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domenica 19 gennaio 2020

Le nozze di Cana - Tre giorni: tre epoche - Il primo miracolo

QUADERNI DAL 1945 AL 1950 CAPITOLO 590


19 gennaio 1947

   [Precede il capitolo 49 del LIBRO DI AZARIA]
 
   Dice Gesù:
   «Avrei potuto parlare prima per darti questa gemma, o mio piccolo Giovanni. Ma tale è la dignità del S. Sacrificio, troppo poco conosciuto per ciò che è da troppi cristiani cattolici, che ho dato la precedenza alla spiegazione di esso. Ed è questa la prima lezione che do a molti, parlando eccezionalmente in dì festivo e su un brano evangelico che ho già trattato secondo l'insegnamento consueto. Quando un sacerdote o una voce parla in nome di Dio e per ordine di Dio, quando si ubbidisce ad un precetto, Io, che sono il Signore, taccio perché grande è la dignità di un maestro che parla in mio nome e per ordine mio, e grande è la dignità di un rito, grandissima quella della S. Messa, rito dei riti così come l'Eucarestia è il Sacramento dei Sacramenti.

   Or dunque ascolta, o mio piccolo Giovanni. Ti ho detto molto tempo fa ­– eri al luogo di esilio e soffrivi come solo Io so quanto – che ogni brano ed episodio evangelico è una miniera di insegnamenti.
Ricordi? Ti avevo mostrato la seconda moltiplicazione dei pani1 e ti avevo detto che, come con pochi pesci e pochi pani avevo potuto sfamare le turbe, altrettanto i vostri spiriti possono essere sfamati all'infinito dai pochi brani che sono riportati dai 4 Vangeli. Infatti sono 20 secoli che di essi si sfama un numero incalcolabile di uomini. Ed Io, ora, attraverso il mio piccolo Giovanni ho dato aumento di episodi e parole perché veramente l'inedia sta per consumare gli spiriti e Io ne ho pietà. Ma anche da quei pochi episodi dei 4 Vangeli vengono, da 20 secoli, pane e pesci agli uomini perché ne siano saziati e ne avanzino ancora.

   Tutto ciò fa lo Spirito Santo, che è il Maestro docente sulla cattedra dell'insegnamento evangelico. 
"Quando sarà venuto2 il Paraclito, Egli vi ammaestrerà in ogni vero e vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quanto ho detto", insegnando lo spirito vero di ogni parola, di ogni lettera dell'episodio. Perché è lo spirito della parola, e non la parola in sé, che dà la vita allo spirito. La parola incompresa è suono vano. È incompresa quando è solo vocabolo, rumore, non "vita, seme di vita, scintilla, sorgente" che mette radici, accende, lava e nutre.

