Immacolata si sono rinchiusi sembra essere più un cieco fideismo che mal si concilia con la “Vera” e santa obbedienza cattolica. I frati vorrebbero cioè rimanere fedeli all’autorità, che li ha privati della Santa Messa di sempre, pur riconoscendo la palese ingiustizia di tale comando. 
Ma l’obbedienza, per definizione, non consiste nell’accettare controvoglia, con critiche, con mormorazioni e giudizi un decreto dell’autorità, bensì, per essere vera obbedienza, deve tendere alla conformazione della volontà del sottoposto con quella del suo superiore. Ossia, il religioso deve pensare come il superiore o almeno tendere alla totale identità di volontà (cfr. Summ. Theol.). Ora, posto che i frati perseguitati si considerano appunto “perseguitati”, si deduce che essi non accettano (moralmente) il provvedimento della Suprema autorità contro di essi, riconoscendone la palese ingiustizia, eppure l’accettano sul piano pratico. 

Bè cari frati, se credete così di assolvere al precetto dell’obbedienza, vi sbagliate di grosso. 

Questa non è l’obbedienza cattolica, è falsa obbedienza. Dunque, se volessimo essere veramente puristi e vestire i panni dell’avvocato del Diavolo, dovremmo richiamarvi ad una più piena obbedienza, ad una più piena “comunione”, ad un vero “sentire cum Ecclesia”. 
Ma se i frati chinano il capo dinanzi a tale provvedimento, ne riconoscono la giustezza, dunque perdono ogni diritto di lamentarsi, e di compatirsi, leccandosi le ferite che hanno voluto autoinfliggersi. 


Inoltre, sembra che i nostri frati si dimentichino che fu lo stesso Papa Benedetto XVI a smascherare la totale falsità di questa prospettiva, dichiarando che l’antica Messa non “è mai stata abrogata” e che il suo uso da parte di qualsiasi sacerdote all’interno della Chiesa “è stato sempre permesso”, non potendo, neppure il Papa, in alcun modo eliminarla o abrogarla, né, tantomeno, sostituirla (cfr. CCC n. 1125). 
Infatti è stato proprio a causa di un falso principio di obbedienza all’autorità ecclesiastica che la sovversione della Fede Cattolica è stata così rapida e diffusa. 


Fu proprio lo stesso Papa Benedetto, quando era ancora il Cardinal Ratzinger, a confutare questa erronea teoria: “Il Papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione, e perciò il primo garante dell’obbedienza… Per cui, per quanto concerne la Liturgia, ha il compito di un giardiniere, e non quello di un tecnico che costruisce nuove macchine e butta quelle vecchie[2]Dobbiamo dare atto a S.S. Benedetto XVI del valido e coraggioso tentativo di ritorno sui binari della Tradizione e, contemporaneamente, dobbiamo tenere conto della violenta e tempestiva offensiva che i suoi oppositori hanno riversato su di lui, tanto da costringerlo a una [apparente] rinuncia papale [con la quale li ha giocati tutti].


Ciò che è vero per il Papa – ovvero che il suo potere e la sua autorità sono limitate dall’obbedienza alla Fede – è ancor più vero per tutti i suoi sottoposti. Eppure tra le fila di questi ultimi, in quest’epoca post-conciliare, l’obbedienza alla Fede è stata largamente rimpiazzata dall’obbedienza all’autorità gerarchica, a loro uso e consumo. Il positivismo (la mia volontà è legge) ed il nominalismo (ciò che voglio è giusto perché lo voglio io) hanno invaso la Chiesa, facendo in modo che gli abusi della gerarchia venissero coperti in virtù dell’obbedienza, che ormai sembra essere diventata l’unica e sola virtù su cui insistono le autorità ecclesiastiche”[3]

Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”(5,29), e facilmente si obbietterà che Dio parla per mezzo del Papa, di un Concilio o della gerarchia, eppure bisogna ricordare anche che Dio non può comandare cose contraddittorie, Dio non “evolve”, Egli è Immutabile per essenza. “Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la verità, una parola irrevocabile”(Is  45,23), con buona pace del card. Kasper e del sua fanta-teologia schellinghiana. 

