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martedì 12 marzo 2019

"Sognavo il primo palpito... "

348. Mannaen riferisce su Erode Antipa e da Cafarnao va con Gesù a Nazareth. 
Svelate le trasfigurazioni della Vergine. Lc 9,7-9


Quando pongono piede sulla spiaggetta di Cafarnao, sono accolti dal gridìo dei bambini che emulano le rondini indaffarate alla costruzione dei nidi novelli, tanto scorrono veloci, garrendo con le loro vocette, dalla spiaggia alle case, ilari della semplice gioia dei fanciulli, per i quali è spettacolo meraviglioso e magico oggetto un pesciolino trovato morto sulla riva, o un sassetto che l’onda ha levigato e che, per il suo colore, sembra una pietra preziosa, o il fiore scoperto fra due sassi, o lo scarabeo cangiante catturato a volo. Tutti prodigi da far vedere alle mamme, perché prendano parte alla gioia del loro figliolino. 
Ma ora queste rondinelle umane hanno visto Gesù e tutti i loro voli convergono verso di Lui, che sta per porre piede sulla spiaggetta. Ed è una tiepida valanga viva di carni fanciulle, è una catena soave di manine tenerelle, è un amore di cuori infantili quello che si abbatte su Gesù, che ne è stretto, legato, riscaldato come da un dolce fuoco.
«Io! Io! ». 
«Un bacio! ». 
«A me! ».
«Anche io! ». 
«Gesù! Ti voglio bene! ». 
«Non andare più via per tanto! ». 
«Venivo tutti i giorni qui a vedere se venivi ». 
«Io andavo alla tua casa ». 
«Tieni questo fiore, era per la mamma, ma te lo do ». 
«Ancora un bacio a me, bello forte. Quello di prima non mi ha toccato perché Giaele mi ha spinto indietro..». 
E le vocette continuano mentre Gesù tenta camminare fra quella rete di tenerezze. 
«Ma lasciatelo un po stare! Via! Basta! », gridano discepoli e apostoli cercando di allentare la stretta. Ma sì! Sembrano liane munite di ventose! Di qui vengono staccate, di là si appiccicano. 
«Lasciate! Lasciate fare! Con pazienza arriveremo », dice sorridendo Gesù, e fa passi inverosimilmente piccoli per potere procedere senza calpestare i piedini nudi. 

Ma quello che lo libera dall’amorosa stretta è il sopraggiungere di Mannaen con altri discepoli, fra i quali i pastori che erano in Giudea. 
«La pace a te, Maestro! », tuona l’imponente Mannaen nel suo splendido abito, senza più ori alla fronte e alle dita, ma con una magnifica spada al fianco che suscita l’ammirazione venerabonda dei bambini, i quali, davanti a questo magnifico cavaliere vestito di porpora e con una così stupenda arma al fianco, si scansano intimoriti. 
E così Gesù può abbracciarlo e abbracciare Elia, Levi, Mattia, Giuseppe, Giovanni, Simeone e non so quanti altri. 
«Come mai sei qui? E come hai saputo che ero sbarcato? ». 
«Saputo, lo si è saputo dai gridi dei bambini. Hanno trapassato i muri come frecce di gioia. Ma qui sono venuto pensando che è prossimo il tuo viaggio in Giudea e che certo vi prenderanno parte le donne… Ho voluto esserci anche io… Per proteggerti, Signore, se non è troppa superbia il pensarlo. Vi è molta effervescenza in Israele contro di Te. Dolorosa cosa a dirsi. Ma tu non la ignori ». 
Parlando così, raggiungono la casa e vi entrano. Mannaen continua il suo discorso dopo che il padrone di casa e la moglie hanno venerato il Maestro. 

«Ormai l’effervescenza e l’interessamento su di Te ha pervaso ogni luogo, scuotendo e richiamando l’attenzione anche dei più ottusi e distratti da cose molto diverse da ciò che Tu sei. Le notizie di ciò che Tu operi sono penetrate persino dentro alle sozze muraglie di Macheronte o nei lussuriosi rifugi di Erode, siano essi il palazzo di Tiberiade o i castelli di Erodiade o la splendida reggia degli Asmonei presso il Sisto. Superano come ondate di luce e di potenza le barriere di tenebre e di bassezza, abbattono i cumuli del peccato messi a fare da trincea e da riparo ai sozzi amori della Corte e ai truci delitti, saettano come strali di fuoco scrivendo parole ben più gravi di quelle del convito di Baldassarre (Daniele 5) sulle licenziose pareti delle alcove e delle sale del trono e dei banchetti. Urlano il tuo Nome e la tua potenza, la tua natura e la tua missione. E Erode ne trema di paura; ed Erodiade si convelle nei letti, paurosa che Tu sia il Re vendicatore che le leverà ricchezze e immunità, se pur non anche la vita, gettandola in balìa delle turbe che faranno vendetta dei suoi molti delitti. Si trema a corte. E per Te. Si trema di paura umana e di paura sovrumana. Da quando la testa di Giovanni è caduta mozzata, sembra che un fuoco arda le viscere dei suoi uccisori. Non hanno più neppure la loro misera pace di prima, pace da porci sazi di crapule, che trovano silenzio ai rimproveri della coscienza nell’ubriachezza o nella copula. Non c’è più nulla che li pacifichi… Sono perseguitati… E si odiano dopo ogni ora di amore, sazi l’uno dell’altra, incolpandosi l’un l’altro di aver commesso il delitto che turba, che ha passato la misura; mentre Salomè, come presa da un demonio, è scossa da un erotismo che degraderebbe una schiava delle macine. La Reggia è fetente più di una cloaca. Erode mi ha interrogato più volte su Te. Ed io ogni volta ho risposto: “Per me è il Messia, il Re d’Israele dell’unica stirpe regale, quella di Davide. È il figlio dell’uomo detto dai Profeti, è il Verbo di Dio, Colui che, per essere il Cristo, l’Unto di Dio, ha il diritto di regnare su ogni vivente”. Ed Erode sbianca di paura sentendo in Te il Vendicatore. E respinge la paura, l’urlo della coscienza che il rimorso sbrana, dicendo – poiché i cortigiani per confortarlo dicono che Tu sei Giovanni falsamente creduto morto, e con ciò lo fanno basire più che mai di orrore, oppure Elia, o qualche altro profeta dei tempi passati – dicendo: “No, non può essere Giovanni! Quello io l’ho fatto decapitare, e la sua testa l’ha Erodiade in sicura custodia. E non può essere uno dei profeti. Non si rivive, una volta morti. Ma non può essere neppure il Cristo. Chi lo dice? Chi lo dice che lo è? Chi osa dirmi che Egli è il Re dell’unica stirpe regale? Io sono il Re! Io! E non altri. Il messia è stato ucciso da Erode il Grande: in un mare di sangue è stato affogato, appena nato. Sgozzato è stato come un agnellino… e aveva pochi mesi… Lo senti come piange? Il suo belato mi grida sempre dentro alla testa insieme al ruggito di Giovanni: ‘Non ti è lecito’… Non mi è lecito?! Si. Tutto mi è lecito, perché io sono ‘il re’. Qua vino e donne, se Erodiade si rifiuta ai miei amplessi, e che danzi Salomè per svegliare il mio senso spaurito dai tuoi paurosi racconti”. E si ubriaca fra le mime della Corte, mentre nelle sue stanze ulula la femmina folle le sue bestemmie al Martire e le sue minacce a Te, e nelle sue Salomè conosce cosa è essere nata dal peccato di due libidinosi e avere aderito ad un delitto, ottenendolo con l’abbandono del corpo alle smanie lubriche di un sozzo. Ma poi torna in sé Erode e vuole sapere di Te, e vorrebbe vederti. E per questo favorisce le mie venute a Te, nella speranza che io ti porti a lui. Cosa che non farò mai, per non portare la tua santità in un antro di fiere immonde. E vorrebbe averti Erodiade per colpirti. E lo grida col suo stilo fra le mani… E vorrebbe averti Salomè, che ti ha visto, a tua insaputa, a Tiberiade lo scorso etamin, e che insania di Te… Questa è la Reggia, Maestro! Ma io vi resto, perché così sorveglio le intenzioni su Te ». 

«Io te ne sono grato, e l’Altissimo te ne benedice. È anche questo servire l’Eterno nei suoi decreti ». «L’ho pensato. E per questo sono venuto ». 

«Mannaen, Io ti prego di una cosa, poiché sei venuto. Non con Me ma con le donne scendi verso Gerusalemme. Io vado con questi per via ignota e non potranno farmi del male. Ma esse sono donne e indifese, e chi le accompagnerà è di animo mite e ammaestrato ad offrire la guancia a chi già l’ha percosso. La tua presenza sarà protezione sicura. Un sacrificio, comprendo. Ma staremo insieme in Giudea. Non negarmelo, amico ». 