   Le nozze di Cana3. Ecco che da 20 secoli sono spunto ai maestri di spirito a predicare la santità del matrimonio compiuto con la grazia di Dio, a predicare la potenza delle preghiere di Maria, il suo insegnamento all'ubbidienza: "Fate ciò che Egli vi dirà", la potenza mia che muta l'acqua in vino, e così via. Nessuno di questi frutti colti dal brano evangelico sono errati. Ma non questi soli sono i frutti che l'episodio porta e che voi potete coglierne.
   Mia piccola innamorata, amante di Me, affamata di Me Eucarestia, questo è uno degli episodi della mia vita pubblica in cui è in germe il miracolo ultimo dell'Uomo-Dio: l'Eucarestia. La Risurrezione è già miracolo di Dio-Uomo, il primo di tutti i miracoli venuti da quando, dalla Vittima distrutta dal Sacrificio, emerse il glorificato Gesù Dio-Uomo, il Vittorioso. Prima era ancora nascosto il Dio nell'Uomo. La sua Natura trapelava per bagliori nella parola e nei miracoli, simile alle vampate che incoronano di tanto in tanto un monte e fanno dire: "Qui si cela il fuoco e questo monte, in apparenza simile a molti altri, è un vulcano che ha per sua anima l'elemento fuoco in luogo di essere unicamente strati su strati di terre e di rocce".
   Ma l'Umanità del Cristo che doveva patire e morire era in tutto si­mile a quella di ogni uomo, avendo una carne soggetta alla legge della materia, col bisogno di cibo, di sonno, di bevande, di vesti, e disagio di freddo o di calore, e stanchezze per molto lavoro o lungo cammino, e compattezze di carne, e – miseria per l'Onnipresente – e costrizione in un unico luogo. Tutto meno la colpa e gli appetiti alla stessa. Anzi, tutto, e soprattutto ciò che è il martirio dei giusti: il dover vivere fra i peccatori vedendo le offese fatte all'Eterno da es­si, e le discese dell'uomo nella fanghiglia dei bruti. L'Uomo – Io te lo dico, Maria – ha sofferto, col suo intelletto e col suo cuore di Giusto, più di questo che di ogni altra cosa. Il fetore del vizio e del peccato! La verminaia di tutte le concupiscenze! Io te lo dico: ho co­minciato ad espiarle da quando le ho avute vicine, tanto era il tor­mento che davano all'anima e all'intelletto mio. Gli angeli hanno numerato i colpi degli immateriali flagelli dei vizi dell'uomo sulla mia Umanità, numerosi quanto e dolorosi più di quelli del flagrum romano.
   Dopo il Sacrificio, il mio vero Corpo, pur restando vero Corpo, assunse la libera bellezza e potenza dei corpi glorificati, quella che sarà anche la vostra. Quella in cui la materia somiglierà allo spirito con il quale visse e lottò per farsi regina come esso re. E il Corpo fu glorioso come lo Spirito che in esso era divino, non più soggetto a tutto quello che prima lo mortificava, e lo spazio non fu più ostacolo, né ostacolo il muro, né ostacolo la lontananza, né ostacolo l'essere Io qui nel Cielo voi lì sulla Terra, perché Io fossi in Cielo e in Terra vero Dio e vero Uomo colla mia Divinità, con la mia Anima, col mio Corpo e col mio Sangue, infinito come alla mia Natura divina si conviene, contenuto in un frammento di Pane come il mio Amore volle, reale, onnipresente, amante, vero Dio, vero Uomo, vero Cibo all'uomo, sino alla consumazione dei secoli, e vero gaudio degli eletti per ciò che non è più secolo ma eternità.
