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sabato 22 luglio 2017

Card. Giacomo Biffi

Omelia per Ordinazione sacerdotale 

E' circostanza provvidenziale e spiritualmente preziosa che questo rito di ordinazione si collochi stavolta nel giorno della Esaltazione della Croce. La connessione ci aiuta crescere nell'intelligenza del disegno e dell'iniziativa di Dio a favore della famiglia umana.

In apertura di questa celebrazione abbiamo ricordato che il Padre ha "voluto salvare gli uomini con la Croce di Cristo"; ma per la stessa volontà di salvezza è stato istituito il sacerdozio ministeriale, il quale perciò può essere adeguatamente compreso nella sua verità solo se lo si legge come prolungamento nella vicenda dei secoli della donazione del Figlio di Dio, che una volta per sempre si è immolato sul Golgota.


Nella medesima orazione di inizio abbiamo detto di aver conosciuto il Crocifisso come un "mistero d'amore"; ma appunto come un "mistero d'amore" va intesa anche l'istituzione del sacerdozio gerarchico, che nasce dalla misericordia del Signore: egli difatti non vuol lasciare i figli di Adamo sbandati e persi "come pecore senza pastore" (cfr. Mt 9,36).


E voi, carissimi che state per offrirvi all'imposizione delle mie mani, siete una concreta, generosa, irrevocabile risposta d'amore all'amore del Padre che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (cfr. Gv 3,16.17).

* * *
Tra qualche istante una forza misteriosa, ma più reale di qualunque energia terrestre, discenderà su ciascuno di voi e lo costituirà segno e strumento della misericordia di Dio: una misericordia di verità, per l'uomo che troppo spesso spende la sua unica vita senza consapevolezza e addirittura nello sviamento dell'errore; una misericordia di vigore soprannaturale e di speranza, per l'uomo debole e sfiduciato di fronte agli impulsi del male; una misericordia di consolazione e di letizia, per l'uomo alle prese con mille motivi di tristezza e di angoscia.

Nell'Eucaristia - sole di ogni vostra giornata, centro e ispirazione di ogni vostra operosità - voi renderete presente ed efficace nell'oggi il sacrificio di redenzione da cui viene a noi ogni bene. E, fosse anche soltanto per questo, sarete i membri più benemeriti e proficui della comunità civile in cui sarete inseriti.


Attraverso il vostro cuore e le vostre labbra arriverà ai fratelli il perdono del Signore Gesù, che lenisce il rimorso, che ridona la pace interiore, che prodigiosamente ripristina l'innocenza. 


E sarete voi a tentare e ritentare instancabilmente di assicurare un po' di spazio, in mezzo al chiasso frastornante e vacuo della mondanità, alla parola di Dio che è spirito e vita; quella parola di Dio che è più tagliente della spada a due tagli (cfr. Eb 4,12); quella parola di Dio che - per chi l'accoglie - è fresca e rianimatrice come l'acqua per la terra riarsa, è guida come il faro nella notte, è vivificante come la linfa negli steli a primavera. 

Quella parola di Dio alla quale dovrete quotidianamente abbeverarvi voi per primi, sempre inquadrandola e assaporandola entro l'intera ricchezza dell'evento ecclesiale, se non volete ridurvi a essere "un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna" (cfr. 1 Cor 13,1).
* * *
Come si vede, prerogative e compiti altissimi vi vengono oggi affidati, perché il sacerdozio è un mistero meraviglioso d'amore. Ma è anche una consegna ardua e difficile.

In ogni persona che incontrerete, anche in coloro che vi sembreranno ostili o, peggio, ostenteranno indifferenza di fronte alla vostra missione, voi dovrete saper ravvisare una icona, magari un po' deteriorata ma sempre autentica, del Signore Gesù; in ogni persona dunque dovrete vedere un fratello da rispettare sempre e da amare. 


Di ogni "lontano" voi dovete saper fare un "vicino", un "prossimo" che merita la vostra attenzione benevola e il vostro aiuto.


Voi dovrete attrarre a voi e alla comunità cristiana quanti più potete, mettendo a profitto anche i doni di simpatia, di cui siete stati gratificati dal vostro Creatore. Ma nessuno dovete legare a voi, perché tutti sono del Signore Gesù e tutti a lui vanno indirizzati e fattivamente avviati. 

E' lui lo sposo di ogni creatura, lo sposo dell'umanità riscattata e rinnovata, lo sposo della santa Chiesa Cattolica. Il sacerdote custodirà perciò tra le sue convinzioni quella di Giovanni il Battezzatore: di essere cioè "l'amico dello sposo" (cfr. Gv 3,29). E si ripeterà spesso dentro di sé: "Egli deve crescere, io invece diminuire" (Gc 3,30).

Non dovete temere, però. Se voi sarete con lui, nella vostra retta intenzione, nella limpidità della vostra coscienza, nella decisione di fare della "carità pastorale" la regola onnicomprensiva del vostro comportamento, il Signore sarà sempre con voi. 

