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mercoledì 14 ottobre 2020

SAN DOMENICO con i santi Apostoli Pietro e Paolo

 




STORIE E LEGGENDE 2


VA' E PREDICA
Costantino di Orvieto racconta nella sua 
Legenda che, mentre S. Domenico era a Roma e pregava nella basilica di S. Pietro, vide comparire i due santi apostoli, Pietro e Paolo. Il primo, Pietro, gli consegnò un bastone; Paolo un libro. E tutti e due soggiunsero: « Và e predica, perché Dio ti ha scelto per questo ministero ». E in quell'istante parve a Domenico di vedere i suoi frati sparsi nel mondo che andavano a due a due a predicare al popolo la parola di Dio. (Cfr. Vicaire, op. cit., p. 342).
È certo che S. Domenico nei suoi viaggi portava con sé un bastone (si conserva nel convento di S. Domenico in Bologna) e le 
Lettere di S. Paolo e il Vangelo di S. Matteo.
 
IL PANE IN GINOCCHIO
Fra' Paolo da Venezia riferì al processo di canonizza­zione di Bologna: « Domenico praticava la povertà perso­nalmente e desiderava che fosse praticata nell'Ordine (...). Portava un abito molto grossolano e quando era fuori dalle città o dalle vie maestre, si toglieva le scarpe e camminava scalzo (...). Egli l'aveva visto andare di porta in porta a domandare l'elemosina e ricevere del pane come un povero. Un giorno a Dugliolo (Bologna), dove domandava l'ele­mosina, un uomo gli diede una pagnotta intera: il Padre la prese in ginocchio con molta umiltà e devozione » 
(Pro­cesso di Bologna, n. 42).
 
COMINCIANDO DAGLI ULTIMI
Fr. Buonvisio da Piacenza al processo di canonizzazione di Bologna « narrò che, al tempo in cui egli fu economo del convento di Bologna e quindi spettava a lui procurare il necessario ai frati, un giorno di digiuno venne a mancare il pane in refettorio. Fra' Domenico come al solito fece cenno perché fosse servito il pane in tavola; al che il teste lo avvertì che non ce n'era. Allora fra' Domenico, raggiante in viso, alzando le mani lodò e benedisse il Signore. In quel medesimo istante entrarono due portando due canestri, uno di pane e l'altro di fichi ». (Processo di Bologna, n. 22).
La tradizione precisa che questi due « angeli », iniziarono a servire dagli inferiori finendo per ultimo con S. Domenico. La scena è riprodotta in moltissimi refettori dei conventi domenicani; ed ancora oggi i primi ad essere serviti a mensa sono i meno anziani, e, per ultimo, il superiore.
 
DISPOSTO A VENDERSI SCHIAVO
Una volta, mentre S. Domenico esortava un eretico a tornare nella Chiesa, questi gli rispose che l'adesione al­l'eresia gli era imposta dalle strettezze economiche. Gli eretici, infatti, gli davano in abbondanza quel che gli oc­correva per vivere, cosa che non avrebbe ottenuto altrove.
Mosso a compassione, decise di vendere se stesso come schiavo e col ricavato riscattare la miseria di quell'anima in pericolo. E l'avrebbe fatto, se Dio non avesse provveduto ín altra maniera alla povertà di quell'uomo. (Da B. Giordano, 
Libellus, c. 35).

SOSTEGNI DELLA CHIESA
Si narra che il papa Innocenzo III, dal quale S. Do­menico era andato per avere l'approvazione del suo Ordine, una notte vide in sogno la basilica lateranense che stava per crollare ed un uomo, S. Domenico, che sosteneva con le sue spalle le mura cadenti.
Tale fatto è ricordato anche di S. Francesco d'Assisi.
Si racconta pure che una notte, stando in preghiera, S. Domenico vide Gesù Cristo sdegnato contro il mondo e la sua Madre che, per placarlo, gli presentava due uomini. In uno riconobbe se stesso; ed impresse nella memoria il volto dell'altro. Il giorno seguente, in una chiesa vide quell'uomo, lo abbracciò e gli raccontò la visione avuta. Era S. Francesco d'Assisi. 
(Vitae Fratrum, n. 3).
Certo è che ancora oggi, dove esistono vicini un convento di Francescani e di Domenicani, il giorno della festa di S. Domenico i Francescani vanno dai Domenicani e il giorno di S. Francesco i Domenicani vanno dai Francescani per ripetere quel primo abbraccio tra i due Santi.

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martedì 2 giugno 2015

Parlar chiaro: I tre elementi della storia

LA STORIA
La storia è fatta di tre elementi.

Il primo, quello che troviamo sul proscenio, è l’uomo libero, che fa quello che vuole, bene o male.

Il secondo è dato dalla natura che, guidata da leggi determinate, fisse e impreteribili, fa il suo cammino e intreccia pertanto l’elemento determinato suo con l’elemento libero dell’uomo che cammina in mezzo ad essa, dando il risultato per noi più sorprendente di non essere mai disturbata nella determinatezza delle sue leggi dalla libertà dell’uomo e di non disturbare mai con la determinatezza delle sue leggi la stessa libertà dell’uomo. È il secondo elemento. L’intreccio di questi due elementi e di tanti elementi crea la cosiddetta causalità.

Ma c’è un terzo che è al di fuori, un terzo elemento che è misterioso, che cammina accanto all’uomo, che cammina accanto alla natura, che non è né l’uomo né la natura, che sta al di sopra di essi e che viene rivelato da un disegno, che viene rivelato dai cicli, dalle rispondenze, che viene rivelato dai risentimenti morali e dal fatto di un legame quanto mai indicatore che esiste tra colpa e dolore, tra peccato e disgrazia.

E il terzo elemento misterioso è il reparto dove agisce soltanto Iddio, la Divina Provvidenza. È dall’incontro di questi tre elementi che si fa la storia. Ma di questi tre elementi nei quali l’uomo fa la figura che voi sapete, il quadro che voi conoscete, il vertice si chiama Gesù Cristo e Gesù Cristo nella sua Passione, il Verbo di Dio fatto uomo che immola sé stesso perché gli uomini trovino la via della loro giustizia e della eterna pace. (G. Siri, Esercizi Spirituali)

giovedì 12 marzo 2015

Cuore Ammirabile


Vùlnera cor meum charitate tua,
Fac me dignum gratia et munéribus tuis.

Ferisci il mio cuore con la tua carità,
Fammi degno della tua grazia e dei tuoi favori
.

23 - Il Cuore di Maria e la bontà e provvidenza di Dio

Bontà di Maria.

L'amabilissima bontà di Dio comunica le sue divine inclinazioni al S. Cuore di Maria.

«Perché l'uomo, nella sua fragilità, teme di avvicinarsi a Maria? Nulla d'austero è in Lei, nulla che sgomenti. Ella è tutta dolcezza. Sfogliate diligentemente il Vangelo, e se voi trovate in Lei un minimo indizio di severità, d'indignazione, temete pure di presentarvi a Lei. 
Ma se, al contrario, trovate in questa Vergine (e lo troverete) un Cuore ripieno d'amore, di pietà, di dolcezza, di bontà, ringraziate Colui che, per la sua grande benignità, vi ha dato una tale Mediatrice» (San Bernardo). 

Ella non respinge nessuno di quanti ricorrono a Lei con umiltà e confidenza. E «Inventa Maria, invenitur omne bonum», dice il sapiente beato Raimondo Jourdain. 
Chiunque ha trovato Maria, ha trovato un tesoro inesauribile 
d'ogni sorta di beni. 
Ella ama quelli che l'amano e serve quanti la servono.