   L'Eucarestia è il miracolo ultimo dell'Uomo Dio. La Risur­re­zio­ne, il miracolo primo del Dio Uomo che da Se stesso trasmuta il suo Cadavere in Vivente eterno. L'Eucarestia, trasformazione delle spe­cie del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo, è al limite fra le due epoche come una stella, quella del mattino, fra i due tempi che han nome Notte e Giorno. E quando brilla la stella del mattino il viandante si dice: "Ora è giorno" benché ancora non sia giorno, per­ché sa che quella luce, ai limiti del cielo, è presagio d'alba. L'Euca­restia è la Stella del mattino del tempo nuovo. La sua luce di mira­colo d'amore è presagio d'alba, dell'alba del tempo di Grazia. Per questo sta, raggiante dei suoi fuochi, sospesa fra il tempo che si chiude e quello che s'apre, alla fine della mia predicazione, all'ini­zio della Redenzione.
   Se la stella dell'Epifania4 brillò per dire ai re che il Re universale era dato al mondo, la stella della mia Eucarestia brillò nella Cena pasquale per dire al mondo che il vero Agnello stava per essere immolato, che già si immolava, dandosi spontaneamente in perpetuo cibo agli uomini perché il Sangue suo non bagnasse soltanto gli stipiti e gli architravi, ma circolasse, tutt'uno con loro, a farli santi, e la Carne immacolata fortificasse la loro debolezza mentre l'Anima del Cristo e la Divinità del Verbo abitano in loro portando seco l'inscindibile Presenza del Padre e dell'Eterno Spirito. E fra l'annuncio della stella epifanica e l'annuncio della stella eucaristica, ecco brillare con i suoi simboli incompresi la luce del miracolo di Cana a dire al mondo ciò che avrebbe fatto, nel cuore di pietra degli uomini e con la povera acqua del loro pensiero, la Sapienza e Potenza incarnata.
   "Tre giorni dopo c'era un banchetto". Tre giorni: tre epoche, prima del convito di gioia. La prima, dalla creazione del mondo5 sino alla punizione del diluvio; la seconda, dal diluvio alla morte di Mosè. La terza, da Giosuè, mia figura, alla mia venuta. E ancora tre epoche, o tre giorni: i tre anni della mia predicazione prima del convito pasquale. E come avviene per un banchetto nuziale, che la preparazione ad esso è sempre più piena più si avvicina il momento del festino, così fu per il mio convito d'amore. Perciò sempre più chiare le voci del concerto profetico e le luci degli attendenti il vero Sposo che veniva a sposare Sé all'Umanità per farla regina.
   "E vi era la Madre di Gesù". La Madre! Può mancare la Madre se deve essere partorito l'uomo nuovo? Può non esservi Eva se deve essere d'ora in avanti la "Vita" dove era la Morte? E può mancare la Donna6 mentre si avvicina l'ora che il Serpente avrà oppresso il capo e limitata la sua libertà d'azione? Non può. E la Madre dei viventi, l'Eva senza macchia, la Donna dell' "Ave" e del "Si faccia", la Donna dal calcagno potente, la Corredentrice, è presente al convito con cui ha inizio lo sponsale dell'Umanità con la Grazia.
   Ma "venuto a mancare il vino" i convitati non avrebbero gioito per la presenza di Gesù. Oh! veramente quando venni per il mio convito di Grazia trovai che il vino mancava presto. Era troppo poco, e presto fu consumato, e gli uomini caddero in tristezza perché Io deludevo le loro speranze di inebbriarsi di umani succhi di potenza e vendetta.
 Che avevo trovato iniziando la mia missione? "Idrie di pietra preparate per le purificazioni dei Giudei". Ossia per le purificazioni materiali. Ecco. I cuori, dopo secoli e secoli di impura assimilazione della Sapienza, si erano mutati in idrie di pietra. E non già per purificare se stessi, ma per servire a purificare. Il rigorismo, l'esteriorità dei riti. Quel rigorismo che induriva senza servire a detergere neppure se stessi. Il solito peccato di superbia del credersi perfetti e di credere impuri gli altri. La durezza opaca della pietra opposta alla luce e alla duttilità della Sapienza che illumina a comprendere e aiuta ad amare. Cuori chiusi. Anche l'acqua che li empie non li fa morbidi. Serve a ghiacciarli. E nulla più. Gettata l'acqua, essi sono aridi, duri e senza profumo. Questo è l'esteriorità dei riti che colmano senza penetrare, senza trasformare, senza far dolci e profumati. Le idrie, i cuori, erano vuoti. Non contenevano neppure quel minimo di cosa utile che è l'acqua per purificare gli altri. Erano vuoti. Non avevano neppure pensato a colmarsi del minimo. Vuoti, arcigni, scabri, inutili, scuri nell'interno come un antro, bigi all'esterno per polvere e vecchiaia.
