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giovedì 16 febbraio 2017

Fare bene il bene

I Santi sono santi non perché abbiano fatto dei miracoli, 
ma perché bene omnia fecerunt

Il bene fa poco rumore: 
il molto rumore fa poco bene. 
Il bene va fatto bene e senza rumore
Beato Giuseppe Allamano Sacerdote, Fondatore
Castelnuovo Don Bosco, Asti, 21 gennaio 1851 - Torino, 16 febbraio 1926

Ebbe san Giovanni Bosco come insegnante e san Giuseppe Cafasso per zio. Ordinato prete a Torino a 22 anni - era nato nel 1851 a Castelnuovo d'Asti - Giuseppe Allamano fu rettore del santuario più caro ai torinesi, la Consolata. Volle fondare un istituto dedicato all'annuncio «ad gentes». Nacquero così nel 1901 i Missionari della Consolata e nel 1909 le suore. Prima prova: il Kenya. Denunciò a Pio X l'insensibilità di fedeli e pastori sulla missione e chiese l'istituzione di una giornata. Lo fece Pio XI nel 1927, un anno dopo la morte di Allamano. E' beato dal 1990. 
Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico
Martirologio Romano: A Torino, beato Giuseppe Allamano, sacerdote, che, animato da instancabile zelo, fondò due Congregazioni delle Missioni della Consolata, l’una maschile e l’altra femminile, per la diffusione della fede. 


E’ concittadino di due santi: San Giovanni Bosco, che l’ha avuto studente a Torino, e San Giuseppe Cafasso, che è anche suo zio materno.
Ordinato sacerdote in Torino a 22 anni, laureato in teologia a 23, direttore spirituale del seminario a 25, a 29 diventa rettore del santuario più caro ai torinesi (la “Consolata) e del Convitto ecclesiastico per i neosacerdoti. Però il santuario è da riorganizzare e restaurare, il Convitto è in crisi gravissima. Con fatiche che non cesseranno mai, lui rivitalizza il santuario e fa rifiorire il Convitto, come quando vi insegnava il Cafasso.


Come il Cafasso, è un eccezionale formatore di caratteri, maestro di dottrina e di vita. Vede uscire dai seminari molti preti entusiasti di farsi missionari, ma ostacolati dalle diocesi, che danno volentieri alle missioni l’offerta, ma non gli uomini. E decide: i missionari se li farà lui. Fonderà un istituto apposito, ci ha già lavorato molto. Il suo progetto è apprezzato a Roma, ma poi ostacoli e contrattempi lo bloccano, per dieci anni. Pazientissimo, lui aspetta e lavora. Arriva poi il primo “sì” vescovile per il suo Istituto dei Missionari della Consolata nel 1901, e l’anno dopo parte per il Kenya la prima spedizione. Otto anni dopo nascono le Suore Missionarie della Consolata.



Lui sente però che sull’evangelizzazione bisogna scuotere l’intera Chiesa. E nel 1912, con l’adesione di altri capi di istituti missionari, denuncia a Pio X l’ignoranza dei fedeli sulla missione, per l’insensibilità diffusa nella gerarchia. 
Chiede al Papa di intervenire contro questo stato di cose e in particolare propone di istituire una giornata missionaria annuale, "con obbligo d’una predicazione intorno al dovere e ai modi di propagare la fede". 
Declinano le forze di Pio X, scoppia la guerra nei Balcani... L’audace proposta cade.

Ma non per sempre: Pio XI Ratti realizzerà l’idea di Giuseppe Allamano, istituendo nel 1927 la Giornata missionaria mondiale. Lui è già morto, l’idea ha camminato. E altre cammineranno dopo, come i suoi missionari e missionarie (oltre duemila a fine XX secolo, in 25 Paesi di quattro Continenti). Da vivo, rimproverano a lui (e al suo preziosissimo vice, il teologo Giacomo Camisassa) di pensare troppo al lavoro “materiale”, di curare più l’insegnamento dei mestieri che le statistiche trionfali dei battesimi.