E non vi mancherà il soccorso della preghiera dei santi, vostri protettori, che tra qualche istante invocheremo. Insomma, è una bella avventura quella che stasera comincia per voi.
* * *
Abbiamo detto all'inizio che oggi si celebra la "Croce". Ma attenzione: è la festa della esaltazione della Croce.

Il che vuol dire che la croce non è l'ultima parola né delle promesse di Dio né di ciò che dal suo ministero può attendersi un prete. 

La croce è la premessa e la ragione della fecondità soprannaturale, della gioia, della gloria.

Così è stato per Gesù che (ce lo ha spiegato l'inno della lettera ai Filippesi) il Padre "ha esaltato e gli ha dato il nome che sta sopra ogni altro nome" (Fil 2,9). Così sarà di chi vive con serietà e coerenza la sua speciale partecipazione al sacerdozio del Signore crocifisso e risorto.


Appunto la croce, che pur non vi mancherà nel vostro ministero, sarà la fonte segreta e inesausta della vostra letizia. Colui che vi garantisce la pena, vi garantisce anche una vita intimamente gioiosa qui in terra e una grande felicità nel Regno eterno di Dio.


AMDG et BVM

sabato 17 dicembre 2016

La mia ordinazione


GIOVANNI PAOLO Il 

Dal libro "Dono e Mistero" Sacerdote!

La mia ordinazione ebbe luogo in un giorno insolito per tali celebrazioni: essa avvenne il primo novembre, solennità di Tutti i Santi, quando la liturgia della Chiesa è tutta rivolta a celebrare il mistero della comunione dei santi e s'appresta a fare memoria dei fedeli defunti. L'Arcivescovo scelse questa data, perché dovevo partire per Roma per proseguire gli studi. Fui ordinato da solo, nella cappella privata degli Arcivescovi di Cracovia. I miei colleghi sarebbero stati ordinati l'anno seguente, nella Domenica delle Palme.

Ero stato ordinato suddiacono e diacono in ottobre. Fu un mese di intensa preghiera, scandito dagli Esercizi Spirituali con i quali mi preparai a ricevere gli Ordini sacri: sei giorni di Esercizi prima del suddiaconato, e poi rispettivamente tre e sei giorni prima del diaconato e del presbiterato. Gli ultimi Esercizi li feci da solo nella cappella del seminario. Il giorno di Tutti i Santi mi presentai di mattina nella residenza degli Arcivescovi di Cracovia, in via Franciszkanska 3, per ricevere l'Ordinazione sacerdotale. Alla cerimonia partecipava un piccolo gruppo di parenti e di amici.



Ricordo di un fratello nella vocazione sacerdotale

Il luogo della mia Ordinazione, come ho detto, fu la cappella privata degli Arcivescovi di Cracovia. 
Ricordo che durante l'occupazione vi andavo spesso di mattina, per fare da ministrante al Principe Metropolita durante la Santa Messa. 
Ricordo anche che per un certo periodo veniva con me un altro seminarista clandestino, Jerzy Zachuta. Un giorno egli non si presentò. Quando dopo la Messa passai da casa sua, a Ludwinw (presso Debniki), seppi che durante la notte era stato prelevato dalla Gestapo. Subito dopo, il suo cognome comparve nell'elenco dei polacchi destinati alla fucilazione. Venendo ordinato in quella stessa cappella che ci aveva visti tante volte insieme, non potevo non ricordare questo fratello nella vocazione sacerdotale che in altro modo Cristo aveva unito al mi-stero della sua morte e della sua risurrezione.

Veni, Creator Spiritus!

Mi rivedo, così, in quella cappella durante il canto del "Veni, Creator Spiritus" e delle Litanie dei Santi, mentre, steso per terra in forma di croce, aspettavo il momento dell'imposizione delle mani. Un momento emozionante! 
In seguito ho avuto modo di presiedere molte volte questo rito come Vescovo e come Papa. C'è qualcosa di impressionante nella prostrazione degli ordinandi: è il simbolo della loro totale sottomissione di fronte alla maestà di Dio e contemporaneamente della piena disponibilità all'azione dello Spirito Santo, che di-scende in loro come artefice della consacrazione. "Veni, Creator Spiritus, mentes tuorum visita, imple superna gratia quae Tu creasti pectora."

Come nella Santa Messa Egli è l'artefice della transunstanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, così nel sacramento dell'Ordine Egli è l'artefice della consacrazione sa-cerdotale o episcopale. Il vescovo, che conferisce il sacramento dell'Ordine, è dispensatore umano del mistero divino. 