«O felice Maria, dice S. Bernardo, chi ti ama, onora Dio; chi Ti serve contenta Dio, chi invoca con cuore puro il tuo santo Nome, ottiene infallibilmente tutto ciò che domanda»:
«Quis unquam invocavit eam, et non est exauditus ab Ea?»; dice Papa Innocenzo III: chi mai, avendo invocato Maria, non è stato esaudito? 
«Sileat misericordiam tuam, Virgo beata, si quis est qui invocatam te in necessitatibus suis, sibi meminerit defuisse» (S. Bernardo). Chi potrà dire, o Santa Vergine, che alcuno abbia ricorso a Voi nelle sue necessità e non sia stato esaudito?

La SS. Vergine ha un Cuore tanto buono e benigno, non solo verso i buoni, ma verso i peccatori: 
conserva i primi nello stato di grazia, perciò la Chiesa la chiama Madre di grazia;
riconduce i secondi alla divina misericordia, e perciò la Chiesa la chiama Madre di misericordia.

Ella, tutta benignità, non fa del bene solo a chi implora il suo soccorso, ma altresì a chi non l'invoca nemmeno. 
«Quid mirum si advocata ades, quae etiam non vocata praesto est»; qual meraviglia se Ella soccorre quelli che la supplicano, poiché aiuta pure quelli che non la pregano? (S. Bernardo).

Ella ama persino chi la odia e fa del bene a chi le fa del male. Non ha sacrificato suo Figlio anche per quelli che lo hanno crocefisso? La bontà e la benignità del Cuore di Maria fanno sentire i loro effetti su tutti.

La carità dei Santi è universale; tuttavia essi possono esercitarla in singolare misura nei luoghi o per le persone di cui sono particolarmente patroni. Ma siccome Maria è Madre di tutti i cristiani, Regina di tutti gli uomini, Patrona e Avvocata di tutti i figli di Adamo, così la sua bontà e le sue cure si estendono ovunque a favore di tutti: «Omnibus omnia facta est, dice S. Bernardo, ut de plenitudine ejus accipiant universi».

Maria e la Provvidenza. -

La Divina Provvidenza governa tutte le cose create, dalla
più grande alla più piccola; 
così la Madre di Dio, potentissima e buonissima, essendo Regina e governante dell'universo, spande le cure affettuose del suo Cuore regale su tutte le creature, per indirizzarle al fine per cui Dio le ha create, cioè alla sua gloria. 

*Ha cura speciale dei cristiani e soprattutto dei veri figli che si studiano di onorarla, servirla, imitarla.
*Vigila su di essi, li conserva e protegge come la pupilla degli occhi suoi; 
*li conduce per mano in tutte le loro vie, toglie gli ostacoli; 
*provvede loro gli aiuti necessari, li porta tra le braccia nei passi pericolosi; 
*infine li assiste maternamente nel passaggio da questa all'altra vita; 
*li difende dagli assalti del demonio; riceve nelle sue mani la loro anima; 
*li alberga nel suo Cuore; 
*li porta con gioia nel suo regno; 
*li presenta con indicibile bontà al suo Figliolo benedetto.

AMDG et BVM

venerdì 23 gennaio 2015

Le famiglie numerose, vale a dire, le più benedette da Dio, dalla Chiesa predilette e stimate quali preziosissimi tesori.




DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI DIRIGENTI E RAPPRESENTANTI DELLE
ASSOCIAZIONI TRA LE FAMIGLIE NUMEROSE*

Lunedì, 20 gennaio 1958
  
© Copyright - Libreria Editrice Vaticana

pubblicato sul sito del Vaticano



    Tra le visite più gradite al Nostro cuore annoveriamo questa vostra, diletti figli e figlie, Dirigenti e Rappresentanti le Associazioni tra le Famiglie Numerose di Roma e d'Italia. Vi è infatti nota la viva sollecitudine che Noi nutriamo verso la famiglia, di cui non trascuriamo occasione per illustrare la dignità nei suoi molteplici aspetti, per affermare e difendere i diritti, inculcare i doveri, in una parola, farne un caposaldo del Nostro pastorale insegnamento. 

Per questa stessa premura verso la famiglia, acconsentiamo di buon animo, ove le occupazioni del Nostro Ufficio non si frappongano, ad intrattenerCi, sia pure per brevi istanti, coi gruppi familiari che convengono nella Nostra dimora, ed anche, ove sia il caso, di lasciarCi fotografare in mezzo a loro, per perennare in qualche modo il ricordo della Nostra e della loro letizia. 
Il Papa in mezzo ad una famiglia! Non è forse questo un posto che ben gli si addice? 
Non è egli stesso, con significato altamente spirituale, Padre della umana famiglia, rigenerata in Cristo e nella Chiesa? 
Non si attua forse per tramite di lui, Vicario di Cristo sulla terra, il mirabile disegno della Sapienza creatrice, che ha ordinato ogni umana paternità a preparare l'eletta famiglia dei cieli, dove l'amore di Dio, Uno e Trino, l'abbraccerà con unico ed eterno amplesso, dandole Sè medesimo in beatificante eredità? 

Ma voi non rappresentate solamente la famiglia, bensì siete e rappresentate le famiglie numerose, vale a dire, le più benedette da Dio, dalla Chiesa predilette e stimate quali preziosissimi tesori. Da queste infatti ella riceve più manifestamente una triplice testimonianza, che, mentre conferma dinanzi agli occhi del mondo la verità della sua dottrina e la rettitudine della sua pratica, ridonda, in virtù dell'esempio, a grande vantaggio di tutte le altre famiglie e della stessa civile società. Ove, infatti, si incontrino con frequenza, le famiglie numerose attestano : la sanità fisica e morale del popolo cristiano — la fede viva in Dio e la fiducia nella sua Provvidenza — la santità feconda e lieta del matrimonio cattolico.

1. Tra le aberrazioni più dannose della moderna società paganeggiante deve contarsi l'opinione di taluni che ardiscono definire la fecondità dei matrimoni una « malattia sociale », da cui le nazioni che ne sono colpite dovrebbero sforzarsi di guarire con ogni mezzo. Di qui la propaganda del cosiddetto « controllo razionale delle nascite », promossa da persone e da enti, talvolta autorevoli per altri titoli, ma, in questo, pur troppo riprovevoli. Se però è doloroso di rilevare la diffusione di tali dottrine e pratiche, anche nelle classi tradizionalmente sane, è tuttavia confortante di notare nella vostra patria i sintomi ed i fatti di una sana reazione, in campo sia giuridico che medico. 

Come è noto, la vigente Costituzione della Repubblica Italiana, per non citare che questa sola fonte, accorda, nell'articolo 31, un « particolare riguardo alle famiglie numerose », mentre la dottrina più corrente dei medici italiani si schiera sempre più in disfavore delle pratiche limitative delle nascite. Non pertanto deve stimarsi cessato il pericolo e distrutti i pregiudizi, che tendono ad asservire il matrimonio e le sue sapienti norme ai colpevoli egoismi individuali e sociali. 
    È da deplorarsi in particolare quella stampa, che di tanto in tanto ritorna sull'argomento col manifesto intento di confondere le idee del buon popolo e trarlo in errore con fallaci documentazioni, con discutibili inchieste e perfino con dichiarazioni falsate di questo o quell'ecclesiastico. 