   "Empite d'acqua le idrie". Oh! quanta l'acqua viva che Io ho versato nei cuori di pietra degli ebrei perché almeno avessero un minimo per essere utili ad alcunché! Ma essi non si mutarono e nella quasi maggioranza respinsero l'acqua, restando vuoti, duri, oscuri, arcigni.
   "E ora attingete". Ecco. Nei cuori dove l'acqua fu accolta si mutò in vino eletto, tanto che il maestro di tavola disse: "Tutti dànno al principio il vino migliore e poscia il peggiore, mentre tu hai serbato il migliore alla fine". Ho infatti serbato il migliore alla fine, Io, sposo del gran convito. Nell'Ultima Cena, ultimo atto del Maestro, Io, Sposo, ho mutato non l'acqua in vino, ma il vino in Sangue mio per una nuova trasformazione che vi aiutasse, o uomini, ad essere felici della mia felicità che è santa ed eterna. Avevo per tre anni empito le idrie vuote dell'Acqua veniente dal Cielo. Ma ora l'acqua non bastava più. Veniva il tempo della lotta e del giubilo, e il vino è utile al lottatore e immancabile ai conviti. Ed Io vi ho dato l'Eucarestia, il mio Sangue, perché beveste la mia stessa forza, e forti foste, e la mia ilare volontà di servire Iddio, e diveniste eroi come il Maestro vostro, e la mia gioia fosse in voi.
   Né quel miracolo di trasformazione7 di una specie nell'altra ha più avuto fine. Le idrie del convito di Cana si vuotarono presto lasciando ebbri gli invitati alle nozze. La mia Eucarestia empie i calici e le pissidi di tutta la Terra da secoli. E sino alla fine dei secoli gli affamati, gli esausti, i sitibondi, gli stanchi, gli afflitti, i morenti e quelli che appena cominciano a vivere con ragione, i puri come i penitenti, i malati come i sani, i sacerdoti come i laici, gli uomini d'ogni razza e condizione, sulle vette e nelle pianure, fra le nevi polari e all'equatore, sulle acque e sulle terre, vengono a bere, a mangiare, a nutrirsi, a salvarsi, a vivere del mio Sangue e della mia Carne, di questo Vino dato alla fine del Convito, alle soglie della Redenzione, perché fosse il Convito perpetuo dello Sposo a chi lo ama e la Redenzione continua dei vostri languori e cadute.
   Le nozze di Cana. La trasformazione dell'acqua in vino. La Cena di Pasqua: la transustanziazione del pane e vino nel mio Corpo e nel mio Sangue. La prima, a segnare l'inizio della mia missione di trasformazione degli ebrei dell'antico tempo in discepoli del Cristo. La seconda, a segnare il principio della transustanziazione degli uomini in figli di Dio per la Grazia rivivente in loro. L'ultimo miracolo dell'Uomo Dio. Il primo e perpetuo miracolo dell'Amore umanizzato.
   Questa, mio piccolo Giovanni, una delle applicazioni – ed è la più alta – del miracolo delle nozze di Cana.
   Ed in te, e per sempre, il mio Corpo e il mio Sangue siano quelle Cose preziose e incorruttibili per le quali, come dice8 Simon Pietro, sei stata riscattata, affinché tu esalti le virtù di Colui che dalle tenebre ti chiamò all'ammirabile sua luce. La mia pace a te, piccola sposa, anelante all'Amore. La pace a te. La pace a te. La pace a te.»
   [Segue, in data 26 gennaio 1947, il capitolo 50 del LIBRO DI AZARIA. Con date del 21, 22 e 23 gennaio 1947 sono i capitoli 558, 559 e 560 dell'opera L'EVANGELO]
           