Lui è così, infatti: Vangelo e promozione umana, perseguiti con passione e con capacità. "Fare bene il bene": ecco un altro suo motto. I suoi li vuole esperti anche in scienze “profane”. E anche quest’idea camminerà fino al Vaticano II, che ai teologi dirà di "collaborare con gli uomini che eccellono in altre scienze, mettendo in comune le loro forze e i loro punti di vista" (Gaudium et spes). E lui, Giuseppe Allamano, che dal 7 ottobre 1990 sarà beato, ripete biblicamente ai suoi: "Il sacerdote ignorante è idolo di tristezza e di amarezza per l’ira di Dio e la desolazione del popolo".

Giuseppe Allamano si spegne a Torino il 16 febbraio 1926; la sua salma ora è venerata nella Casa Madre dei Missionari della Consolata.

Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) lo  beatificò il 7 ottobre 1990, in Piazza S. Pietro a Roma.

Approfondimenti: vedi qui. Molto interessante: Il Fondatore narra la sua vita


Autore: Domenico Agasso
AMDG et BVM

lunedì 16 maggio 2016

I DONI DELLO SPIRITO SANTO

SOLENNITA' DI PENTECOSTE
<< Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria
tua Sposa amatissima >>


Questa solennità è detta la seconda Pasqua. La Chiesa, praticamente, nacque in questo giorno. S. Giovanni Crisostomo chiama la Pentecoste: il compimento di tutte le altre solennità. Già la celebravano, e con grande solennità, gli Ebrei, che in questo giorno offrivano le primizie dei frutti della terra.
S. Massimo scrive che la Pentecoste non è solo una commemorazione del fatto avvenuto, ma è la rinnovazione del fatto, sempre nuovo, della discesa dello Spirito Santo. Come allora, così anche oggi lo Spirito Santo discende, non importa se invisibilmente, sulla Chiesa e sui fedeli che vi sono preparati; altrimenti non sarebbero a proposito le invocazioni: Veni, Sancte Spiritus, ecc.
Notate ancora che lo Spirito Santo non discende solo con i suoi doni e con i suoi frutti, ma Lui in Persona: la terza Persona della SS. Trinità. 
Nostro Signore non disse: " Riceverete i doni dello Spirito Santo ", ma disse: " Ricevete lo Spirito Santo " (1033). Così infatti insegna S. Tommaso, dicendo: " Lo Spirito Santo non manda i suoi doni, ma viene Lui in Persona a portarli ".
Nulla quindi a stupire che la santa Chiesa dia tanta importanza a questa festa. Oltre a una solenne novena, che al dire del B. Giovanni d'Avila è una seconda Settimana Santa, prescrive un'ottava solennissima, durante la quale, lasciati tutti i Santi, ci fa dire Messa e Ufficio solo dello Spirito Santo, con le più ardenti suppliche, per farlo discendere nell'anima nostra; e con la recita ogni giorno della Sequenza.
Facciamo dunque nostro lo spirito della Chiesa e intanto consideriamo brevemente quali sono i nostri doveri verso lo Spirito Santo. Io li riduco a sei.
Conoscerlo - Nell'Epistola della festa si narra che avendo S. Paolo interrogato alcun i cristiani se avessero già ricevuto lo Spirito Santo, risposero che non sapevano neppure che esistesse. Erano da scusare, perché non ne avevano mai sentito parlare. Ai nostri giorni molti anche fra i cristiani non conoscono lo Spirito Santo o lo trascurano. Ma almeno i Religiosi, e più ancora i Missionari che lo dovranno far conoscere, conoscono essi praticamente lo Spirito Santo? E, conoscendolo, si comportano con Lui come dovrebbero?... Conoscerlo non vagamente, ma praticamente: che è la terza Persona della SS. Trinità, che procede dal Padre e dal Figlio per volontà d'amore; crederlo quindi vero Dio, unico col Padre e col Figlio; e che a Lui perciò si deve la stessa adorazione, unitamente alle altre due Persone Divine.
