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venerdì 17 novembre 2017

Una bella confessione aggiusta l'Eternità


Dalle rivelazioni di Gesù a Maria Valtorta: “Pentitevi dei vostri peccati per essere perdonati e pronti al Regno. Levate da voi l’anatema del peccato. Ognuno ha il suo. Ognuno ha quello che è contrario ai dieci comandamenti di salute eterna. Vogliate pentirvi. Non a parole. Dio non si irride e non si inganna. Ma pentitevi con la volontà ferma, che vi porti a mutare vita, a rientrare nella Legge del Signore. Il Regno dei Cieli vi aspetta. Domani!”

Dalle rivelazioni di Gesù alla mistica Maria Valtorta

capitolo 59. Visione.

 L’indemoniato guarito nella sinagoga di Cafarnao

Maria Valtorta:
Vedo la sinagoga di Cafarnao. E’ già piena di folla in attesa. Gente sulla porta occhieggia sulla piazza ancora assolata, benché sia verso sera. Finalmente un grido: “Ecco il Rabbi che viene ! La gente si volta tutta verso l’uscio, i più bassi si alzano sulle punte dei piedi o cercano di spingersi avanti. Qualche disputa, qualche spintone, nonostante i rimproveri degli addetti alla sinagoga e dei maggiorenti della città.“La pace sia su tutti coloro che cercano la Verità.” Gesù sulla soglia e saluta benedicendo a braccia tese in avanti. La luce vivissima che nella piazza assolata ne staglia l’alta figura, inondandola di luce. Egli ha deposto il candido abito ed nel suo solito azzurro cupo. Si avanza fra la folla che si apre e si rinserra intorno a Lui, come onda intorno ad una nave.
“Sono malato, guariscimi! geme un giovane che mi pare tisico nell’aspetto, e prende Gesù per la veste. Gesù gli pone la mano sul capo e dice: “Confida. Dio ti ascolterà. Lascia ora che Io parli al popolo, poi verrò a te” Il giovane lo lascia andare e si mette quieto. “Che ti ha detto? “ gli chiede una donna con un bambino in braccio. “Mi ha detto che dopo aver parlato al popolo verrà a me.” “Ti guarisce, allora?” “Non so. Mi ha detto: “Confida Io spero.”
“Che ha detto? Che ha detto? La folla vuole sapere. La risposta di Gesù ripetuta fra il popolo.
“Allora io vado a prendere il mio bambino.” “Ed io porto qui il mio vecchio padre.” “Oh! se Aggeo volesse venire! Io provo… ma non verrà.
Gesù ha raggiunto il suo posto. Saluta il capo della sinagoga ed è salutato da questi. E’ un ometto
basso, grasso e vecchiotto. Per parlare a lui, Gesù si china. Pare una palma che si curvi su un arbusto più largo che alto.
“Che vuoi che ti dia? chiede l’archisinagogo.
“Quello che credi, oppure a caso. Lo Spirito guiderà”
“Ma… e sarai preparato?”
“Lo sono. Dai a caso. Ripeto: lo Spirito del Signore guiderà la scelta per il bene di questo popolo.”
L’archisinagogo stende una mano sul mucchio dei rotoli, ne prende uno, apre e si ferma a un dato