   la seconda moltiplicazione dei pani, nella "visione" e nel "dettato" di commento, scritti il 28 maggio 1944, forma 
il capitolo 353 dell'opera "L'Evangelo".

           
   2 Quando sarà venuto… è citazione da Giovanni 14, 26.

           
   3 Le nozze di Cana, episodio che si trova in Giovanni 2, 


1-11, è trattato nel capitolo 52 dell'opera "L'Evangelo".

           
   4 stella dell'Epifania, quella che guidò i Magi, in M

atteo 2, 2.7.9.10; nella Cena pasquale, nel passo di Matteo 26, 26-29Marco 14, 22-25Luca 22, 19-20; non bagnasse 

soltanto gli stipiti e gli architravi, come prescritto in Esodo 12, 7
.
           
   5 creazione del mondo, in Genesi 1; diluvio, in Genesi 6-8; morte di Mosè, in Deuteronomio 34; Giosuè, in Giosuè 1.

           
   6 la Donna, in Genesi 3, 15.
  
         
   7 trasformazione è termi
ne esatto per il miracolo di Cana, ma per il miracolo dell'Eucarestia deve parlarsi ditransustanziazione, come è detto nel 
capoverso che segue e in altri passi del presente "dettato".

           
   8 come dice, in 1 Pietro 2, 9.


AVE MARIA PURISSIMA!

sabato 19 gennaio 2013

Le nozze di Cana. «Figlio, non hanno più vino». «Fate quello che Egli vi dirà»




52. Le nozze di Cana. Il Figlio non più soggetto alla Madre compie per Lei il primo miracolo Gv 2,1-11

Vedo una casa. Una caratteristica casa orientale - un cubo bianco, più largo che alto, con rade aperture -
sormontata da una terrazza che fa da tetto, recinta da un muretto alto circa un metro e ombreggiata da una
pergola di vite, che si arrampica fin là e stende i suoi rami su oltre metà di questa assolata terrazza. Una scala
esterna sale lungo la facciata sino all'altezza di una porta, che si apre a metà altezza della facciata. Sotto ci
sono, al terreno, delle porte basse e rade, non più di due per lato, che mettono in stanze basse e scure. La casa

sorge in mezzo ad una specie di aia, più spiazzo erboso che aia, che ha al centro un pozzo. Vi sono delle
piante di fico e di melo. La casa guarda verso la strada, ma non è sulla strada. È un poco in dentro, e un
viottolo fra l'erba l'unisce alla via che sembra una via maestra.
Si direbbe che la casa è alla periferia di Cana: casa di proprietari contadini, i quali vivono in mezzo al loro
poderetto. La campagna si stende oltre la casa con le sue lontananze verdi e placide. Vi è un bel sole e un
azzurro tersissimo di cielo. In principio non vedo altro. La casa è sola.
Poi vedo due donne, con lunghe vesti e un manto che fa anche da velo, avanzarsi sulla via e da questa sul
sentiero. Una è più anziana, sui cinquant'anni, e veste di scuro, un color bigiomarrone come di lana naturale.
L'altra è vestita più in chiaro, una veste di un giallo pallido e manto azzurro, e sembra avere un trentacinque
anni. È molto bella, snella, e ha un portamento pieno di dignità, per quanto sia tutta gentilezza e umiltà.
Quando è più vicina, noto il color pallido del volto, gli occhi azzurri e i capelli biondi che appaiono sotto il
velo sulla fronte. Riconosco Maria Ss. Chi sia l'altra, che è bruna e più anziana, non so. Parlano fra loro e la
Madonna sorride. Quando sono prossime alla casa, qualcuno, certamente messo a guardia degli arrivi, dà
l'avviso, ed incontro alle due vengono uomini e donne tutti vestiti a festa, i quali fanno molte feste alle due e
specie a Maria Ss.
L'ora pare mattutina, direi verso le nove, forse prima, perché la campagna ha ancora quell'aspetto fresco delle
prime ore del giorno, nella rugiada che fa più verde l'erba e nell'aria non ancora offuscata da polvere. La
stagione mi pare primaverile, perché i prati sono con erba non arsa dall'estate e i campi hanno il grano ancor
giovane e senza spiga, tutto verde. Le foglie del fico e del melo sono verdi e ancora tenere, e così quelle della
vite. Ma non vedo fiori sul melo e non vedo frutta né sul melo, né sul fico, né sulla vite. Segno che il melo ha
già fiorito, ma da poco, e i frutticini non si vedono ancora.
Maria, molto festeggiata e fiancheggiata da un anziano che pare il padrone di casa, sale la scala esterna ed
entra in un'ampia sala che pare tenere tutta o buona parte del piano sopraelevato.
Mi pare di capire che gli ambienti al terreno sono le vere e proprie stanze di abitazione, le dispense, i
ripostigli e le cantine, e questa sia l'ambiente riservato a usi speciali, come feste eccezionali, o a lavori che
richiedano molto spazio, o anche a distensione di derrate agricole. Nelle feste lo svuotano da ogni impiccio e
lo ornano, come è oggi, di rami verdi, di stuoie, di tavole imbandite. Al centro ve ne è una molto ricca, con
sopra già delle anfore e piatti colmi di frutta. Lungo la parete di destra, rispetto a me che guardo, un'altra
tavola imbandita, ma meno riccamente. Lungo quella di sinistra, una specie di lunga credenza, con sopra
piatti con formaggi e altri cibi che mi paiono focacce coperte di miele e dolciumi. In terra, sempre presso
questa parete, altre anfore e tre grossi vasi in forma di brocca di rame (su per giù). Le chiamerei giare.
Maria ascolta benignamente quanto tutti le dicono, poi con bontà si leva il manto ed aiuta a finire i
preparativi della mensa. La vedo andare e venire aggiustando i letti-sedili, raddrizzando le ghirlande di fiori,
dando migliore aspetto alle fruttiere, osservando che nelle lampade vi sia l'olio. Sorride e parla pochissimo e
a voce molto bassa. Ascolta invece molto e con tanta pazienza.
Un grande rumore di strumenti musicali (poco armonici in verità) si ode sulla via. Tutti, meno Maria,
corrono fuori. Vedo entrare la sposa, tutta agghindata e felice, circondata dai parenti e dagli amici, a fianco
dello sposo che le è corso incontro per primo.
E qui la visione ha un mutamento. Vedo, invece della casa, un paese. Non so se sia Cana o altra borgata
vicina. E vedo Gesù con Giovanni ed un altro che mi pare Giuda Taddeo, ma potrei, su questo secondo,
sbagliare. Per Giovanni non sbaglio. Gesù è vestito di bianco ed ha un manto azzurro cupo. Sentendo il
rumore degli strumenti, il compagno di Gesù chiede qualcosa ad un popolano e riferisce a Gesù.



