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mercoledì 17 novembre 2021

Cornelio a Lapide ci parla di san Paolo sicuro in ogni frangente

Naufragio a Malta di san Paolo

Quarta virtù

Invitta speranza e confidenza in Dio

16. I. Paolo credette e sperò nella speranza e contro la speranza, quando

intraprese molte cose superiori alle forze umane e naturali, e con

l’invocazione e l’aiuto di Dio le condusse a termine. Infatti, come egli

stesso dice (Romani 8, 24): «Sperare quel che si vede non è più speranza.

E come sperare quel che già si vede?». E (Romani 8, 26): «Lo stesso

Spirito chiede per noi con gemiti inenarrabili».

17. II. Paolo, con questa speranza, superò non soltanto tutte le difficoltà,

ma anche tutte le impossibilità della natura. Infatti come lui dice (Romani 8, 31): «Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?»

 Di tali uomini scrive con verità san Bernardo (46): «Essi osano grandi

cose, poiché sono uomini grandi; e ciò che osano, ottengono. Giacché una

grande fede merita cose grandi, e fin dove sarai progredito col piede della

fiducia nei beni del Signore, altrettanti ne possederai. A tali spiriti grandi

occorre uno sposo grande, e magnificherà l’operare con essi».

 Il medesimo (47): «La sola speranza, soggiunge, presso di te (o Signore)

tiene il posto della compassione; non poni l’olio della misericordia, se non nel vaso della fiducia».

 18. III. Paolo, per questa speranza, si gloriava nelle persecuzioni: «Ci

gloriamo, scrive, nelle tribolazioni, sapendo come la tribolazione produce

la pazienza, la pazienza l’esperienza, l’esperienza la speranza. Or la

speranza non ci lascerà confusi» (Romani 5, 3-5). Speranza onnipotente


19. IV. Paolo, non solo per sé, ma anche per i suoi fedeli, sperò, in ogni

afflizione, e con la speranza ottenne da Dio aiuto, forza e vittoria. Volendo

ispirare questa speranza ai Corinti, scrive (2 Corinti l, 6 s.): «(La speranza

che in voi) opera la tolleranza delle stesse sofferenze che anche noi

soffriamo, affinché la nostra speranza sia ferma per voi, sapendo noi che,

come siete compagni delle nostre sofferenze, sarete pure compagni nella

consolazione».

Splendidamente osserva San Cipriano (48): «Nelle persecuzioni nessuno

pensi al pericolo che ci procura il demonio, ma consideri l’aiuto che darà

Dio; né la mente resti stordita dall’infestazione umana, anzi resti la fede

corroborata dalla protezione divina; poiché ciascuno, secondo le promesse

divine, e secondo i meriti della sua fede, tanto riceve di aiuto da Dio,

quanto crede riceverne. Non vi è cosa che l’Onnipotente non possa

concedere se non l’impedisce la deficienza e caducità della fede di chi

deve ricevere».

20. V. Paolo, reso dalla continua esperienza edotto dell’aiuto divino,

rimaneva sicuro in ogni frangente, riguardo al prospero esito eventuale di

ogni cosa. «Ma noi, scrive, abbiamo avuto dentro noi stessi risposta di

morte, affinché non confidiamo in noi, ma in Dio che risuscita i morti.

Egli ci ha liberati e tolti da tanti pericoli e speriamo che ci libererà

ancora» (2 Corinti l, 9 s.).

S. Cipriano (49) segue Paolo, quando scrive a Demetriano, giudice e

nemico, dei cristiani: «Vige presso di noi la forza della speranza e la

fermezza della fede. Tra le stesse rovine del crollante secolo, la mente

resta eretta, immobile la virtù, mai cessa di essere lieta la pazienza;

l’anima è sempre fidente nel suo Dio, come lo Spirito Santo ci ammonisce

ed esorta per bocca del Profeta, il quale corrobora, con celeste voce, la

fermezza della nostra fede e della nostra speranza: Io godrò nel Signore,

ed esulterò in Dio mio Salvatore. I cristiani esultano sempre nel Signore, e

si allietano e godono nel loro Dio, e sopportano con fortezza i mali e le

avversità del mondo, mentre mirano al premio ed alla felicità futura».

Così fecero i Santi, come Giobbe (Giobbe 13, 15): «Anche se mi

ammazzasse, disse, spererò in Lui». E Geremia (Geremia 17, 7):

«Benedetto l’uomo che confida nel Signore, e di cui Dio sarà sua fiducia».

«La mia porzione è il Signore − ha detto l’anima mia − per questo lo

aspetterò. Il Signore è buono per chi spera in lui, per l’anima che lo cerca» (Lamentazioni 3, 24 s.).

Si legga pure la dissertazione che fa Paolo su questa forza della speranza,

come di àncora, parlando agli Ebrei (Ebrei 6. 17; 10, 23. 35 s.).

Con verità il Salmista diceva (Salmo 31, 10): «Colui che spera nel Signore è avvolto dalla misericordia». E sant’Agostino (50) scrisse: «Mortale è veramente la vita, immortale è la speranza della vita». 

S. Bernardo (51) soggiunge: «Se sorgeranno guerre contro di me, se inferocirà il mondo, se fremerà il maligno, se la stessa carne si rivolterà contro lo spirito, io spererò in te».

21. VI. Paolo con questa speranza assalì audacemente ogni pericolo della

vita. Così, nel tumulto sollevato contro di lui ad Efeso, volle salire al

teatro, pur sapendo che volevano soltanto lui e la sua testa (Cfr.: Atti 19,

30). Così andò a Gerusalemme, nonostante che ovunque i Profeti gli

avessero predetto le catene. Ad essi rispose: «Perché piangete e mi

spezzate il cuore? Quanto a me son pronto non solo ad essere legato, ma

anche a morire... per il nome del Signore Gesù» (Atti 21, 13).


Per questa speranza, superò tutti i pericoli suoi, e di quelli che erano con

lui. Nel naufragio gli apparve un angelo, che promise la liberazione e la

salvezza non solo a lui, ma, in vista di lui, a tutti i naviganti: 

«Non temere, Paolo, disse l’angelo, tu devi comparire davanti a Cesare, ed ecco Dio ti ha fatto dono di tutti quelli che navigano con te» 

(Atti 27, 24).

22. VII. Paolo, con certa speranza, si appropriava la gloria e la corona

celeste: «So bene in chi credetti, scrive, e son certo che Egli è sì potente

da conservare il mio deposito sino a quel giorno» (2 Timoteo l, 12). E:

“Ho combattuto la buona battaglia, ho finito la mia corsa, ho conservato la fede, e non mi resta che ricevere la corona di giustizia, che mi darà in quel giorno il Signore, giusto giudice» (2 Timoteo 4, 7 s.).


AMDG et DVM


mercoledì 27 ottobre 2021

«Benedirò il Signore in ogni tempo»


Settima virtù

Completa conformità della sua volontà 

con quella divina, e rassegnazione in essa

35. I. Paolo in ogni cosa conformava sé ed i suoi alla divina volontà: «Per

distinguere, dice, quale sia la volontà di Dio, buona, gradita e perfetta»

(Romani 12, 2). Di qui la sua rettissima intenzione in ogni azione, volendo

in tutto piacere solo a Dio; perciò stimava un nulla i giudizi degli uomini,

le lodi ed i vituperi; non si lasciava sviare dal giusto e dal retto, da nessun

amore od odio, da lusinghe o minacce; ma in ogni luogo era sincero, retto,

costante, immobile ed imperturbabile come se fosse fisso in Dio; e perciò

superiore a tutte le cose, sia prospere, sia avverse: «A me poi, scrive,

pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un uomo, anzi neppure

da me stesso mi giudico; perché, sebbene io non mi senta colpevole di cosa

alcuna, non per questo sono giustificato, essendo il mio giudice il Signore.