Gesù prende il rotolo e legge il punto segnato:
“su alzati e santifica il popolo e di’ loro: Santificatevi per domani, perché dice il Signore Dio di Israele, l’anatema è in mezzo a voi, o Israele; tu non potrai stare a fronte dei tuoi nemici fino a tanto che sia tolto di mezzo a te chi sia contaminato con tal delitto”.
Si ferma, arrotola il rotolo e lo riconsegna.
La folla attentissima. Solo bisbiglia alcuno: “Ne udremo delle belle contro i nemici! E’ il Re d’Israele, il Promesso, che raccoglie il suo popolo!” Gesù tende le braccia nella solita posa oratoria. Il silenzio si fa completo.
Gesù parla:
“Chi è venuto per santificarvi, si è alzato. E’ uscito dal segreto della casa dove si è preparato a questa missione. Si è purificato per darvi esempio di purificazione. Ha preso la sua posizione di fronte ai potenti del Tempio e al popolo di Dio, e ora è fra voi. Io sono. Non come, con mente annebbiata e fermento nel cuore, alcuni fra voi pensano e sperano. Più alto e più grande è il Regno di cui sono il Re futuro e a cui vi chiamo. Vi chiamo, o voi di Israele, prima d’ogni altro popolo, perché voi siete quelli che nei padri dei padri ebbero promessa di quest’ora e alleanza col Signore Altissimo. Ma non con turbe di armati, non con ferocie di sangue sarà formato questo Regno, e ad esso non i violenti, non i prepotenti, non i superbi, gli iracondi, gli invidiosi, i lussuriosi, gli avari, ma i buoni, i miti, i continenti, i misericordiosi, gli umili, gli amorosi del prossimo e di Dio, i pazienti, avranno entrata. Israele! Non contro i nemici di fuori sei chiamato a combattere. Ma contro i nemici di dentro. Contro quelli che sono in ogni tuo cuore. Nel cuore dei dieci e dieci e dieci mila tuoi figli. Levate l’anatema del peccato da tutti i vostri singoli cuori, se volete che domani Dio vi raduni e vi dica: o popolo, a te il Regno che non sarà più sconfitto, né invaso, né insediato da nemici Domani. Quale, questo domani? Fra un anno o fra un mese? Oh! non cercate! Non cercate con sete malsana di sapere ciò che futuro con mezzo che ha sapore di colpevole stregoneria. Lasciate ai pagani lo spirito pitone. Lasciate a Dio Eterno il segreto del suo tempo. Voi da domani, il domani che sorgerà dopo quest’ora di sera, e quella che verrà di notte, che sorgerà col canto del gallo, venite a purificarvi nella vera penitenza.
Pentitevi dei vostri peccati per essere perdonati e pronti al Regno. Levate da voi l’anatema del peccato. Ognuno ha il suo. Ognuno ha quello che è contrario ai dieci comandamenti di salute eterna. Esaminatevi ognuno con sincerità e troverete il punto in cui avevate sbagliato. Umilmente abbiatene pentimento sincero. Vogliate pentirvi. Non a parole. Dio non si irride e non si inganna. Ma pentitevi con la volontà ferma, che vi porti a mutare vita, a rientrare nella Legge del Signore. Il Regno dei Cieli vi aspetta. Domani.
Domani? vi chiedete? Oh! sempre un domani sollecito l’ora di Dio, anche se viene al termine di una vita longeva come quella dei Patriarchi. L’eternità non ha per misura di tempo lo scorrere lento della clessidra. E quelle misure di tempo che voi chiamate giorni, mesi anni, secoli, sono palpiti dello Spirito Eterno che vi mantiene in vita. Ma voi eterni siete nello spirito vostro, e dovete, per lo spirito, tenere lo stesso metodo di misurazione del tempo che ha il Creatore vostro. Dire, dunque:
“Domani sarà il giorno della mia morte Anzi non morte per il fedele. Ma riposo di attesa, in attesa del Messia che apra le porte dei Cieli. E in verità vi dico che fra i presenti solo ventisette morranno dovendo attendere. Gli altri saranno già giudicati prima della morte, e la morte sarà il passaggio a Dio o a Mammona senza indugio, perché il Messia è venuto, fra voi e vi chiama per darvi la Buona Novella, per istruirvi alla Verità per salvarvi al Cielo. Fate penitenza! Il domani del Regno dei Cieli imminente. Vi trovi mondi per divenire possessori dell’eterno giorno. La pace sia con voi.”
Si alza a contraddirlo un barbuto e impaludato israelita. Dice:
“Maestro, quanto Tu dici mi pare in contrasto con quanto detto nel libro secondo dei Maccabei, gloria d’Israele; Lì è detto: ‘ infatti è segno di grande benevolenza il non permettere ai peccatori di andare dietro per lungo tempo ai loro capricci, ma di dare subito mano al castigo. Il Signore non fa come le altre nazioni, che le aspetta con pazienza per punirle, venuto il giorno del giudizio, quando colma è la misura dei peccati. ‘ Tu invece parli come se l’Altissimo potesse essere molto lento nel punirci, attendendoci come gli altri popoli, fino al tempo del giudizio, quando sarcà colma la misura dei peccati. Veramente i fatti ti smentiscono. Israele punito come dice lo storico dei Maccabei. Ma se fosse come Tu dici, non vi è dissapore fra la tua dottrina e quella chiusa nella frase che ti ho detto?”
“Chi sei, Io non so. Ma chiunque tu sia, Io ti rispondo. Non c’è dissapore nella dottrina, ma nel modo di interpretare le parole. Tu le interpreti secondo il modo umano. Io secondo quello dello spirito. Tu, rappresentante della maggioranza, vedi tutto con riferimenti al presente e al caduco. Io, rappresentante di Dio, tutto spiego e applico all’eterno e al soprannaturale. Vi ha colpito, si Geoav nel presente, nella superbia e nella giustizia d’esser un popolo secondo la terra. Ma come vi ha amati e come vi usa pazienza, più che con ogni altro, concedendo a voi il Salvatore, il suo Messia, perché lo ascoltiate e vi salviate prima dell’ora dell’ora divina! Non vuole più che voi siate peccatori. Ma se nel caduco vi ha colpiti, vedendo che la vostra ferita non sana, ma anzi ottunde sempre più il vostro spirito ecco che vi manda non punizione ma salvezza. Vi manda Colui che vi sana e vi salva. Io che vi parlo.”
“Non trovi essere audace nel professarti rappresentante di Dio? Nessuno dei Profeti osa tanto e Tu… Chi sei, Tu che parli? E per ordine di chi parli?”
Gesù: “Non potevano i Profeti dire di loro stessi ciò che Io di me stesso dico. Chi sono? L’atteso, il Promesso, il Redentore. Già avete udito colui che lo precorre dire: ‘ Preparate la via del Signore…Ecco il Signore Iddio che viene… Come un pastore pascerà il suo gregge, pure essendo l’agnello della Pasqua vera. E fra voi sono quelli che hanno udito dal Precursore (Giovanni il Battista) queste parole, e hanno visto balenare il cielo per una luce che scendeva in forma di colomba, e udito una voce che parlava dicendo chi ero. Per ordine di chi parlo? Di Colui che e che mi manda.”
“Tu lo puoi dire, ma puoi essere anche un mentitor e o un illuso. Le tue parole sono sante, ma talora Satana ha parole di inganno tinte di santitper trarre in errore. Noi non ti conosciamo.”
“Io sono Gesù di Giuseppe della stirpe di Davide, nato a Bethem Efrata, secondo le promesse, detto nazareno perché a Nazaret ho casa. Questo secondo il mondo. Secondo Dio sono il suo Messo. I miei discepoli lo sanno.”
“Oh! loro! Possono dire ciò che vogliono e ciò che Tu fai loro dire.”
Gesù: “Un altro parlerà che non mi ama, e dirà chi sono. Attendi che Io chiami uno di questi presenti.”
Gesù guarda la folla che stupita dalla disputa, urtata e divisa tra opposte correnti. La guarda, cercando qualcuno coi suoi occhi di zaffiro, poi chiama forte: “Aggeo! Vieni avanti. Te lo comando.”
Grande brusio tra la folla, che si apre per lasciar passare un uomo tutto scosso da un tremito e sorretto da una donna.
“Conosci tu quest’uomo?”
“Si. E’ Aggeo di Malachia, qui di Cafarnao. Posseduto da uno spirito malvagio che lo dissenna in furie repentine.”
“Tutti lo conoscono?”
La folla grida: “Si ”
“Può dire alcuno che fu meco in parole, anche per pochi minuti?”
La folla grida: “No, no, è quasi ebete e non esce mai dalla sua casa e nessuno ti ha visto in essa.”
“Donna: portalo a Me davanti.”
La donna lo spinge e trascina, mentre il poveretto trema più forte. L’archisinagogo avverte Gesù:
“Sta attento! Il demonio sta per tormentarlo… e allora si avventa, graffia, morde.” La folla fa largo, pigiandosi contro le pareti.
I due sono ormai di fronte. Un attimo di lotta. Pare che l’uomo, uso al mutismo, stenti a palare e mugola, poi la voce si forma in parola: “Che c’è fra noi e Te, Gesù di Nazaret? Perché sei venuto a tormentarci? Perché a sterminarci, Tu, padrone del Cielo e della Terra? So chi sei: il Santo di Dio. Nessuno, nella carne, fu più grande di Te, perché nella tua carne d’uomo è chiuso lo Spirito del Vincitore Eterno. Già mi hai vinto in… ”
Gesù: “Taci! Esci da costui!. Lo comando.”
L’uomo è preso come da un parossismo strano. Si dimena a strattoni, come se ci fosse chi lo maltratta con urti e strapponate, urla con voce disumana, spuma e poi viene gettato al suolo da cui poi si rialza, stupito e guarito.
“Hai udito? Che rispondi ora?” chiede Gesù al suo oppositore.
L’uomo barbuto e impaludato fa una alzata di spalle e, vinto, se ne va senza rispondere. La folla lo sbeffeggia e applaude Gesù.
“Silenzio. Il luogo è sacro!” dice Gesù e poi ordina: “A Me il giovine al quale ho promesso aiuto da Dio.”
Viene il malato. Gesù lo carezza: “Hai avuto fede! Sii sanato. Va’ in pace e sii giusto.”
Il giovane ha un grido. Chissà che sente? Si prostra ai piedi di Gesù e li bacia ringraziando: “Grazie per me e per la madre mia!”
Vengono altri malati: un bimbo dalle gambine paralizzate. Gesù lo prende tra le braccia, lo carezza e lo pone i terra… e lo lascia. E il bambino non cade, ma corre dalla mamma che lo riceve sul
cuore piangendo, e che benedice a gran voce ‘il Santo d’Israele’. Viene un vecchietto cieco, guidato dalla figlia. Anche lui viene sanato con una carezza sulle orbite malate. La folla un tumulto di benedizioni.
Gesù si fa largo sorridendo e per quanto sia alto, non arriverebbe a fendere la folla se Pietro, Giacomo, Andrea e Giovanni non lavorassero di gomito generosamente, e si aprissero un varco dal loro angolo sino a Gesù e poi lo proteggessero sino all’uscita nella piazza dove ora non c’è più sole.
La visione termina così…

sabato 5 agosto 2017

Ultima spiaggia , ma Riconciliazione (= Confessione) zero.

DONNA NOBILE, GIOVANE BELLISSIMA
ma di mala vita

« Una donna in Roma nobile ma di mala vita, benché non fosse publica mentre stava in casa del suo concubinario morendo vi furono tanto all'ultimo chiamati i nostri che la trovarono quasi passata non potendo né volendo dir altro se non Io brugio, Io brugio. Facendo segni col volto e con gli occhi di vedere tante horribili visioni di demonio che i suoi capelli che stavano disciolti se gli drizzarono così fattamente in testa che parevano fusa o serpenti. Del che atterrendosi anco i Padri non mancavano con salutiferi ricordi sollevar l'animo della dolente donna alla speranza della divina pietà. Ma quella non facendo altro che gettar urli spaventosissimi, e dire io brugio, io brugio, passò di questa vita. Uscendogli nell'istesso punto ch'ella spirò un pezzo di carne dalla natura tanto grosso e cosi infocato che pareva un ballone di fuoco. 