«Andiamo a far felice mia Madre» dice allora Gesù sorridendo. E si incammina attraverso ai campi, coi due
compagni, alla volta della casa. Mi sono dimenticata di dire che ho l'impressione che Maria sia o parente o
molto amica dei parenti dello sposo, perché si vede che è in confidenza.
Quando Gesù arriva, il solito, messo di sentinella, avvisa gli altri. Il padrone di casa, insieme al figlio sposo
ed a Maria, scende incontro a Gesù e lo saluta rispettosamente. Saluta anche gli altri due, e lo sposo fa lo
stesso.
Ma quello che mi piace è il saluto pieno di amore e di rispetto di Maria al Figlio e viceversa. Non espansioni,
ma uno sguardo tale accompagna la parola di saluto: «La pace è con te» e un tale sorriso che vale cento
abbracci e cento baci. Il bacio tremola sulle labbra di Maria, ma non viene dato. Soltanto Ella pone la sua
mano bianca e piccina sulla spalla di Gesù e gli sfiora un ricciolo della sua lunga capigliatura. Una carezza
da innamorata pudica.
Gesù sale a fianco della Madre e seguito dai discepoli e dai padroni, ed entra nella sala del convito, dove le
donne si danno da fare ad aggiungere sedili e stoviglie per i tre ospiti, inaspettati, mi sembra. Direi che era
incerta la venuta di Gesù e assolutamente impreveduta quella dei suoi compagni.