Quindi non giudicate avanti il tempo, finché non venga il Signore, il quale

metterà in luce ciò che è nascosto nelle tenebre, e manifesterà i consigli dei

cuori; e allora ciascuno avrà da Dio la lode (che gli spetta)» (l Corinti 4, 3-5).

Di conseguenza Paolo, in tutte le cose, sia nelle avverse come nelle

prospere, rendeva grazie a Dio (Cfr. Colossesi 3, 17); ne lodava la

provvidenza, dicendo col Salmista: «Benedirò il Signore in ogni tempo».

Ugual cosa prescrive san Girolamo (60) a Pammachio: «Se sono sano,

dice, rendo grazie al Creatore; se sono malato, glorifico in ciò la volontà di

Dio. Quando sono malato, allora divento più forte, e la virtù dello spirito si

rafforza nell’infermità della carne». San Gregorio (61) racconta pure di san

Servulo, povero e paralitico, il quale «si studiava, in mezzo al suo dolore,

di ringraziare Iddio, consacrando, con inni e lodi, giorno e notte». E

mentre stava per spirare, ai suoi che salmeggiavano disse: «Tacete; non

sentite quante lodi risuonano nel cielo?». E attento a tali canti, rese l’anima

a Dio, mentre all’intorno si diffuse un meraviglioso profumo.


Paolo angelo terrestre

36. II. Paolo eseguì ovunque la volontà di Dio, come un angelo terrestre.

Di qui il paragone che san G. Crisostomo (62) fa di Paolo con gli Angeli:

di essi infatti è scritto (63): «Egli fa i venti i suoi Angeli e suoi ministri i

fuochi fiammanti». E: «Potenti in virtù, esecutori dei suoi ordini» (Salmo

102, 20).

Paolo non solo eseguì i precetti di Dio, ma andò oltre, aggiungendo anche i

consigli evangelici, fino a predicare il Vangelo gratuitamente, senza

ricompensa: «Qual è dunque la mia ricompensa? dice. Questa: che

predicando il Vangelo non ponga prezzo al Vangelo» (l Corinti 9, 18).

«Paolo, scrisse il Crisostomo (64), percorse tutta la terra come fuoco e

spirito, e percorrendola la purgò. Veramente ciò è mirabile: poiché come

tale passava sulla terra, e sebbene fosse ancora circondato da corpo

mortale, combatteva già con la forza delle potestà incorporee. Quanto

siamo degni di condanna noi, che non ci studiamo di imitare neppure la più

piccola parte di quelle virtù che erano riunite tutte in un solo uomo!

Pensando assiduamente a queste cose, procuriamo di apparire senza colpa;

sforziamoci di avvicinarci al suo zelo, per meritare di pervenire al

medesimo premio».


37. III. Paolo in ogni cosa faceva ciò che era più perfetto e più accetto a

Dio. La beata Teresa fece voto di agire così; assai di più fece Paolo. Perciò

quando predicava il Vangelo, lavorava con le sue mani, per non essere di

peso ad alcuno. Visse in perpetua povertà, castità ed obbedienza, come i

Religiosi, anzi come il Duce ed il Patriarca dei Religiosi. Torneremo fra

poco su questo argomento.


38. IV. Paolo aveva la mente unita a Dio, per mezzo della preghiera e della

contemplazione, non solo di giorno, ma anche di notte. A Filippi, si trova

in prigione con Sila, verso mezzanotte, mentre prega e loda Dio, un

terremoto scuote il carcere e ne spalanca tutte le porte (Cfr. Atti 16, 25).

San Giacomo, cugino del Signore, come si legge nella sua vita, aveva i

calli alle ginocchia, per le frequenti e lunghe orazioni fatte in ginocchio.

Santa Paola, nell’invito rivolto a santa Marcella di recarsi a Betlemme,

come si legge presso san Girolamo (65): «Ecco, disse, in questo piccolo

buco della terra nacque il Creatore dei cieli! Quando, passando per Silo e

Betel, ritorneremo alla nostra spelonca, canteremo continuamente,

piangeremo spesso, pregheremo incessantemente, e ferite dal dardo del

Salvatore, diremo in comune: Trovai colui che cercava l’anima mia, lo

terrò e non lo lascerò andare via. E: Come il cervo anela alla fonte delle

acque, così l’anima mia anela a te, o Dio».


39. V. Paolo aveva uno smisurato zelo di propagare l’onore di Dio:

«Tant’è Vero, dice lui stesso, che da Gerusalemme e dai paesi circostanti

fino all’Illiria tutto ho ripieno del Vangelo di Cristo» (Romani 15, 19). Per

questo zelo si oppose a san Pietro, principe di lui e degli altri Apostoli, e lo

riprese liberamente davanti a tutti, dicendogli: «Se tu, che sei Giudeo, vivi

da Gentile, come mai costringi i Gentili a giudaizzare» (Galati 2, 14). Su

tal punto, giustamente osserva il Nazianzeno (66): «Gli Apostoli non

furono forse pellegrini? Non furono forse ospiti di molte nazioni e città?

per le quali si eran dispersi, onde il Vangelo si diffondesse rapidamente in

ogni direzione, né alcuna cosa rimanesse priva del triplice lume (della

santissima Trinità), e della luce della verità; perché anche a coloro che

sedevano nelle tenebre e nell’ombra di morte, venissero squarciati i veli

caliginosi dell’ignoranza».

Fine del primo capitolo

AMDG et DVM

martedì 26 ottobre 2021

FIGURA DI SAN PAOLO ---C. A Lapide

 

Quarta virtù

Invitta speranza e confidenza in Dio

16. I. Paolo credette e sperò nella speranza e contro la speranza, quando

intraprese molte cose superiori alle forze umane e naturali, e con

l’invocazione e l’aiuto di Dio le condusse a termine. Infatti, come egli

stesso dice (Romani 8, 24): «Sperare quel che si vede non è più speranza.

E come sperare quel che già si vede?». E (Romani 8, 26): «Lo stesso

Spirito chiede per noi con gemiti inenarrabili».


17. II. Paolo, con questa speranza, superò non soltanto tutte le difficoltà,

ma anche tutte le impossibilità della natura. Infatti come lui dice (Romani

8, 31): «Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?»

 Di tali uomini scrive con verità san Bernardo (46): «Essi osano grandi

cose, poiché sono uomini grandi; e ciò che osano, ottengono. Giacché una

grande fede merita cose grandi, e fin dove sarai progredito col piede della

fiducia nei beni del Signore, altrettanti ne possederai. A tali spiriti grandi

occorre uno sposo grande, e magnificherà l’operare con essi».

 Il medesimo (47): «La sola speranza, soggiunge, presso di te (o Signore)

tiene il posto della compassione; non poni l’olio della misericordia, se non

nel vaso della fiducia».


 18. III. Paolo, per questa speranza, si gloriava nelle persecuzioni: «Ci

gloriamo, scrive, nelle tribolazioni, sapendo come la tribolazione produce

la pazienza, la pazienza l’esperienza, l’esperienza la speranza. Or la

speranza non ci lascerà confusi» (Romani 5, 3-5).