Allo Spirito Santo si attribuiscono le opere ad extra dell'amore, ed in particolare l'assistenza alla Chiesa e la santificazione delle anime. Nostro Signore fondò la Chiesa e poi la rimise alla cura dello Spirito Santo che l'assiste, la vivifica, la conserva contro tutte le potenze infernali. Il Papa è illuminato dallo Spirito Santo. La stessa propagazione della fede è l'effetto dell'azione dello Spirito Santo nelle anime. Quindi è allo Spirito Santo che va attribuito tutto il bene che si fa nelle Missioni.
Perché, dunque, tanta trascuratezza nel mondo, anche fra i Religiosi e i Missionari, riguardo allo Spirito Santo? Perché ricorriamo a Lui di rado o anche mai. Facciamo, sì, qualche cosa durante la novena, e poi basta. Certo a N. S. Gesù Cristo, che è morto per noi, dobbiamo intenso amore e profonda divozione, ma non per questo dobbiamo far torto allo Spirito Santo, che ci applica i meriti di N. S. Gesù Cristo.
Da lui vengono tutte le opere della grazia. La santificazione delle anime è opera sua. Gli Apostoli, dopo aver passato tre anni alla scuola di Nostro Signore, erano ancora sì difettosi che, alla vigilia della Passione, bisticciavano per sapere chi fra essi fosse il primo. " È necessario - diceva ad essi Gesù - che io me ne vada, perché la mia missione è compiuta; verrà lo Spirito Santo e farà il resto ". Venne infatti e quale cambiamento operò in essi!
Noi sappiamo tutto ciò in teoria, ma tale conoscenza la riduciamo noi alla pratica? Gli prestiamo, come al Padre e al Figlio, il tributo dei nostri doverosi ossequi? Questo bisogna fare: ossequiarlo e raccomandarsi a Lui, massime per ottenere la santità; tenerlo praticamente, e tutto l'anno, come nostro Santificatore; essere intimamente persuasi della necessità di questa divozione.
Amarlo - È una conseguenza della nostra vera e pratica conoscenza. Lo Spirito Santo è tutto amore; sugli Apostoli discese sotto il simbolo di fiamme. Egli è fuoco, come diciamo nel Veni Creator. Egli ci ama e, per l'amore che ci porta, desidera ardentemente di comunicare a noi Se stesso. Ora, amore esige amore; desiderio vuol corrispondenza di desiderio. Ed oh! come ben esprimono questi sospiri amorosi tutte le parole del predetto Inno e della Sequenza. Solo bisogna farle nostre, dirle con tutta l'anima: Veni, Pater pauperum!... Abbiamo un cuore duro, freddo. Diciamo allo Spirito Santo che ce lo rammollisca, che ce lo infiammi, sì da fare di noi altrettante nuove creature...
Bisogna amare, amare, perché Egli è tutto amore Si ricevono dallo Spirito Santo tutte le grazie, ma soprattutto l'amore. Non si fa torto al Padre a voler bene al Figlio, e così pure non si fa torto al Figlio a voler bene allo Spirito Santo. Questo amore è quello che infiammò di zelo gli Apostoli per la salvezza delle anime: ne abbiamo bisogno pur noi, ed è dallo Spirito Santo che dobbiamo ottenerlo.
Ascoltarlo - Ascoltare le sue ispirazioni. Quando diciamo a buone ispirazioni ", intendiamo quelle che ci possono venire dal Divin Padre o da Nostro Signore, o direttamente dallo Spirito Santo. Dobbiamo dunque seguirle con generosità e costanza. Il non ascoltarlo, il resistergli fa parte di quel gran peccato contro lo Spirito Santo, che porta all'impenitenza finale, alla disperazione della salute.
La tiepidezza continua di un Religioso è anche contro lo Spirito Santo. Quante anime in certi momenti di fervore ascoltano i suoi inviti; ma presto si stancano, e lasciano il bene e la propria santificazione a metà! Quindi in esse lo Spirito Santo non può operare le sue meraviglie: quelle meraviglie ch'Egli opera invece nelle anime che lo seguono con coraggio e generosità; delle quali fa altrettanti eroi di santità, come fece degli Apostoli, di S. Francesco Zaverio, ecc. In essi, e per mezzo di essi Egli rinnova la faccia della terra. Et renovabis faciem terrae!