L'imposizione delle mani è continuazione del gesto già praticato nella Chiesa primitiva per indicare il dono dello Spirito Santo in vista di una determinata missione (cfr. At 6,6; 8,17;13,3). Paolo lo utilizza nei confronti del discepolo Timoteo (cfr. 2Tm 1,6; 1Tm 4,14) ed il gesto resta nella Chiesa (cfr. 1Tm 5,22) come segno efficace della presenza operante dello Spi-rito Santo nel sacramento dell'Ordine.

Il pavimento

Chi s'appresta a ricevere la sacra Ordinazione si prostra con tutto il corpo e poggia la fronte sul pavimento del tempio, manifestando con ciò la sua completa disponibilità ad intraprendere il ministero che gli viene affidato. 
Quel rito ha segnato profondamente la mia esistenza sacerdotale. Anni più tardi, nella Basilica di San Pietro - si era all'inizio del Concilio - ripensando a quel momento dell'Ordinazione sacerdotale, scrissi una poesia di cui mi piace riportare qui un frammento: 
«Sei tu, Pietro. Vuoi essere qui il Pavimento su cui camminano gli altri... per giungere là dove guidi i loro passi... Vuoi essere Colui che sostiene i passi - come la roccia sostiene lo zoccolare di un gregge: Roccia è anche il pavimento d'un gigantesco tempio. E il pascolo è la croce». (Chiesa: 1 Pastori e le Fonti. Basilica di San Pietro, autunno 1962: 11.X - 8AII, Il Pavimento).

Scrivendo queste parole pensavo sia a Pietro che a tutta la realtà del sacerdozio ministeriale, cercando di sottolineare il profondo significato di questa prostrazione liturgica. In quel giacere per terra in forma di croce prima dell'Ordinazione, accogliendo nella propria vita - come Pietro - la croce di Cristo e facendosi con l'Apostolo «pavimento» per i fratelli, sta il senso più profondo di ogni spiritualità sacerdotale.

AVE MARIA PURISSIMA!

venerdì 5 luglio 2013

Domingo XIV Tiempo Ordinario, C: San Lucas 10,1-12.17-20. 7/7/2013



JESÚS MANDA A LOS 72 A ANUNCIARLO






JESÚS SE QUEDA EN EL JARDÍN DE MARÍA MAGDALENA CON 
LOS APÓSTOLES Y DISCÍPULOS

Terminada la comida Jesús dice a los pobres que se retiren, y Él se queda con los apóstoles y discípulos en el jardín de María Magdalena. Se van a sentar en sus límites, muy cerca de las aguas quietas del lago en el que navegan barcas en busca de pesca.
"Tendrán buena pesca" comenta Pedro que las está mirando.
"También tú tendrás una buena pesca, Simón de Jonás."
"¿Yo, Señor? ¿Cuándo? ¿Quieres decirme que vaya a pescar para la comida de mañana? Voy al punto..."
"No tenemos necesidad de comida en esta casa. La pesca que harás, será en lo futuro y en el campo espiritual. Y la mayor parte de estos serán contigo óptimos pescadores."
"¿No todos, Maestro?" pregunta Mateo.

REVELACIONES DE JESÚS 

LOS PODERES QUE TENDRÁN SUS SACERDOTES

NO SÓLO PODRÉIS ACONSEJAR, SINO QUE PODRÉIS ABSOLVER 
EN MI NOMBRE. PODRÉIS SOLTAR DE LAS CADENAS DEL 
PECADO Y PODRÉIS UNIR A DOS QUE SE AMAN, FORMANDO 
UNA SOLA CARNE. Y CUANTO HUBIEREIS HECHO SERÁ VÁLIDO 
ANTE LOS OJOS DE DIOS COMO SI DIOS MISMO LO HUBIESE 
HECHO. EN VERDAD OS DIGO: CUANTO LIGAREIS EN LA 
TIERRA, SERÁ LIGADO EN EL CIELO; CUANTO DESATAREIS EN 
LA TIERRA, SERÁ DESATADO EN EL CIELO.