Speranza onnipotente


19. IV. Paolo, non solo per sé, ma anche per i suoi fedeli, sperò, in ogni

afflizione, e con la speranza ottenne da Dio aiuto, forza e vittoria. Volendo

ispirare questa speranza ai Corinti, scrive (2 Corinti l, 6 s.): «(La speranza

che in voi) opera la tolleranza delle stesse sofferenze che anche noi

soffriamo, affinché la nostra speranza sia ferma per voi, sapendo noi che,

come siete compagni delle nostre sofferenze, sarete pure compagni nella

consolazione».

Splendidamente osserva San Cipriano (48): «Nelle persecuzioni nessuno

pensi al pericolo che ci procura il demonio, ma consideri l’aiuto che darà

Dio; né la mente resti stordita dall’infestazione umana, anzi resti la fede

corroborata dalla protezione divina; poiché ciascuno, secondo le promesse

divine, e secondo i meriti della sua fede, tanto riceve di aiuto da Dio,

quanto crede riceverne. Non vi è cosa che l’Onnipotente non possa

concedere se non l’impedisce la deficienza e caducità della fede di chi

deve ricevere».


20. V. Paolo, reso dalla continua esperienza edotto dell’aiuto divino,

rimaneva sicuro in ogni frangente, riguardo al prospero esito eventuale di

ogni cosa. «Ma noi, scrive, abbiamo avuto dentro noi stessi risposta di

morte, affinché non confidiamo in noi, ma in Dio che risuscita i morti.

Egli ci ha liberati e tolti da tanti pericoli e speriamo che ci libererà

ancora» (2 Corinti l, 9 s.).

S. Cipriano (49) segue Paolo, quando scrive a Demetriano, giudice e

nemico, dei cristiani: «Vige presso di noi la forza della speranza e la

fermezza della fede. Tra le stesse rovine del crollante secolo, la mente

resta eretta, immobile la virtù, mai cessa di essere lieta la pazienza;

l’anima è sempre fidente nel suo Dio, come lo Spirito Santo ci ammonisce

ed esorta per bocca del Profeta, il quale corrobora, con celeste voce, la

fermezza della nostra fede e della nostra speranza: Io godrò nel Signore,

ed esulterò in Dio mio Salvatore. I cristiani esultano sempre nel Signore, e

si allietano e godono nel loro Dio, e sopportano con fortezza i mali e le

avversità del mondo, mentre mirano al premio ed alla felicità futura».

Così fecero i Santi, come Giobbe (Giobbe 13, 15): «Anche se mi

ammazzasse, disse, spererò in Lui». E Geremia (Geremia 17, 7):

«Benedetto l’uomo che confida nel Signore, e di cui Dio sarà sua fiducia».

«La mia porzione è il Signore − ha detto l’anima mia − per questo lo

aspetterò. Il Signore è buono per chi spera in lui, per l’anima che lo cerca»

(Lamentazioni 3, 24 s.).

Si legga pure la dissertazione che fa Paolo su questa forza della speranza,

come di àncora, parlando agli Ebrei (Ebrei 6. 17; 10, 23. 35 s.).

Con verità il Salmista diceva (Salmo 31, 10): «Colui che spera nel Signore

è avvolto dalla misericordia». E sant’Agostino (50) scrisse: «Mortale è

veramente la vita, immortale è la speranza della vita». S. Bernardo (51)

soggiunge: «Se sorgeranno guerre contro di me, se inferocirà il mondo, se

fremerà il maligno, se la stessa carne si rivolterà contro lo spirito, io

spererò in te».


21. VI. Paolo con questa speranza assalì audacemente ogni pericolo della

vita. Così, nel tumulto sollevato contro di lui ad Efeso, volle salire al

teatro, pur sapendo che volevano soltanto lui e la sua testa (Cfr.: Atti 19,

30). Così andò a Gerusalemme, nonostante che ovunque i Profeti gli

avessero predetto le catene. Ad essi rispose: «Perché piangete e mi

spezzate il cuore? Quanto a me son pronto non solo ad essere legato, ma

anche a morire... per il nome del Signore Gesù» (Atti 21, 13).

Per questa speranza, superò tutti i pericoli suoi, e di quelli che erano con

lui. Nel naufragio gli apparve un angelo, che promise la liberazione e la

salvezza non solo a lui, ma, in vista di lui, a tutti i naviganti: «Non temere,

Paolo, disse l’angelo, tu devi comparire davanti a Cesare, ed ecco Dio ti

ha fatto dono di tutti quelli che navigano con te» (Atti 27, 24).


22. VII. Paolo, con certa speranza, si appropriava la gloria e la corona

celeste: «So bene in chi credetti, scrive, e son certo che Egli è sì potente

da conservare il mio deposito sino a quel giorno» (2 Timoteo l, 12). E:

“Ho combattuto la buona battaglia, ho finito la mia corsa, ho conservato la

fede, e non mi resta che ricevere la corona di giustizia, che mi darà in quel

giorno il Signore, giusto giudice» (2 Timoteo 4, 7 s.).

Quinta virtù

Esimio amore a Dio ed a Cristo

23. I. Paolo ardeva di amore verso Dio e verso Cristo, tanto che scriveva ai

Romani (5, 5): «La carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per mezzo

dello Spirito Santo, che ci è stato donato». Ottimamente Origene (52),

interprete san Girolamo: «Io sono ferito dalla carità − scrive − Come è

bello, come è onorevole ricevere una ferita dalla carità! Chi riceve il dardo

dell’amore carnale, chi è ferito dalla cupidigia terrena; tu invece offri le tue

membra scoperte, offri te stessa al dardo eletto, al dardo grazioso: giacché

il saettatore è Dio. Pose me, dice, come saetta eletta. Quale felicità è essere

ferita da tale dardo!».

24. II. Paolo desiderava morire, per godere il suo Cristo: «Sono messo alle

strette da due lati, dice: desidero di morire e di essere con Cristo»

(Filippesi 1, 23). E: «Oh me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di

morte?» (Romani 7, 24). Paolo era una colomba gemente e sospirante al

cielo, e, per testimonianza di sant’Agostino (53), diceva con la Sposa:

«Sostenetemi coi fiori, confortatemi coi frutti, perché io languisco

d’amore» (Cantico dei Cantici 2, 5).

25. III. Paolo, per amore dì Cristo, sfidava come a duello i suoi nemici, le

afflizioni, i pericoli, i diavoli, tutto l’inferno e il mondo: «Chi potrà

separarci dall’amore di Cristo? − dice − La tribolazione forse, o l’angoscia,

la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione, la spada? (Come sta scritto:

per te noi siamo ogni giorno messi a morte, siamo considerati come pecore

da macello). Ma tutte queste cose noi le superiamo, in virtù di Colui che ci

ha amati... Io poi sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i

principati, né le virtù, né le cose presenti, né le future, né la potenza, né

l’altezza, né la profondità, né altra cosa creata potrà separarci dalla carità

di Dio, che è in Gesù Cristo Signor nostro» (Romani 8, 35-39).

26. IV. Da sì infiammato amore a Dio scaturiva quell’ardente amore verso

il prossimo, che si struggeva di convertire a Cristo il mondo intero. Di ciò

diremo più lungamente avanti.

Giustamente san Girolamo (54) scrive: «Gran forza possiede il vero

amore; chi è perfettamente amato vincola a sé tutta la volontà dell’amante.

Niente è più imperioso della carità. Se noi amiamo veramente Cristo, se

pensiamo che siamo stati redenti dal suo sangue, non dobbiamo più nulla

desiderare, più nulla fare, all’infuori di ciò che sappiamo essere di suo

volere».