Quando lo Spirito Santo viene in un'anima, porta via tutto per restare Lui solo. È difficile che chi vive sotto l'influsso dello Spirito Santo non si faccia santo. Quando un'anima riceve lo Spirito Santo con i suoi doni e con i suoi frutti, essa immancabilmente viene trasformata.
Non contristarlo - S. Paolo, scrivendo agli Efesini, dice loro: Non contristate lo Spirito Santo di Dio (1034). Come lo si contrista? Il peccato è l'unica cosa che contrista lo Spirito Santo. Sono i peccati veniali e la non corrispondenza alla grazia; cioè quando lo offendiamo e quando non facciamo tutto quello che dovremmo fare. Quei peccatucci, quei difetti, massime se abituali, fanno sì che lo Spirito Santo non possa star bene in noi. Bisogna essere generosi nel taglio dei nostri difetti.
Altre volte non si offende con peccati veniali deliberati, ma non si bada alle imperfezioni; e anche allora lo contristiamo, perché Egli vuole la nostra perfezione, vuol vedere in noi la pienezza della grazia. Quando Noè mandò fuori dall'arca la colomba, questa, non avendo trovato dove fermarsi, rientrò. Lo Spirito Santo è raffigurato nella colomba: dobbiamo evitare tutto ciò che sa di mondo, di profano, se vogliamo che si posi su di noi, che rimanga in noi, che sia contento di noi.
Alle volte non siamo capaci di sollevarci... Se ricevessimo bene lo Spirito Santo, saremmo tutti veri e santi Apostoli!... Dunque non contristare lo Spirito Santo col peccato veniale e con le mezze volontà. Dobbiamo metterci nelle sue mani, lasciarlo fare, seguirlo docilmente: che compia la nostra santificazione.
Non estinguerlo - S. Paolo dice: Non spegnete lo Spirito (1035). Lo Spirito Santo, come spiega S. Giovanni Crisostomo, è velut lucerna, la quale si estingue o per un colpo di vento o per mancanza di olio: si ventum, vel si parum olei infundas (1036). Che cosa significa il vento? Significa il mondo, lo spirito del mondo, l'amore alle cose terrene. Noi dobbiamo staccarci dal mondo, perché così vuole lo Spirito Santo. Lo spirito del mondo è l'opposto dello Spirito di Dio. Sta scritto che lo Spirito Santo è spirito di verità che il mondo non può ricevere (1037). Quindi, via i pensieri, i giudizi, i desideri del mondo, via anche lo spirito sensuale o anche solo troppo umano.
Gesù stesso disse agli Apostoli: Se io non vado, il Paraclito non verrà a voi (1038). Era necessario che gli Apostoli si staccassero anche da Lui. Ma non era buono l'affetto degli Apostoli alla Persona di Gesù? Sì, risponde S. Bernardo, ma era un affetto troppo sensibile, quindi imperfetto. Tanto più noi dobbiamo staccarci da certi affetti non cattivi ma troppo sensibili, come per taluni è l'affetto ai parenti.
Non lasciamo dunque che il vento, lo spirito del mondo, estingua lo Spirito Santo. E insieme procuriamo che non si spenga in noi per mancanza di olio. Che significa l'olio? Significa le opere buone, le virtù. Son queste che tengono vivo in noi lo Spirito. Mancanza d'olio è promettere sempre di essere umile, obbediente, e poi, nel momento in cui uno dovrebbe esplicare l'umiltà e l'obbedienza, saltar su con tutta la propria superbia. Le vergini stolte del Vangelo, che non avevano olio nelle loro lampade, non furono ammesse al festino dello Sposo (1039). Ciò serve per noi, che dobbiamo continuamente accrescere in noi la grazia, e corrispondere alla medesima. Sì, corrispondere alla grazia, affinché questa non ci venga tolta, e non si estingua in noi la carità, che è lo Spirito Santo.
Ravvivare in noi la grazia - S. Paolo scriveva a Timoteo: Ti rammento di ravvivare la grazia di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani (320). Che cosa vuol dire S. Paolo con queste parole? Timoteo, il discepolo prediletto di Paolo, era un santo, e certamente la grazia di Dio era in lui; però S. Paolo gli rammenta di tenerla viva, anzi di ravvivarla sempre più. Vedete: quando pare che il braciere debba spegnersi, lo si ravviva. Così noi dobbiamo ravvivare la grazia di Dio che è in noi, cioè l'accipe Spiritum Sanctum delle sacre Ordinazioni; darle una vita più intensa.