Dio non dice un giorno di credere in una cosa e il giorno dopo di non crederla più: Dio non cambia, rimane stabile per sempre, e con Lui coloro che rimangono fedeli alla dottrina immutabile: “Veritas Domini manet in aeternum”(Esdr 3,12). Non solo, per quanto riguarda la Fede, che è il presupposto della Speranza e della Carità, l’Apostolo dice: “se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele perché non può rinnegare se stesso”(2Tm 2,12-13). Dio cioè non può contraddirsi, non può rinnegare ciò che ha già dichiarato.




Ma riprendiamo per un secondo il passaggio del libro dei Maccabei: “Si avvicinò un Giudeo alla vista di tutti per sacrificare sull'altare in Modin secondo il decreto del re. Ciò vedendo Mattatia arse di zelo; fremettero le sue viscere ed egli ribollì di giusto sdegno. Fattosi avanti di corsa, lo uccise sull'altare; uccise nel medesimo tempo il messaggero del re, che costringeva a sacrificare, e distrusse l'altare. Egli agiva per zelo verso la legge come aveva fatto Pincas con Zambri figlio di Salom. La voce di Mattatia tuonò nella città: «Chiunque ha zelo per la legge e vuol difendere l'alleanza mi segua!». Fuggì con i suoi figli tra i monti, abbandonando in città quanto avevano”(1Mac2,23-28).

Torniamo, per concludere, ai Maccabei.
 In seguito alla persecuzione, “molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero per dimorare nel deserto con i loro figli, le loro mogli e i greggi, perché si erano addensati i mali sopra di essi”(29-30). Ora, i mali addensatisi sopra i Francescani dell’Immacolata perché ricercavano sinceramente la giustizia sono innegabili, e molti di loro sono attualmente “nascosti” e braccati come lepri dal cacciatore. E tuttavia, qui non si lotta contro gli uomini ma contro le potenze infernali, le quali non si fermeranno finché non avranno annientato coloro che gli si oppongono. 

Ma quale fu la reazione dei “fedeli” d’Israele dinanzi alla battaglia? «Non usciremo, né seguiremo gli ordini del re, profanando il giorno del sabato[…]Moriamo tutti nella nostra innocenza. Testimoniano per noi il cielo e la terra che ci fate morire ingiustamente» (34,37). Apparentemente sembrerebbe una morte eroica e santa, giustificata dalla loro “obbedienza” legalistica al giorno di sabato nel quale era proibito combattere ed uccidere. Eppure, all’udire la fine di questi “pii” giudei, Mattatia dichiarò: «Se faremo tutti come hanno fatto i nostri fratelli e non combatteremo contro i pagani per la nostra vita e per le nostre leggi, ci faranno sparire in breve dalla terra». Presero in quel giorno questa decisione: “«Noi combatteremo contro chiunque venga a darci battaglia in giorno di sabato e non moriremo tutti come sono morti i nostri fratelli nei nascondigli» (40-41). Dunque, alla luce di tali riflessioni, voglio concludere con una santa esortazione, con una chiamata alle armi (spirituali).

Frati Francescani dell’Immacolata e voi tutti sacerdoti
 timidi, (comprensibilmente) impauriti: combattete la buona battaglia, difendete con fortezza la Santa Messa, quella tramandataci dalla Sacra Tradizione, quella dei Santi, quella immutabile, quella che è perseguitata, quella che è stata messa al bando, quella che il Maligno non sopporta. 