27. V. Paolo amava talmente Cristo, da sembrare trasformato in lui. Effetto

dell’amore, anzi la sua sommità, è l’unione intima, l’estasi, il rapimento

nell’amato. L’anima è più presente dove ama che non dove vivifica. Così

suonano quei detti di Paolo: «La mia vita è Cristo, e la morte è per me un

guadagno» (Filippesi l, 21). «Io sono stato confitto in croce con Cristo; io

vivo, ma non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me, e questa vita

che vivo nella carne, la vivo nella fede del Figliuolo di Dio, il quale mi ha

amato e ha dato se stesso per me» (Galati 2, 19 s.). E: «Quanto a me, lungi

da me gloriarmi d’altro se non della croce del Signor nostro Gesù Cristo,

per cui il mondo è crocifisso a me ed io al mondo» (Galati 6, 14). E: «Del

resto, nessuno m’inquieti, perché io porto le stimmate del Signore Gesù

nel mio corpo» (Galati 6, 17).

Cristo pertanto sembrava divenuto la mente, l’anima, la vita e lo spirito di

san Paolo, il quale per lui parlava, operava, soffriva. «Cercate forse, dice,

di far prova di colui che parla in me, di Cristo?» (2 Corinti 13, 3).

Perciò san Girolamo (55) prescrive a Pammachio le norme di tal vita e di

tale amore: «Cristo sia tutto; chi ha abbandonato ogni cosa per Cristo, trovi

una cosa sola per tutte, onde possa con libera voce gridare: Il Signore è la

mia porzione».

Infine, Paolo era crocifisso alla croce di Cristo con chiodi non di ferro, ma

di amore; in lui viveva la sua vita di amore, come dice san Dionigi (56);

poiché Cristo viveva in lui come principio, regola e fine di ogni suo

pensiero, desiderio, parola, e opera. Ciò espresse in quel1a frase: «Per me

vivere è Cristo», ossia: Cristo è la mia vita, Cristo è il mio pensiero, Cristo

è il mio desiderio, Cristo è il mio amore; il mio volere, il mio parlare, il

mio operare è ancora Cristo; non voglio altro, non gusto altro, non faccio

altro, non penso ad altro, non parlo d’altro che non sia Cristo.


Paolo ebbro di amor di Dio e di amore a Gesù

28. VI. Paolo e gli Apostoli, ebbri di amore di Dio, lasciavano trasparire

dovunque questo amore, celebrando così le grandezze di Dio (Cfr. Atti 2,

13). 

Osserva quanto dice san Paolo: «Se infatti andiamo fuori dei sensi, lo

facciamo per Iddio; se stiamo nei limiti, è per voi; perché la carità di Cristo

ci stringe, ecc.; affinché quelli che vivono non vivano già per loro stessi,

ma per colui che è morto e risuscitato per essi» (2 Corinti 5, 13 s, 15). 

Qua e là: questo amore lo fa trapelare e lo trasfonde negli altri: «Siate ripieni di

Spirito Santo, dice. Conversate tra di voi in salmi, inni e canti spirituali,

cantando e salmeggiando di tutto cuore al Signore, ringraziando sempre

Dio e Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo per ogni cosa»

(Efesini 5, 18-20).

29. VII. Il nome di Gesù era per Paolo una delizia: miele nella bocca,

armonia nell’orecchio, giubilo nel cuore. Da ciò quel ripetere che fa nelle

poche e brevi sue lettere per ben duecento e diciannove volte il nome di

Gesù, e quattrocento e una volta quello di Cristo. «Non vi è alcuno, scrive

il Crisostomo (57), che abbia amato più ardentemente Cristo di Paolo; non

vi è alcuno che presso Dio sia stato più bene accetto di Paolo».

All’incontro Gesù lo accarezzava con le sue consolazioni, da indurlo a

disprezzare le voluttà della carne e del mondo, a detestarle anzi come

rifiuti. 

Ripeteva pertanto con la Sposa «L’anima mia era venuta meno

appena il mio diletto parlò» (Cantico dei Cantici 5, 6). E: «Il mio diletto è

per me ed io per lui, che si pasce tra i gigli, fino a che non raffreschi il

giorno e non si allunghino le ombre» (Cantico dei Cantici 2, 16).

   Leggiamo pure di sant’Efrem, che abbondava tanto di dolcezza divina, da

essere costretto ad esclamare: «Frena, o Signore, le onde della tua

dolcezza, poiché non posso più sostenerle». E del santo Saverio, apostolo

dell’India, che esclamava: «Basta, o Signore; basta». E del beato Luigi

Gonzaga che ripeteva: «Ritirati da me, o Signore».

Sesta virtù

Profonda riverenza a Dio e religione

30. I. Paolo, avendo sempre davanti agli occhi Dio, lo venerava, e pensava

che era alla presenza di Dio e di tutti gli angeli; così agiva e parlava.

«Siamo fatti spettacolo al mondo, agli Angeli e agli uomini» scriveva (l

Corinti 4, 9). Anche san Bernardo si intratteneva ed abitava con Dio nella

nube. E san Gregorio (58) narra come san Benedetto parimenti morì

tenendo le mani alzate verso il cielo, ed esalò il suo spirito pronunziando

ancora parole di preghiera.

31. II. Paolo venerava ed adorava Dio con umile atteggiamento di cuore e

di corpo: «Abbiamo, dice, la grazia, per la quale possiamo servire a Dio in

un modo a lui gradito, con timore e riverenza; perché il nostro Dio è un

fuoco che divora» (Ebrei 12, 28). E: «Per questa causa piego le mie

ginocchia dinanzi al Padre del Signor nostro Gesù Cristo, da cui ogni

paternità e nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo

le ricchezze della sua gloria, di essere mediante lo Spirito potentemente

corroborati nell’uomo interiore» (Efesini 3, 14-16). Ed ancora: «Pregherò

con lo spirito e pregherò con la mente, salmeggerò con lo spirito e

salmeggerò con la mente» (l Corinti 14, 15).

32. III. Paolo invocava frequentemente Dio, e si raccomandava alle

preghiere dei cristiani, affinché Dio illuminasse le menti dei fedeli e degli

infedeli ai quali predicava: «Rendo grazie al mio Dio, dice, ogni volta che

mi ricordo di voi, e sempre, in ogni mia preghiera per tutti voi, con gioia

prego per voi» (Filippesi l, 3 s). E: «Del resto, o fratelli, pregate per noi

affinché la parola di Dio corra e sia glorificata come fra voi, e siamo

liberati dagli uomini importuni e cattivi» (2 Tessalonicesi 3, l s.). Ed

ancora: «Siate perseveranti nell’orazione, ecc.; pregando insieme anche

per noi, affinché Dio ci apra la porta della parola, per parlare il mistero

di Cristo» (Colossesi 4, 2 s.). Le stesse cose scrive agli Efesini (Efesini 6,

18-19).

Paolo triplice vittima

33. IV. «Paolo, dice san G. Crisostomo (59), immolava se stesso ciascun

giorno a Dio; e questa vittima l’offriva in due maniere, ora morendo ogni

giorno, ora circondando senza tregua il suo corpo con mortificazioni.

Infatti si preparava continuamente ai pericoli, consumando un martirio di

desiderio e mortificando in se la natura della carne: e ciò facendo

disimpegnava non solo le veci di un’ostia immolata a Dio, ma faceva

molto di più. Perciò diceva: Io sono immolato, riferendosi all’immolazione

del suo sangue. né si accontentò di questi soli sacrifici, ma essendosi

consacrato a Dio, si studiò di offrirgli anche tutto il mondo».