Odo distintamente la voce piena, virile, dolcissima del Maestro dire, nel porre piede nella sala: 
«La pace sia
in questa casa e la benedizione di Dio su voi tutti». Saluto cumulativo a tutti i presenti e pieno di maestà.
Gesù domina col suo aspetto e con la sua statura tutti quanti. È l'ospite, e fortuito, ma pare il re del convito,
più dello sposo, più del padrone di casa. Per quanto sia umile e condiscendente, è colui che si impone.
Gesù prende posto alla tavola di centro con lo sposo, la sposa, i parenti degli sposi e gli amici più influenti. I
due discepoli, per rispetto al Maestro, vengono fatti sedere alla stessa tavola.
Gesù ha le spalle voltate alla parete dove sono le giare e le credenze. Non le vede perciò, e non vede neppure
l'affaccendarsi del maggiordomo intorno ai piatti di arrosti, che vengono portati da una porticina che si apre
presso le credenze.
Osservo una cosa. Meno le rispettive madri degli sposi e meno Maria, nessuna donna siede a quel tavolo.
Tutte le donne sono, e fanno baccano per cento, all'altra tavola contro la parete, e vengono servite dopo che
sono stati serviti gli sposi e gli ospiti di riguardo. Gesù è presso il padrone di casa ed ha di fronte Maria, la
quale siede a fianco della sposa.
Il convito comincia. E le assicuro che l'appetito non manca e neanche la sete. Quelli che lasciano poco il
segno sono Gesù e sua Madre (il significato è che poco mangiano e poco bevono), la quale, anche, parla
pochissimo. Gesù parla un poco di più. Ma, per quanto sia parco, non è, nel suo scarso parlare, né accigliato
né sdegnoso. È un uomo cortese ma non ciarliero. Interrogato risponde, se gli parlano si interessa, espone il
suo parere, ma poi si raccoglie in Sé come uno abituato a meditare. Sorride, non ride mai. E, se sente qualche
scherzo troppo avventato, mostra di non udire. Maria si ciba della contemplazione del suo Gesù, e così
Giovanni, che è verso il fondo della tavola e pende dalle labbra del suo Maestro.
Maria si accorge che i servi parlottano col maggiordomo e che questo è impacciato, e capisce cosa c'è di
spiacevole. «Figlio» dice piano, richiamando l'attenzione di Gesù con quella parola. «Figlio, non hanno più vino».
«Donna, che vi è più fra Me e te?». Gesù, nel dirle questa frase, sorride ancor più dolcemente, e sorride
Maria, come due che sanno una verità che è loro gioioso segreto, ignorata da tutti gli altri.
Gesù mi spiega il significato della frase.
«Quel "più", che molti traduttori omettono (nel tradurre le parole che sono in: Giovanni 2, 4), è la chiave
della frase e la spiega nel suo vero significato. Ero il Figlio soggetto alla Madre sino al momento in cui la
volontà del Padre mio mi indicò esser venuta l'ora di essere il Maestro. Dal momento che la mia missione
ebbe inizio, non ero più il Figlio soggetto alla Madre, ma il Servo di Dio. Rotti i legami morali verso la mia
Genitrice. Essi si erano mutati in altri più alti, si erano rifugiati tutti nello spirito. Quello chiamava sempre
"Mamma" Maria, la mia Santa. L'amore non conobbe soste, né intiepidimento, anzi non fu mai tanto perfetto
come quando, separato da Lei come per una seconda figliazione, Ella mi dette al mondo per il mondo, come
Messia, come Evangelizzatore. La sua terza sublime mistica maternità fu quando, nello strazio del Golgota,
mi partorì alla Croce facendo di Me il Redentore del mondo.
"Che vi è più fra Me e te? "Prima ero tuo, unicamente tuo. Tu mi comandavi, Io ti ubbidivo. Ti ero
"soggetto". Ora sono della mia missione.
Non l'ho forse detto? (Luca 9, 62; Vol 3 Cap 178; Vol 4 Cap 276) "Chi, messa la mano all'aratro, si volge
indietro a salutare chi resta, non è adatto al Regno di Dio ". Io avevo posto la mano all'aratro per aprire col
vomere non le glebe, ma i cuori, e seminarvi la parola di Dio. Avrei levato quella mano solo quando me
l'avrebbero strappata di là per inchiodarmela alla croce ed aprire con il mio torturante chiodo il cuore del
Padre mio, facendone uscire il perdono per l'umanità.
Quel "più ", dimenticato dai più, voleva dire questo: "Tutto mi sei stata, o Madre, finché fui unicamente il
Gesù di Maria di Nazareth, e tutto mi sei nel mio spirito; ma, da quando sono il Messia atteso, sono del Padre
mio. Attendi un poco ancora e, finita la missione, sarò da capo tutto tuo; mi riavrai ancora sulle braccia come
quand'ero bambino, e nessuno te lo contenderà più, questo tuo Figlio, considerato un obbrobrio dell'umanità,
che te ne getterà la spoglia per coprire te pure dell'obbrobrio d'esser madre di un reo. E poi mi avrai di
nuovo, trionfante, e poi mi avrai per sempre, trionfante tu pure in Cielo. Ma ora sono di tutti questi uomini. E
sono del Padre che mi ha mandato ad essi".
Ecco quel che vuol dire quel piccolo e così denso di significato "più " ».
Maria ordina ai servi: «Fate quello che Egli vi dirà». Maria ha letto negli occhi sorridenti del Figlio l'assenso,
velato dal grande insegnamento a tutti i " vocati ". E ai servi: «Empite d'acqua le idrie» ordina Gesù.
Vedo i servi empire le giare di acqua portata dal pozzo (odo stridere la carrucola che porta su e giù il secchio
gocciolante). Vedo il maggiordomo mescersi un poco di quel liquido con occhi di stupore, assaggiarlo con
atti di ancor più vivo stupore, gustarlo e parlare al padrone di casa e allo sposo (erano vicini).