Un'altra bellissima giovane spagnuola donna di mala vita in Roma ritrovandosi nell'agonia con haver persa la favella vi furono mandati a chiamare de nostri. Quale al detto passo condotta, la ritrovarono senza essersi voluta confessare. Onde ingenocchiati per raccomandarla almeno al Signore con l'orationi viddero subitamente uscire da un'altra stanza un bruttissimo porco nero. Il quale havendo ficcato il grugno sotto le coperte de piedi lo cacciò nella natura della moriente, e tirando il fiato a se come se succhiasse l'anima sparì essendo in quel punto istesso spirata la misera donna con buttar fuori un grandissimo e dolentissimo sospiro » (Vms., p. 215).


*
Lo zelo d'un Santo, 
ossia di un Vero Figlio di Dio

pag. 25

Si riportano infine le due versioni, di questa vita e di quella stampata, sul comportamento di Camillo con un Ebreo, con il quale aveva dovuto fare in carrozza un po' di strada insieme: 

1. «Una volta andando egli per la Lombardia si pose nella sua carrozza un certo Giudeo che non portava segno. Per strada (portando sempre Camillo il suo Crocifisso legato al collo) s’avvide che quel perfido torceva il viso e non voleva guardarlo. Onde entrato in sospetto della verità, et essendogli finalmente stato detto che quello era un Giudeo, s'alterò tanto di questo che saltato in fervore di spirito gli pose detto Crocifisso davanti gli occhi, volendo che lo mirasse per forza. Ma non volendo quello in nessun conto mirarlo esso saltando in maggior furia lo voleva alhora alhora sbalzar dalla Carroza. Ma essendo pregato e trattenuto da gli altri à non far questo esso con occhi torti e quasi insanguinati disse al Giudeo: Huomo perfido et ostinato e tizzone dell'Inferno tu adunque hai tanto animo di non voler mirare questo santissimo Crocifisso? se non fusse il gran timor di Iddio che mi trattiene adesso ti vorrei cacciare e buttare dentro uno di questi fossi di strada. Et poco dopo fù costretto il Giudeo mal suo grado à saltar fuori della carrozza». (Vms., p. 358). 

2. «Una volta andando per la Lombardia co’l P. Cesare Bonino, si pose nella sua carrozza un Giudeo, che non portava segno; per strada si accorse Camillo, che quello torceva il viso, non volendo mirare il Crocifisso, che egli portava al collo: onde essendosi certificato che quello era un Giudeo, si commosse tanto di questo, c'havendogli porto il Crocifisso avanti gli occhi, voleva che lo mirasse per forza. Ma non volendo quello mirarlo, Camillo s'alzò da sedere e voleva che saltasse alhora, alhora fuori della carrozza: nel che essendo pregato e trattenuto da gli altri, s'acchetò, dicendo al Giudeo: Huomo perfido et ostinato, tu hai tanto ardire di non voler mirare il santissimo Crocifisso? se non fosse il timor d'Iddio che mi trattiene, adesso adesso ti farei sbalzare in mezo di questa strada. In fine fu tanto lo spavento del povero ebreo, che non potendo sopportar la faccia zelante di Camillo, fu costretto indi a saltar fuori della carrozza » (ed. 1615, p. 248).
Ave Maria!
Sis mecum semper
et omnia quae faciam
protege et sanctifica. Amen
AMDG et BVM

giovedì 29 giugno 2017

Preti di Dio, ascoltateMi!

La Santa Eucaristia
*******
22 novembre 2004


GESÙ: Preti di Dio, ascoltateMi! È il Padre vostro che ha acconsentito al Mio Sacrificio d’Amore. Sono Io che Mi sono donato liberamente. Lo Spirito ha comunicato che, con questo Dono, l’Umanità si sarebbe salvata alla Fine dei Tempi.

Con il Miracolo dell’Eucaristia,
le catene dell’odio si spezzeranno.

Visitate i prigionieri con la Croce e il Rosario. Rivolgetevi loro con Amore e fiducia.

Date loro la prima Grazia che Dio vi chiede di offrire loro, la Grazia di una buona Confessione; e, in seguito, posate l’Ostia Santa nella loro bocca.

Dio, con il Suo Corpo e con il Suo Sangue, viene a salvarli. Non sono le loro catene di ferro che cadranno per prime, ma i legami terribili che tengono prigioniere le loro anime; e un’anima guadagnata a Dio è una Festa nel Cielo di Gloria del Padre Nostro dei Cieli.

Non abbiate paura, Io ho perdonato ai due ladroni che circondavano la Mia Croce. Sì, a tutti e due.
I Sacerdoti di Dio devono andare fine in fondo
nel loro sacerdozio.
Nulla è impossibile a Dio!
Io vi darò dei buoni Sacerdoti.

Pregate, chiedete e riceverete.

GESÙ Cristo
nella Santa Eucaristia.

Amen.


†  †

martedì 2 agosto 2016

Un amico mi diceva: Posso assicurarti che gli italiani di circa 50 anni in genere -con altissima percentuale- non sanno proprio confessarsi. --- Potete voi stessi esaminarvi, ma senza scoraggiarvi...

Coraggio... sapessi quanti cuori sporchi 
ho spazzato e ripulito pur'io...

Capo V:  Penitenza 



§ 1. Sacramento e sue parti - Esame di coscienza. 



335. Che cos'è la Penitenza? 



La Penitenza o Confessione è il sacramento istituito da Gesù Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo. 



 356. Il sacramento della Penitenza quando fu istituito da Gesù Cristo? 



Il sacramento della Penitenza fu istituito da Gesù Cristo quando disse agli Apostoli, e in essi ai loro successori: «Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi; e saranno ritenuti a chi li riterrete » *. * Giov., XX, 22-23. 



357 Chi è ministro della Penitenza? 



Ministro della Penitenza è il sacerdote approvato dal Vescovo. 



358 Quante e quali cose si richiedono per fare una buona confessione? 



Per fare una buona confessione si richiedono cinque cose: 1° l'esame di coscienza; 2° il dolore dei peccati; 3° il proponimento di non commetterne più; 4° la confessione; 5° la soddisfazione o penitenza. 



359. Come si fa l'esame di coscienza? 



L'esame di coscienza si fa richiamando alla mente i peccati commessi in pensieri, parole, opere ed omissioni, contro i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa e gli obblighi del proprio stato, a cominciare dall'ultima confessione ben fatta. 



360. Nell'esame dobbiamo ricercare il numero dei peccati? 



Nell'esame dobbiamo ricercare con diligenza anche il numero dei peccati mortali. 



§ 2. Dolore e proponimento. 



361. Che cos'è il dolore? 



Il dolore o pentimento è quel dispiacere e odio dei peccati commessi, che ci fa proporre di non più peccare. 



362. Di quante specie è il dolore? 



Il dolore è di due specie: perfetto o contrizione, e imperfetto o attrizione. 



363. Che cos'è il dolore perfetto o contrizione? 



Il dolore perfetto o contrizione, è il dispiacere dei peccati commessi, perché sono offesa di Dio nostro Padre, infinitamente buono e amabile, e cagione della Passione e Morte del Nostro Redentore Gesù Cristo, Figliuolo di Dio. 



364. Perchè la contrizione è dolore perfetto? 



La contrizione è dolore perfetto, perchè nasce da un motivo perfetto, cioè dall'amore filiale di Dio o carità, e perchè ci ottiene subito il perdono dei peccati, sebbene resti l'obbligo di confessarli. 



365. Che cos'è il dolore imperfetto o attrizione? 



Il dolore imperfetto o attrizione è il dispiacere dei peccati commessi, per il timore dei castighi eterni e temporali, o anche per la bruttezza del peccato. 