34. V. Paolo rimane stupito e muto di fronte a Dio, alla Trinità Santissima,

alle di lei opere ed ai di lei consigli. «O profondità delle ricchezze della

sapienza e della scienza di Dio! esclama. Quanto sono incomprensibili i

suoi giudizi, ed imperscrutabili le sue vie! Chi ha conosciuto il pensiero

del Signore? E chi gli è stato consigliere? Chi gli ha dato per il primo, per

averne da ricevere il contraccambio? Da lui e per lui e in lui son tutte le

cose. A lui gloria nei secoli. Così sia» (Romani 11, 33.36).

Soprattutto è ammirato per il mistero della redenzione, dell’incarnazione,

della passione e croce di Cristo, della vocazione dei gentili e della

riprovazione dei giudei. Tale mistero scruta profondamente, ed

elegantemente lo descrive, chiamandolo: «il mistero che fu taciuto per

secoli eterni, ma che ora è stato svelato e notificato per le Scritture dei

profeti, secondo l’ordine eterno di Dio, per trarre all’obbedienza della

fede» (Romani 16, 25 s.). «Mistero che l’occhio non vide, l’orecchio non

udì, che in cuore dell’uomo non entrò» (1 Corinti 2, 9). E nuovamente

chiama questo mistero: «le incomprensibili ricchezze di Cristo,...

attuazione del mistero ascoso da secoli in Dio,... la multiforme sapienza di

Dio;... affinché possiate, soggiunge, con tutti i santi, comprendere quale sia

la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, anzi possiate

conoscere ciò che supera ogni scienza, la stessa carità di Cristo, in modo

che siate ripieni di tutta la pienezza ai Dio» (Efesini 3, 8. 9. 10. 18 s.).


"Caritas Christi urget nos"

(2Cor 5,14

lunedì 25 ottobre 2021

CARATTERE FIERO DI PAOLO

SAULO


CAPO PRIMO

VIRTU’ E RAPPORTI DI PAOLO VERSO DIO

Prima dote e virtù

Singolare elezione e vocazione di Dio; sua umilissima conoscenza;

ringraziamento ed ammirazione.

I Profeti atterriscono, gli Apostoli persuadono

 l. I. Paolo, per grazia singolare di Dio, fu predestinato fin dall’eternità,

non solo alla fede ed alla santità, ma anche all’apostolato, e ad un

apostolato esimio, affinché, a differenza degli altri Apostoli, diventasse un

ammirabile predicatore del Vangelo, e dottore delle genti di qualsiasi

paese.

 Così egli, parlando della predestinazione di Cristo instauratore di ogni

cosa, dice (Efesini l, 11 s.): «Nel quale siamo stati anche noi chiamati a

sorte secondo il piano di colui che tutto fa secondo il consiglio del suo

volere, affinché riusciamo a sua lode e gloria, noi che da principio

abbiamo sperato in Cristo». E, Dio dice ad Anania di Paolo: «Egli è un

Vaso di elezione da me eletto (eletto da tutta l’eternità, e segregato fra tanti

milioni di uomini) per portare il mio nome davanti ai Gentili, ai re ed ai

figli d’Israele» (Atti 9, 15). Qui si avvera quel detto: «Non dipende da chi

vuole, né da chi corre, ma da Dio che ha misericordia» (Romani 9; 16).

 Gli Apostoli scossero il mondo con l’amore, i Profeti invece col terrore. I

PROFETI ATTERRISCONO, GLI APOSTOLI PERSUADONO. «Dio

infatti usa ora la verga, ora il flagello: la verga per correggere; il flagello

per persuadere. Ora direttamente, ora indirettamente arriva il comando che

flagella, come lenta sferzata, la coscienza del peccatore. Altri sono i terrori

profetici, altre le apostoliche persuasioni: in ambedue però vi è la

disciplina di una parola sola», scrive sant’Ambrogio (22). Lo stesso Santo

dice (23): «Li mandò a seminare la fede, non perché facessero violenza,

ma perché insegnassero; né perché esercitassero la forza del comando, ma

perché innalzassero la dottrina dell’umiltà».

Duplice vocazione di Paolo

 2. II. Paolo, per la stessa grazia di Dio, venne da lui chiamato nel tempo

alla grazia ed all’apostolato, nel medesimo istante. Questa grazia fu

esimia, sia di per sé, sia per il fatto che venne chiamato mentre era

nell’ardore della persecuzione; mentre appunto era spirante minacce e

stragi contro i cristiani. Allora in un baleno, circonfuso di luce divina, da

lupo venne cambiato in agnello, da Saulo venne mutato in Paolo, da

persecutore in predicatore (24). Anzi, appena convertito, subito dopo

l’uccisione e la lapidazione di Stefano, gli successe nella predicazione:

«Quando tacque la voce di Stefano, suonò la tromba di Paolo», dice San G.

Crisostomo (25). Questa fu la sua antecedente vocazione all’apostolato e,

diciamo così, in atto primo; la vocazione conseguente e quasi in atto

secondo l’ebbe quando, ad Antiochia, fu consacrato vescovo e subito fu

inviato ad evangelizzare i gentili, dietro il comando dello Spirito Santo

(Atti 13, 2): «Segregatemi Saulo e Barnaba per l’opera alla quale li ho

assunti». Aggiungasi che Paolo ricevette più abbondante grazia degli altri

Apostoli, perché Dio volle dimostrare che ciò che dà è suo, non dell’uomo;

come un medico dimostra l’eccellenza della sua arte in un malato

disperato, dice sant’Agostino (26). Così che gli altri Apostoli Cristo li

chiamò con parole, dice ancora sant’Agostino (27), Paolo invece lo sforzò

a credere atterrandolo ed accecandolo.

Carattere fiero di Paolo

 3. III. Paolo a questa chiamata di Dio obbedì all’istante, apertamente e

pienamente, dicendo: «Signore, che vuoi ch’io faccia?» (Atti 9, 6). E dopo

battezzato: «subito si mise a predicare Gesù nelle sinagoghe, affermando

che Egli è Figlio di Dio» (Atti 9, 20). «Ma quando a Colui che mi segregò

fin dal seno di mia madre, e mi chiamò per sua grazia, piacque di rivelare

in me il suo Figliolo... io subito, senza dar retta alla carne e al sangue,

ecc.» (Galati l, 15 s.).

 Perciò, subito, si espose per Cristo al pericolo della vita, opponendosi anzi

con l’evangelizzazione, ai giudei che digrignavano contro di lui i denti,

come se fosse un apostata.

 Paolo fu di forte ingegno, di indole ardente, di natura bruciante come

appare dagli Atti degli Apostoli (Atti 9, l). In seguito, venendo la grazia di

Dio ad informare la natura, divenne lo strumento eletto di Dio, efficace ed

esimio; tanto che san Bernardo (28) dice: «Paolo, convertito, divenne

ministro di conversione per tutto il mondo, ecc.; e neppure ora ha cessato

di convertire gli uomini: intendo dire col suo esempio, con la sua

preghiera, con la sua dottrina».

 4. IV. Paolo dappertutto ammira la grazia di Dio in sé, e con ammirevole

umiltà, la esalta e la predica con gratitudine e con gioia. Quasi sempre

inizia le sue lettere così: «Paolo, eletto Apostolo non dagli uomini, né per

mezzo di uomo, ma da Gesù Cristo» (Galati l, 1). E: «A me, dice, il minimo

di tutti i santi, è stata concessa questa grazia di evangelizzare tra i Gentili

le investigabili ricchezze di Cristo, e di illuminare tutti riguardo

all’attuazione del mistero ascoso da secoli in Dio, il quale ha creato ogni

cosa» (Efesini 3, 8 s.).