Alle volte i doni dello Spirito Santo sono assai poveri in noi, a motivo delle nostre meschine disposizioni. Non dico che ci manchi addirittura la grazia di Dio, ma non abbiamo vigore, viviamo una vita mediocre. Ed allora ecco: ravvivare in noi la vita della grazia, scuoterci, rimetterci in fervore. Lo Spirito Santo certo farà Lui, ma prima vuole che facciamo noi quello che possiamo... Tenete a mente queste cose. Oggi sarebbe un giorno ben trascorso, se faceste quello che vi ho detto e ve ne ricordaste per tutto l'anno.
I DONI DELLO SPIRITO SANTO - Oltre la grazia santificante, lo Spirito Santo dà ancora le grazie gratis datae, descritte da S. Paolo nella prima Lettera ai Corinti (1040). Queste non sono per tutte le anime. Voi non chiedete mai la grazia di fare miracoli; per far conversioni, sì, ma non per altro. Nei primordi della Chiesa alcuni ebbero di queste grazie straordinarie, s'invanirono e caddero.
Ci sono poi i doni dello Spirito Santo. Che cosa sono ?
E che differenza c'è tra virtù e doni? Le virtù sono facoltà soprannaturali che ci rendono capaci di compiere atti soprannaturali; i doni, invece, sono abiti permanenti, per i quali l'uomo è reso docile e pronto a seguire gli impulsi dello Spirito Santo.
I doni si distinguono dalle virtù in quanto il principio motore delle virtù sono le potenze dell'anima perfezionate soprannaturalmente, mentre quello dei doni e immediatamente lo Spirito Santo: le virtù danno la capacità di compiere le azioni ordinarie della vita virtuosa, i doni di compiere atti straordinari ed eroici.
Poiché i doni sono un regalo dello Spirito Santo, conviene pregarlo che ce li sviluppi, essendo la loro azione di grande importanza.
Passiamoli brevemente in rassegna.
Sapienza - Per questo dono, fissi nel fine per cui fummo creati, disprezziamo i beni di questo mondo, per solo apprezzare gli eterni. È, secondo S. Bernardo, il sapor boni (1O41), gustare cioè le cose spirituali. È vera sapienza quando si è attratti verso le cose spirituali, quando non si rimpiangono le cipolle d'Egitto per tendere solo alle cose del Cielo.
Intelletto - Certuni credono come se vedessero; è una luce che sgombra le tenebre e dà la pace nel credere. Intelletto vuol dire: intus legere (1042). Queste anime leggono dentro, penetrano, per così dire, i Misteri. Non è che l'anima li comprenda, ma di essi ha una luce più chiara. S. Felice Cappuccino, quando parlava di Dio, diceva cose altissime, tutte teologicamente esatte, senza aver mai aperto un libro.
Consiglio - Pel dono del consiglio dirigiamo noi egli altri alla virtù e alla santità; esso ci fa prevedere le tentazioni e ci suggerisce i mezzi per vincerle. S. Giuseppe Cafasso possedeva questo dono in grado eminente.
Fortezza - E quell'energia soprannaturale che ci fa vincere la pusillanimità e la debolezza nelle avversità e nei pericoli, rendendoci pronti al sacrificio e anche al martirio. Senza di questo dono i martiri non avrebbero potuto resistere. Esso è sommamente necessario ai missionari, massime a quelli più inclinati allo scoraggiamento.
Scienza - Per questo dono ci solleviamo dalla considerazione delle cose temporali a quelle eterne. S. Agostino diceva: " Ogni cosa creata mi è di scala a Dio " (1043). E S. Teresa: " Tutte le cose mi gridano di amare Te, o Signore! ". S. Maddalena de' Pazzi da un fiore, da un filo d'erba si sollevava al Creatore (1044).
Questo dono è anche necessario per lo studio e pel disimpegno del lavoro. Lo Spirito Santo è Spirito di scienza. Raccomandatevi a Lui nei vostri studi, specialmente in quello delle lingue indigene ed estere. Ciò che lo Spirito Santo ha fatto per gli Apostoli, lo farà anche per voi, purché mettiate da parte vostra buona volontà e impegno ad apprenderle.