"No todos. Los que perseveraren y llegaren a ser mis sacerdotes, tendrán una buena pesca."
"Conversiones, perdones, guías que lleven a Dios. ¡Oh! tantas cosas."
"Oye, Maestro. Hace poco dijiste que si alguien no escucha a su hermano ni siquiera ante la presencia de testigos, que vaya a pedir consejo a la sinagoga. Si he entendido bien lo que nos has dicho desde que nos conocemos, me parece que la sinagoga será reemplazada por la Iglesia, esa cosa que Tú fundarás.Entonces ¿a dónde iremos para aconsejar a los hermanos de cabeza dura?"
"Iréis a vosotros mismos, porque seréis mi Iglesia. Por esto los fieles vendrán a vosotros o por consejo que necesitan, o porque lo deben a otros. Os digo más. No sólo podréis aconsejar, sino que podréis absolver en mi nombre. Podréis soltar de las cadenas del pecado y podréis unir a dos que se aman, formando una sola carne. Y cuanto hubiereis hecho será válido ante los ojos de Dios como si Dios mismo lo hubiese hecho. En verdad os digo: cuanto ligareis en la tierra, será ligado en el cielo; cuanto desatareis en la tierra, será desatado en el cielo. Aun más. Yo os digo, para hacer comprender la potencia de mi Nombre, mi Padre se lo concederá.Porque la plegaria es una gran potencia, como lo es la unión fraternal, y grandísima, infinita potencia es mi Nombre y mi presencia entre vosotros. Y donde dos o tres estén reunidos en mi Nombre, allí estaré en medio de ellos, y rogaré por ellos, y el Padre no rechazará a quien ruegue conmigo. Muchos no obtienen porque ruegan solos, o por motivos ilícitos o por orgullo, o con pecado en el corazón. Purificaos el corazón para que pueda estar con vosotros, y luego rogad y seréis escuchados.
Pedro está pensativo. Jesús lo ve y le pregunta la razón. Pedro da la explicación: "Pienso que estamos llamados a un gran deber. Tengo miedo. Miedo de no saberlo hacer bien."
"En realidad, Simón de Jonás, o Santiago de Alfeo o Felipe, y así sucesivamente, no serían capaces de hacerlo bien. Pero el sacerdote Pedro, el sacerdote Santiago, el sacerdote Felipe, sabrán hacerlo bien, porque lo harán juntamente con la divina Sabiduría."

¿CUÁNTAS VECES DEBEMOS PERDONAR A LOS HERMANOS?

 NO TE DIGO SIETE, SINO SETENTA VECES SIETE.

"Y ¿cuántas veces debemos perdonar a los hermanos? ¿Cuántas, si pecan contra los sacerdotes? y ¿cuántas si pecan contra Dios? Porque si las cosas serán como ahora, claro que pecarán contra nosotros, teniendo en cuenta que pecan contra Ti muchas y repetidas veces ¿Siete o más, por ejemplo?"
"No te digo siete, sino setenta veces siete. Un número sin medida. Porque también el Padre de los cielos os perdonará muchas veces, un gran número de veces, a vosotros que deberíais ser perfectos. Y como Él hace con vosotros, de la misma manera debéis hacer, porque representaréis a Dios en la tierra. Os voy a decir una parábola que servirá a todos."
Jesús que estaba rodeado de solo los apóstoles, en un kiosco pequeño de bojes, se dirige a los discípulos que están respetuosamente juntos en un espacio libre que tiene una lagunita llena de aguas limpias. La sonrisa de Jesús es como la señal de una palabra. Mientras Él se dirige a ellos con su paso lento y largo con el que avanza bastante en pocos momentos, y sin apresurarse, todos ellos se alegran, y como niños alrededor de quien les hace felices, se agolpan a su alrededor. Una corona de caras atentas. Jesús se pone de espaldas contra un alto árbol y empieza a hablar.

PARÁBOLA DEL REY QUE QUISO PEDIR CUENTAS A SUS 
SIERVOS.