Da parte cattolica occorre insistere per diffondere la persuasione, fondata sulla verità, che la sanità fisica e morale della famiglia e della società si tutela soltanto con obbedire generosamente alle leggi della natura, ossia del Creatore, ed innanzi tutto nutrendo verso di esse un sacro ed interiore rispetto. 
Tutto in questa materia dipende dalla intenzione. Si potranno moltiplicare le leggi ed aggravare le pene, dimostrare con prove irrefutabili la stoltezza delle teorie limitative e i danni che dalla loro pratica derivano; ma se manca il sincero proposito di lasciare al Creatore compiere liberamente la sua opera, l'egoismo umano saprà sempre trovare nuovi sofismi ed espedienti per far tacere, se possibile, la coscienza e perpetuare gli abusi. 

Ora il valore della testimonianza dei genitori di famiglie numerose non solo consiste nel rigettare senza ambagi e con la forza dei fatti ogni compromesso intenzionale tra la legge di Dio e l'egoismo dell'uomo, ma nella prontezza ad accettare. con gioia e riconoscenza gli inestimabili doni di Dio, che sono i figli, e nel numero che a lui piace. 

Tale disposizione di animo, mentre libera gli sposi da intollerabili incubi e rimorsi, pone, a giudizio di autorevoli medici, le premesse psichiche più favorevoli per un sano sviluppo dei frutti propri del matrimonio, evitando nell'origine stessa delle nuove vite quei turbamenti ed angosce, che si tramutano in tare fisiche e psichiche sia nella madre che nella prole. 

A prescindere infatti dai casi eccezionali, sui quali avemmo altre volte occasione di parlare, la legge della natura è essenzialmente armonia, e quindi non crea dissidi e contraddizioni, se non nella misura in cui il suo corso viene turbato da circostanze per lo più anormali o dalla contrastante volontà umana. 

    Non vi è eugenetica che sappia far meglio della natura, ed è buona solo quella che ne rispetta le leggi, dopo averle profondamente conosciute, sebbene in alcuni casi di soggetti tarati sia consigliabile di dissuaderli dal contrarre matrimonio (cfr. Enc. Casti connubii, 31 dic. 193o, Acta Ap. Sedis a. 22, 1930, pag. 565). Del resto, sempre e dappertutto il buon senso popolare ha ravvisato nelle famiglie numerose il segno, la prova e la fonte di sanità fisica, mentre la storia non erra quando addita nella manomissione delle leggi del matrimonio e della procreazione la causa prima della decadenza dei popoli. 

Le famiglie numerose, lungi dall'essere la « malattia sociale », sono la garanzia della sanità di un popolo, fisica e morale. Nei focolari, dove è sempre una culla che vagisce, fioriscono spontaneamente le virtù, mentre esula il vizio, quasi scacciato dalla fanciullezza, che ivi si rinnova come soffio fresco e risanatore di primavera. 
Prendano dunque esempio da voi i pusillanimi e gl'ingenerosi; a voi conservi la patria gratitudine e predilezione per tanti sacrifici, che abbracciate nell'allevare ed educare i suoi cittadini; come vi è grata la Chiesa, che può per mezzo vostro ed insieme con voi presentare all'azione santificatrice del divino Spirito schiere sempre più sane e folte di anime. 

2. Nel mondo civile moderno la famiglia numerosa vale in generale non a torto come la testimonianza della fede cristiana vissuta, poiché l'egoismo, di cui parlavamo testé come massimo ostacolo alla espansione del nucleo familiare, non può validamente vincersi se non ricorrendo ai principii etico-religiosi. 

Anche di recente si è visto come la cosiddetta « politica demografica » non ottiene notevoli risultati, sia perché sull'egoismo collettivo, di cui essa è spesso la espressione, prevale quasi sempre l'individuale, sia perché le intenzioni ed i metodi di quella politica avviliscono la dignità della famiglia e delle persone, pareggiandole quasi a specie inferiori. Soltanto la luce divina ed eterna del cristianesimo illumina e vivifica la famiglia, in tal modo che, sia nell'origine sia nello sviluppo, la famiglia numerosa è spesso presa come sinonimo di famiglia cristiana. 
Il rispetto delle leggi divine le ha dato l'esuberanza della vita; la fede in Dio fornisce ai genitori il vigore necessario per affrontare i sacrifici e le rinunzie che esige l'allevamento della prole; i principi cristiani guidano e agevolano l'ardua opera di educazione; lo spirito cristiano del l'amore veglia sull'ordine e sulla tranquillità, mentre dispensa, quasi enucleandole dalla natura, le intime gioie familiari, comuni ai genitori, ai figli, ai fratelli. 

Anche esteriormente una famiglia numerosa ben ordinata è quasi un visibile santuario: il sacramento del Battesimo non è per essa un avvenimento eccezionale, ma rinnova più volte la letizia e la grazia del Signore. Non è ancora terminata la serie dei festosi pellegrinaggi al fonte battesimale, che comincia quella, sfavillante di pari candore, delle Cresime e delle prime Comunioni. Il più piccino dei fratelli ha appena deposto il vestitino bianco tra i più cari ricordi della vita, ed ecco fiorire il primo velo nuziale, che raccoglie ai piedi dell'altare genitori, figli e nuovi parenti. Seguiranno, come rinnovate primavere, altri matrimoni, altri battesimi, altre prime Comunioni, perpetuando, per così dire, nella casa le visite di Dio e della sua grazia. 

Ma Dio visita altresì le famiglie numerose con la sua Provvidenza, alla quale i genitori, specialmente poveri, danno aperta testimonianza, riponendo in lei ogni loro fiducia, quando non bastasse la umana industria. Fiducia ben fondata e non vana! 

Provvidenza — per esprimerCi con concetti e parole umane -- non è propriamente l'insieme di atti eccezionali della divina clemenza; ma il risultato ordinario dell'azione armoniosa della infinita sapienza, bontà e onnipotenza del Creatore. Dio non nega i mezzi di vivere a chi chiama alla vita. Il divino Maestro esplicitamente insegnato che « la vita vale più del nutrimento, e il corpo più del vestito » (cfr. Matth. 6, 25). 

Se singoli episodi piccoli e grandi, talora sembrano provare il contrario, è segno che qualche impedimento è stato opposto dall'uomo alla esecuzione dell'ordine divino, oppure, in casi eccezionali, prevalgono superiori disegni di bontà; ma la Provvidenza è una realtà, una necessità di Dio Creatore. 

Senza dubbio, non dalla disarmonia od inerzia della Provvidenza, bensì dal disordine dell'uomo — particolare dall'egoismo e dall'avarizia — è sorto e si mantiene ancora insoluto il cosiddetto problema della sovrappopolazione della terra, in parte realmente esistente, in parte irragionevolmente temuto come imminente catastrofe dalla moderna società. Con il progresso della tecnica, con la facilità dei trasporti, con le nuove fonti di energia, di cui si è appena cominciato a raccogliere i frutti, la terra può promettere prosperità a tutti coloro che ospiterà, ancora per molto tempo.

Quanto al futuro, chi può prevedere quali altre nuove ed impensate risorse racchiude il nostro pianeta, e quali sorprese, al di fuori di esso, contengono forse le mirabili attuazioni della scienza, appena ora iniziate? E chi può assicurare nel futuro un ritmo procreativo naturale, eguale al presente? È forse impossibile l'intervento di una legge moderatrice intrinseca del ritmo di espansione? La Provvidenza ha riserbato a sé il futuro destino del mondo. 