Pietà - Pel dono della pietà si onora Dio come Padre e gli uomini come fratelli; si gusta di stare davanti a Dio, di trattare con Lui con filiale familiarità, come con un papà e una mamma; rende i nostri cuori docili ed arrendevoli. In particolare, questo dono ci fa gustare la pietà e godere di essa.
Timor di Dio - Per questo dono l'anima sta attenta a non offendere Dio. Non è un timore servile, ma filiale. Esso fa sì che non perdiamo la pace, né la confidenza per i difetti che commettiamo. Se uno cade, non si sgomenta, perché sa che Dio è Padre, e ritorna subito a Lui con maggior buona volontà. Anche il timore servile può essere utile, ma il timore filiale è più perfetto.
I FRUTTI DELLO SPIRITO SANTO - I frutti dello Spirito Santo, secondo S. Paolo, sono dodici: Frutto dello Spirito Santo è l'amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la mitezza, la fede, la moderazione, la continenza, la castità (1045). Perché si chiamano frutti ? Lo spiega S. Ambrogio: " Perché ristorano l'anima di sincero amore... e perché contengono una grande dolcezza e soavità " (1046). Ciò che i frutti naturali sono per il corpo, che si gustano e saziano, i frutti dello Spirito Santo lo sono per l'anima. Sono così belle queste cose!... Chi gode di questi frutti vive di Spirito Santo. Bisogna gustarli, e per gustarli è necessario essere divoti dello Spirito Santo. Leggeteli, meditateli; sono soavi al cuore, ci fanno passar sopra le miserie di questa vita e ci fanno amare i sacrifici.
TEMPLI DELLO SPIRITO SANTO - S. Paolo dice che noi siamo templi dello Spirito Santo. Che cosa si fa in un tempio? Nel tempio si cura la pulizia. Così noi: essere decenti esternamente e mondi internamente; delicatissimi di coscienza.
Nel tempio si fa silenzio. Così noi: silenzio esterno quando la Regola lo richiede, e silenzio interno: non divagare con la mente, ma pensare allo Spirito Santo che è in noi, desideroso di infonderci la sua grazia.
Nel tempio si prega. Così noi, se fossimo proprio persuasi di avere abitante in noi lo Spirito Santo, come volentieri gli parleremmo, e quanto attenti saremmo ad ascoltare le sue ispirazioni!
Nel tempio si celebra il Divin Sacrificio. Così dobbiamo fare dentro di noi: moltiplicare i piccoli sacrifici, che hanno tanto valore per la nostra santificazione.
Nel tempio si ascolta la parola di Dio. Così dobbiamo fare nella piccola chiesa del nostro cuore; ascoltare volentieri la voce dello Spirito Santo, che è la voce della grazia, e cercare di tradurla in pratica.
Nel tempio si celebrano le feste. E anche noi dobbiamo essere allegri in questa come in tutte le feste della Chiesa. Inoltre, procurare di ornare il nostro cuore con atti di virtù, allo stesso modo che si adornano con drappi i templi materiali...
Lo Spirito Santo si compiace di abitare nell'anima fervorosa; Egli ci lascia solo per il peccato mortale. Quando si commettono peccati veniali deliberati, non ci lascia no, ma resta mortificato. Meditiamo sovente questa grande e consolante verità: noi siamo templi dello Spirito Santo!
PENSIERI SULLA DEVOZIONE ALLO SPIRITO SANTO 
S.Filippo voleva che i suoi Religiosi fossero tutti figli dello Spirito Santo: io pure voglio che lo siate tutti voi. Egli vi darà le sue continue ispirazioni, i suoi doni, per cui diverrete dotti e santi.
Se non ci curiamo dello Spirito Santo. Egli passa con le sue ispirazioni. Perciò, per essere veri figli dello Spirito Santo, bisogna ascoltarlo, star sempre pronti alla sua voce, attenti alle sue ispirazioni.