Se Paolo non avesse predicato, avrebbe gravemente peccato

 5. V. Paolo comprendendo che con tale divina vocazione gli veniva

affidata la predicazione del Vangelo, si stimò a ciò obbligato; tanto da

credere di commettere un grave peccato nel caso che l’avesse omessa. E

ciò lo dice (I Corinti 9, 16): «Infatti l’annunziare il Vangelo non è per me

una gloria, perché ne pesa su me l’obbligo, e guai a me se non avrò

evangelizzato». E: «Dio ha messo in noi la parola della riconciliazione. E’

dunque per Cristo che noi facciamo le veci di ambasciatori, come se Dio

esortasse per mezzo nostro. Per amor di Cristo vi scongiuriamo:

riconciliatevi con Dio» (2 Corinti 5, 19 s.).

 Imitino Paolo coloro che si sentono chiamati da Dio allo stato apostolico,

di modo che obbediscano alacremente e strenuamente cooperino a Dio che

li chiama. Infatti, dice san Basilio (29): «Se non persevereremo sul

fondamento degli Apostoli, edificando cose preziose e degne di onore,

precipiteremo come se fossimo senza appoggio di fondamento, e la nostra

rovina non sarà lieve».

Seconda dote e virtù

La legittima missione

 6. l. Paolo venne istruito immediatamente da Cristo per rivelazione, ed

imparò così il Vangelo, come lui stesso espressamente asserisce (Galati l,

12). Da ciò, alcuni gnostici presero lo spunto per insegnare che, di tutti gli

Apostoli, solo Paolo conobbe la verità, perché per rivelazione, a lui venne

manifestato il mistero: asserzione confutata da Ireneo (30).

Rapimento al terzo cielo; quando avvenne?

 7. Il. Paolo, in procinto di partire per evangelizzare i gentili, venne rapito

al terzo cielo, nell’anno 44 di Cristo, nono dalla sua conversione. Quivi udì

arcane parole, che non è lecito all’uomo pronunziare (2 Corinti 12, 2).

Sembra un novello Mosè mandato da Dio, ed un dottore celeste delle genti

uscito dal cielo.

 S. Bernardo (31): «Tommaso, dice, nel costato, Giovanni sul petto, Pietro

nel seno del Padre, Paolo al terzo cielo, ottennero la grazia di questo

segreto. Tommaso nella sodezza della fede, Giovanni nell’ampiezza della

carità, Paolo nell’intimo della sapienza, Pietro nella luce della verità».

 E sant’Ambrogio (32) scrive: «Osserva che Paolo mentre perseguitava la

Chiesa di Dio era il versante del settentrione (latus Aquilonis). Osserva

che, quando adesso è letto nella Chiesa, è il monte d’osservazione (Sion),

dal quale conosciamo e vediamo la gloria di Cristo».

Conferisce sulla sua dottrina con san Pietro

 8. III. Ciò non ostante, per una mozione di Dio, conferì sul suo Vangelo e

sulla sua dottrina con san Pietro e cogli altri Apostoli, affinché

l’approvassero e gli concedessero una testimonianza della verità di fronte

ai fedeli: «Conferii, scrisse, con loro sul Vangelo che io predico tra i

Gentili, ecc.; per non rischiare di correre o di aver corso invano» (Galati

2, 2). Ed ancora: «Riconosciuta la grazia a me conceduta, Giacomo, Cefa

e Giovanni, che sono riputati le colonne, porsero a me... le destre in segno

di società, perché andassimo tra i Gentili, mentre essi restavano tra i

circoncisi» (Galati 2, 9).

 9. IV. Paolo, sebbene fosse stato eletto Apostolo da Dio, tuttavia ricevette

l’autorità, dalla Chiesa. E’ per comando dello Spirito Santo che venne

consacrato Vescovo dai maggiorenti della Chiesa, e da essi mandato a

predicare ai Gentili (Cfr.: Atti 13, 2). L’ordine gerarchico, istituito da Dio,

esige che gli uomini inferiori siano retti e mandati dagli uomini superiori,

onde non possa subentrare frode o dolo. Così i falsi profeti e gli eretici

mentono, quando asseriscono di essere mandati da Dio, essendo invece

mandati dal demonio. Per tanto rigettano ogni missione e direzione dei

Pontefici della Chiesa; e di essi giustamente si lamenta il Signore per

bocca di Geremia (Geremia 23, 21), dicendo: «Io non mandavo questi

profeti ed essi correvano; io non parlavo loro, ed essi profetavano».

Consulta gli Apostoli

 10. V. Paolo, nei dubbi e nelle controversie delle prescrizioni legali, va da

san Pietro e dagli Apostoli, e seguendo la loro sentenza, la propose a tutta

la Chiesa antiochena, affinché l’accettassero e l’osservassero (Cfr. Atti 15).

 Così san Girolamo (33), sebbene fosse dottore della Chiesa, scrive a

Damaso Pontefice, per chiedergli la decisione della questione: «Se in Dio

vi siano tre ipostasi, od una sola». «Dal pastore, disse, chiedo, io pecorella,

con istanza, la tutela. Parlo col successore del pescatore e col discepolo

della croce. Io, non seguendo nessuno prima di te, se non Cristo, mi unisco

in comunione alla beatitudine tua, ossia alla cattedra di Pietro. So che la

Chiesa è edificata su tale pietra, ecc. Chiunque non raccoglie teco,

disperde; ossia chi non è di Cristo, è dell’Anticristo».


Terza dote e virtù

Fede eccellente e potente, anche per operare miracoli

 11. 1. Paolo eccellente nella fede. Infatti, come dottore la predicò

ovunque, e la difese contro i giudei, i filosofi, gli Oratori, i maghi, i re, i

tiranni. Ottimamente san G. Crisostomo (34), spiegando il detto: «Quelli

però gridavano sempre più forte», scrive: «Tale è la natura della fede, che

più si vuol reprimere, più divampa. La virtù della fede è sicura tra i

pericoli, nella sicurezza pericolo. Che cosa infatti rilassa il vigore della

fede più di una prolungata tranquillità?».

 Lo stesso Santo (35) soggiunge: «Lampada è la fede; come la lampada

illumina la casa, così la fede l’anima». E, spiegando quell’articolo del

Credo: Credo in Dio (36): «La fede, dice, è lume dell’anima, porta della

vita, fondamento dell’eterna salvezza».

La fede vede ed è vista

 12. II. Paolo, rapito al terzo cielo, vide quei misteri che crediamo per fede

(Cfr. 2Corinti 12, 2). Anzi sant’Agostino (37) insegna che la nostra fede, a

suo modo, vede ed è vista, cioè nelle sue opere ed effetti. Così nuovamente

Paolo, dimostrò a tutto il mondo la cospicua ed ingente sua fede, con delle

opere eroiche.

 Sapientemente san Bernardo (38) dice: «La morte della fede è la

separazione della carità. Credi in Cristo? Fa le opere di Cristo, perché viva

la tua fede. L’amore animi la tua fede, l’azione la provi, Nessun’opera

terrena incurvi colui che la fede delle cose divine innalzò». E

sant’Ambrogio (39): «La fede cristiana, dice, a somiglianza del granello di

senapa, sembra a prima vista cosa piccola, vile, tenue, non ostentante la

sua potenza; quando poi diverse tentazioni hanno cominciato a colpirla,

allora manifesta il suo vigore ed esterna la sua forza, spira fervida

credenza nel Signore, ed è agitata da tanto ardore di fuoco divino, da

ardere essa stessa, e da costringere ad ardere ciò che ha con essa

attinenza».

 13. III. Paolo ricorda qua e là la fede sua, quella degli Apostoli e dei

Profeti (Cfr.: Ebrei c. 11). «La fede, scrive, è sostanza di cose da sperare,

e convinzione di cose che non si vedono» (Ebrei 11, 1). Si leggano pure le

altre cose che seguono.