« Signore, ogni tuo desiderio è legge per il tuo servo. Sono al servizio della Madre tua e delle condiscepole da questo momento fino a quando Tu vorrai ». 
«Grazie. Anche questa tua ubbidienza sarà scritta in Cielo. Ora dedichiamo l’attesa delle barche per tutti curando i malati che mi attendono ». 
E Gesù scende nell’orto dove sono barelle o infermi e li sana rapidamente, mentre accoglie l’ossequio di Giairo e degli amici, pochi, di Cafarnao. 
Le donne, intanto – e sono Porfiria e Salome, più l’anziana moglie di Bartolomeo e quella meno anziana di Filippo con le figlie giovinette – si occupano delle vivande per la numerosa turba di discepoli, che saranno sfamati con le corbe di pesce che Betsaida e Cafarnao hanno offerto. E un gran sventrare di ventri argentati, ancora palpitanti, in un gran sciacquare di pesci nei catini, un gran sfrigolio degli stessi nelle graticole, avviene in cucina, mentre Marziam, con altri discepoli, alimenta i fuochi e porta brocche d’acqua in aiuto alle donne. 

Il pasto è presto pronto e presto consumato. Ed essendo armai reclutate le barche per il trasporto di tanti, non resta che imbarcarsi per Magdala, su un lago incantato, tanto è sereno, angelico nel castone smeraldino delle rive. 
I giardini e la casa di Maria di Magdala si aprono ospitali nel meriggio solare ad accogliere il Maestro e i suoi discepoli, e tutta Magdala si riversa a salutare il Rabbi che va verso Gerusalemme. 

E le fresche pendici dei colli galilei sentono la marcia solerte e lieta della turba fedele, seguita da un comodo carro dove sono Giovanna con Porfirea, Salome, le mogli di Bartolomeo e Filippo e le due giovinette figlie di quest’ultimo, più i ridenti Maria e Mattia, irriconoscibili nell’aspetto da quello che erano cinque mesi addietro. Marziam marcia bravamente con gli adulti, anzi, per volere di Gesù, è proprio nel gruppo apostolico, fra Pietro e Giovanni, e non perde parola di quanto dice Gesù. Il sole splende in un cielo purissimo e folate tiepide portano odore di bosco, di mentucce, di viole, dei primi mughetti, dei rosai sempre più fioriti e, sovrano su tutti, quell’odore fresco, lievemente amarognolo, dei fiori delle piante da frutto, che da ogni dove spargono neve di petali sulle zolle erbose. Tutti ne hanno fra i capelli mentre procedono in un continuo cinguettio d’uccelli, fra canti di seduzione e trepidi richiami da folto a folto, tra i maschi audaci e le femmine pudiche, mentre le pecore brucano, pingui di maternità, e i primi agnellini urtano il musetto rosato nella tonda mammella per aumentare la secrezione del latte, oppure caroleggiano sui prati d’erba tenerella come bambini felici. 

Come viene presto Nazaret dopo Cana, dove Susanna si unisce alle altre donne portando seco i prodotti della sua terra in ceste e vasi, e un intero tralcio di rose rosse tutte in bocci, prossimi a schiudersi, «da offrirsi a Maria », dice. 

«Io pure, vedi? », dice Giovanna scoprendo una specie di cassa dove sono adagiate rose e rose fra muschi umidi. «Le prime e le più belle. Sempre un nulla per Lei, tanto cara! ». 
Vedo che ogni donna ha portato derrate per il viaggio pasquale, e con le derrate chi questo fiore, chi quella pianta per l’orto di Maria; e Porfirea si scusa di non avere portato che un vaso di canfora, splendido nelle minute foglioline glauche che sprigionano il loro aroma solo asfiorarle. « Maria la desiderava questa pianta balsamica… », dice. E tutte la elogiano per la bellezza rigogliosa dell’arboscello. «Oh! l’ho vegliato tutto l’inverno, tenendolo al riparo dal gelo e dalla grandine nella mia stanza. Marziam mi aiutava a portarlo al sole ogni mattina, a ritirarlo ogni sera… E quel caro fanciullo, se non ci fosse stata la barca e ora il carro, se lo sarebbe caricato sulle spalle per portarlo a Maria, facendo cortesia a Lei e a me », dice l’umile donna, che si rinfranca sempre più per la bontà di Giovanna e che non sta in se dalla gioia di essere in viaggio per Gerusalemme, e col Maestro, il suo uomo e il suo Marziam. «Non ci sei mai stata? ». 
«Finché visse mio padre, ogni anno. Ma poi… la madre non vi andò più… i fratelli mi ci avrebbero portata, ma facevo comodo alla madre e non mi lasciava andare. Dopo ho sposato Simone… e non sono stata più molto bene in salute. Simone avrebbe dovuto stare molto in viaggio e si annoiava…Rimanevo perciò a casa ad attenderlo… Il Signore vedeva il mio desiderio… ed era come facessi il sacrificio nel Tempio… », dice la mite donna. 
E Giovanna , che l’ha vicina, le mette la mano sulle splendide trecce dicendole: «Cara ». E in quell’aggettivo c’è tanto amore, tanta comprensione e tanto significato. 

Ecco Nazaret… ecco la casa di Maria d’Alfeo, che è già fra le braccia dei figli, e con le mani, gocciolanti e rosse del bucato che sta facendo, se li carezza, e poi corre, asciugandosele nel grembiule grossolano, ad abbracciare Gesù… Ed ecco la casa di Alfeo di Sara, immediatamente precedente quella di Maria. E Alfeo che ordina al nipotino più grande di correre ad avvertire Maria, e intanto sgamba a passi da gigante verso Gesù con una bracciata di nipotini fra le braccia, e lo saluta insieme a quella nidiata stretta fra le braccia come un mazzo di fiori offerto a Gesù. 


Ed ecco Maria farsi sulla porta, nel sole, nel suo abito da casa di un chiaro azzurro un poco stinto, l’oro dei capelli splendente vaporoso sulla fronte verginale e massiccio nel pesante nodo delle trecce sulla nuca, e cadere sul petto del figlio che la bacia con tutto il suo amore. Gli altri si fermano prudenti per lasciarli liberi nel primo incontro. 
Ma Ella subito si stacca e volge il viso, inattaccabile all’età, ora tutto roseo per la sorpresa e luminoso di sorriso, e saluta con la sua voce d’angelo: «La pace a voi, servi del Signore e discepoli del Figlio mio. La pace a voi, sorelle nel Signore », e con le discepole, scese dal carro, scambia un bacio fraterno. 
«Oh! Marziam! Ora non potrò più tenerti fra le braccia! Sei un uomo ormai. Ma vieni dalla Mamma di tutti i buoni, che un bacio te lo darò ancora. Caro! Dio ti benedica e ti faccia crescere nelle sue vie, robusto come cresce il tuo corpo giovinetto, e più ancora. Figlio mio, dovremo portarlo a suo nonno. Sarà felice di vederlo così », dice poi volgendosi a Gesù. 
E poi abbraccia Giacomo e Giuda d’ Alfeo. E dà loro la notizia che certo essi amano: «Quest’anno Simone viene con me, come discepolo del Maestro. Me lo ha detto ». 
E uno per uno saluta i più noti, i più influenti, avendo per ognuno una parola di grazia. Mannaen viene condotto a Lei da Gesù e presentato come una scorta nel viaggio verso Gerusalemme. 

«Tu non vieni con noi, Figlio? ». 
«Madre, ho altri luoghi da evangelizzare. Ci vedremo a Betania ».
 «La tua volontà sia fatta ora e sempre. Grazie, Mannaen. Tu: angelo umano; i nostri custodi: angeli del Cielo; e noi saremo sicure come fossimo nel Santo dei Santi ». E offre la sua manina a Mannaen in segno di amicizia. E il cavaliere, cresciuto nel fasto, si inginocchia per baciare la mano gentile che si offre a lui. Intanto sono stati scaricati i fiori e quanto deve restare a Nazaret. Poi il carro va al suo destino in qualche scuderia della città. 

La piccola casa pare un roseto per le rose sparse ogni dove dalle discepole. Ma la pianta di Porfirea, posata sulla tavola, raccoglie la più viva ammirazione di Maria, che la fa portare in luogo acconcio secondo le indicazioni della moglie di Pietro. 
Non possono certo entrare tutti nella minuscola casa, nell’orto che non è una tenuta né un podere, ma che sembra salire verso il cielo sereno, farsi aereo, tante sono le nuvole dei fiori sulle piante del brolo. E Giuda d’ Alfeo, sorridendo, chiede a Maria: «Hai colto anche oggi il tuo ramo per la tua anfora? ». «Senza dubbio, Giuda. E quando siete venuti lo contemplavo… ». 
«E bisognavi, Mamma, il tuo mistero lontano », dice Gesù abbracciandola col braccio sinistro e attirandosela contro il cuore. 
Maria alza il viso imporporato e sospira: «Si, Figlio mio… e sognavo il primo palpito del tuo cuore in me...». 