366. Perchè l'attrizione è dolore imperfetto? 



L'attrizione è dolore imperfetto, perchè nasce da motivi meno perfetti e propri di servi anzichè di figli, e perchè non ci ottiene il perdono dei peccati se non mediante il sacramento. 



367. È necessario aver dolore di tutti i peccati commessi? 



È necessario aver dolore di tutti i peccati mortali commessi, senza eccezione; e conviene averlo anche dei veniali. 



 368. Perchè è necessario aver dolore di tutti i peccati mortali? 



È necessario aver dolore di tutti i peccati mortali, perchè con qualunque di essi si è gravemente offeso Dio, se ne è perduta la grazia, e si merita di restare separati da Lui in eterno. 



369. Che cos'è il proponimento? 



Il proponimento è la volontà risoluta di non commettere mai più peccati e di fuggirne le occasioni. 



370. Che cos'è l'occasione del peccato? 



L'occasione del peccato è ciò che ci mette in pericolo di peccare, sia persona sia cosa. 



371. Siamo obbligati a fuggire le occasioni dei peccati? 



Siamo obbligati, a fuggire le occasioni dei peccati, perchè siamo obbligati a fuggire il peccato: chi non le fugge; finisce per cadere, poichè «chi ama il pericolo perirà in esso»*. * Eccli., III, 27. 



§ 3 Confessione dei peccati. 



372. Che cos'é la confessione? 



La confessione è l'accusa dei peccati fatta al sacerdote confessore, per averne l'assoluzione. 



373. Di quali peccati siamo obbligati a confessarci? 



Siamo obbligati a confessarci di tutti i peccati mortali non ancora confessati o confessati male; giova però confessare anche i veniali. 



374. Come dobbiamo accusare i peccati mortali? 



Dobbiamo accusare i peccati mortali pienamente, senza farci vincere da una falsa vergogna a tacerne alcuno, dichiarandone la specie, il numero e anche le circostanze che aggiungessero una nuova grave malizia. 



375. Chi non ricorda il numero preciso dei peccati mortali, che deve fare? 



Chi non ricorda il numero preciso dei peccati mortali, deve far capire il numero che gli sembra più vicino alla verità. 



376. Perchè non dobbiamo farci vincere dalla vergogna a tacere qualche peccato mortale? 



Non dobbiamo farci vincere dalla vergogna a tacere qualche peccato mortale, perchè ci confessiamo a Gesú Cristo nella persona del confessore, e questi non può rivelar nessun peccato, a costo anche della vita; e perchè, altrimenti, non ottenendo il perdono, saremo svergognati dinanzi a tutti, nel giudizio universale. 



377. Chi per vergogna o per altro motivo, tacesse un peccato mortale, farebbe una buona confessione? 



Chi per vergogna o per altro motivo non giusto tacesse un peccato mortale, non farebbe una buona confessione, ma commetterebbe un sacrilegio. 



378. Che deve fare chi sa di non essersi confessato bene? 



Chi sa di non essersi confessato bene, deve rifare le confessioni mal fatte e accusarsi dei sacrilegi commessi. 



379. Chi senza colpa tralasciò o dimenticò un peccato mortale, ha fatto una buona confessione? 



Chi senza colpa tralasciò o dimenticò un peccato mortale, ha fatto una buona confessione; ma gli resta l'obbligo di accusarsene in seguito. 



§ 4. Assoluzione - Soddisfazione - Indulgenze. 



380. Che cos'è l'assoluzione? L'assoluzione è la sentenza con cui il sacerdote, in nome di Gesù Cristo, rimette i peccati al penitente dicendo: Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Cosi sia. 



381. Rimessi con l'assoluzione i peccati, è anche rimessa ogni pena meritata ? 



Rimessi con l'assoluzione i peccati, è rimessa la pena eterna meritata col peccato mortale, ma se non si abbia una contrizione perfettissima, rimane ordinariamente da scontare, in questa vita o nell'altra, una pena temporanea. 



382. Che cos'è la soddisfazione o penitenza sacramentale? 



La soddisfazione o penitenza sacramentale è l'opera buona imposta dal confessore a castigo e a correzione del peccatore, e a sconto della pena temporanea meritata peccando. 



383 Quando conviene fare la penitenza sacramentale? 



Conviene fare la penitenza sacramentale al più presto, se il confessore non ne ha assegnato il tempo. 



384. La penitenza sacramentale basta a liberarci da tutta la pena temporanea meritata col peccato? 



La penitenza sacramentale non basta, d'ordinario, a liberarci da tutta la pena temporanea meritata col peccato, e perciò conviene supplire con altre opere di penitenza e di pietà e con indulgenze. 



385. Quali sono le opere di penitenza e di pietà? 



Le opere di penitenza e di pietà sono: i digiuni, le mortificazioni, gli atti di misericordia spirituale e corporale *, le preghiere, e l'uso pio di quelle cose benedette e di quelle cerimonie sacre che si chiamano sacramentali, come l'acqua santa e le varie benedizioni. *.Formole 21,22 . 



386. Che cos'è l'indulgenza? 



L'indulgenza è una remissione di pena temporanea dovuta per i peccati, che la Chiesa concede sotto certe condizioni a chi è in grazia, applicandogli i meriti e le soddisfazioni sovrabbondanti di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi, le quali costituiscono il tesoro della Chiesa. 



387. Di quante specie è l'indulgenza? 



L'indulgenza è di due specie: plenaria e parziale. 



388. Qual è l'indulgenza plenaria? 



L'indulgenza plenaria è quella che rimette tutta la pena temporanea dovuta per i peccati. 



389. Qual è l'indulgenza parziale? 



L'indulgenza parziale é quella che rimette soltanto una parte della pena temporanea dovuta per i peccati. 



390. Che s'intende per indulgenza di « quaranta » o « cento giorni », di « sette anni » e simili? 



Per indulgenza di quaranta o cento giorni, di sette anni e simili, s'intende la remissione di tanta pena temporanea, quanta se ne sarebbe scontata con quaranta, cento giorni o sette anni della penitenza anticamente stabilita dalla Chiesa. 



391. Che si richiede per acquistare le indulgenze? 



Per acquistare le indulgenze si richiede di essere in stato di grazia e di eseguire bene le. opere prescritte.


"Da Oriente a Occidente tutti Ti aspettano
Vieni Signore Gesù!..."

lunedì 18 gennaio 2016

ELEGANTISSIMO SERMONE di SANT'ANTONIO , DOTTORE DELLA CHIESA

ELEGANTISSIMO SERMONE 
di SANT'ANTONIO , DOTTORE DELLA CHIESA
DOMENICA I
DOPO L’OTTAVA DELL’EPIFANIA
Temi del sermone

– Vangelo della prima domenica dopo l’ottava dell’Epifania: “Si celebrarono delle nozze in Cana di Galilea”.
– Anzitutto sermone ai predicatori: “Una piccola gemma di rubino”.
– Le quattro virtù: castità, umiltà, povertà e obbedienza: “C’era lì la Madre di Gesù”.
– Contro gli amatori del piacere mondano: “Non guardare il vino quando rosseggia”.
– Le sei parole della beata Vergine Maria: “Sua Madre gli disse”.
– Le sei idrie e il loro simbolismo: “C’erano lì sei idrie”; la pupilla e le palpebre e il loro significato.
– Il convito e il gaudio della vita terna: “Giuseppe, lavatosi il volto dalle lacrime”.