Forza della fede in Paolo e nei Martiri

 14. IV. Paolo costantemente sopportò per la fede enormi fatiche, viaggi,

pericoli, battiture, carceri, ed infine la morte ed il martirio. Sant’Agostino

(40) esalta la fede del buon ladrone, poiché confessò, dalla croce, Cristo:

«Solamente è testimonio della maestà, dice, chi è riconosciuto compagno

di dolore».

 Maggiore fu la fede di Paolo, il quale non solamente soffrì con Cristo, ma

per Cristo tanti e così grandi dolori patì. Egregiamente scrive san Cipriano

(41): «La fede ed il timor di Dio ti devono disporre a qualsiasi cosa. Venga

pure la perdita delle cose familiari, venga pure l’assidua e cruenta

vessazione delle membra per opera di malattie infestanti, la triste

separazione dalla moglie e dai figli: non ti debbono tali cose essere di

scandalo, ma occasione di lotta; non debbono queste sventure indebolire

od abbattere la fede del cristiano, ma piuttosto devono farne risaltare, nella

lotta, la virtù; ogni ingiuria dei mali presenti si deve disprezzare, per la

speranza nei beni futuri. Se non precede la lotta non vi può essere la

vittoria; quando, sopportata la lotta, segue la vittoria, allora si concede ai

vincitori la corona. Il pilota dà prova di sé nelle tempeste, il soldato, nella

battaglia. L’albero di profonde radici non viene smosso ancorché i venti lo

investano. Così l’apostolo Paolo, dopo i naufragi; dopo le flagellazioni,

dopo molti e gravi tormenti della carne e del corpo, dice di non essere

abbattuto, ma di essere migliorato dalle avversità: poiché quanto più

gravemente è tormentato, altrettanto è più veracemente provato».

 Lo stesso Santo (42) scrive: «Il Signore volle che noi godessimo ed

esultassimo nelle persecuzioni, poiché, quando vi sono persecuzioni, si

danno corone alla fede, si riconoscono i militi di Dio, allora si aprono i

cieli ai martiri». E, più avanti (43), continua: «La forza della virtù e della

fede consiste nel credere e sapere che Dio può liberarci dalla morte

presente, e tuttavia non temere la morte, né cedere, onde la fede possa

avere una prova più forte». Ed ancora (44): «La forza della fede deve, o

fratello carissimo, rimanere presso di noi, immobile; ed una virtù stabile ed

inconcussa, contro ogni attacco ed ogni impeto dei rumorosi flutti, deve

resistere come scoglio che oppone la sua mole e la sua forza».

 15. V. Paolo ebbe la fede dei miracoli, che operò numerosissimi sulle

forze della natura, su ogni forza creata degli angeli e dei demoni, e

risuscitò i morti, come scrive Luca (Atti 19, 12): «Si portava ai malati i

fazzoletti ed i grembiuli stati sul corpo di lui, e da essi partivano le

malattie ed uscivano gli spiriti maligni».

Sant’Agostino (45) insegna che gli Apostoli ricevettero in tre maniere lo

Spirito Santo. La prima, come fedeli, per la grazia santificante; la seconda,

come Vescovi, Per conferire ad altri lo Spirito Santo nel Sacramento della

Confermazione e dell’Ordine; la terza come taumaturghi «per fare segni e

miracoli, ad incremento della fede. I miracoli, difatti, operati dagli

Apostoli, sono semi di fede».

AVE MARIA PURISSIMA!

sabato 23 ottobre 2021

Scienza di Paolo e amore a Paolo




FIGURA DI SAN PAOLO

Ossia l’ideale della vita apostolica

Siate miei imitatori

(Filippesi 3, 17)

APPROVAZIONI della presente edizione

NULLA OSTA Sac. G. Pelliccia

Roma, 15 giugno 1942

IMPRIMATUR

Can. P. Gianolio, Vic. Gen.

Alba, 20 giugno 1942.

SCHEMA DEL TRATTATO

Prefazione

Avvertimenti per la lettura di questo opuscolo.

Testo del Trattato di Cornelio A Lapide 

<<Effigies Divi Pauli sive Idea Vitae apostolicae>>

Introduzione.

Capo I. - Virtù e rapporti di Paolo verso Dio.

Capo II. - Virtù e rapporti di san Paolo verso di sé.

Capo III. - Virtù di Paolo verso il prossimo.

Appendice. - Profezia di Isaia sull’evangelizzazione dei Cinesi.

NOTIZIA SU CORNELIO ALAPIDE

PREFAZIONE

 1. In occasione di due centenari compiutisi nell’anno 1937, cioè il XIX

centenario della conversione di S. Paolo e il III centenario della morte del

P. Cornelio A Lapide S. J., è stata pubblicata dalla tipografia dell’Abbazia

Cistercense di Westmalle (Belgio), la 27.a edizione del trattato dello stesso

P. A Lapide sulle virtù di San Paolo. Questa edizione l’aveva preparata il

P. Romualdo Galdos S. J., Professore di ebraico e greco biblico nella

Pontificia Università Gregoriana, specialmente conosciuto per i suoi studi

e scritti sull’A Lapide.

 E’ sulla suddetta edizione che fu condotta la presente versione italiana, ed

è dalla Prefazione del P. Romualdo Galdos S. J. che vennero presi tutti i

dati necessari per spiegare l’occasione, la ragione e la finalità di questo

opuscolo, e gli Avvertimenti per la lettura del medesimo.

 2. Per migliore intelligenza, si comincia a spiegare l’importanza che ha

questo opuscolo, fra le opere del P. Cornelio A Lapide S. J.

 Per dare qualche idea relativa al valore di questo opuscolo, basta

segnalare il fatto che il Commentario sulle Lettere Paoline è, tra tutte le

opere di Cornelio A Lapide, quella che detiene il primato; primato

riconosciuto anche dal consenso unanime degli studiosi.

 Questo primato è prima di tutto cronologico, poiché il Commentario sulle

Lettere Paoline è la prima opera dell’A Lapide; in secondo luogo è un

primato di affetto, poiché l’autore predilesse e preelesse questa sua opera.

 Dopo quindici anni (dal 1596) di insegnamento della Sacra Scrittura nel

celebre collegio della Compagnia di Gesù in Lovanio, Cornelio A Lapide

conosceva perfettamente il Nuovo ed il Vecchio Testamento, anzi aveva

già approfondito i singoli libri dei due Testamenti. Quando, per consiglio

di amici e per comando dei superiori, egli si decise a stampare il primo suo

libro di esegesi, la scelta cadde subito, tra tutti i libri dei due Testamenti,

sui Commentari delle Lettere Paoline.

 Ecco la ragione di questa preferenza: «Ho esordito dalle Lettere di san

Paolo, sia perché queste sono importantissime e difficilissime; sia perché,

per la terza volta ed accuratamente, ebbi modo di tenere su esse le lezioni a

preferenza degli altri Libri Sacri; sia perché i nostri avversari e settari

assiduamente strepitano che Paolo è dalla loro parte, e ciò vanno

blaterando presso il volgo ignorante; sia perché Paolo, come vaso di

elezione e Dottore delle genti, con le sue Lettere istruisce e forma alla

sapienza, alla virtù ed alla perfezione cristiana tanto i Presuli ed i Pastori,

come i Principi ed i Magistrati, come ogni cristiano, di qualsiasi

condizione, stato e grado...»

 3. Quella che fu la prima opera, riguardo al tempo, rimase pure la prima

per dottrina ed erudizione, e la prima presso l’estimazione e l’opinione dei

lettori. Così fu la prima per successo editoriale.