Gesù dice: «Restino le discepole, gli apostoli, Marziam, i discepoli pastori, il sacerdote Giovanni, Stefano, Erma e Mannaen. Gli altri si spargano in cerca di alloggio… ». 
«Molti possono stare in casa mia… », urla dalla soglia, sulla quale è bloccato, Simone d’Alfeo. «Sono loro condiscepolo e li reclamo ». 
«Oh! fratello, vieni avanti, che ti possa baciare », dice espansivo Gesù, mentre Alfeo di Sara e Ismaele e Aser, i due discepoli, ex-asinai, di Nazaret, a loro volta dicono: «A casa nostra. Venite, venite! ». 

I discepoli non prescelti se ne vanno e può essere chiusa la porta… per essere riaperta però subito dopo per la venuta di Maria d’Alfeo, che non può stare lontana anche se si sciupa il suo bucato. Sono quasi quaranta persone e perciò si spargono nell’orto tiepido e quieto, finché sono distribuiti i cibi, che ognuno trova con sapori celesti tanto è felice di consumarli nella casa del Signore, distribuiti da Maria. 
Torna Simone, che ha sistemato i discepoli, e dice: «Non mi hai chiamato come gli altri, ma io ti sono fratello e ci sto lo stesso ». 

«Bene vieni, Simone. Vi ho qui voluti per farvi conoscere Maria. Molti di voi conoscete la “madre” Maria, alcuni la “sposa” Maria. Ma nessuno conosce la “vergine” Maria. Io ve la voglio fare conoscere in questo giardino in fiore, nel quale il vostro cuore viene col desiderio nelle lontananze forzate e come ad un riposo nelle fatiche dell’apostolato. 

Vi ho ascoltato parlare, voi apostoli, discepoli e parenti, ed ho sentito le vostre impressioni, i vostri ricordi, le vostre asserzioni sulla Madre mia. Io vi trasfigurerò tutto questo, molto ammirativo ma ancora molto umano, in un soprannaturale conoscere. Perché mia Madre, prima di Me, va trasfigurata agli occhi dei più meritevoli, per mostrarla quale Essa è. Voi vedete una donna, una donna che per la sua santità vi pare diversa dalle altre, ma che in realtà vedete come un’anima fasciata dalla carne, come quella di tutte le sue sorelle di sesso. Ma Io ora vi voglio scoprire l’anima di mia Madre. La sua vera ed eterna bellezza. 

Vieni qui, Madre mia. Non arrossire. Non ritrarti intimidita, colomba soave di Dio. Tuo Figlio è la Parola di Dio e può parlare di te e del tuo mistero, dei tuoi misteri, o sublime Mistero di Dio. Sediamoci qui, in quest’ombra leggera di alberi in fiore, presso la casa, presso la tua stanza santa. Così! Alziamo questa tenda ondeggiante e ne escano onde di santità e di Paradiso da questa stanza verginale, a saturare di te tutti noi… Si. Io pure. Che Io mi profumi di te, Vergine perfetta, per potere sopportare i fetori del mondo, per potere vedere candore avendo saturata la pupilla del tuo Candore… 
Qui Marziam, Giovanni, Stefano, e voi discepole, bene di fronte alla porta aperta sulla dimora casta della Casta fra tutte le donne. E dietro voi, amici miei. E qui, al mio fianco, tu, diletta Madre mia. 
Vi ho detto poc’anzi “l’eterna bellezza dell’anima di mia Madre”. Sono la Parola e perciò so usare della parola senza errore. Ho detto “eterna”, non “immortale”. E non senza scopo l’ho detto. L’immortale è chi, essendo nato, non muore più. Così l’anima dei giusti è immortale in Cielo, l’anima dei peccatori è immortale nell’inferno, perché l’anima, creata che sia, non muore più che alla grazia. Ma l’anima ha vita, esiste dal momento che Dio la pensa. È il pensiero di Dio che la crea.  L’anima di mia Madre è da sempre pensata da Dio. Perciò è eterna nella sua bellezza, nella quale Dio ha riversato ogni perfezione per averne delizia e conforto. 
È detto nel libro del nostro avo Salomone (Proverbi 8, 22-31), che ti antevide e perciò profeta tuo può essere detto: “Dio mi possedette all’inizio delle sue opere, fin dal principio, avanti la Creazione. Ab eterno io fui stabilita, al principio, prima che fosse fatta la Terra. Non erano ancora gli abissi ed io ero concepita. Non ancora le sorgenti delle acque sgorgavano, non ancora le montagne erano fermate sulla loro grave mole, ed io già ero. Prima delle colline io ero partorita. Egli non aveva ancora fato la Terra, i fiumi, né i cardini del mondo, ed io già ero. Quando preparava i cieli e il Cielo, io ero presente. Quando con legge inviolabile chiuse sotto la volta l’abisso, quando rese stabile in alto la volta celeste e vi sospese le fonti delle acque, quando fissò al mare i suoi confini e dette legge alle acque di non passare il loro termine, quando gettava i fondamenti della Terra, io ero con Lui a ordinare tutte le cose. Sempre nella gioia io scherzavo dinanzi a Lui continuamente. Scherzavo nell’universo”. Si, o Madre di cui Dio, l’Immenso, il Sublime, il Vergine, l’Increato, era gravido, e ti portava come il suo dolcissimo pondo, giubilando di sentirti agitarti in Lui, dandogli i sorrisi dei quali fece il Creato! Tu che a dolore partorì per darti al Mondo, anima soavissima, nata dal Vergine per essere la “Vergine”, Perfezione del Creato, Luce del Paradiso, Consiglio di Dio, che guardandoti poté perdonare la Colpa perché tu sola, da te sola, sai amare come tutta l’Umanità messa insieme non sa amare. In te il Perdono di Dio! In te il Medicamento di Dio, tu, carezza dell’Eterno sulla ferita dall’uomo fatta a Dio! In te la Salute del mondo, Madre dell’Amore incarnato e del concesso Redentore! 
L’anima della Madre mia! Fuso dell’Amore col Padre, Io ti guardavo dentro di Me, o anima della Madre mia!… E il tuo splendore, la tua preghiera, l’idea di essere da te portato, mi consolavano in eterno del mio destino di dolore e di esperienze disumane di ciò che è il mondo corrotto per il Dio perfettissimo. Grazie, o Madre! Io sono venuto già saturo delle tue consolazioni, Io sono sceso sentendo te sola, il tuo profumo, il tuo canto, il tuo amore… Gioia, gioia mia! 
Ma udite, voi che ora sapete che una sola è la Donna nella quale non è macchia, una sola la Creatura che non costa ferita al Redentore, udite la seconda trasfigurazione di Maria, l’Eletta di Dio. Era un sereno pomeriggio di adar ed erano in fiore gli alberi nell’orto silenzioso, e Maria, sposa a Giuseppe, aveva colto un ramo di albero in fiore per sostituirlo all’altro che era nella sua stanzetta. Da poco era venuta a Nazaret, Maria, presa dal Tempio per ornare una casa di santi. E con l’anima tripartita fra il Tempio, la casa e il Cielo, Ella guardava il ramo in fiore, pensando che con uno simile, sbocciato insolitamente, un ramo reciso in questo brolo nel colmo dell’inverno e fioritosi come per primavera davanti all’Arca del Signore – forse lo aveva scaldato il Sole-Iddio raggiante sulla sua Gloria – Dio le aveva significato la sua volontà… E pensava ancora che nel giorno delle nozze Giuseppe le aveva portato altri fiori, ma mai simili al primo che portava scritto sui petali leggeri: “Ti voglio unita a Giuseppe”… Tante cose pensava… E pensando salì a Dio. Le mani erano solerti fra la rocca e il fuso, e filavano un filo più sottile d’uno dei capelli del suo capo giovinetto… 

L’anima tesseva un tappeto d’amore, andando solerte, come spola sul telaio, dalla Terra al Cielo. Dai bisogni della casa, dello sposo, a quelli dell’anima di Dio. E cantava, e pregava. E il tappeto si formava sul mistico telaio, si srotolava dalla Terra al Cielo, saliva a sperdersi lassù… Formato di che? Dai fili sottili, perfetti, forti, delle sue virtù, dal filo volante della spola che Ella credeva “sua”, mentre era di Dio: la spola della volontà di Dio sulla quale era avvolta la volontà della piccola, grande Vergine d’Israele, la Sconosciuta al mondo, la Conosciuta da Dio, la sua volontà avvolta, fatta una con la volontà del Signore. E il tappeto si infiorava di fiori d’amore, di purezza, di palme di pace, di palme di gloria, di mammole, di gelsomini… Ogni virtù fioriva sul tappeto dell’amore che la Vergine di Dio svolgeva, invitante, dalla Terra al Cielo. E poiché il tappeto non bastava, Ella lanciava il cuore cantando: “Venga il mio Diletto nel suo giardino e mangi il frutto dei suoi pomi… Il mio Diletto discenda nel suo giardino, all’aiuola degli aromi, a pascersi tra i giardini, a coglier gigli. Io son del mio Diletto, e il mio Diletto è mio, Egli che pasce fra i gigli!”. (Cantico dei cantici 5, 1; 6, 2-3; 4, 1.11.12; 8, 6-7)