"Cuanto dije al pueblo antes, es más perfecto entre vosotros que sois mis elegidos. El apóstol Simón de Jonás me preguntó: "¿Cuántas veces debo perdonar? ¿A quién? ¿Por qué?" Le respondí en privado y ahora repito a todos mi respuesta en lo que es justo que desde ahora sepáis.
Oíd cuantas veces se debe perdonar, cómo y por qué. Es menester perdonar como Dios perdona. Si se peca mil veces, y se arrepiente otras tantas veces, mil veces perdona. Con tal de que vea que en el culpable no hay voluntad de pecar, ni que quiere buscar lo que le hace pecar, sino que más bien el pecado es sólo fruto de una debilidad humana. En el caso de persistencia voluntaria en el pecado no puede haber perdón para las culpas cometidas contra la Ley. Pero por más que estas culpas os produzcan dolor individualmente, perdonad. Perdonad siempre a quien os hace mal. Perdonad para ser perdonados porque también habéis ofendido a Dios y a los hermanos. El perdón abre el reino de los cielos tanto al perdonado como al que perdona. Es semejante a esto lo que sucedió entre un rey y sus siervos.
Un rey quiso pedir cuentas a sus siervos. Los llamó a uno por uno comenzando por los que estaban más en alto. Vino uno que le debía diez mil talentos. Este no tenía con qué pagar el anticipo que el rey le había prestado para construir casas y otras propiedades. En realidad no había por muchos motivos más o menos justos, usado con mucho cuidado el dinero recibido. El rey enojado de la haraganería y falta de palabra, mandó que fuese vendido él, su  mujer, sus hijos y todo cuanto poseía para que saldase su deuda. Pero el siervo se arrojó a los pies del rey y con gemidos y súplicas le decía: "No me hagas nada, ten un poco más de paciencia y te devolveré todo cuanto te debo, hasta el último centavo". El rey, compadecido por tanta aflicción -era un rey bueno- no sólo consintió en dejarlo libre, sino que después de haber sabido que entre las causas de su poco cuidado y de la falta de pago se contaban algunas enfermedades, le llegó a perdonar la deuda.
El súbdito se fue feliz. Pero, al salir de allí encontró en el camino a otro súbdito, un pobre súbdito al que le había prestado cien denarios tomados de los diez mil talentos que había recibido del rey. Persuadido del favor del rey, creyó que todo le era lícito y asiendo a aquel infeliz por la garganta le dijo: "Devuélveme al punto lo que me debes". Inútilmente el hombre en medio de lágrimas se inclinó a besarle los pies, diciendo: "Ten piedad de mí, pues tengo muchas desgracias. Ten todavía un poco de paciencia y te devolveré todo, hasta el último centavo". El siervo despiadado llamó a los soldados e hizo que llevasen a la prisión al infeliz para que le pagase, so pena de su libertad o aun de su vida.
Lo supieron amigos del desgraciado los cuales, todos afligidos, fueron a referirlo al rey. Este, al oír tal cosa, ordenó que le fuese llevado ante sí el servidor despiadado y mirándolo severamente le dijo: "Siervo inicuo, te ayudé primero para que fueses misericordioso, para que te hicieses una fortuna, después te ayudé todavía perdonándote la deuda porque me pedías tanto que te tuviese paciencia. Tú no tuviste piedad de uno igual a ti, mientras yo, el rey, te tuve tanta. ¿Por qué no obraste como se te trató a ti?" Y enojado lo entregó a los carceleros para que lo encerrasen hasta que hubiese pagado todo, diciendo: "Como no tuvo compasión de uno que le debía poco, mientras de mí, el rey, tuvo tanta, así no encontrará piedad en mí".
De igual modo se comportará mi Padre con vosotros si fueseis despiadados con vuestros hermanos; si vosotros, que recibisteis tanto de Dios, fuereis culpables más de lo que no lo es un infiel. Recordad que en vosotros existe la obligación más que en cualquier otro de no tener culpas. Recordad que Dios os anticipa un gran tesoro, pero quiere que le deis cuenta de él. Recordad que nadie como vosotros debe saber practicar el amor y perdón.

NO SEÁIS DE LOS SIERVOS QUE PARA VOSOTROS PEDÍS 
MUCHO, Y LUEGO NO DAIS NADA A QUIEN OS PIDE.

LA MIES ES MUCHA Y LOS OPERARIOS SERÁN SIEMPRE POCOS 
RESPECTO A LAS NECESIDADES. HABRÁ, PUES, TRABAJO PARA 
TODOS, Y NO SERÁN SUFICIENTES, POR ESTO OS RUEGO QUE 
SIN CELOS, PIDÁIS AL DUEÑO DE LA MIES QUE ENVÍE SIEMPRE 
NUEVOS OPERARIOS PARA SU COSECHA.

No seáis de los siervos que para vosotros pedís mucho, y luego no dais nada a quien os pide. Como os comportáis así seréis tratados. Y se os pedirá también cuenta de cómo obran los demás, que fueron arrastrados al bien o al mal por vuestro ejemplo. ¡Oh, si fuereis verdaderos santificadores, poseeréis una gloria muy grande en los cielos! Pero de igual modo, si fuereis unos pervertidores o aunque solo unos haraganes en santificar, seréis castigados con dureza.
Os lo repito una vez más. Si alguno de vosotros no se siente con ánimo de ser víctima de la propia misión, que se vaya, pero que no falte a ella. Y digo que no falte en las cosas que verdaderamente arruinan la propia formación y ajena. Y que sepa tener como amigo a Dios, teniendo siempre en el corazón perdón por los débiles. Así pues al que sepa perdonar, Dios le perdonará.
Nuestra estadía ha terminado. La fiesta de los Tabernáculos se acerca. A los que temprano hablé por separado, desde mañana irán precediéndome y anunciándome a la gente. Los que se quedan, no pierdan ánimos. A algunos los he detenido por motivos de prudencia, no por desprecio. Se quedarán conmigo y pronto los mandaré como mando a los setenta y dos primeros. La mies es mucha y los operarios serán siempre pocos respecto a las necesidades. Habrá, pues, trabajo para todos, y no serán suficientes, por esto os ruego que sin celos, pidáis al Dueño de la mies que envíe siempre nuevos operarios para su cosecha.

"¿Y CÓMO, PODRÉ CURAR EN TU NOMBRE?" 

CURAD SIEMPRE Y PRIMERO EL ESPÍRITU. 
PROMETED A LOS ENFERMOS EL REINO DE DIOS 
SI SUPIESEN CREER EN MÍ, Y VIENDO QUE EN 
ELLOS HAY FE, ORDENAD A LA ENFERMEDAD 
QUE SE VAYA, Y SE IRÁ.