È intanto singolare il fatto che, mentre la scienza converte in utili realtà ciò che tempo addietro si stimava frutto di accese fantasie, il timore di alcuni trasforma le fondate speranze di prosperità in spettri di catastrofi. La sovrappopolazione non è dunque una valida ragione per diffondere le illecite pratiche del controllo delle nascite, bensì il pretesto per legittimare l'avarizia e l'egoismo, sia di quelle nazioni che temono dalla espansione delle altre un pericolo alla propria egemonia politica e l'abbassamento del tenore di vita, sia degli individui, specialmente dei più forniti di mezzi di fortuna, che preferiscono il più largo godimento dei beni terreni al vanto ed al merito di suscitare nuove vite. Si giunge in tal modo ad infrangere le leggi certe del Creatore col pretesto di correggere gli immaginari errori della di lui Provvidenza. 
    Sarebbe invece più ragionevole ed utile che la società moderna si applicasse più risolutamente e universalmente a correggere la propria condotta, rimuovendo le cause della fame nelle « zone depresse » o sovrappopolate, mediante Un Più attivo uso a scopi di pace delle moderne scoperte, una più aperta politica di collaborazione e di scambio, una più lungimirante e meno nazionalistica economia; soprattutto reagendo alle suggestioni dell'egoismo con la carità, dell'avarizia con applicazione più concreta della giustizia. Dio non chiederà conto agli uomini del generale destino della umanità, che è di sua spettanza; ma dei singoli atti da loro voluti in conformità o in dispregio dei dettami della coscienza. 

Quanto a voi, genitori e figli di famiglie numerose, continuate a prestare con serena fermezza la vostra testimonianza di fiducia nella divina Provvidenza, certi che ella non mancherà di ricambiarla con la testimonianza della sua quotidiana assistenza, e, se fosse necessario, con straordinari interventi, dei quali molti di voi hanno felice esperienza. 

3. Ed ora qualche considerazione sulla terza testimonianza, atta a rinfrancare i pavidi e ad accrescere in voi il conforto. Le famiglie numerose sono le aiuole più splendide del giardino della Chiesa, nelle quali, come su terreno favorevole, fiorisce la letizia e matura la santità. 

Ogni nucleo familiare, anche il più ristretto, è nelle intenzioni di Dio un'oasi di spirituale serenità. 
Ma vi è una profonda differenza: dove il numero dei figli non supera di molto il singolare, là quell'intimo sereno, che ha valore di vita, porta in sé un qualcosa di melanconico e di smorto; è di più breve durata, forse più incerto, spesso offuscato da timori e da segreti rimorsi. Diversa è, invece, la serenità di spirito nei genitori circondati da una rigogliosa fioritura di giovani vite. Il gaudio, frutto della sovrabbondante benedizione di Dio, irrompe con mille espressioni, con stabile e sicura perennità. Sulla fronte di questi padri e madri, benché gravata da pensieri, non vi è traccia di quell'ombra interiore, rivelatrice di ansie di coscienza o del timore di un irreparabile ritorno alla solitudine. 

La loro giovinezza non sembra mai appassire, finché perdura nella casa il profumo delle culle, finché le pareti domestiche riecheggiano delle voci argentine dei figli e dei nipoti. Le fatiche moltiplicate e i sacrifici raddoppiati, le rinunzie a costosi svaghi, sono largamente compensati, anche quaggiù, dalla copia inesauribile di affetti e di dolci speranze, che assediano i loro cuori, senza tuttavia opprimerli nè stancarli. 
   E le speranze diventano presto realtà dal momento che la più grandicella delle figliuole comincia a prestare alla madre la sua opera nell'accudire l'ultimo nato; il giorno in cui il primogenito rientra per la prima volta, raggiante, col suo primo guadagno. 
   Quel giorno sarà benedetto in modo particolare dai genitori, che ormai vedono scongiurato lo spettro di una possibile squallida vecchiaia e assicurato il compenso ai loro sacrifici. I numerosi fratelli, alla loro volta, ignorano il tedio della solitudine ed il disagio dell'essere costretti a vivere tra i più grandi. 
   È vero che la loro numerosa compagnia può trasformarsi talora in fastidiosa vivacità, e i loro dissensi in passeggere tempeste; tuttavia, quando queste sono superficiali e di breve durata, concorrono efficacemente alla formazione del carattere. 
   I fanciulli delle famiglie numerose si educano quasi da sé alla vigilanza ed alla responsabilità dei loro atti, al mutuo rispetto ed aiuto, all'apertura di animo e alla generosità. La famiglia è per essi il piccolo mondo di prova, prima che si affronti quello esterno, più arduo ed impegnativo. 

Tutti questi beni e pregi assumono maggiore consistenza, intensità e fecondità, allorché la famiglia numerosa pone a proprio fondamento e norma lo spirito soprannaturale del Vangelo, che tutto trasumana ed eterna. In questi casi, agli ordinari doni di provvidenza, di letizia, di pace, Iddio aggiunge spesso, come l'esperienza dimostra, le chiamate di predilezione, vale a dire, le vocazioni al sacerdozio, alla perfezione religiosa e alla stessa santità. 

Più volte, e non a torto, si è voluto mettere in risalto la prerogativa delle famiglie numerose nell'essere culle di santi; si citano, tra tante, quella di S. Luigi Re di Francia composta da dieci figli, di S. Caterina da Siena da venticinque, di S. Roberto Bellarmino da dodici, di S. Pio X da dieci. Ogni vocazione è un segreto della Provvidenza; ma, per quanto concerne i genitori, da questi fatti si può concludere che il numero dei figli non impedisce la loro egregia e perfetta educazione; che il numero, in questa materia, non torna a discapito della qualità, sia in rapporto ai valori fisici che a quelli spirituali. 


Una parola finalmente a voi, Dirigenti e Rappresentanti le Associazioni tra le Famiglie Numerose in Roma e in Italia. Abbiate cura d'imprimere un dinamismo sempre più vigile e fattivo all'azione che vi proponete di svolgere a vantaggio della dignità delle famiglie numerose e della loro protezione economica. Per il primo scopo conformatevi ai dettami della Chiesa; per il secondo occorre scuotere dal letargo quella parte della società non ancora aperta ai doveri sociali. 

La Provvidenza è una verità ed una realtà divina, che, però, si compiace di. avvalersi della umana collaborazione. D'ordinario essa si muove ed accorre, se chiamata e quasi condotta con mano dall'uomo; ama nascondersi dietro l'umana operosità. Se è giusto riconoscere alla legislazione italiana il vanto delle posizioni più progredite sul terreno della tutela delle famiglie, particolarmente di quelle numerose, non bisogna nascondersi che ne esistono tuttora non poche, le quali si dibattono, senza loro colpa, tra disagi e stenti. Ebbene, la vostra azione deve proporsi di far giungere anche a queste la tutela delle leggi, e, nei casi urgenti, quella della carità. Ogni risultato positivo ottenuto in questo campo è come una solida pietra posta nell'edificio della patria e della Chiesa: è quanto di meglio si possa fare come cattolici e come cittadini. 

Invocando la divina protezione sopra le vostre famiglie e sopra quelle di tutta l'Italia, ponendole ancora una volta sotto l'egida celeste della Sacra. Famiglia di Gesù, di Maria e di Giuseppe, v'impartiamo di gran cuore la Nostra paterna Apostolica Benedizione. 





sabato 26 luglio 2014

Loro sanno che ogni giorno è grazia

LA FEDE? NON BASTA RECITARE IL CREDO
Siamo nati per la vita eterna: ecco perché si può accettare serenamente la croce (che, in fondo, è provvisoria)
di Costanza Miriano



Io credo, per carità, non c'è che dire. Anzi, il Credo è una delle mie preghiere preferite, in chiesa mi spolmono a proclamarlo, e presto diventerò una di quelle vecchiette che rimangono indietro di vari secondi, e vanno per conto loro sempre a voce un po' troppo alta. Ma la mia fede fieramente declamata reggerebbe a qualsiasi colpo? 