E da lontananze infinite, fra torrenti di Luce, veniva una Voce quale orecchio umano non può udire, né gola umana formare. E diceva: “Quanto sei bella, amica mia! Quanto sei bella!… Miele stillano le tue labbra… Un giardino chiuso tu sei, una fonte sigillata, o sorella, mia sposa…”, e insieme le due voci si univano per cantare l’eterna verità: “L’amore è forte più della morte”. E la Vergine trasfigurava così… così… così… mentre scendeva Gabriele e la richiamava, col suo ardere, alla Terra, le riuniva lo spirito alla carne, perché Ella potesse intendere e comprendere la richiesta di Colui che l’aveva chiamata “Sorella” ma che la voleva “Sposa”

Ecco, là avvenne il Mistero… E una pudica, la più pudica di tutte le donne, Colei che neppure conosceva lo stimolo istintivo della carne, tramortì davanti all’Angelo di Dio, perché anche un angelo turba l’umiltà e la verecondia della Vergine, e solo si placò udendolo parlare, e credette, e disse la parola per cui il “loro” amore divenne Carne e vincerà la Morte, né nessun’acqua potrà estinguerlo, né malvagità sommergerlo… ». 
Gesù si china dolcemente su Maria che gli è scivolata ai piedi quasi estatica, nella rievocazione dell’ora lontana, luminosa di una luce speciale che pare le esali dall’anima, e le chiede sommessamente: «Quale la tua risposta, o Purissima, a chi ti assicurava che divenendo la Madre di Dio non avresti perduto la tua perfetta Verginità? »
E Maria, quasi in sogno, lentamente, sorridendo, con gli occhi dilatati per un pianto felice: «Ecco l’Ancella del Signore! Si faccia di me secondo la sua Parola », e reclina la testa sui ginocchi del Figlio, adorando. 
Gesù la vela col suo manto, nascondendola agli occhi di tutti, e dice: «E fu fatto. E si farà sino alla fine. Sino all’altra e all’altra ancora delle sue trasfigurazioni. Sarà sempre “l’Ancella di Dio”. Farà sempre come dirà “la Parola”. Mia Madre! Questa è mia Madre. Ed è bene che voi cominciate a conoscerla in tutta la sua santa Figura… Madre! Madre! Rialza il tuo viso, Diletta… Richiama i tuoi devoti alla Terra dove per ora siamo… », dice scoprendo Maria dopo qualche tempo, durante il quale non era rumore oltre al ronzio delle api e al chioccolio della piccola fonte. 


Maria alza il viso molle di pianto e sussurra: «Perché, Figlio, mi hai fatto questo? I segreti del Re sono sacri… ». 
«Ma il Re li può svelare quando vuole. (Come è detto in Tobia 12, 7) Madre, l’ho fatto perché sia compreso il detto di un Profeta: (Geremia 31, 22) “Una Donna chiuderà in sé l’Uomo”, e l’altro dell’altro Profeta: (Isaia 7, 14) “La Vergine concepirà e partorirà un Figlio”. E anche perché essi, che inorridiscono di troppe cose, per loro avvilenti, del Verbo di Dio, abbiano a contrappeso tante altre cose che li confermino nella gioia di essere “miei”. Così non si scandalizzeranno mai più e conquisteranno anche per ciò il Cielo… Ora chi deve andare alle case ospitali vada. Io resto con le donne e Marziam. Domani all’alba siano qui tutti gli uomini, ché voglio condurvi qui vicino. Poi torneremo a salutare le discepole per poi tornare a Cafarnao a radunare altri discepoli e invitarli dietro a queste »…  

segue 349. La Trasfigurazione sul monte Tabor...
http://www.scrittivaltorta.altervista.org/personaggi.htm

AMDG et DVM

domenica 30 luglio 2017

Pellegrino - a Loreto -per affidare alla Madre di Dio due importanti iniziative ecclesiali: ..

...l’Anno della fedee l’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, da me convocata nel mese di ottobre sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana»

DE  - EN  - ES  - FR  - IT  - PL  - PT ]

SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Piazza della Madonna di Loreto
Giovedì, 4 ottobre 2012

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’episcopato,
cari fratelli e sorelle!

Il 4 ottobre del 1962, il Beato Giovanni XXIII venne in pellegrinaggio a questo Santuario per affidare alla Vergine Maria il Concilio Ecumenico Vaticano II, che si sarebbe inaugurato una settimana dopo. In quella occasione, egli, che nutriva una filiale e profonda devozione alla Madonna, si rivolse a lei con queste parole: «Oggi, ancora una volta, ed in nome di tutto l’episcopato, a Voi, dolcissima Madre, che siete salutata Auxilium Episcoporum, chiediamo per Noi, Vescovo di Roma e per tutti i Vescovi dell’universo di ottenerci la grazia di entrare nell’aula conciliare della Basilica di San Pietro come entrarono nel Cenacolo gli Apostoli e i primi discepoli di Gesù: un cuor solo, un palpito solo di amore a Cristo e alle anime, un proposito solo di vivere e di immolarci per la salvezza dei singoli e dei popoli. Così, per la vostra materna intercessione, negli anni e nei secoli futuri, si possa dire che la grazia di Dio ha prevenuto, accompagnato e coronato il ventunesimo Concilio Ecumenico, infondendo nei figli tutti della Santa Chiesa nuovo fervore, slancio di generosità, fermezza di propositi» (AAS 54 [1962], 727).

A distanza di cinquant’anni, dopo essere stato chiamato dalla divina Provvidenza a succedere sulla cattedra di Pietro a quel Papa indimenticabile, anch’io sono venuto qui pellegrino per affidare alla Madre di Dio due importanti iniziative ecclesiali: l’Anno della fede, che avrà inizio tra una settimana, l’11 ottobre, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e l’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, da me convocata nel mese di ottobre sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Cari amici! A voi tutti porgo il mio più cordiale saluto. Ringrazio l’Arcivescovo di Loreto, Mons. Giovanni Tonucci, per le calorose espressioni di benvenuto. Saluto gli altri Vescovi presenti, i Sacerdoti, i Padri Cappuccini, ai quali è affidata la cura pastorale del santuario, e le Religiose. Rivolgo un deferente pensiero al Sindaco, Dott. Paolo Niccoletti, che pure ringrazio per le sue cortesi parole, al Rappresentante del Governo ed alle Autorità civili e militari presenti. E la mia riconoscenza va a tutti coloro che hanno generosamente offerto la loro collaborazione per la realizzazione di questo mio Pellegrinaggio.

Come ricordavo nella Lettera Apostolica di indizione, attraverso l’Anno della fede «intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede» (Porta fidei, 8). E proprio qui a Loreto abbiamo l’opportunità di metterci alla scuola di Maria, di lei che è stata proclamata «beata» perché «ha creduto» (Lc 1,45). 

Questo Santuario, costruito attorno alla sua casa terrena, custodisce la memoria del momento in cui l’Angelo del Signore venne da Maria con il grande annuncio dell’Incarnazione, ed ella diede la sua risposta. Questa umile abitazione è una testimonianza concreta e tangibile dell’avvenimento più grande della nostra storia: l’Incarnazione; il Verbo si è fatto carne, e Maria, la serva del Signore, è il canale privilegiato attraverso il quale Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). 

Maria ha offerto la propria carne, ha messo tutta se stessa a disposizione della volontà di Dio, diventando «luogo» della sua presenza, «luogo» in cui dimora il Figlio di Dio. Qui possiamo richiamare le parole del Salmo con le quali, secondo la Lettera agli Ebrei, Cristo ha iniziato la sua vita terrena dicendo al Padre: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato…Allora ho detto: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”» (10,5.7). 

Maria dice parole simili di fronte all’Angelo che le rivela il piano di Dio su di lei: «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). La volontà di Maria coincide con la volontà del Figlio nell’unico progetto di amore del Padre e in lei si uniscono cielo e terra, Dio creatore e la sua creatura. Dio diventa uomo, Maria si fa «casa vivente» del Signore, tempio dove abita l’Altissimo. 