esordio - sermone ai predicatori

1.In quel tempo: In Cana di Galilea si celebrarono delle nozze” (Gv 2,1).
Si legge nell’Ecclesiastico: “Una piccola gemma di rubino incastonata nell’oro è un concerto di musici in un convito rallegrato dal vino” (Eccli 32,7). Vedremo il significato di queste cinque entità: la piccola gemma, il rubino, l’oro, la musica e il convito.
La piccola gemma (in lat. gemmula) e il rubino (in lat. carbunculus) sono (sempre in latino) due diminutivi, nei quali è simboleggiata una duplice umiltà: nella piccola gemma è raffigurata la limpidezza della (propria) riputazione, e nel rubino, che è color fuoco, è simboleggiata la carità. Sono queste le due virtù che ornano l’oro, cioè la sapienza del predicatore; se egli è dotato di queste due virtù, la sua predicazione sarà come un “concerto di musici”. Quando la sapienza esteriore si accorda con la delicatezza della coscienza, e l’eloquen­za è coerente con la condotta di vita, allora si ha il concerto musicale. Quando la lingua non fa rimpiangere la vita, allora abbiamo una gradevole sinfonia.
Giustamente la predicazione è chiamata musica. Dicono che la natura della musica è tale che se l’ascolta uno che è triste, diventa ancora più triste, mentre se l’ascolta uno che è lieto, lo rende ancora più lieto. Così è anche la predicazione: quando dichiara che il ricco, vestito di por­pora, è sepolto nell’inferno (cf. Lc 16,19.22); quando afferma che, come per il cammello è impossibile passare per la cruna di un ago, così è impossibile per il ricco entrare nel regno dei cieli (cf. Mt 19,24; Mc 10,25); quando insegna che ogni fasto e gloria terrena saranno un nulla, allora quei perfidi avari e usurai, che sono sempre nella tristezza perché accumulano con fatica, custo­discono con paura e perdono con grande dispiacere, diverranno ancora più tristi. “Un discorso inopportuno è sgradito, come la musica in tempo di lutto” (Eccli 22,6); “Come aceto su una piaga viva sono i canti allegri per un cuore afflitto” (Pro 25,20). La parola che morde il vizio strazia l’udito dei cattivi; al contrario, rende ancora più lieti i giusti, che vivono nel gaudio dello spirito e nella letizia di una coscienza tranquilla.La coscienza tranquilla è come un perenne convito (Pro 15,15), e, aggiunge l’Ecclesia­stico: “come un convito rallegrato dal vino”.
Il convito rallegrato dal vino e la festa di nozze fatta a Cana di Galilea sono la stessa cosa. Dice appunto il vangelo di oggi: “Ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea”.

2. Nell’introito della messa di oggi si canta: “Tutta la terra ti adori, o Dio” (Sal 65,1). Si legge un brano dell’epistola ai Romani: “Abbiamo doni diversi” (Rm 12,6). Di questo brano prenderemo in considerazione solo sei parole che paragoneremo, per quanto è possibile, alle sei idrie di cui parla il brano evangelico.


le nozze celebrate in cana di galilea

3. “C’era una festa di nozze”. Consideriamo quale significato morale abbiano le nozze, Cana di Galilea, la Madre di Gesù, i discepoli di Gesù, il vino che manca, le sei idrie, l’ac­qua cambiata in vino e l’architriclino, cioè il maestro di tavola.
(Si è già parlato ampiamente delle nozze nel commento al vangelo: “Il Regno dei cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio” (Mt 22,2) nel sermone della domenica XX dopo Pentecoste, prima parte. Perciò) qui tratteremo brevemente dell’unione dello sposo e della sposa, cioè dello Spirito Santo e dell’anima del penitente.
Cana s’interpreta “zelo”, Galilea “emigrazione”. Nello zelo, vale a dire nell’amore dell’emigrazione (del cambiamento), avvengono le nozze tra lo Spirito Santo e l’anima del penitente. E con questo concorda ciò che leggiamo nel libro di Rut, la quale dalla regione di Moab emigrò a Betlemme; in seguito Booz la prese in moglie (cf. Rt 1,6 ; 4,13).
Rut s’interpreta “che vede”, “che s’affretta”, o anche “che viene meno”. Essa raffigura l’anima del penitente che considera i suoi peccati con la contrizione del cuore, si affretta a lavarli alla fonte della confessione, e recede dalla sua prima malizia con la pratica delle opere di ripa­razione e di penitenza. Dice infatti il salmo: “Vengono meno la mia carne e il mio cuore” (Sal 72,26), cioè la carnalità e la superbia del mio cuore, e così dalla regione di Moab, cioè dalla schiavitù del peccato, emigra con lo zelo dell’amore a Betlemme, che significa “casa del pane”
L’amore di Dio è per l’anima la casa del pane, nella quale è protetta e ristorata, e allora, come dice il beato Bernardo, per la via dell’amore penetra, irrompe lo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è raffigurato in Booz, nome che s’in­terpreta “in lui è potenza”, della quale dice Luca: “Resta­te in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’al­to” (Lc 24,49). L’anima che lo Spirito Santo prende come sua sposa, egli la riveste di potenza dall’alto. Dice Isaia: “Egli dall’alto dà forza allo stanco, e ai deboli moltiplica il vigore e la potenza” (Is 40,29). Dà la forza di risor­gere, dà la potenza perché non soccombano nella tentazione, dà il vigore perché perseverino sino alla fine. Nell’unione tra lo Spirito Santo e l’anima si celebrano le nozze: viene addobbata la camera della coscienza, disposto in bell’ordine il letto nuziale dei buoni pensieri, con mano abile e delicata si promuove l’accordo dei cinque sensi, e così tutt’all’intorno si esulta e si giubila al ricordo dell’infinita dolcezza di Dio (cf. Sal 144,7) e realmente si sperimenta la bontà del Signore.
Questo è l’epitalamio (il canto nuziale) che si canta oggi nell’introi­to della messa: Tutta la terra ti adori, o Dio, e suoni il salterio; canti un salmo al tuo nome, o Altissimo! (cf. Sal 65,4). Tutta la terra comprende l’oriente, il meridione, l’occidente e il settentrione. 
L’oriente raffigura gli incipienti; il meridione raffi­gura i proficienti, che sono ardenti come il sole a mezzo­giorno; l’occidente raffigura i perfetti, che sono del tutto morti al mondo; invece il settentrione raffigu­ra i bravi sposi e i buoni cristiani, i quali ancora in possesso delle sostanze di questo mondo, sopportano pazien­temente i numerosi affanni delle tribolazioni e del dolore. Tutta questa terra adori il Signore con la contrizione del cuore, suoni il salterio della gioiosa confessione, canti il salmo dell’opera penitenziale, nelle nozze che si celebrano in Cana di Galilea.