Conosco una famiglia che sa cosa sia davvero credere. Hanno un bambino che soffre di leucemia da quando aveva tre anni. Un primo trapianto, andato bene, una ricaduta. Un secondo trapianto, con un'altra tecnica, andato miracolosamente bene. Poi di nuovo una ricaduta, un ricovero in un ospedale lontano, la difficoltà di gestire i due fratellini che nel frattempo i coraggiosi genitori hanno avuto, rimanendo aperti alla vita. Adesso il terzo intervento (e speriamo il miracolo definitivo: lo stiamo chiedendo a Giovanni Paolo II).
Non ho mai sentito un'imprecazione che sia una da parte di questi genitori, mai un "perché a me", mai un "ma perché Dio permette questo?", mai un "allora le preghiere non servono a nulla". Io che vado nel panico per ogni doloretto allo stinco dei miei figli (era la botta data in scivolata all'albero di limoni), per ogni mal di gola (probabilmente il bagno in piscina e l'aria condizionata in macchina): "saranno i linfonodi ingrossati? Quanti giorni di vita gli resteranno?"

La croce – che comunque è sempre provvisoria – insegna all'uomo la sua realtà, cioè che siamo piccoli, impotenti, deboli, non in grado di controllare praticamente nulla della nostra vita. Questa è la verità. Forse ora mentre scrivo è già partito l'embolo che mi porterà alla morte (nel caso che l'articolo esca postumo, sappiate che amo molto i mughetti, confido di riceverne da qualcuno un ramoscello, da morta, visto che mio marito non li distingue dagli altri fiori) mentre io mi illudo di controllare tutto della mia vita e di quella dei miei cari. A volte mi viene il dubbio che io consideri Dio un bel complemento a una vita che però fondamentalmente gestisco di testa mia.

I genitori di quel bambino invece sono dipendenti da Dio come un malato dalla bombola di ossigeno. È quella è la nostra verità. Loro sanno che ogni giorno è grazia, che i nostri capelli sono contati da un Padre che ci ama, sanno che siamo nati per la vita eterna. Per questo non impazziscono, per questo sorridono. Perché credono.

“Ecco, Io sto con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”
(Mt., XXVIII, 20).

venerdì 15 novembre 2013

Domenica 17 novembre 2013, XXXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 17 novembre 2013, XXXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 21, 5-19.

Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse:
«Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». 
Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?». 
Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è prossimo"; non seguiteli. 
Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine». 
Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, 
e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo. 
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. 
Questo vi darà occasione di render testimonianza. 
Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; 
io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. 
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; 
sarete odiati da tutti per causa del mio nome. 
Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. 
Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 9 Capitolo 596 pagina 413.

[...] 
38Mattia, l’ex pastore, si avvicina a Gesù e chiede: «Signore e Maestro mio, io ho molto pensato coi compagni alle tue parole finché la stanchezza ci prese, e dormimmo prima di avere potuto risolvere il quesito che ci eravamo posti. E ora siamo più stolti di prima. Se abbiamo bene capito i discorsi di questi giorni, Tu hai predetto che molte cose si cambieranno benché la Legge resti immutata e che si dovrà edificare un nuovo Tempio, con nuovi profeti, sapienti e scribi, contro il quale saranno date battaglie, e che non morrà, mentre questo, sempre se si è capito bene, pare destinato a perire». 
«È destinato a perire. Ricorda la profezia di Daniele...». 
«Ma noi, poveri e pochi, come potremo edificarlo di nuovo se fecero fatica a edificare questo i re? Dove lo edificheremo? Non qui, perché Tu dici che questo luogo resterà deserto sino a che essi non ti benediranno come mandato da Dio». 
«Così è». 
«Nel tuo Regno, no. Siamo convinti che il tuo Regno è spirituale. E allora come, dove lo stabiliremo? Tu ieri hai detto che il vero Tempio - e non è quello il vero Tempio? - che il vero Tempio, quando crederanno di averlo distrutto, allora sarà che salirà trionfante alla Gerusalemme vera. Dove è dessa? Molta confusione è in noi». 
«Così è. I nemici distruggano pure il vero Tempio. In tre giorni Io lo farò risorgere, e non conoscerà più insidia salendo dove l’uomo non può nuocere. 

39Riguardo al Regno di Dio, esso è in voi e ovunque sono uomini che credono in Me. Sparso per ora, succedentesi sulla Terra nei secoli. Poi eterno, unito, 
perfetto nel Cielo. Là, nel Regno di Dio, sarà edificato il nuovo Tempio, ossia là dove sono spiriti che accettano la mia dottrina, la dottrina del Regno di Dio, e ne praticano i precetti. 
Come sarà edificato se siete poveri e pochi? Oh! in verità non necessitano denari e poteri per edificare l’edificio della nuova dimora di Dio, individuale o collettiva. Il Regno di Dio è in voi. E l’unione di tutti coloro che avranno in loro il Regno di Dio, di tutti coloro che avranno Dio in loro - Dio: la Grazia; Dio: la Vita; Dio: la Luce; Dio: la Carità - costituirà il grande Regno di Dio sulla Terra, la nuova Gerusalemme che giungerà ad espandersi per tutti i confini del mondo e che, completa e perfetta, senza mende, senza ombre, vivrà eterna nel Cielo. 
Come farete a edificare Tempio e città? Oh! non voi, ma Dio edificherà questi luoghi nuovi. Voi dovrete soltanto dargli la vostra buona volontà. Buona volontà è permanere in Me. Vivere la mia dottrina è buona volontà. Stare uniti è la buona volontà. Uniti a Me sino a fare un sol corpo che è nutrito, nelle sue singole parti e particelle, da un unico umore. Un unico edificio che è poggiato su un’unica base e tenuto unito da una mistica coesione. Ma siccome senza l’aiuto del Padre, che vi ho insegnato a pregare e che pregherò per voi prima di morire, voi non potreste essere nella Carità, nella Verità, nella Vita, ossia ancora in Me e con Me in Dio Padre e in Dio Amore, perché Noi siamo un’unica Divinità, per questo vi dico di avere Dio in voi per poter essere il Tempio che non conoscerà fine. Da voi non potreste fare. Se Dio non edifica, e non può edificare dove non può prendere dimora, inutilmente gli uomini si agitano a edificare o a riedificare. 