Il Beato Giovanni XXIII cinquant’anni fa, qui a Loreto, invitava a contemplare questo mistero, a «riflettere su quel congiungimento del cielo con la terra, che è lo scopo dell’Incarnazione e della Redenzione», e continuava affermando che lo stesso Concilio aveva come scopo di estendere sempre più il raggio benefico dell’Incarnazione e Redenzione di Cristo in tutte le forme della vita sociale (cfr AAS 54 [1962], 724). E’ un invito che risuona oggi con particolare forza. 

Nella crisi attuale che interessa non solo l’economia, ma vari settori della società, l’Incarnazione del Figlio di Dio ci dice quanto l’uomo sia importante per Dio e Dio per l’uomo. Senza Dio l’uomo finisce per far prevalere il proprio egoismo sulla solidarietà e sull’amore, le cose materiali sui valori, l’avere sull’essere. 

Bisogna ritornare a Dio perché l’uomo ritorni ad essere uomo. 

Con Dio anche nei momenti difficili, di crisi, non viene meno l’orizzonte della speranza: l’Incarnazione ci dice che non siamo mai soli, Dio è entrato nella nostra umanità e ci accompagna.
Ma il dimorare del Figlio di Dio nella «casa vivente», nel tempio, che è Maria, ci porta ad un altro pensiero: dove abita Dio, dobbiamo riconoscere che tutti siamo «a casa»; dove abita Cristo, i suoi fratelli e le sue sorelle non sono più stranieri. Maria, che è madre di Cristo è anche nostra madre, ci apre la porta della sua Casa, ci guida ad entrare nella volontà del suo Figlio. 
È la fede, allora, che ci dà una casa in questo mondo, che ci riunisce in un’unica famiglia e che ci rende tutti fratelli e sorelle. 
Contemplando Maria, dobbiamo domandarci se anche noi vogliamo essere aperti al Signore, se vogliamo offrire la nostra vita perché sia una dimora per Lui; oppure se abbiamo paura che la presenza del Signore possa essere un limite alla nostra libertà, e se vogliamo riservarci una parte della nostra vita, in modo che possa appartenere solo a noi. 
Ma è proprio Dio che libera la nostra libertà, la libera dalla chiusura in se stessa, dalla sete di potere, di possesso, di dominio, e la rende capace di aprirsi alla dimensione che la realizza in senso pieno: quella del dono di sé, dell’amore, che si fa servizio e condivisione.

La fede ci fa abitare, dimorare, ma ci fa anche camminare nella via della vita. 
Anche a questo proposito, la Santa Casa di Loreto conserva un insegnamento importante. Come sappiamo, essa fu collocata sopra una strada. La cosa potrebbe apparire piuttosto strana: dal nostro punto di vista, infatti, la casa e la strada sembrano escludersi. In realtà, proprio in questo particolare aspetto, è custodito un messaggio singolare di questa Casa. Essa non è una casa privata, non appartiene a una persona o a una famiglia, ma è un’abitazione aperta a tutti, che sta, per così dire, sulla strada di tutti noi. 

Allora, qui a Loreto, troviamo una casa che ci fa rimanere, abitare, e che nello stesso tempo ci fa camminare, ci ricorda che siamo tutti pellegrini, che dobbiamo essere sempre in cammino verso un’altra abitazione, verso la casa definitiva, verso la Città eterna, la dimora di Dio con l’umanità redenta (cfr Ap 21,3).

C’è ancora un punto importante del racconto evangelico dell’Annunciazione che vorrei sottolineare, un aspetto che non finisce mai di stupirci: Dio domanda il «sì» dell’uomo, ha creato un interlocutore libero, chiede che la sua creatura Gli risponda con piena libertà. 
San Bernardo di Chiaravalle, in uno dei suoi Sermoni più celebri, quasi «rappresenta» l’attesa da parte di Dio e dell’umanità del «sì» di Maria, rivolgendosi a lei con una supplica: «L’angelo attende la tua risposta, perché è ormai tempo di ritornare a colui che lo ha inviato… O Signora, da’ quella risposta, che la terra, che gli inferi, anzi, che i cieli attendono. Come il Re e Signore di tutti desiderava vedere la tua bellezza, così egli desidera ardentemente la tua risposta affermativa… Alzati, corri, apri! Alzati con la fede, affrettati con la tua offerta, apri con la tua adesione!» (In laudibus Virginis MatrisHom. IV, 8: Opera omnia, Edit. Cisterc. 4, 1966, p. 53s). Dio chiede la libera adesione di Maria per diventare uomo. Certo, il «sì» della Vergine è frutto della Grazia divina. Ma la grazia non elimina la libertà, al contrario, la crea e la sostiene. La fede non toglie nulla alla creatura umana, ma ne permette la piena e definitiva realizzazione.

Cari fratelli e sorelle, in questo pellegrinaggio che ripercorre quello del Beato Giovanni XXIII - e che avviene, provvidenzialmente, nel giorno in cui si fa memoria di san Francesco di Assisi, vero «Vangelo vivente» - vorrei affidare alla Santissima Madre di Dio tutte le difficoltà che vive il nostro mondo alla ricerca di serenità e di pace, i problemi di tante famiglie che guardano al futuro con preoccupazione, i desideri dei giovani che si aprono alla vita, le sofferenze di chi attende gesti e scelte di solidarietà e di amore. Vorrei affidare alla Madre di Dio anche questo speciale tempo di grazia per la Chiesa, che si apre davanti a noi. Tu, Madre del «sì», che hai ascoltato Gesù, parlaci di Lui, raccontaci il tuo cammino per seguirlo sulla via della fede, aiutaci ad annunciarlo perché ogni uomo possa accoglierlo e diventare dimora di Dio. Amen!

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AMDG et BVM


PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI...

...ASCOLTIAMO LA PAROLA DI PAPA BENEDETTO XVI
DE  - EN  - ES  - FR  - IT  - PT ]

VISITA PASTORALE
DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
A LORETO
IN OCCASIONE DELL’AGORÀ
 DEI GIOVANI ITALIANI  
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Piana di Montorso
Domenica, 2 settembre 2007

Cari fratelli e sorelle,
cari giovani amici!

Dopo la veglia di questa notte, il nostro incontro lauretano si conclude ora attorno all’altare con la solenne Celebrazione eucaristica. Ancora una volta a voi tutti il mio più cordiale saluto. Saluto in special modo i Vescovi e ringrazio l’Arcivescovo Angelo Bagnasco che si è fatto interprete dei vostri comuni sentimenti. Saluto l’Arcivescovo di Loreto che ci ha accolti con affetto e premura. Saluto i sacerdoti, i religiosi, le religiose e quanti hanno preparato con cura quest’importante manifestazione di fede. Un saluto deferente alle Autorità civili e militari presenti, con un ricordo particolare per il Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, l’on. Francesco Rutelli.

Questo è davvero un giorno di grazia! Le Letture che poco fa abbiamo ascoltato ci aiutano a comprendere quale meravigliosa opera abbia compiuto il Signore facendoci incontrare, qui a Loreto, così numerosi e in un clima gioioso di preghiera e di festa. Nel nostro ritrovarci presso il Santuario della Vergine si avverano, in un certo senso, le parole della Lettera agli Ebrei: "Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente". Celebrando l’Eucaristia all’ombra della Santa Casa, anche noi ci avviciniamo "all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli". Possiamo così sperimentare la gioia di trovarci di fronte "al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione". Con Maria, Madre del Redentore e Madre nostra, andiamo soprattutto incontro "al Mediatore della Nuova Alleanza", il Signore nostro Gesù Cristo (cfr Eb 12,22-24). 

Il Padre celeste, che molte volte e in molti modi ha parlato agli uomini (cfr Eb 1,1) offrendo la sua Alleanza e incontrando spesso resistenze e rifiuti, nella pienezza dei tempi ha voluto stringere con gli uomini un patto nuovo, definitivo e irrevocabile, sigillandolo con il sangue del suo Figlio Unigenito, morto e risorto per la salvezza dell’intera umanità. Gesù Cristo, Dio fatto uomo, in Maria ha assunto la nostra stessa carne, ha preso parte alla nostra vita e ha voluto condividere la nostra storia. Per realizzare la sua Alleanza, Dio ha cercato un cuore giovane e lo ha trovato in Maria, "giovane donna".
Ancora oggi Dio cerca cuori giovani, cerca giovani dal cuore grande, capaci di fare spazio a Lui nella loro vita per essere protagonisti della Nuova Alleanza. Per accogliere una proposta affascinante come quella che ci fa Gesù, per stringere Alleanza con Lui, occorre essere giovani interiormente, capaci di lasciarsi interpellare dalla sua novità, per intraprendere con Lui strade nuove. Gesù ha una predilezione per i giovani, come ben evidenzia il dialogo con il giovane ricco (cfr Mt 19,16-22; Mc 10,17-22); ne rispetta la libertà, ma non si stanca mai di proporre loro mete più alte per la vita: la novità del Vangelo e la bellezza di una condotta santa. Seguendo l’esempio del suo Signore la Chiesa continua ad avere la stessa attenzione. Ecco perché, cari giovani, vi guarda con immenso affetto, vi è vicina nei momenti della gioia e della festa, della prova e dello smarrimento; vi sostiene con i doni della grazia sacramentale e vi accompagna nel discernimento della vostra vocazione. Cari giovani, lasciatevi coinvolgere nella vita nuova che sgorga dall’incontro con Cristo e sarete in grado di essere apostoli della sua pace nelle vostre famiglie, tra i vostri amici, all’interno delle vostre comunità ecclesiali e nei vari ambienti nei quali vivete ed operate.