4. “C’era anche la Madre di Gesù. Alle nozze fu invitato Gesù con i suoi discepoli” (Gv 2,1-2). O nozze fortunate, onorate di tali e tanti privilegi, gloriose per tanti favori! - In Maria, che fu vergine e madre, è personificata la castità e la fecondità; - in Gesù, che fu umile e che disse: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29); che fu povero – “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli il loro nido, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20) –, è personificata l’umiltà e la povertà; - nei suoi discepoli è rappresentata l’obbedienza e la pazienza. Ecco l’onore e l’ornamento delle nozze, ecco i loro privilegi e la loro dignità.
Lo Spirito Santo, sposo dell’anima, mentre la unisce a se stesso, la rende casta e feconda: casta per la purezza della mente, feconda della prole delle opere buone. È det­to nel Cantico dei Cantici: “Tutte hanno parti gemellari”, sono cioè ricche di opere della duplice carità, oppure della vita attiva e della contemplativa, “e nessuna di loro è sterile” (Ct 4,2). Al contrario è detto: “Maledetta la sterile in Israele” (cf. Es 23,26; Dt 7,14). E anche Geremia: “Il Signore ha pigiato il torchio alla vergine”, cioè alla sterile, “figlia di Sion” (Lam 1,15). Perciò l’anima, per sfuggire a questa sentenza di maledizione, dev’essere casta e feconda, per poter dire di sé: “Io sono la madre del bell’amo­re”, ecco la fecondità, “del timore, della scienza e della santa speran­za” (Eccli 24,24), ecco la castità.
Parimenti lo Spirito Santo rende l’anima umile e povera. Perciò per bocca di Isaia dice: “Verso chi volgerò il mio sguardo, se non all’umile, ossia al povero e al contrito di spirito?” (Is 66,2). Infatti su Gesù, al fiume Giordano, discese lo Spirito in forma di colomba (cf. Mt 3,16), volatile mansueto e che ha come canto il gemito.
È molto difficile praticare l’umiltà in mezzo alle ricchezze, e raramente o mai la purezza in mezzo ai piace­ri e ai divertimenti. Se trovi un ricco umile e un gaudente che vive casto, rèputali due astri del firmamento; ma temo che quelli che hanno questa apparenza, siano piuttosto dipinti con il colore dell’ipocrisia. 
Chi vuole essere veramente umile, si liberi delle ricchezze, dal cui contatto l’umiltà è contaminata e nasce la superbia. Per questo il Signore si lamenta per bocca di Osea: “Io li ho istruiti e ho dato vigore alle loro brac­cia; ed essi hanno tramato il male contro di me. Sono ritornati per essere liberati dal giogo, e sono diventati come un arco fasullo, allentato” (Os 7,15-16). Il Signore li istruisce come figli con doni gratuiti, e rafforza le loro braccia, sostiene cioè la loro energia e il loro vigore, con doni naturali e temporali, affinché difendano Israele come un baluardo e resistano valorosamente in battaglia (cf. Ez 13,5). Ma poiché dalla pinguedine procede l’iniquità, “sono ritornati ad essere figli di Beliar”, cioè senza giogo (cf. Gdc 19,22), vale a dire pieni di superbia. “Hanno abbandonato il Signore – dice Isaia –, hanno bestemmiato il Santo d’Israele, si sono voltati indietro” (Is 1,4), e così sono diventati come un arco fasullo (allentato). Mentre avrebbero dovuto lanciare frecce di vita santa e di sana dottrina e colpire l’avversario, lanciano invece frecce di vita viziosa e di bestemmia contro il Signore.
Ancora, lo Spirito Santo rende l’anima obbediente e paziente. Leggiamo nel libro della Sapienza che lo Spirito Santo è benigno, umano, stabile (cf. Sap 7,22-23). In chi è obbediente e paziente ci sono queste tre qualità: è benigno, cioè bene infiammato (lat. bene ignitus) ad obbedire al superiore; è umano nel sopportare e nel soffrire insieme con il prossimo; è stabile, cioè costante nei suoi propositi. Non sarai mai veramente obbediente se non sarai pazien­te. Infatti è vedova (carente) l’obbedienza che non è rafforzata e sostenuta dalla pazienza.

5. “Venne a mancare il vino” (Gv 2,3). “Fiele di draghi è il loro vino” (Dt 32,33): sono i piaceri del mondo e della carne. Dice in proposito Salomone: “Non guardare il vino quando rosseggia, quando il suo colore scintilla nella coppa di vetro: scende giù pian piano ma finirà con il morderti come un serpente, e come una vipera ti inietterà il suo veleno” (Pro 23,31-32).
Osserva che il vetro è un materiale di poco valore, un materiale fragile, ma bello e splendente. Il vetro raffigu­ra il corpo dell’uomo, il quale in quanto materia è di poco valore, perché originato da fetide secrezioni; è fragile nella sua sostanza, perché “come un fiore germoglia ed è reciso” (Gb 14,2), “e i suoi anni sono considerati come tela di ragno” (Sal 89,9). E Isaia: “Hanno tessuto tele di ragno che non serviranno loro come vesti” (Is 59,5-6). È anche ammirato per lo splendore della sua bellezza fisica, ma di essa è detto: “Fallace è la grazia e vana è la bellezza” (Pro 31,30). Perciò non guardare a questo vetro quando in esso rosseggia il vino, cioè l’allegria del mondo; quando ti sorride la prosperità del mondo e il piacere della carne, non dilettarti in esso: si insinua infatti inavvertitamen­te, ma alla fine morde come un serpente. Questo è ciò che dice anche il Signore: “Guai a voi, che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete” (Lc 6,25). L’allegria del mondo è il vivaio dell’eterno pianto.
E come una vipera ti inietterà il suo veleno”. Qui vino, di là veleno. E verso la fine di questo brano evange­lico leggiamo: “Ogni uomo”, che sa di humus (terra), “serve dapprima il vino buono”, il piacere del mondo, “e quando tutti sono brilli serve quello più scadente” (Gv 2,10), berrà cioè nell’inferno il veleno di morte che la vipera, cioè il diavolo, farà bere alle anime dei dannati. Ahimè, quanto amara sarà quella bevanda per coloro che la bevono” (Is 24,9), coloro che prima si erano ubriacati al calice d’oro della grande meretrice, con la quale hanno fornicato i re della terra (cf. Ap 17,1-4). Perciò vi supplico, venga pure a mancare alle nozze della sposa e dello sposo il vino dell’allegria del mondo. Quando verrà a mancare, si avvererà ciò che dice il vange­lo: “La Madre di Gesù disse al Figlio: Non hanno più vino” (Gv 2,3).
Fa’ bene attenzione che Maria, come si desume dai vangeli di Luca e di Giovanni, parlò solo sei volte, disse soltanto sei espressioni. La prima, “Come avverrà questo?” (Lc 1,34); la seconda, “Ecco la serva del Signore” (Lc 1,38); la terza, “L’anima mia ma­gnifica il Signore” (Lc 1,46); la quarta, “Figlio, perché ci hai fatto questo?” (Lc 2,48); la quinta, “Non hanno più vino” (Gv 2,3); la sesta, “Fate tutto quello che vi dirà” (Gv 2,5)
Queste sei espressioni sono come i sei gradini d’avorio del trono di Salomone, i sei petali del giglio, i sei bracci del candelabro
-Nella prima frase è indicato il fermo proposito di mantenere inviolata la sua verginità; -nella seconda il suo sublime esempio di obbedienza e di umiltà; -nella terza la sua esultanza per i privilegi che le furono concessi; -nella quarta la sua sollecitudine per il Figlio; -nella quinta la sua partecipazione alle altrui necessità; -nella sesta la sua certezza nella potenza del Figlio.

6. “Che ho (più) da fare con te, o donna? Non è ancor giunta la mia ora” (Gv 2,4). Dio, Figlio di Dio, ricevette dalla beata Vergine la natura umana, nell’unità della persona. Il Padre pose la divinità, la madre l’umanità; il Padre la maestà, la Madre l’infermità. Dalla divinità ebbe il potere di mutare l’acqua in vino, di ridare la vista ai ciechi, di risuscitare i morti; dall’infermità della sua umanità ebbe invece la possibilità di aver fame, di aver sete, di essere legato, coperto di sputi e crocifisso.
Dice dunque: “Che ho da fare con te, o donna?”. In lat. Quid mihi et tibi mulier?”. Fa’ attenzione alle due parole mihi e tibi. Nel mihi, a me, è indicata la divinità; nel tibi, a te, è indicata l’umanità. Come avesse detto alla Madre sua: Tu chiedi che adesso venga operato un miracolo, il che a me è possibile, da parte della divinità; a te invece, cioè all’umanità che da te ho ricevuto, devo la capacità di subire la passione.
E quindi soggiunge: “Non è ancor giunta la mia ora”, cioè l’ora della passione, nella quale sarò come schiacciato nel torchio, e le mie vesti saranno come quelle di coloro che pigiano nel tino (cf. Is 63,2-3). Non è ancor giunta l’ora in cui Giuda alzerà il suo calcagno sopra il grappolo, dal quale zampillerà il vino che inebria “i cuori di coloro che cercano il Signore” (Sal 104,3). Non è ancor giunta l’ora in cui l’uva dell’uma­nità che da te ho ricevuto, verrà schiacciata con la pressa della croce, affinché ne scorra il vino che allieta il cuore dell’uomo (cf. Sal 103,15). Quando giungerà quell’ora, che cosa avverrà a me e a te, o donna?