Entre tanto id. Yo y los apóstoles terminamos en estos días vuestra instrucción en el trabajo que debéis hacer, repitiendo lo que dije antes de enviar a los doce. Uno de vosotros me preguntó: "¿Y cómo, podré curar en tu nombre?" Curad siempre y primero el espíritu. Prometed a los enfermos el reino de Dios si supiesen creer en Mí, y viendo que en ellos hay fe, ordenad a la enfermedad que se vaya, y se irá. Haced lo mismo con los enfermos del espíritu. Encended primeramente la fe. Dad con palabras seguras la esperanza. Yo añadiré en ellos la divina caridad, así como os la puse en el corazón después que creísteis en Mí y esperasteis en la misericordia. No tengáis miedo ni de los hombres ni del demonio. No os harán mal. Lo único que debéis temer son la sensualidad, la soberbia y la avaricia. Por ellas os podréis entregar a Satanás y a los hombres satanes, que también los hay.
Id, pues delante de Mí, por los caminos del Jordán. Llegados a Jerusalén idos a reunir con los pastores en el valle de Belén, y juntos con ellos venid a Mí en el lugar que se os diga, y juntos celebraremos la fiesta santa, regresando más fortalecidos que nunca a nuestro ministerio.
Id en paz. Os bendigo en el Santo Nombre del Señor."
V. 906-910
A. M. D. G. et B.V.M.

domenica 30 dicembre 2012

Battezzato nel giorno natale del martire Valente, Valentino volle essere detto

Mi piace pubblicare anzitempo  una bella antichissima omelia. Il tutto
potrà servire per il prossimo 14 febbraio! 


L'Omelia per san Valentino


16 - 1, ore 6 ant.

Scrivo alla luce del lumino di cera, e non so come scriverò. Ma non voglio
soffrire quello che ho sofferto ieri. Mentre dicevo il “Veni Sancte Spiritus” mi
si presenta questa visione, ed è così prepotente che capisco l’inutilità di
insistere a pregare. La seguo perciò. E vedendola complessa la scrivo come posso
a questa luce.

Sono di certo nelle catacombe. In quale? In quale secolo? Non so. Sono in una
chiesa catacombale fatta così: [grafico]. Insomma a rettangolo terminato da una
vasta aula rotonda nel cui centro è l’altare: una tavola rettangolare, staccata
dalla parete, coperta da una vera tovaglia, ossia da un telo di lino ad alti
orli su tutti i quattro lati, ma senza merletti e ricami.

Sulla parete dell’abside è dipinta una scena evangelica: il Buon Pastore. Non è
certo un capolavoro. Una via di campagna che pare mota gialla; una chiazza
verdastra oltre la via, a sinistra di chi guarda, sarebbe il prato; sette pecore
ammassate tanto da parere un blocco solo, di cui solo delle due prime si vede il
muso mentre le altre paiono fagotti panciuti, camminano sulla via, venendo verso
chi guarda, ai limiti del prato. Il Buon Pastore è al loro fianco, sul fondo,
vestito di bianco e col manto rosso sbiadito. Ha sulle spalle una pecorina che è
tenuta per le zampette da Lui. Il pittore, o mosaicista, ha fatto tutto quello
che ha potuto... ma non si può certo dire che Gesù sia bello. Ha il
caratteristico volto piatto, largo più che lungo perché preso di fronte, dai
capelli stesi e appiccicati, troppo scuri e opachi, dei dipinti e mosaici
cristiani primitivi. Non ha neppure la barba. Però nel suo brutto ha uno sguardo
mesto e amoroso che attira, ed una mossa, sulla bocca, di sorriso doloroso che
fa pensare.
Nel punto segnato da una crocetta vi è una bassa apertura. Ma tanto bassa che
solo un fanciullo potrebbe passare senza urtarvi il capo. Sopra, una lapide
lunga quanto un uomo segna un loculo. Sulla lapide è scritto il “Pax” che si
usava allora e sotto in latino: “Ossa del beato martire Valente”. Ai lati della
epigrafe sono graffite una ampolla e una foglia di palma.

In fondo alla chiesa, dove è il segno rotondo, un’altra bassa apertura, e presso
ad essa vedo quattro robusti fossori, armati di pale e picconi. Sono vicini a
due mucchi di arenaria di sterro. Arguisco che si sia in tempo di persecuzioni e
che siano pronti a far franare la parete e ad occultare la chiesa con la frana e
coi mucchi di arenaria già pronti.

Nella chiesa vi è il solito chiarore giallo-rosso tremolante delle lampadette ad
olio. Verso l’altare la luce è più viva. Nel fondo è appena un chiarore nel
quale si perdono i contorni delle persone vestite per lo più di scuro.
L’altare ha sopra il calice, ancora coperto. Ma la Messa deve essere già
iniziata. All’altare vi è un vegliardo dal volto ascetico, pallidissimo, sembra
scolpito nel vecchio avorio. La tonsura si perde nella calvizie che mette solo
una corona di soffici capelli bianchi intorno al capo sino al disopra delle
orecchie. Il resto è nudo, e la fronte pare immensa. Sotto essa due chiari occhi
cilestrini, miti, tristi, limpidi però come quelli di un bimbo. Naso lungo e
sottile, bocca dalla caratteristica piega dei vecchi, dalle mascelle molto
sdentate. Un viso magro e austero di santo. Lo vedo bene perché è vòlto verso di
me, stando nel rito dall’altra parte dell’altare. Ha la pianeta di allora, ossia
a mantellina, e sopra ha il pallio oltre la stola.