Ma che cosa rende davvero "giovani" in senso evangelico? Questo nostro incontro, che si svolge all’ombra di un Santuario mariano, ci invita a guardare alla Madonna. Ci chiediamo dunque: Come ha vissuto Maria la sua giovinezza? Perché in lei è diventato possibile l’impossibile? Ce lo svela lei stessa nel cantico del Magnificat: Dio "ha guardato l’umiltà della sua serva" (Lc 1,48a). L’umiltà di Maria è ciò che Dio apprezza più di ogni altra cosa in lei. E proprio dell’umiltà ci parlano le altre due Letture della liturgia odierna. Non è forse una felice coincidenza che questo messaggio ci venga rivolto proprio qui a Loreto? Qui, il nostro pensiero va naturalmente alla Santa Casa di Nazaret che è il santuario dell’umiltà: l’umiltà di Dio che si è fatto carne, si è fatto piccolo, e l’umiltà di Maria che l’ha accolto nel suo grembo; l’umiltà del Creatore e l’umiltà della creatura. Da questo incontro di umiltà è nato Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. "Quanto più sei grande, tanto più umìliati, così troverai grazia davanti al Signore; perché dagli umili egli è glorificato", ci dice il brano del Siracide (3,18); e Gesù nel Vangelo, dopo la parabola degli invitati a nozze, conclude: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 14,11). 

Questa prospettiva indicata dalle Scritture appare oggi quanto mai provocatoria per la cultura e la sensibilità dell’uomo contemporaneo. L’umile è percepito come un rinunciatario, uno sconfitto, uno che non ha nulla da dire al mondo. Invece questa è la via maestra, e non solo perché l’umiltà è una grande virtù umana, ma perché, in primo luogo, rappresenta il modo di agire di Dio stesso. È la via scelta da Cristo, il Mediatore della Nuova Alleanza, il quale, "apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8).

Cari giovani, mi sembra di scorgere in questa parola di Dio sull’umiltà un messaggio importante e quanto mai attuale per voi, che volete seguire Cristo e far parte della sua Chiesa. Il messaggio è questo: non seguite la via dell’orgoglio, bensì quella dell’umiltà. Andate controcorrente: non ascoltate le voci interessate e suadenti che oggi da molte parti propagandano modelli di vita improntati all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all’apparire e all’avere, a scapito dell’essere. 

Di quanti messaggi, che vi giungono soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari! Siate vigilanti! Siate critici! Non andate dietro all’onda prodotta da questa potente azione di persuasione. Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie "alternative" indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune. Non abbiate paura di apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda: i vostri coetanei, ma anche gli adulti, e specialmente coloro che sembrano più lontani dalla mentalità e dai valori del Vangelo, hanno un profondo bisogno di vedere qualcuno che osi vivere secondo la pienezza di umanità manifestata da Gesù Cristo.

Quella dell’umiltà, cari amici, non è dunque la via della rinuncia ma del coraggio. Non è l’esito di una sconfitta ma il risultato di una vittoria dell’amore sull’egoismo e della grazia sul peccato. Seguendo Cristo e imitando Maria, dobbiamo avere il coraggio dell’umiltà; dobbiamo affidarci umilmente al Signore perché solo così potremo diventare strumenti docili nelle sue mani, e gli permetteremo di fare in noi grandi cose. Grandi prodigi il Signore ha operato in Maria e nei Santi! Penso ad esempio a Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, Patroni d’Italia. Penso anche a giovani splendidi come santa Gemma Galgani, san Gabriele dell’Addolorata, san Luigi Gonzaga, san Domenico Savio, santa Maria Goretti, nata non lontano da qui, i beati Piergiorgio Frassati e Alberto Marvelli. E penso ancora ai molti ragazzi e ragazze che appartengono alla schiera dei santi "anonimi", ma che non sono anonimi per Dio. Per Lui ogni singola persona è unica, con il suo nome e il suo volto. Tutti, e voi lo sapete, siamo chiamati ad essere santi!

Come vedete, cari giovani, l’umiltà che il Signore ci ha insegnato e che i santi hanno testimoniato, ciascuno secondo l’originalità della propria vocazione, è tutt’altro che un modo di vivere rinunciatario. Guardiamo soprattutto a Maria: alla sua scuola, anche noi come lei possiamo fare esperienza di quel  di Dio all’umanità da cui scaturiscono tutti i  della nostra vita. È vero, tante e grandi sono le sfide che dovete affrontare. La prima però rimane sempre quella di seguire Cristo fino in fondo, senza riserve e compromessi. E seguire Cristo significa sentirsi parte viva del suo corpo, che è la Chiesa. Non ci si può dire discepoli di Gesù se non si ama e non si segue la sua Chiesa. La Chiesa è la nostra famiglia, nella quale l’amore verso il Signore e verso i fratelli, soprattutto nella partecipazione all’Eucaristia, ci fa sperimentare la gioia di poter pregustare già ora la vita futura che sarà totalmente illuminata dall’Amore. 

Il nostro quotidiano impegno sia di vivere quaggiù come se fossimo già lassù. Sentirsi Chiesa è pertanto una vocazione alla santità per tutti; è impegno quotidiano a costruire la comunione e l’unità vincendo ogni resistenza e superando ogni incomprensione. Nella Chiesa impariamo ad amare educandoci all’accoglienza gratuita del prossimo, all’attenzione premurosa verso chi è in difficoltà, i poveri e gli ultimi. La motivazione fondamentale che unisce i credenti in Cristo, non è il successo ma il bene, un bene che è tanto più autentico quanto più è condiviso, e che non consiste prima di tutto nell’avere o nel potere ma nell’essere. Così si edifica la città di Dio con gli uomini, una città che contemporaneamente cresce dalla terra e scende dal Cielo, perché si sviluppa nell’incontro e nella collaborazione tra gli uomini e Dio (cfr Ap 21,2-3).

Seguire Cristo, cari giovani, comporta inoltre lo sforzo costante di dare il proprio contributo alla edificazione di una società più giusta e solidale, dove tutti possano godere dei beni della terra. So che molti di voi si dedicano con generosità a testimoniare la propria fede nei vari ambiti sociali, operando nel volontariato, lavorando alla promozione del bene comune, della pace e della giustizia in ogni comunità. 
Uno dei campi, nei quali appare urgente operare, è senz’altro quello della salvaguardia del creato. Alle nuove generazioni è affidato il futuro del pianeta, in cui sono evidenti i segni di uno sviluppo che non sempre ha saputo tutelare i delicati equilibri della natura. Prima che sia troppo tardi, occorre adottare scelte coraggiose, che sappiano ricreare una forte alleanza tra l’uomo e la terra. Serve un  deciso alla tutela del creato e un impegno forte per invertire quelle tendenze che rischiano di portare a situazioni di degrado irreversibile. Per questo ho apprezzato l’iniziativa della Chiesa italiana di promuovere la sensibilità sulle problematiche della salvaguardia del creato fissando una Giornata nazionale che cade proprio il 1° settembre. Quest’anno l’attenzione è puntata soprattutto sull’acqua, un bene preziosissimo che, se non viene condiviso in modo equo e pacifico, diventerà purtroppo motivo di dure tensioni e aspri conflitti.

Cari giovani amici, dopo aver ascoltato le vostre riflessioni di ieri sera e di questa notte, lasciandomi guidare dalla Parola di Dio ho voluto ora affidarvi queste mie considerazioni, che intendono essere un paterno incoraggiamento a seguire Cristo per essere testimoni della sua speranza e del suo amore. 
Da parte mia, continuerò a starvi accanto con la preghiera e con l’affetto perché proseguiate con entusiasmo il cammino dell’Agorà, questo singolare percorso triennale di ascolto, di dialogo e di missione. Concludendo oggi il primo anno con questo stupendo incontro, non posso non invitarvi a guardare già al grande appuntamento della Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà nel luglio del prossimo anno a Sidney. Vi invito a prepararvi a questa grande manifestazione di fede giovanile, meditando il Messaggio che approfondisce il tema dello Spirito Santo, per vivere insieme una nuova primavera dello Spirito. 
Vi aspetto dunque numerosi anche in Australia, a conclusione del vostro secondo anno dell’Agorà. 