7. “Vi erano là sei idrie (giare) di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre metrete” (Gv 2,6). In Cana di Galilea, cioè nell’anima che nello zelo dell’amore è passata dai vizi alle virtù, ci sono sei idrie, vale a dire la contrizione, la confessione, l’orazione, il digiuno, l’elemosina e il perdono delle offese, dato di tutto cuore. Sono queste che purificano i giudei, cioè i penitenti da tutti i loro peccati.
*La contrizione purifica; dice infatti il Signore per bocca di Ezechiele: “Verserò su di voi acqua pura e sarete purificati da tutte le vostre sozzure” (Ez 36,25); e Geremia: “Lava dalla malvagità il tuo cuore, Gerusalemme, se vuoi essere salva; fino a quando albergheranno in te pensieri d’iniquità?” (Ger 4,14). La contrizione lava il cuore dalla malvagità e lo purifica dai pensieri iniqui; e infatti dice il Levitico: “Laveranno con acqua le interiora e i piedi” delle vittime (Lv 1,13). Nelle interiora sono indicati i pensieri impuri, nei piedi i desideri carnali: tutto si lava nell’acqua della contrizione. “Mi laverai, e diventerò più bianco della neve” (Sal 50,9).
*Parimenti la confessione purifica, e quindi è detto: Tutto viene lavato nella confessione (san Bernardo). Dice Geremia: “Effondi come acqua il tuo cuore al cospetto del Signore” (Lam 2,19). Dice “come acqua”, non come vino, o latte, o miele. Quando versi il vino, resta nel vaso il suo odore; quando versi il latte ne resta il colore; quando versi il miele ne resta il sapore; ma quando versi l’acqua, nessuna traccia resta nel vaso di tutto questo.
Nell’odore del vino è simboleggiata la fantasia del peccato, nel colore del latte l’ammirazione della vana bellezza, e nel sapore del miele il ricordo del peccato confessato, unito alla compiacenza della mente. - Sono questi gli avanzi maledetti dei quali parla il salmo: “Sono sazi di figli”, cioè di opere cattive, o di carne suina, vale a dire dell’immondezza del peccato, “e hanno lasciato i loro avanzi ai loro piccoli” (Sal 16,14), cioè agli impulsi istintivi. Tu invece quando effondi il tuo cuore nella confessione, effondilo come acqua, affinché tutte le sozzure e ogni loro traccia venga totalmente cancellata, e così sarai purificato dal peccato. - 
*E anche l’orazione purifica. - Dice il Signore: “Verranno piangendo e io li ricondurrò in preghiera e li guiderò ai torrenti di acque” (Ger 31,9). - E l’Ecclesiastico continua: “Non disprezzerà la preghiera dell’orfano”, cioè dell’umile penitente che dice: “Mio padre e mia madre”, cioè il mondo e la concupiscenza della carne, “mi hanno abbandonato; invece il Signore mi ha accolto” (Sal 26,10); “non disprezzerà la vedova”, cioè l’ani­ma dello stesso penitente, ormai distaccata dal diavolo e dal vizio, “quando si sfoga nel lamento. Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? E dalle sue guance salgono fino al cielo e il Signore che esaudisce, certamente non si diletterà di esse. Chi adora Dio sarà accolto con benevolenza e la sua supplica giungerà fino alle nubi. La preghiera di chi si umilia penetrerà le nubi” (Eccli 35,17-21).
*E anche il digiuno purifica. - Dice il profeta Gioele: “Ritornate a me con tutto il vostro cuore, nel digiuno, nel pianto e nel lamento” (Gl 2,12); - e Matteo: “Tu invece quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto” (Mt 6,17). - Mosè dopo il digiuno di quaranta giorni meritò di ricevere dal Signore la legge perfetta (cf. Es 34,28; Dt 9,9), legge che converte e purifica l’anima (cf. Sal 18,8); - ed Elia meritò di sentire il soffio di una leggera brezza (cf. 3Re 19,12). La saliva dell’uomo digiuno uccide i serpenti. Grande potenza del digiuno, che guarisce la peste dell’anima e smaschera le insidie dell’eterno nemico.
*E anche l’elemosina purifica: “Date in elemosina... e tutto per voi sarà mondo” (Lc 11,41). Come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina cancella il peccato (cf. Eccli 3,33). E dice ancora l’Ecclesiastico: “L’elemosina dell’uo­mo è come il sacco ch’egli ha con sé. [Dio] terrà conto della generosità dell’uomo come della pupilla del suo occhio” (Eccli 17,18). L’elemosina è raffigurata nel sacco, perché ciò che in essa viene riposto sarà poi ritrovato nella vita eterna. - È ciò che dice anche l’Ecclesiaste: “Getta il tuo pane sulle acque che passano”, dàllo cioè ai poveri che passano di luogo in luogo e di porta in porta, “e dopo lungo tempo”, cioè il giorno del giudizio, “lo ritroverai” (Eccle 11,1), ne avrai cioè la ricompensa: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25,35). Sei pellegrino, o uomo! Porta questo sacco lungo la strada del tuo pellegrinaggio perché, quando alla sera giungerai al tuo asilo, tu possa trovarvi il pane con cui rifocillarti.

8.L’elemosina custodisce anche la grazia come la pupilla dell’occhio. Per conservare l’acutezza della vista c’è una pellicola molto leggera, che sta sopra la pupilla; e per la protezione degli occhi sono state create le palpebre; e ogni animale chiude gli occhi per non lasciar entrare in esse dei corpi estranei, e questo non volontariamente ma per stimolo naturale; e l’uomo, avendo questa pellicola molto più sottile di tutti gli altri animali, chiude gli occhi con grande frequenza. Invece l’uccello, quando chiude gli occhi, li chiude soltanto con la palpebra inferiore. - Come la palpebra preserva la pupilla coprendola, così anche l’elemosina preserva la grazia, che è come la pupilla dell’anima, per mezzo della quale l’anima vede. È ciò che dice Tobia: “L’elemosina libera da ogni peccato e dalla morte, e non permette che le anime cadano nelle tenebre” (Tb 4,11).
Come l’uomo chiude molto spesso gli occhi per istinto naturale, così deve anche fare spesso l’elemosina per conservare la grazia. La natura stessa gli insegna e lo spinge a far questo. Dice Giobbe: “Visitando la tua specie, non peccherai” (Gb 5,24). La tua specie, o uomo, è l’altro uomo: come per inclinazione naturale provvedi a te stesso, così devi provvedere anche all’altro: “Ama il prossimo tuo, come te stesso” (Mt 19,19). E l’uomo deve far questo perché la pellicola del suo occhio è più sottile di quella degli altri animali. La sottigliezza della pellicola simboleggia la compassione della mente che è, e dev’essere maggiore che in qualsiasi altro vivente. L’animale dà la prova di essere “bruto”, cioè feroce, proprio perché manca di compassione.
Dice Mosè: “Il pellegrino, l’orfano e la vedova che stanno dentro le tue porte, mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore, Dio tuo, ti benedica in tutte le opere delle tue mani” (Dt 14,29); e ancora: “Ti comando di aprire le mani al tuo fratello povero e bisognoso, che abita con te nella stessa terra” (Dt 15,11).
*Parimenti il perdono dell’offesa purifica l’anima dai peccati. Dice il Signore: “Se perdonerete agli uomini le loro colpe, anche il Padre vostro celeste perdonerà a voi i vostri delitti” (Mt 6,14). Chi fa questo è come l’uccello che chiude gli occhi con le palpebre inferiori. L’uccello è chiamato in lat. avis, da a privativo, senza, e vis che suona quasi come via. Infatti, quando vola non segue una via. Così chi perdona a colui che lo offende non ha nel suo cuore la via del rancore e dell’odio; e chiude gli occhi con le palpebre inferiori quando di tutto cuore perdona l’offesa ricevuta. - E questa è l’elemo­sina spiri­tuale, senza la quale ogni opera buona resta priva della ricompensa della vita eterna.
Dice l’Ecclesiastico: “Perdona al tuo prossimo che ti ha fatto del male, e quando implorerai, anche i tuoi peccati saranno perdonati. Se l’uomo cova l’ira verso un altro uomo, come potrà chiedere a Dio la guarigione? Non ha pietà verso il suo simile, ed osa pregare per i suoi peccati? Egli, che è soltanto carne, conserva rancore, e chiede che Dio gli sia propizio. Chi perdonerà i suoi peccati?” (Eccli 28,2-5). “Ricordati dell’alleanza dell’Altissimo” – che dice: “Perdonate e sarà perdonato a voi –, e non far caso dell’ignoranza del prossimo. Astieniti dalle risse e diminuirai i tuoi peccati” (Eccli 28,9-10). Non fa caso dell’ignoranza del prossimo colui che attribuisce appunto all’igno­ranza, e non alla malizia, l’offesa ricevuta: così finge di non accorgersene e quindi non la conserva nel cuore.