A tal proposito, è opportuno chiedersi seriamente: se la Messa moderna è “sostanzialmente” uguale all’antica, se la grazia è la stessa, perché il Maligno la tollera? Perché non la perseguita? Perché non gli dà fastidio? Pertanto, sacerdoti e religiosi tutti, amanti della Tradizione e perciò stesso amanti della Chiesa, e ancor più amanti di Cristo: unitevi insieme, alzatevi a difesa dell’unico Vero Innocente, dell’Unica Vera Vittima, dell’Unico Vero Perseguitato, Gesù Cristo Signore Nostro! 


Mi rivolgo qui anche a quei vescovi e cardinali che sotto Ratzinger si dimostrarono coraggiosi e che ora si sono un po’ “contratti”, ora che, invece, ce n’è più bisogno. Non siate quei cani muti, di cui parla Isaia, ma siate, al contrario, pastori che difendono il gregge. “Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore, è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi. Infatti, che cos’è di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col proprio silenzio?” (San Gregorio Magno, La Regola pastorale).

A tal proposito c’è una nota storiella popolare molto istruttiva, che narra di un uomo molto fervente che stava affogando nel mezzo di un lago. Costui implorava la Divina Provvidenza che lo salvasse e lo liberasse dalla morte: confidava fermamente che Dio lo avrebbe salvato. Passò, dunque, una barca che gli tese un remo, ma lui rispose: “no grazie, aspetto che Dio mi salvi” e, intanto, annaspava e sperava…passò dunque una seconda barchetta che, allo stesso modo, si offrì di portarlo in salvo, ma egli replicò: “no grazie, sono sicuro che verrà Dio a salvarmi” e, intanto, beveva acqua e continuava a confidare…passò infine una terza scialuppa di salvataggio ma egli: “mi salverà Dio, ne sono certo”. Alla fine, l’uomo fidente, morì affogato. Quando si trovò al cospetto di Dio chiese indispettito: “perché non sei venuto a salvarmi?” e l’Onnipotente rispose: “ma come? Sono passato tre volte e mi hai rifiutato!”.
Morale della favola, bisogna rimboccarsi le maniche, e combattere la battaglia del nostro tempo, e non ritirare i remi in barca nascondendoci dietro un’apparente “pia” obbedienza. Prima di tutto, dice San Tommaso: “la Carità è una virtù più grande dell’obbedienza”[1].



Quello appena visto è l’esempio di obbedienza che non pochi santi si sono trovati a dover opporre a decreti ingiusti provenienti, non di rado, anche dalla Suprema Autorità ecclesiastica (Sant’Ambrogio, Sant’Ilario, Sant’Atanasio, San Massimo, Santa Caterina, Santa Brigida ecc…). “Poiché tutta l’autorità proviene da Dio, noi obbediamo agli uomini solo e unicamente perché la loro autorità si basa in ultima analisi su quella del Signore. Questa obbedienza, laddove non vada contro la legge di Dio, è in realtà un atto di giustizia, un dare agli altri, e a Dio in primo luogo, ciò che è dovuto. 
Ma il Signore non dà a nessun uomo l’autorità di impartire un ordine che contravvenga ai comandi e ai precetti da Lui Stesso fornitici, come quelli contenuti nei Dieci Comandamenti o nel Vangelo, che costituisce la “legge positiva” di Cristo Re. 
Ne consegue che nessun uomo abbia il diritto di obbedire ad un ordine simile. Per di più, tutta l’autorità in terra è limitata dalla giustizia.Neanche il Papa dispone di un’autorità illimitata, perché i suoi limiti provengono dalla Rivelazione, dalle Scritture, dalla Tradizione e dagli insegnamenti autentici dal Magistero Ordinario ed Universale, nonché da quello Straordinario con le sue definizioni dogmatiche[4].

(10 ottobre 2014)



[1] Summa Theologiae, II-II, Q. 104, Art. 3
[3] GRUNER N., Il Terzo Segreto e il problema della falsa obbedienza.
[4] Ibidem.

AVE MARIA!