Volgiamo infine, ancora una volta, i nostri occhi verso Maria, modello di umiltà e di coraggio. Aiutaci, Vergine di Nazaret, ad essere docili all’opera dello Spirito Santo come lo fosti tu; aiutaci a diventare sempre più santi, discepoli innamorati del tuo Figlio Gesù; sostieni e accompagna questi giovani perché siano gioiosi e infaticabili missionari del Vangelo tra i loro coetanei, in ogni angolo dell’Italia. Amen!
* * *
Al termine della Celebrazione Eucaristica, prima di impartire la Benedizione Apostolica, il Santo Padre ha pronunciato le seguenti parole:

Fratelli e Sorelle, carissimi amici, stiamo per congedarci da questo luogo, nel quale abbiamo celebrato i Santi Misteri, luogo ricco di memoria dell'Incarnazione del Verbo. Il Santuario lauretano ci ricorda anche oggi che per accogliere pienamente la Parola della vita non basta conservare il dono ricevuto: occorre invece andare, con sollecitudine, per altre contrade ed in altre città, a comunicarlo con gioia e riconoscenza, come la giovane Maria di Nazaret. Cari giovani, conservate nel cuore la memoria di questo luogo e, come i settantadue discepoli designati dal Signore Gesù, andate con determinazione e libertà di spirito: comunicate la pace, sostenete chi è debole, preparate i cuori alla novità del Cristo. Annunciate che il Regno di Dio è vicino!

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mercoledì 26 luglio 2017

La Santa Casa di Loreto :

La “vera Casa nazaretana” di Maria



            
            Secondo uno studio archeologico condotto dall'architetto Nanni Monelli e dal padre Giuseppe Santarelli, Direttore della “Congregazione Universale della Santa Casa” di Loreto, le pietre che si trovano nella grotta dell'Annunciazione a Nazareth hanno la stessa origine delle pietre dell'altare dei Santi Apostoli della Santa Casa di Loreto.
            Questa scoperta ha riaperto la discussione sulla validità storica della traslazione della Santa Casa di Nazareth a Loreto e sul mistero di come sia avvenuta questa traslazione.
            Per approfondire la conoscenza e la storia del santuario mariano dove si conserva e venera la Santa Casa di Nazareth della Vergine Maria, che secondo la tradizione fu trasportata miracolosamente da Nazareth a Tersatto nel 1291 e infine a Loreto, ZENIT ha intervistato il Prof. Giorgio Nicolini, un esperto in materia, autore del libro “La veridicità storica della miracolosa Traslazione della Santa Casa di Nazareth a Loreto” (http://www.lavocecattolica.it/).
            Il libro illustra con prove documentali del tutto inedite, la verità storica delle “cinque traslazioni miracolose” della Santa Casa di Nazareth avvenute “in vari luoghi” e infine sul colle di Loreto: “traslazioni miracolose” avvenute tra il 1291 e il 1296, “approvate” “ufficialmente” nella loro “veridicità storica” da tanti Papi, per sette secoli. Il libro contiene anche il testo della “benedizione” di Giovanni Paolo II, spedita in data 11 gennaio 2005 all’autore del libro dal Pontefice stesso.

Intervistatore: Secondo un recente studio condotto dall'architetto Nanni Monelli e da padre Giuseppe Santarelli, Direttore della “Congregazione Universale della Santa Casa”, le pietre dell’Altare degli Apostoli (uno dei più antichi dell’età paleocristiana) che si trova nella Santa Casa di Loreto ha la stessa origine delle pietre che si trovano nella grotta di Nazareth, davanti alla quale si trovavano le tre Pareti della Santa Casa di Maria. E’ un'altra conferma dell’autenticità della Casa di Loreto come la Casa nazaretana di Maria?

Prof. Nicolini:
            Sull’autenticità della Santa Casa di Loreto come la “vera Casa nazaretana” di Maria non ci sono mai stati dubbi, se non per chi non ne conosce i secolari studi relativi; tanto che tutti i Sommi Pontefici, per sette secoli, ne hanno comprovato l’autenticità con solenni atti canonici di “approvazione”. 
            Tale studio dell’Altare degli Apostoli è invece importante perché, oltre a fornire una ulteriore prova dell’autenticità della Santa Casa di Loreto come la “Casa nazaretana” di Maria, fornisce anche una “prova” ancora più eclatante a riguardo della “miracolosità” della “traslazione” della Santa Casa di Nazareth. Infatti la “tradizione” ha sempre attestato che, tra il 1291 e il 1296, le tre Pareti della Santa Casa di Nazareth furono trasportate “miracolosamente”, per “il ministero angelico”, in “vari luoghi”, e insieme alle tre Pareti fu trasportato “miracolosamente”, “in vari luoghi”, anche l’Altare degli Apostoli. Ciò è attestato da antichi documenti, nei quali si parla della presenza di tale Altare unitamente alle tre Sante Pareti, come a Tersatto, in Dalmazia, ove la Santa Casa vi sostò tra il 10 maggio 1291 e il 10 dicembre 1294. Quindi, in un certo senso, si potrebbe dire che “il miracolo” fu “duplice”, perché furono trasportate “miracolosamente” non solo le tre Sante Pareti “integre”, ma insieme ad esse, e distinto da esse, anche l’Altare degli Apostoli.
Intervistatore: Che cosa hanno detto la storia, la tradizione, i Sommi Pontefici, sulla “traslazione” della Santa Casa di Nazareth della Vergine Maria, che si trova ora a Loreto?
Prof. Nicolini:
            Nel libro che ho scritto in proposito, dimostro che dal punto di vista storico e archeologico sono accertate, in modo indiscutibile, “almeno” cinque “traslazioni miracolose”, tra il 1291 e il 1296: a Tersatto (nell’ex-Jugoslavia), ad Ancona (località Posatora), nella selva della signora Loreta nella pianura sottostante l’attuale cittadina di “Loreto” (il cui nome deriva proprio da quella signora di nome “Loreta”); poi sul campo di due fratelli sul colle lauretano (o Monte Prodo) e infine sulla pubblica strada, ove ancor oggi si trova, sotto la cupola dell’attuale Basilica.
            Tutti questi fatti soprannaturali furono tramandati dai “testimoni oculari” dell’epoca, nei vari luoghi ove si compirono, e furono rigorosamente controllati dai Vescovi locali dell’epoca, i quali emisero dei pronunciamenti “canonici” di “veridicità”, come attestano delle “chiese” dell’epoca consacrate a tali “eventi miracolosi” dai Vescovi di Fiume, di Ancona, di Recanati, di Macerata, di Napoli… Così pure tanti Sommi Pontefici, impegnando la loro Suprema Autorità Apostolica, hanno “approvato” ininterrottamente, sin dalle origini, la “veridicità storica” delle “miracolose traslazioni” della Santa Casa: da Nicolò IV (1292) sino a Giovanni Paolo II (2005).
            In proposito, così scriveva il grande Pontefice Beato Pio IX, nella Bolla “Inter Omnia”, del 26 agosto 1852: “A Loreto si venera quella Casa di Nazareth, tanto cara al Cuore di Dio, e che, fabbricata nella Galilea, fu più tardi divelta dalle fondamenta e, per la potenza divina, fu trasportata oltre i mari, prima in Dalmazia e poi in Italia”. E il Santo Pontefice aggiunse ancora: “Proprio in quella Casa la Santissima Vergine, per eterna divina disposizione rimasta perfettamente esente dalla colpa originale, è stata concepita, è nata, è cresciuta, e il celeste messaggero l’ha salutata piena di grazia e benedetta fra le donne. Proprio in quella Casa ella, ripiena di Dio e sotto l’opera feconda dello Spirito Santo, senza nulla perdere della sua inviolabile verginità, è diventata la Madre del Figlio Unigenito di Dio”.