9. Ecco dunque le sei idrie di pietra, ricavate da quella pietra “che i costruttori avevano scartato” (Sal 117,22), staccata “dal monte non per mano d’uomo” (Dn 2,34). E come sono piene? “Fino all’orlo” (Gv 2,7), dell’acqua della salvezza. “Contenevano ciascuna due o tre metrete”. La metreta era una misura [di circa 40 litri]. Nelle idrie che ne contenevano due è simboleggiato l’amore di Dio e del prossimo, in quelle che ne contenvano tre la professione di fede nella Santa Trinità: questo è necessario a tutte le suddette idrie.
L’Apostolo nomina, con altre parole, queste sei idrie nell’epistola di oggi (cf. Rm 12,11-14). Siate – dice – *ferventi nello spirito: ecco la contri­zione, che è la prima idria. Fa’ attenzione alla parola “ferventi”. Come le mosche non osano entrare in una pentola che ferve, cioè che bolle, così in un cuore veramente contrito non possono entrare “le mosche morte che guastano il profumo dell’unguento” (Eccle 10,1). *Lieti nella speranza”: ecco la confessione (la seconda idria). Nella confessione il peccatore deve allietarsi nella speranza del perdono, e nondimeno dolersi di aver commesso la colpa. *Per­se­veranti nella preghiera, ecco la terza idria. *Partecipi delle privazioni dei santi, (la quarta idria): ecco il digiuno. Nelle privazioni, cioè nel digiuno e nell’astinenza i santi furono afflitti, tribolati: di essi non era degno il mondo (cf. Eb 11,37-38); “nelle fatiche – dice l’Apostolo –, nelle veglie e nei digiuni” (2Cor 6,5). Però queste parole possono anche essere applicate all’elemosina materiale. E infatti soggiunge: *“Praticate l’ospitalità”, che è la quinta idria. *“Benedite coloro che vi perseguitano; benedite e non maledite”, ecco la sesta idria, cioè il perdono delle offese.

10. “Dice loro Gesù: Adesso attingete e portate al maestro di tavola (architriclino). Quando l’architriclino gustò l’acqua divenuta vino”, ecc. (Gv 2,8-9). Troviamo su questo una concordanza nella Genesi, quando Giuseppe, lavatosi il viso dalle lacrime, dice: Servite il pranzo. Dopo che il pranzo fu servito, a parte per Giuseppe, a parte per i suoi fratelli e a parte anche per gli Egiziani, i fratelli di Giuseppe bevvero insieme con lui fino ad essere un po’ brilli (cf. Gn 43,31-34).
“Giuseppe, figlio crescente e bello d’aspetto” (Gn 49,22) è figura di Gesù Cristo. Cristo fu come il grano di senape, di profondissima umiltà, ma poi crebbe e diventò un grande albero, tra i cui rami dimorano gli uccelli del cielo (cf. Mt 13,31-32), cioè coloro che contemplano le cose celesti. Egli è “il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 44,3), “e in lui gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (1Pt 1,12). Egli laverà il volto dalle lacrime, come dice Isaia: “Il Signore Dio asciugherà le lacrime da ogni volto” (Is 25,8), quando muterà l’acqua delle sei idrie nel vino del gaudio celeste; 
l’acqua della contrizione sarà allora convertita nel vino della letizia del cuore. Il Signore infatti promette: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegre­rà, e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). Allora il cuore che ora “è contrito e umiliato” (Sal 50,19) sarà giocondo e allietato dal vino della gioia. Dice Salomone: “Il cuore che ha conosciuto l’amarezza, al suo gaudio non farà partecipare un estraneo” (Pro 14,10).
Parimenti, l’acqua di una confessione bagnata di lacrime sarà mutata nel vino della lode divina. Dice Isaia: “Ritor­neranno e verranno in Sion cantando lodi; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e scompariranno tristezza e pianto” (Is 35,10), in cui si trovavano prima, nella confessione del loro peccato.
Similmente l’acqua della preghiera bagnata di lacrime sarà cambiata nel gaudio della contemplazione della Trinità e dell’Unità. Sempre Isaia: “Canteranno lodi insieme, perché vedranno con i loro occhi il Signore che fa ritornare Sion” (Is 52,8).
E anche il digiuno sarà mutato nella letizia di un’eccellente vendemmia. Isaia: “Su questo monte il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli un convito di grasse vivande”, ecc. (Is 25,6).
(Vedi il sermone della domenica II dopo Pentecoste, prima parte: “Un uomo diede una grande cena”).
Ugualmente la duplice elemosina, quella materiale, e il perdono dell’offesa ricevuta, che è l’elemosina spirituale, sarà mutata nella gioia della duplice stola, cioè nella glorificazione dell’anima e del corpo. Isaia: “Possederanno il doppio nella loro terra, godranno di una letizia perenne” (Is 61,7).

11. Dunque “Giuseppe, lavatosi il volto dalle lacrime, disse: Servite il pranzo (Gn 43,31)”.  È ciò che dice il Signore: “Io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22,29-30). Però a parte per Giuseppe, a parte per i suoi fratelli, e a parte anche per gli Egiziani. 
È ciò che dice Matteo: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua maestà con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti; ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri. E porrà le pecore alla sua destra e invece i capri alla sua sinistra” (Mt 25,31-33).
Bevvero insieme con lui fino ad essere un po’ brilli”. Ecco adesso l’architriclino, presso il quale saremo inebriati dell’abbondanza della sua casa (cf. Sal 35,9)Archi, cioè principe, tri, tre, clino, letto: quindi principe di tre ordini di letti: quei letti sui quali gli antichi usavano adagiarsi per mangiare. I tre ordini di letti simboleggiano le tre categorie di fedeli della chiesa: i coniugati, i casti e i vergini, il cui principe è il buon Gesù: egli “li farà accomodare a mensa e quindi passerà a servirli” (Lc 12,37).
Fratelli carissimi, imploriamo umilmente questo principe perché conceda anche a noi di celebrare le nozze in Cana di Galilea, di riempire d’acqua le sei idrie, per poter bere con lui il vino del gaudio eterno nelle nozze della celeste Gerusalemme.
Si degni di concedercelo lui che è benedetto, degno di lode e glorioso per i secoli eterni. E ogni anima, sposa dello Spirito Santo, risponda: 
Amen. Alleluia.