Sul davanti dell’altare vi sono inginocchiati (dove ho messo i tre punti) tre
giovani. I due ai lati hanno la casacchetta dei diaconi, con le maniche larghe e
lunghe oltre i gomiti. Quello di centro ha la veste già a pianeta, con le
maniche fatte da una mantellina che va dalle coste alle scapole, a tracolla ha
la stola. Vedendo la stola, che se bene mi ricordo non vidi nelle prime Messe,
arguisco che non vedo scena dei primi tempi. Penso essere nella fine del II
secolo o agli inizi del III. Però potrei sbagliare, perché questa è riflessione
mia e in fatto di archeologia cristiana e di cerimonie di quei tempi sono
analfabeta.

Il Pontefice - deve essere tale per il pallio - passa sul davanti dell’altare e
viene a porsi di fronte ai tre giovani inginocchiati. Impone le mani al primo e
al terzo pronunciando preghiere in latino. Poi si porta di fronte a quello di
centro, quello della stola a tracolla, e impone anche a lui le mani sul capo;
poi, servito da uno vestito da diacono, intinge le dita in un vaso d’argento e
unge la fronte e le palme delle mani del giovane, alita a lui in viso, anzi
prima alita poi unge le mani, gliele lega insieme con un lembo della stola che
l’aiutante ha slegata dal corpo di lui, e l’altra parte gliela passa sul collo
come un giogo. Poi lo fa alzare e, tenendolo per le mani legate, lo fa salire
sui tre scalini che conducono all’altare e glielo fa baciare, e baciare quello
che suppongo sia il Vangelo: un voluminoso rotolo tenuto da un nastro rosso. Poi
lo bacia a sua volta e lo conduce con sé dall’altra parte e continua la Messa.

Capisco ora, però, che era da poco iniziata, perché dopo poco (è quasi uguale
alla nostra e anche questo mi fa capire che siamo almeno alla fine del II
secolo) si giunge al Vangelo. Lo canta il nuovo sacerdote (penso sia stata una
ordinazione sacerdotale). Viene di nuovo sul davanti dell’altare, e i due che
erano ancora in ginocchio si alzano, uno prende una lampadetta, l’altro il
rotolo del Vangelo che gli porge quello che già serviva all’altare. Il diacono
svolge il rotolo e lo tiene aperto al punto giusto, stando di fronte al neo
sacerdote che ha al fianco quello della lampada. Il neo sacerdote, che è alto,
bruno, coi capelli piuttosto ondulati, sui trent’anni, dal volto
caratteristicamente romano, canta con bella voce il Vangelo di Gesù e del
giovane che gli chiede che fare per seguire Lui
(Matteo 19, 16-30; Marco 10, 17-27; Luca 18, 18-30.)

Ha una voce sicura e forte, ben tonata. Empie la chiesa.
Canta con canto fermo e con un sorriso luminoso nel
volto, e quando giunge al “Vade, quaecumque habes vende et da pauperibus et
habebis thesaurum in coelo et veni sequere Me” la sua voce è uno squillo di
gioia e di amore.
Bacia il Vangelo e torna presso il Pontefice che ha ascoltato in piedi il
Vangelo, vòlto verso il popolo e con le mani congiunte in preghiera. Il neo
sacerdote si inginocchia ora.

Il Pontefice [Marcello] invece pronuncia la sua omelia:

«Battezzato nel giorno natale del martire Valente, il nuovo figlio della Chiesa
Apostolica e Romana, e fratello nostro, ha voluto assumere il nome del martire
beato, ma con quella modifica che l’umiltà attinta dal Vangelo - l’umiltà: una
delle radici della santità - gli dettava. E non Valente, ma Valentino volle essere detto.

Oh! ma che in vero Valente egli è. Guardate quanto cammino ha fatto il pagano la
cui religione era il vizio e la prepotenza. Voi lo conoscete quale è ora, nel seno della Chiesa. 
Qualcuno fra voi - e specie quelli che padri e madri di vera generazione gli sono stati, per essere quelli che con la parola e l’esempio
l’hanno fatto concepire dalla Santa Madre Chiesa e partorire da essa per l’altare e per
il Cielo - sanno quello che egli era non come cristiano Valente ma come il
pagano di prima, il cui nome egli, e noi con lui, non vogliamo neppur ricordare.
Morto è il pagano. 