Maria guarda ancora il Figlio e sorride; poi, raccolto un sorriso di Lui, china il capo arrossendo lievemente. È
beata.
Nella sala passa un sussurrìo, le teste si volgono tutte verso Gesù e Maria, c'è chi si alza per vedere meglio,
chi va alle giare. Un silenzio, e poi un coro di lodi a Gesù.
Ma Egli si alza e dice una parola: «Ringraziate Maria» e poi si sottrae al convito. I discepoli lo seguono.
Sulla soglia ripete: «La pace sia a questa casa e la benedizione di Dio su voi» e aggiunge: «Madre, ti saluto».
La visione cessa.

Gesù mi istruisce ancora così:
«Quando dissi ai discepoli: "Andiamo a far felice mia Madre ", avevo dato alla frase un senso più alto di
quello che pareva. Non la felicità di vedermi, ma di essere Lei l'iniziatrice della mia attività di miracolo e la
prima benefattrice dell'umanità. Ricordatevelo sempre. Il mio primo miracolo è avvenuto per Maria. Il
primo. Simbolo che è Maria la chiave del miracolo. Io non ricuso nulla alla Madre mia, e per sua preghiera
anticipo anche il tempo della grazia. Io conosco mia Madre, la seconda in bontà dopo Dio. So che farvi
grazia è farla felice, poiché è la Tutta Amore. Ecco perché dissi, Io che sapevo: "Andiamo a farla felice".
Inoltre ho voluto rendere manifesta la sua potenza al mondo insieme alla mia.  Destinata ad essere a Me
congiunta nella carne - poiché fummo una carne: Io in Lei, Lei intorno a Me, come petali di giglio intorno al
pistillo odoroso e colmo di vita - congiunta a Me nel dolore, poiché fummo sulla croce Io con la carne e Lei
col suo spirito, così come il giglio odora e colla corolla e coll'essenza tratta da essa, era giusto fosse
congiunta a Me nella potenza che si mostra al mondo.
Dico a voi ciò che dissi a quei convitati: "Ringraziate Maria. È per Lei che avete avuto il Padrone del
miracolo e che avete le mie grazie, e specie quelle di perdono ".
Riposa in pace. Noi siamo con te».

AVE MARIA!
IMMACOLATA MIA, MIO TUTTO!