40Il Tempio nuovo, la mia Chiesa, sorgerà soltanto quando il vostro cuore ospiterà Dio, ed Egli con voi, vive pietre, edificherà la sua Chiesa». 
«Ma non hai detto che Simone di Giona ne è il Capo, la Pietra sulla quale si edificherà la tua Chiesa? E non hai fatto capire anche che Tu ne sei la pietra angolare? Chi dunque ne è il capo? C’è o non c’è questa Chiesa?», interrompe l’Iscariota. 
«Io sono il Capo mistico. Pietro ne è il capo visibile. Perché Io ritorno al Padre lasciandovi la Vita, la Luce, la Grazia, per la mia Parola, per i miei patimenti, per il Paraclito che sarà amico di coloro che mi furono fedeli. Io sono un’unica cosa con la mia Chiesa, mio Corpo spirituale di cui Io sono il Capo. 
Il capo contiene il cervello o mente. La mente è sede del sapere, il cervello è quello che dirige i moti delle membra coi suoi immateriali comandi, i quali sono più validi per far muovere le membra di ogni altro stimolo. Osservate un morto, nel quale morto è il cervello. Ha forse più moto nelle sue membra? Osservate uno completamente stolto. Non è forse inerte al punto da non saper avere quei rudimentali moti istintivi che l’animale più inferiore, il verme che schiacciamo passando, ha? Osservate uno nel quale la paralisi ha spezzato il contatto delle membra, uno o più membra, col cervello. Ha forse più moto nella parte che non ha più legame vitale col capo? 
Ma se la mente dirige con i suoi immateriali comandi, sono gli altri organi - occhi, orecchie, lingua, naso, pelle - che comunicano le sensazioni alla mente, e sono le altre parti del corpo che eseguiscono e fanno eseguire ciò che la mente, avvertita dagli organi, materiali e visibili quanto l’intelletto è invisibile, comanda. Potrei Io, senza dirvi: “sedete”, ottenere che voi sediate su questa costa di monte? Anche se Io lo penso che voglio vi mettiate seduti, voi non lo sapete finché Io non traduco il mio pensiero in parole e dico queste, usando lingua e labbra. Potrei Io stesso sedermi, se lo pensassi soltanto, perché sento la stanchezza delle gambe, ma se queste rifiutassero di piegarsi e mettermi così seduto? La mente ha bisogno di organi e membra per fare e per far fare le operazioni che il pensiero pensa. 
Così nel corpo spirituale che è la mia Chiesa Io sarò l’Intelletto, ossia la testa, sede dell’intelletto; Pietro e i suoi collaboratori coloro che osservano le reazioni e percepiscono le sensazioni e le trasmettono alla mente, perché essa illumini e ordini ciò che è da fare per il bene di tutto il corpo, e poi, illuminati e diretti dall’ordine mio, parlino e guidino le altre parti del corpo. La mano che respinge l’oggetto che può ferire il corpo, o allontana ciò che, corrotto, può corrompere; il piede che scavalca l’ostacolo senza urtarvi e cadere e ferirsi, hanno avuto comando di farlo dalla parte che dirige. Il fanciullo, e anche l’uomo, che è salvato da un pericolo, o che fa un guadagno di qualsiasi specie - istruzione, affari buoni, matrimonio, buona alleanza per un consiglio ricevuto, per una parola detta - è per quel consiglio e quella parola che non si nuoce o che si benefica. Così sarà nella Chiesa. Il capo, e i capi, guidati dal divino Pensiero e illuminati dalla divina Luce e istruiti dall’eterna Parola, daranno gli ordini e i consigli, e le membra faranno, avendo spirituale salute e spirituale guadagno. 

41La mia Chiesa già è, poiché già possiede il suo Capo soprannaturale e il suo Capo divino e ha le sue membra: i discepoli. Piccola ancora - un germe che si forma - perfetta unicamente nel Capo che la dirige, imperfetta nel resto, che ha bisogno del tocco di Dio per essere perfetta e del tempo per crescere. Ma in verità vi dico che essa già è, e che è santa per Colui che ne è il Capo e per la buona volontà dei giusti che la compongono. Santa e invincibile. Contro di essa si avventerà una e mille volte, e con mille forme di battaglia, l’inferno fatto di demoni e di uomini-demoni, ma non prevarranno. L’edificio sarà incrollabile. 
Ma l’edificio non è fatto di una sola pietra. Osservate il Tempio, là, vasto, bello, nel sole che tramonta. È forse fatto di una sola pietra? È un complesso di pietre che fanno un unico armonico tutto. Si dice: il Tempio. Cioè una unità. Ma questa unità è fatta delle molte pietre che l’hanno composta e formata. Inutile sarebbe stato fare le fondamenta, se esse non avessero poi dovuto sorreggere le mura e il tetto, se su esse non avessero poi avuto ad innalzarsi le mura. E impossibile sarebbe stato alzare le mura e sostenere il tetto, se non fossero state fatte per prime le fondamenta solide, proporzionate a sì gran mole. Così, con questa dipendenza delle parti, una dall’altra, sorgerà anche il Tempio novello. Nei secoli voi lo edificherete appoggiandolo sulle fondamenta che Io gli ho dato, perfette, per la sua mole. Lo edificherete con la direzione di Dio, con la bontà delle cose usate a innalzarlo: spiriti che Dio inabita. 
Dio nel vostro cuore, a fare di esso pietra polita e senza incrinature per il Tempio nuovo. Il suo Regno stabilito con le sue leggi nel vostro spirito. Altrimenti sareste mattoni malcotti, legno tarlato, pietre scheggiate e farinose che non reggono e che il costruttore, se avveduto, respinge, o che fallano, cedono, facendo crollare una parte se il costruttore, i costruttori preposti dal Padre alla costruzione del Tempio, sono costruttori idoli che si pavoneggiano nel loro onore senza vegliare e faticare sulla costruzione che si innalza e sui materiali usati per farla. Costruttori idoli, tutori idoli, custodi idoli, ladri! Ladri della fiducia di Dio, della stima degli uomini, ladri e orgogliosi che si compiacciono di aver modo di aver guadagno, e modo di avere numeroso mucchio di materiali, e non osservano se sono buoni o scadenti, causa di rovina. 

42Voi, novelli sacerdoti e scribi del novello Tempio, ascoltate. Guai a voi e a chi dopo voi si farà idolo e non veglierà e sorveglierà se stesso e gli altri, i fedeli, per osservare, saggiare la bontà delle pietre e del legname, senza fidarsi delle apparenze, e causerà rovine lasciando che materiali scadenti, o addirittura nocivi, siano lasciati usare per il Tempio, dando scandalo e provocando rovina. Guai a voi se lascerete crearsi crepacci e muraglie insicure, storte, facili al crollo non essendo equilibrate sulle basi che sono solide e perfette. Non da Dio, Fondatore della Chiesa, ma da voi verrebbe il disastro, e ne sareste responsabili davanti al Signore e agli uomini. 
Diligenza, osservazione, discernimento, prudenza! La pietra, il mattone, la trave debole, che in un muro maestro sarebbero rovina, possono servire per parti di minore importanza, e servire bene. Così dovete saper scegliere. Con carità per non disgustare le deboli parti, con fermezza per non disgustare Dio e rovinare il suo Edificio. E se vi accorgete che una pietra, già posta a sorreggere un angolo maestro, non è buona o non è equilibrata, siate coraggiosi, audaci, e sappiatela levare da quel posto, mortificatela squadrandola con lo scalpello di un santo zelo. Se urla di dolore non importa. Vi benedirà poi nei secoli, perché voi l’avrete salvata. Spostatela, mettetela ad altro ufficio. Non abbiate paura anche di allontanarla del tutto se la vedete oggetto di scandalo e rovina, ribelle al vostro lavoro. Meglio poche pietre che molta zavorra. 
Non abbiate fretta. Dio non ha mai fretta, ma ciò che crea è eterno, perché ben ponderato prima di eseguirlo. Se non eterno, è duraturo quanto i secoli. Guardate l’Universo. Da secoli, da migliaia di secoli, è come Dio lo fece con operazioni successive. Imitate il Signore. Siate perfetti come il Padre vostro. Abbiate la sua Legge in voi, il suo Regno in voi. E non fallirete. 
Ma, se non foste così, crollerebbe l’edificio, invano vi sareste affaticati a innalzarlo. Crollerebbe rimanendo di esso unicamente la pietra angolare, le fondamenta... Così come avverrà di quello!... In verità vi dico che di quello così sarà. E così del vostro se metterete in esso ciò che è in questo: le parti malate di orgoglio, di avidità, di peccato, di lussuria. Come si è disfatto per soffio di vento quel padiglione di nuvole che pareva posare, così vagamente bello, sulla cima di quel monte, ugualmente, al soffiare di un vento di castigo soprannaturale e umano, crolleranno gli edifici che di santo non hanno che il nome...». 