Intervistatore: C’è però chi sostiene la tesi secondo cui furono alcuni Crociati, con la nave, a trasportare a Loreto solo delle “pietre” della Casa di Maria, che vennero poi ivi riassemblate sotto forma di “casa”. Lei che ne pensa?
Prof. Nicolini:
            Intanto è opportuno precisare che a Loreto ci sono solo le tre Pareti che costituivano in realtà “la Camera” di Maria, comunemente denominata come “la Santa Casa”, ove avvenne l’Annunciazione, e che sorgeva a Nazareth dinanzi ad una grotta e faceva un sol corpo con essa. Attualmente a Nazareth sono rimaste “la grotta” e “le fondamenta” della Casa “in muratura” dell’Annunciazione, mentre a Loreto è venerata l’autentica Casa “in muratura”, “senza fondamenta”, che stava a Nazareth davanti alla grotta. Detto più semplicemente: a Nazareth ci sono “le fondamenta” senza la Casa, a Loreto c’è “la Casa” senza le fondamenta.
            L’“ipotesi” di un trasporto umano, avanzata recentemente da alcuni studiosi, oltre ad essere priva di ogni documentazione al riguardo, è “insostenibile” ed “impossibile”, sia per le ragioni “storiche” sopraddette, nonché per ragioni “architettoniche” e “scientifiche”.
            Ad esempio, l’ipotesi di un trasporto umano mediante la scomposizione dei muri della Casa in singoli blocchi di pietra effettuata a Nazareth e ricomposta prima in Dalmazia e poi per altre quattro volte sulla costa adriatica, dopo duemila chilometri di peregrinazione per terra e per mare, è del tutto impossibile anche dal punto di vista “temporale”. Ciò lo attesta la “simultaneità” delle date di partenza da Nazareth (sicuramente nel maggio 1291) e di arrivo a Tersatto (9-10 maggio 1291), come riportato da una lapide dell’epoca. 
            Così pure risulterebbe impossibile una simile operazione di “smontaggio” e “rimontaggio”, eseguita per di più in cinque luoghi diversi, in Dalmazia e in Italia. 
            L’analisi chimica della malta, infatti, nei punti dove attualmente tiene unite le pietre, presenta caratteristiche chimiche particolari, proprie della zona di Nazareth, con una omogeneità della tessitura muraria, che esclude ogni possibilità di un tale ipotetico “smontaggio” e “rimontaggio” delle pietre. Infatti la malta che tiene unite le pietre è uniforme in tutti i punti e risulta costituita da solfato di calcio idrato (gesso) impastato con polvere di carbone di legna secondo una tecnica dell’epoca, nota in Palestina 2000 anni fa, ma mai impiegata in Italia. Quindi, la Santa Casa non fu mai “scomposta” in blocchi, ma è giunta a Loreto - dopo altre precedenti “traslazioni miracolose” - con le pietre “murate” con la stessa malta usata oltre 2000 anni fa a Nazareth, così come oggi ancora si presenta.
            La collocazione finale poi su una pubblica strada, a Loreto, ove ancor oggi si trova, è ugualmente umanamente “impossibile”, come hanno attestato tutti gli archeologi ed architetti che hanno esaminato nei secoli il sottosuolo della Santa Casa e la strada pubblica su cui “si è posata”.
            L’architetto Giuseppe Sacconi (1854-1905), ad esempio, dichiarò di aver constatato che la Santa Casa sta, parte appoggiata sopra l’estremità di un’antica strada e parte sospesa sopra il fosso attiguo”. Disse inoltre che, senza entrare in questioni storiche o religiose, bisognava ammettere che la Santa Casa non poteva essere stata fabbricata, come è, nel posto ove si trova (“Annali Santa Casa”, anno 1925, n.1). Un dato da rilevare, in proposito, a dimostrazione che le tre Sante Pareti “si posarono” sulla strada, e non che vi furono ricostruite, è la singolarità di un cespuglio spinoso che si trovava sul bordo della strada al momento dell’impatto e che vi è rimasto imprigionato.
            Un altro insigne architetto, Federico Mannucci (1848-1935), incaricato dal Sommo Pontefice Benedetto XV di esaminare le fondamenta della Santa Casa, in occasione del rinnovo del pavimento, dopo l’incendio scoppiatovi nel 1921, scrive e asserisce perentoriamente, nella sua “Relazione” del 1923, che “è assurdo solo pensare” che il sacello possa essere stato trasportato “con mezzi meccanici” 
(F. Mannucci, “Annali della Santa Casa”, 1923, 9-11), e rivelò che “è sorprendente e straordinario il fatto che l’edificio della Santa Casa, pur non avendo alcun fondamento, situato sopra un terreno di nessuna consistenza e disciolto e sovraccaricato, seppure parzialmente, del peso della volta costruitavi in luogo del tetto, si conservi inalterato, senza il minimo cedimento e senza una benché minima lesione sui muri” (F. Mannucci, “Annali della Santa Casa”, 1932, 290).
            L’architetto Mannucci trasse, in sintesi, queste conclusioni: i muri della Santa Casa di Loreto sono formati con pietre della Palestina, cementati con malta ivi usata; è assurdo solo il pensare ad un trasporto meccanico; la costruzione della Santa Casa nel luogo ove si trova si oppone a tutte le norme costruttive ed alle stesse leggi fisiche. Quindi, se l’intera Santa Casa di Nazareth non possono averla “trasportata” gli uomini, non può essere stata trasportata altrimenti che “miracolosamente”, per opera della Onnipotenza Divina, mediante “il ministero angelico”… come sempre “testimoniato” e “tramandato” dalla “tradizione” e “approvato” come “veridico” da tutti i Sommi Pontefici, per 700 anni, dalle origini sino ad oggi.


Intervistatore: Recentemente lei ha rivolto alcune domande sulla “questione lauretana” al Santo Padre Benedetto XVI. Quali sono state le risposte?

Prof. Nicolini:
            Ho richiesto al Santo Padre Benedetto XVI un intervento proprio perché venisse “ristabilita” in modo “definitivo” la “veridicità storica” della “miracolosa traslazione” della Santa Casa di Nazareth a Loreto, scalzando così tante moderne “fuorvianti” e “secolaristiche” interpretazioni. 
            Il Santo Padre è subito intervenuto per la celebrazione Liturgica della “Miracolosa” traslazione del 10 dicembre dello scorso anno, facendo pervenire al Vescovo di Loreto una relativa “inequivoca” e bellissima preghiera da recitarsi nel Santuario. 
            Tale preghiera, ed un mio commento ad essa, la si può leggere all’indirizzo del mio Sito Internet www.lavocecattolica.it/preghiera.benedettoXVI.htm).
            In questa preghiera il Sommo Pontefice Benedetto XVI – così come tutti i suoi Predecessori – “riconosce” di nuovo espressamenteripetutamente e inequivocabilmente che le Sante Pareti, venerate nel Santuario di Loreto, sono proprio la “Santa Casa” di Nazareth, di Maria, di Giuseppe e di Gesù. 
            Egli infatti, tra l’altro, scrive nella preghiera: “Santa Maria, Madre di Dio, ti salutiamo nella tua casa… qui hai vissuto… qui hai pregato con Lui… qui avete letto insieme le Sacre Scritture… siete tornati in questa casa a Nazareth… qui per molti anni hai sperimentato…”
            
La Santa Casa di Loreto, quindi, viene ancora “confermato” – dal nuovo Pontefice – che è proprio “la Casa di Maria”, quella che “proprio” “era” a Nazareth. 
            Perciò, anche nel “pronunciamento” del nuovo Sommo Pontefice, a Loreto non ci sono delle semplici “sante pietre” portate dagli uomini e “riassemblate” e “ricostruite” a Loreto dagli uomini (come sostengono certi “studiosi” contro gli stessi rilievi scientifici): perché, altrimenti, il Santo Padre non identificherebbe la Santa Casa di Loreto con quella che era “proprio” e “realmente” a Nazareth, ove avvenne l’annuncio dell’angelo a Maria e l’Incarnazione in lei del Figlio di Dio, e ove Maria, Giuseppe e Gesù hanno vissuto “per molti anni”… 
            A Loreto, perciò, vi è proprio l’intera Santa Casa di Nazareth (nelle sue tre Pareti), ivi giunta “miracolosamente”, per “il ministero angelico”, dopo molteplici “traslazioni miracolose”, come sempre insegnato dalla “tradizione”, attestato dagli studi storici, archeologici e scientifici, come quelli sopra accennati, e confermato innumerevoli volte - lungo i secoli - dal Magistero “ordinario” e “solenne” dei Sommi Pontefici.
            Forse giova qui ricordare le sempre attuali e bellissime parole del santo Sommo Pontefice Leone XIII, scritte nella sua Enciclica “Felix Lauretana Cives” (del 23 gennaio 1894):
            Comprendano tutti, e in primo luogo gli Italiani, quale particolare dono sia quello concesso da Dio che, con tanta provvidenza, ha sottratto (prodigiosamente) la Casa ad un indegno potere e con significativo atto d’amore l’ha offerta ad essi. Infatti in quella beatissima dimora venne sancito l’inizio della salvezza umana, con il grande e prodigioso mistero di Dio fatto uomo, che riconcilia l’umanità perduta con il Padre e rinnova tutte le cose”. 
            Ed anche: “Dio volle a tal punto esaltare l’invocato nome di Maria da dare compimento, in questo luogo (Loreto)a quella famosa profezia: “Tutte le generazioni mi chiameranno beata”.

Agenzia Internazionale ZENIT – Roma, 28 marzo 2006  - ZI06032812 

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