 L’opera paolina raggiunse l’undicesima edizione, mentre era ancora in

vita l’A Lapide; dopo la di lui morte raggiunse oltre la cinquantesima

edizione. E ciò a ragione, poiché nei medesimi Commentari Cornelio A

Lapide dimostra veramente una eccezionale conoscenza della vita e delle

gesta di Paolo, ed una straordinaria ed intima scienza della sua dottrina e

delle sue Lettere. Non solo scienza e dottrina: ovunque dimostra un pari

amore verso l’Apostolo.

 Anche negli altri commentari manifesta spessissimo queste due cose:

scienza di Paolo e amore a Paolo; specialmente nei Commentari sugli Atti

degli Apostoli, che costituiscono l’integrazione storica e scritturale al

Commentario sulle Lettere Paoline. Anzi, di questa scienza paolina e di

questo amore paolino ce ne rimane un prezioso monumento, nei

prolegomeni agli Atti degli Apostoli, in ciò che dall’A Lapide è chiamata:

la "Effigies divi Pauli" la Figura di S. Paolo.

 Questa "effigies" è un prezioso documento della scienza paolina della

quale era adorno l’A Lapide, ed nel medesimo tempo un’insigne prova e

monumento dell’amore paolino di cui ardeva il suo cuore d’esegeta e di

apostolo.

 4. Fu ed è sempre desiderio dell’amante tenere presso di sé l’immagine ed

il profilo dell’amato o dell’amata, se non sulla carta, almeno nella mente e

nel cuore. Se l’amante poi, dopo essersi scolpito nella mente e nel cuore lo

figura della persona amata, può con le sue proprie mani esternarla ed

ornarla con la penna e col pennello, allora questo è ritenuto come il

supremo trionfo dell’amore: e giustamente l’A Lapide ottenne tale trionfo.

 Ardente di amore verso l’Apostolo delle genti, del quale portava la figura

nella mente e nel cuore, poté esternare tale figura e perfettissimamente

pitturarla con la penna. Trasse diligentemente ogni singola linea dalle frasi

delle Lettere paoline; la luce ed i colori li trovò presso i santi Padri,

specialmente presso S. Giovanni Crisostomo; fu un fortunato ed esauriente

attingitore.


5. Ho detto figura od immagine, prendendo dallo stesso A Lapide il primo

nome; ma più giustamente dirò che tre furono le figure di san Paolo

descritte e pitturate dall’A Lapide. Vorrei anzi dire che da lui venne ideato

ed esternato con la penna, assai felicemente, un artistico trittico di san

Paolo.

 Il nostro autore, in questo opuscolo, dopo fatti gli elogi generali di Paolo,

intendendo partitamente dipingere le virtù dell’Apostolo, «affinché

possiamo meglio contemplarlo, ammirarlo ed imitarlo», distingue queste

virtù, «per motivo di ordine e di memoria, in tre capi: Primo: virtù verso

Dio; secondo: verso di sé; terzo: verso il prossimo».

 Questi tre capi, come sono concepiti dall’A Lapide, ispirano tre scene di

un unico trittico. Prima scena: Paolo rapito al cielo per amore verso Dio e

verso Gesù; seconda scena: Paolo, per il medesimo duplice amore, si

immola vittima a Dio; terza scena: Paolo, per il medesimo duplice amore,

si prodiga per la salute delle anime.

 E’ cosa degna di ammirazione il vedere come l’A Lapide descriva e

spieghi in ogni parte di questo trittico tante e così scelte virtù di san Paolo.

L’A Lapide seppe, con felice inchiostro e penna fortunata, nella sua figura

di san Paolo, fedelmente riprodurre tutte queste virtù.

 Se l’avido lettore vuole contemplare più accuratamente questa pittura di

Paolo, fatta dall’A Lapide, circonfusa da maggior luce, legga specialmente

nei Commentari paolini del medesimo autore il completo e dotto proemio:

De praerogativis sancti Pauli. Se inoltre desidera conoscere le Lettere di

Paolo, la sua vita ed il suo spirito, l’erudizione dell’A Lapide, la sua

scienza ed il suo animo, legga allora, lo prego, anche i Commentari sugli

Atti degli Apostoli e massimamente sulle Lettere di san Paolo, scritti dal

nostro Cornelio A Lapide.

 6. Chi legge tali commentari si convincerà di certo, che, a ragione, il

nostro autore è considerato tra i principali e primi interpreti fioriti nel

secondo periodo aureo dell’esegesi cattolica; egualmente si convincerà che

il nostro Cornelio A Lapide può essere meritamente aggiunto come terzo,

accanto agli stessi speciali commentatori di san Paolo: i sommi Guglielmo

Estio e Benedetto Giustiniani. E’ inferiore ad essi nella parte linguistica,

anzi, nelle spiegazioni grammaticali, non è sempre preciso; ma, più

stringato di Giustiniani, accoglie veri tesori dai commentari dei Padri, e

dimostra una mirabile erudizione ed un’intima conoscenza delle Lettere

paoline. Per tali ragioni, i commentari dell’A Lapide su Paolo sono

giustamente preferiti alle altre sue opere esegetiche, e con verità debbono

essere avvicinati ai migliori commentari.

 Tra i migliori commentari di Cornelio A Lapide, non ultimo posto merita

questo opuscolo che ci presenta il vero ritratto di san Paolo.

 7. Si deve notare come questo opuscolo venga denominato dall’autore

anche con un altro titolo: "Idea vitae apostolicae", ossia "L’ideale della

vita apostolica". Prima di tutto san Paolo è, per Cornelio A Lapide,

"modello dell’uomo apostolico". Ciò ci svela lo spirito apostolico, di cui

arse continuamente il nostro autore, e che, volente o nolente, trapela in

ogni suo scritto: spirito apostolico vivo ed immortale. Cominciò il suo

lavoro di esegesi con vero spirito apostolico; lo continuò col medesimo

spirito, e con eguale spirito lo condusse felicemente a termine ed a

compimento.

 In tutti i volumi si hanno moltissime citazioni sulle missioni od allusive ad

esse, in nessun volume mancano le spiegazioni adattabili alle missioni, od

esempi missionari od altri, dedotti dai Santi e dagli uomini apostolici.

 Così, per esempio, il nome del grande santo Francesco Saverio si trova

spesso citato in tutti gl’indici analitici, coi quali termina ogni singolo

volume. Lo stesso deve dirsi, con più ragione, per il nome di san Paolo.

Questo spirito apostolico dell’A Lapide raggiunge in più volumi un tono

assai elevato, dominante, come nei Commentari sui Vangeli, sugli Atti

degli Apostoli, e massimamente su tutte e singole le Lettere di san Paolo.

Anzi l’A Lapide curò di inserire il medesimo spirito apostolico nello stesso

Antico Testamento, e vi riuscì felicemente, in modo speciale nei

Commentari sui Profeti. Ivi si trova la celebre profezia di Isaia (49, 12),

che l’A Lapide, non senza probabilità, interpreta applicandola al popolo

Cinese, che dev’essere chiamato ad entrare nella Chiesa. Questa

interpretazione, tanto curiosa quanto erudita, abbiamo pensato di riportarla

in una speciale Appendice, messa alla fine di questo nostro opuscolo.

 Terminiamo la nostra breve prefazione, con la preghiera veramente

apostolica, che il medesimo P. A Lapide pose al termine del suo proemio

De praerogativis sancti Pauli [Nei prolegomeni ai Commentari sulle

Lettere Paoline].

AMDG et DVM