43Gesù tace pensoso. Quando riparla è per ordinare: «Sediamoci qui a riposare un poco». 
Si siedono su un pendio del monte Uliveto, di faccia al Tempio baciato dal sole calante. Gesù guarda fisso quel luogo, con mestizia. Gli altri con orgoglio per la sua bellezza, ma sull’orgoglio è steso un velo di cruccio, lasciato dalle parole del Maestro. E se quella bellezza dovesse proprio perire?... 
Pietro e Giovanni parlano fra di loro e poi sussurrano qualcosa a Giacomo d’Alfeo e ad Andrea, loro vicini, i quali annuiscono col capo. Allora Pietro si rivolge al Maestro e gli dice: «Vieni in disparte e spiegaci quando avverrà la tua profezia sulla distruzione del Tempio. Daniele ne parla, ma se fosse come lui dice e come Tu dici, poche ore avrebbe ancora il Tempio. Ma noi non vediamo eserciti né preparativi di guerra. Quando dunque avverrà? Quale sarà il segno di esso? Tu sei venuto. Tu, dici, stai per andare via. Eppure si sa che essa non sarà che quando Tu sarai fra gli uomini. Tornerai, allora? Quando, questo tuo ritorno? Spiegaci, perché noi si possa sapere...». 
«Non occorre mettersi in disparte. Vedi? Sono rimasti i discepoli più fedeli, quelli che saranno a voi dodici di grande aiuto. Essi possono sentire le parole che dico a voi. Venitemi tutti vicino!», grida in ultimo per radunare tutti. 
I discepoli, sparsi sul pendio, si avvicinano, fanno un mucchio compatto, stretto intorno a quello principale di Gesù coi suoi apostoli, e ascoltano. 

44«Badate che nessuno vi seduca in futuro. Io sono il Cristo e non vi saranno altri Cristi. Perciò, quando molti verranno a dirvi: “Io sono il Cristo” e sedurranno molti, voi non credete a quelle parole, neppure se saranno accompagnate da prodigi. Satana, padre di menzogna e protettore dei menzogneri, aiuta i suoi servi e seguaci con falsi prodigi, che però possono essere riconosciuti non buoni perché sempre uniti a paura, turbamento e menzogna. I prodigi di Dio voi li conoscete: dànno pace santa, letizia, salute, fede, conducono a desideri e opere sante. Gli altri no. Perciò riflettete sulla forma e le conseguenze dei prodigi che potrete vedere in futuro ad opera dei falsi Cristi e di tutti coloro che si ammanteranno nelle vesti di salvatori di popoli e saranno invece le belve che rovinano gli stessi. 
Sentirete anche, e vedrete anche, parlare di guerre e di rumori di guerre e vi diranno: “Sono i segni della fine”. Non turbatevi. Non sarà la fine. Bisogna che tutto questo avvenga prima della fine, ma non sarà ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo, regno contro regno, nazione contro nazione, continente contro continente, e seguiranno pestilenze, carestie, terremoti in molti luoghi. Ma questo non sarà che il principio dei dolori. Allora vi getteranno nella tribolazione e vi uccideranno, accusandovi di essere i colpevoli del loro soffrire e sperando di uscirne col perseguitare e distruggere i miei servi. 
Gli uomini fanno sempre accusa agli innocenti di esser causa del male che essi, peccatori, si creano. Accusano Dio stesso, perfetta Innocenza e Bontà suprema, di esser causa del loro soffrire, e così faranno con voi, e voi sarete odiati per causa del mio Nome. È Satana che li aizza. E molti si scandalizzeranno e si tradiranno e odieranno a vicenda. È ancor Satana che li aizza. E sorgeranno falsi profeti che indurranno molti in errore. Ancora sarà Satana il vero autore di tanto male. E per il moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà la carità in molti. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo. E prima bisogna che questo Vangelo del Regno di Dio sia predicato in tutto il mondo, testimonianza a tutte le nazioni. Allora verrà la fine. Ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie e predicazione della mia Dottrina in tutto il mondo. 

45E poi un altro segno. Un segno per la fine del Tempio e per la fine del mondo. Quando vedrete l’abominazione della desolazione predetta da Daniele - chi mi ascolta bene intenda, e chi legge il Profeta sappia leggere fra le parole - allora chi sarà in Giudea fugga sui monti, chi sarà sulla terrazza non scenda a prendere quanto ha in casa, e chi è nel suo campo non torni in casa a prendere il suo mantello, ma fugga senza volgersi indietro, ché non gli accada di non poterlo più fare, e neppure si volga nel fuggire a guardare, per non conservare nel cuore lo spettacolo orrendo e insanire per esso. Guai alle gravide e a quelle che allatteranno in quei giorni! E guai se la fuga dovesse compiersi in sabato! Non sarebbe sufficiente la fuga a salvarsi senza peccare. Pregate dunque perché non avvenga in inverno e in giorno di sabato, perché allora la tribolazione sarà grande quale mai non fu dal principio del mondo fino ad ora, né sarà mai più simile perché sarà la fine. Se non fossero abbreviati quei giorni in grazia degli eletti, nessuno si salverebbe, perché gli uomini-satana si alleeranno all’inferno per dare tormento agli uomini. 
E anche allora, per corrompere e trarre fuori della via giusta coloro che resteranno fedeli al Signore, sorgeranno quelli che diranno: “Il Cristo è là, il Cristo è qua. È in quel luogo. Eccolo”. Non credete. Nessuno creda, perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno prodigi e portenti tali da indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti, e diranno dottrine in apparenza così confortevoli e buone a sedurre anche i migliori, se con loro non fosse lo Spirito di Dio che li illuminerà sulla verità e l’origine satanica di tali prodigi e dottrine. Io ve lo dico. Io ve lo predico perché voi possiate regolarvi. Ma di cadere non temete. Se starete nel Signore non sarete tratti in tentazione e in rovina. Ricordate ciò che vi ho detto: “Vi ho dato il potere di camminare su serpenti e scorpioni, e di tutta la potenza del Nemico nulla vi nuocerà, perché tutto vi sarà soggetto”. Vi ricordo anche però che per ottenere questo dovete avere Dio in voi, e rallegrarvi dovete, non perché dominate le potenze del Male e le venefiche cose, ma perché il vostro nome è scritto in Cielo. 