E dall’acqua lustrale è risorto il cristiano. 
Ora egli è il vostro prete. Quanto cammino! Quanto! 
Dalle orgie ai digiuni; 
dai triclini alla chiesa; 
dalla durezza, dall’impurità, dall’avarizia, all’amore, alla castità, alla generosità assoluta.

Egli era il giovane ricco, e un giorno ha incontrato, portato a lui dal cuore
dei santi, che anche senza parole illustrano Cristo - perché Egli traluce dal
loro animo - ha incontrato Gesù, Signor nostro benedetto. 
Gli occhi dolcissimi del Maestro si sono fissati 
sul volto del pagano. E il pagano ha provato una seduzione che nessun piacere gli aveva 
ancor data, una emozione nuova, dal nome
sconosciuto, dalla non descrivibile sensazione. 

Un che di soave come carezza di madre, di onesto come odore di pane testé sfornato, di puro come alba di primavera, di sublime come sogno ultraterreno.

Cadete voi larve del mondo e dell’Olimpo pagano quando il Sole Gesù bacia un suo
chiamato. Come nebbie vi dissolvete. Come incubi demoniaci fuggite. Che resta di
voi? Di voi che sembravate tanto splendida cosa? Un mucchio lurido di detriti
inceneriti malamente e ancor fetidi di corruzione.
“Maestro buono, che devo fare per seguire Te e avere la vita eterna?” ha chiesto. 
E il dolce, divino Maestro, con poche parole gli ha dato l’insegnamento di Vita: 
“Osserva questi comandi”. Oh! non gli poteva dire: “Segui la Legge!”.
Il pagano non la conosceva. Gli disse allora: “Non uccidere, non rubare, non spergiurare, 
non essere lussurioso, onora i parenti e ama Dio e prossimo come te stesso”
Parole nuove! Méte mai pensate! 
Orizzonti infiniti pieni di luce. Della sua luce.

Il pagano non poteva dare la risposta del giovane ricco. Non poteva. Perché nel
paganesimo sono tutti i peccati ed egli tutti li aveva nel cuore. Ma volle poterla dare. 
E venne ad un povero vecchio, al Pontefice perseguitato, e disse:
“Dàmmi la Luce, dàmmi la Scienza, dàmmi la Vita! Un’anima dàmmi, in questo mio
corpo di bruto!”, e piangeva.
E il povero vecchio, che io sono, ha preso il Vangelo ed in esso ha trovato la Luce, 
la Scienza, la Vita per il mendicante piangente. Ho trovato tutto nel Vangelo di Gesù, nostro Signore, per lui. 

E gli ho potuto dare l’anima. L’anima
morta evocarla a vita, e dirgli: “Ecco l’anima tua. Custodiscila per la vita eterna”.
Allora, bianco del bagno battesimale, egli si è dato a ricercare il Maestro buono e lo ha trovato ancora e gli ha detto: “Ora posso dirti che faccio ciò che Tu mi hai detto. Che altro manca per seguire Te?”. 
E il Maestro buono ha risposto: 
“Va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri. Allora sarai perfetto e potrai seguire Me”.

Oh! allora Valentino ha superato il giovane di Palestina! Non se ne andò via,
incapace di separarsi da tutti i suoi beni. 
Ma questi beni mi ha portato per i
poveri di Cristo e, libero dal giogo delle ricchezze, pesante giogo che impedisce 
di seguire Gesù, mi ha chiesto il giogo luminoso, alato, paradisiaco del Sacerdozio.
Eccolo. Lo avete visto sotto quel giogo, con le mani legate, prigioniero di Cristo, salire al suo altare. Ora vi frangerà il Pane eterno e vi disseterà col Vino divino. 

Ma lui, come io, per esser perfetti agli occhi del Maestro buono vogliamo ancora una cosa. Farci noi pane e vino: immolarci, frantumarci,
spremerci sino all’ultima stilla, ridurci a farina per essere ostie. 
Vendere l’ultima, l’unica ricchezza che ci resta: la vita. Io la mia cadente vita di vecchio. 
Egli la fiorente vita di giovane.

Oh! non deluderci, Pontefice eterno. Concedici il beato martirio! Col sangue
vogliamo scrivere il tuo Nome: Gesù Salvatore nostro. Un altro battesimo vogliamo, per la nostra stola che l’imperfezione umana sempre corrompe: quello del sangue. 
Per salire a Te con stole immacolate e seguirti, o Agnello di Dio che levi i peccati del mondo, che li hai levati col tuo Sangue! 

Beato martire Valente, nella cui chiesa siamo, al tuo Pontefice Marcello e per il tuo fratello
sacerdote chiedi dal Pontefice eterno la stessa tua palma e corona.»

E non c’è altro.

Fonte: Scritti di Maria Valtorta



AVE MARIA PURISSIMA 
SENZA PECCATO ORIGINALE CONCEPITA

AMDG et DVM