46State nel Signore e nella sua verità. Io sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto: qualunque cosa vi dicano di Me, non credete. Io solo ho detto la verità. Io solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine. Perciò, se vi dicono: “È nel deserto”, non andate. Se vi dicono: “È in quella casa”, non date retta. Perché il Figlio dell’uomo nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra. E scorrerà sul grande Corpo, di subito fatto Cadavere, seguito dai suoi fulgenti angeli, e giudicherà. Là dovunque sarà corpo là si raduneranno le aquile. E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta - parlo già della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti - si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno. 
E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell’uomo, e piangeranno tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell’uomo venir sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Ed Egli comanderà ai suoi angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perché sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta. E comanderà ai suoi angeli che a gran voce di trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli, perché siano al fianco del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti. 
[...]
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

mercoledì 2 ottobre 2013

Beato Antonio Chevrier

B.Antonio Chevrier 
Beato Antonio Chevrier - Sacerdote (2 ottobre)
Lione, 16 aprile 1826 - 2 ottobre 1879
Fu davanti al presepe, in un momento di intensa preghiera, che ebbe l'intuizione di vivere in pieno la povertà.
Guidato da Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars, Antonio Chevrier accettò di diventare il direttore spirituale della «Città di Gesù Bambino», che si proponeva di incentivare la Prima Comunione nei bambini poveri. Era nato il 16 aprile 1826 a Lione, da una modesta famiglia.
A 17 anni entrò in seminario e nel 1850 fu ordinato sacerdote. Precursore dell'impegno sociale del clero, iniziò la missione pastorale in una parrocchia operaia della periferia. Poi, l'incontro con il curato d'Ars.
Pensò allora di fondare una propria opera. Nel 1860 acquistò il «Prado», un'antica sala da ballo, ormai in rovina: nacque «La Provvidenza del Prado». Aprì anche una scuola di chierici, i quali, dopo l'ordinazione, formarono la «Società dei Preti del Prado», impegnati sempre in opere di carità.
Morì il 2 ottobre 1879, dopo una lunga malattia. Il 4 ottobre 1986 è stato beatificato da Giovanni Paolo II. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Lione in Francia, Beato Antonio Chevrier, sacerdote, che fondò l’Opera della Provvidenza del Prado per preparare i sacerdoti ad insegnare ai giovani poveri la fede cristiana.

 

Tutto aveva per restare un uomo ordinario; di tutto, invece, si servì per diventare straordinario, fino alla santità. È certamente meno famoso del suo contemporaneo e confidente Curato d’Ars, ma ingiustamente, perché in Padre Antonio Chevrier si concretizza, forse per la prima volta in modo così visibile, l’opzione fondamentale per i poveri, ed è lui ad aprire il cammino che porterà all’esperienza dei “preti-operai” (non a caso, è proprio un suoseguace e successore, Mons. Alfred Lancel, il primo vescovo-operaio e uno dei pochi presuli autorizzati dal Cardinal Ottaviani a tentare questa profetica avventura in seno alla Chiesa).

Nasce in una modesta famiglia lionese nel 1826; sacerdote a 24 anni e subito inserito come vicario in una parrocchia operaia, si “converte” a 30 anni nella notte di Natale 1856. E’ lui stesso a definire “conversione” la particolarissima esperienza di Dio che ha in quella notte, davanti al presepe: “è meditando sulla povertà di Nostro Signore e sul suo abbassamento tra gli uomini che ho deciso di lasciare tutto e di vivere il più poveramente possibile: è il mistero dell’Incarnazione che mi ha convertito”.

Poiché però tra il dire e il fare, anche per i santi, c’è di mezzo il mare, va prima a consultare Giovanni Maria Vianney, che abita ad Ars, a meno di 40 chilometri da casa sua. Sono due anime in perfetta sintonia, che sulla povertà radicale se la intendono; torna a Lione rafforzato nella sua idea e confortato dai consigli del Curato d’Ars, ma da questi continuerà a differenziarsi per l’impronta marcatamente missionaria del suo ministero, a dimostrazione che i santi di Dio non sono fatti in serie e che vicendevolmente ci si può sorreggere, condizionare mai.

La sua attenzione si concentra subito sui “poveri più poveri”, quanti, cioè, oltre che poveri di mezzi economici, sono anche poveri di cultura e anche di fede.
Chiede di lasciare la parrocchia, scegliendo il modesto incarico di assistente spirituale della “Città del Bambino Gesù”, e anche questa è una scelta di “povertà” perché nel nuovo ministero altro non deve fare che assicurare la messa quotidiana e insegnare catechismo. Intanto s’innamora di Francesco d’Assisi, a sua volta grande innamorato di “Madonna Povertà”, e veste l’abito del terz’ordine francescano, vivendo lo spirito di povertà condensato nel suo motto: “avere il necessario e sapersene accontentare”.

Nel 1860 acquista la malfamata sala da ballo del Prado, per trasformarla in centro di accoglienza e di formazione cristiana di bambini e ragazzi poveri, che proprio per la loro condizione di indigenza finiscono per restare ai margini o non inserirsi affatto nei percorsi ordinari della pastorale parrocchiale.
Non è una scuola e non è un oratorio, o forse è parte dell’una e dell’altro perché al “Prado” si insegna gioiosamente il catechismo ai poveri, nella convinzione che anche loro hanno diritto di prepararsi bene alla Prima Comunione. Con una dozzina di questi ragazzi che pensano seriamente al sacerdozio mette così le basi della “Società dei Preti del Prado”, che nella testa e nel cuore del fondatore devono essere “preti poveri a servizio dei poveri”.
A questi ripete, fino alla noia, che “è nella povertà che il sacerdote trova la propria forza, la propria potenza, la propria libertà” e insegna loro che, a imitazione di Gesù “che si lascia mangiare nella Santa Eucaristia”, anche il prete deve essere un “uomo mangiato” da tutti. Convinto che “è meglio vivere dieci anni in meno lavorando per Dio, che dieci anni di più senza far niente”, si sottopone ad un ritmo di lavoro davvero spossante, che rende la sua salute fragile fragile.

*Così fragile da non sopportare l’ultima spogliazione, l’ultimo esercizio di povertà che gli si chiede, quando si vede abbandonato da alcuni dei suoi preti della prima ora e si sente come uno “che pensava di aver fatto qualcosa e vede invece che non ha fatto niente”.*

Muore il 2 ottobre 1878, ad appena 52 anni, povero davvero, materialmente e spiritualmente. Ma non muore il Prado e la “spiritualità pradosiana”, diffusa oggi come stile di vita anche tra i preti diocesani. È stato beatificato il 4 ottobre 1986. (Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

 

Nacque il 16 aprile 1826 a Lione, da una modesta famiglia, a 17 anni entrò in Seminario e fu ordinato sacerdote a 24 anni nel 1850. Iniziò la sua missione pastorale in una parrocchia operaia della periferia come vicario. Nel 1856, mentre era in intensa preghiera, davanti al presepe, ebbe l’intuizione della divina povertà. Sotto la giuda del santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, accettò di diventare il direttore spirituale della “Città di Gesù Bambino”, che si proponeva di incentivare la Prima Comunione nei bambini poveri e procurare l’alloggio ai miserabili.
Conscio dell’immenso campo di lavoro, pensò di fondare una propria opera e nel 1860 acquistò il “Prado” che era un’antica sala da ballo, ormai in rovina, chiamando l’istituzione “ La Provvidenza del Prado”.
Andò avanti per una ventina d’anni con il solo aiuto di qualche sacerdote, affiancò all’opera una scuola di chierici, i quali diventati preti formarono la “Società dei Preti del Prado”, con lo scopo di gestire l’opera iniziale e le sue attività caritatevoli.
Morì il 2 ottobre 1879, dopo una lunga e sofferta malattia, il suo corpo riposa nella cappella del Prado, fu un precursore dell’impegno sociale del sacerdozio. É stato beatificato a Lione da Papa Giovanni Paolo II, il 4 ottobre 1986. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - Beato Antonio Chevrier, pregate per noi.