Volete divenir santi, staccati da tutti e da tutto. Siate divoti dello Spirito Santo. Si comprende come delle piccole anime abbiano fatto tanto: perché erano ripiene di Spirito Santo. Ah, quando entra lo Spirito Santo in un'anima, basta! Egli consola e sana ogni ferita!
Alle volte siamo maligni, ecc.; questo perché non ricorriamo allo Spirito Santo. Egli dà tutti i doni, tutte le grazie di cui abbisogniamo. Se uno è divoto dello Spirito Santo, ottiene tutto.
Siamo deboli, pieni di difetti, ma se ci riconosciamo poveri non solo a parole ma in verità; se con convinzione di cuore ed efficacemente ci dichiariamo e ci dimostriamo figli dello Spirito Santo, Egli che è Pater pauperum, ci sarà largo dei suoi doni. Si pensa troppo poco allo Spirito Santo nel mondo, pensiamoci almeno noi!
Bisogna che continuiamo a invocare lo Spirito Santo per tutta l'Ottava; non lasciar passare questa settimana senza riempirci di Spirito Santo. Se non è ancor venuto, può essere che venga l'ultimo giorno dell'Ottava. In quel giorno, nella Messa, si leggono cinque Epistole e tanti Oremus; sembra che la Chiesa faccia violenza per farlo discendere.
Dovete anche pregare per gli Ordinandi, su cui lo Spirito Santo deve discendere; altri un giorno pregheranno per voi. Facciamo l'Ottava con questa intenzione.
La vostra divozione allo Spirito Santo non deve però terminare con quest'Ottava, deve durare tutto l'anno, perché tutto l'anno abbiamo il dovere di ossequiarlo e invocarlo. Nessuno ha fissato la data della venuta dello Spirito Santo in noi.
È una divozione che deve compenetrarvi, dev'essere di tutta la vita, di tutti i mesi, di tutti i giorni, di tutte le ore.
In Africa avrete ancor più bisogno dello Spirito Santo. Egli vi aiuterà e, se sarà necessario, farà dei miracoli. Perché S. Pietro convertì nella prima predica circa tre mila persone, e cinque mila nella seconda? Perché lo Spirito Santo dava forza alle sue parole e, nello stesso tempo, illuminava le anime che l'ascoltavano.
Questa divozione vi aiuterà anche in certi momenti di tristezza, di malinconia. Se in quei momenti invochiamo lo Spirito Santo, egli ci dà una spinta...Chi di voi non ha ancora provato questi momenti?... Ci sono temperamenti più inclinati alla malinconia, altri all'incostanza. Ma il carattere dobbiamo formarcelo noi e cambiarlo, da malinconico e incostante, in carattere sempre uguale. Lo Spirito Santo, con il dono della fortezza, ci aiuterà in questo lavoro su noi stessi.
Siamo intesi: lo Spirito Santo non lo abbandoneremo mai, ma lo terremo sempre dentro di noi. Saremo tutti figli dello Spirito Santo!
<<SPIRITO SANTO, ISPIRAMI.
AMORE DI DIO, CONSUMAMI.
NEL VERO CAMMINO, CONDUCIMI.
MARIA MADRE MIA, GUARDAMI.
CON GESU’ BENEDICIMI.
DA OGNI MALE, DA OGNI ILLUSIONE,
DA OGNI PERICOLO, PRESERVAMI.>> 

sabato 12 marzo 2016

LO SPIRITO DELLA CHIESA NELL'ANNO LITURGICO: Domenica di Passione



Domenica di Passione (813)

Oggi incomincia la settimana di Passione. Il pensiero dominante di questa settimana e della seguente dev'essere la Passione di N.S.Gesù Cristo. É come una novena del Venerdì Santo. S. Bonaventura dice: a Se vuoi avanzare di virtù in virtù, di grazia in grazia, medita ogni giorno la Passione di N S Gesù` Cristo "(814). I Santi furono tutti devotissimi della Passione di Gesù; passavano lunghe ore davanti al Tabernacolo, ma anche davanti alla Croce. A ciò ci spingono diversi motivi:

1 - Per avere un vero dolore dei nostri peccati e un sincero proposito di non più ricadervi. Chi riflette che Gesù è stato trafitto per le nostre iniquità(815) deve compungersi e desiderare di riparare con la penitenza le proprie colpe.

2 - Per intenerire santamente il nostro cuore e rivolgerlo alle cose spirituali. Ci lamentiamo di essere freddi nella preghiera, di non sentire gusto delle cose di Dio, ebbene, meditiamo la Passione di Nostro Signore, e il nostro cuore, se non è di pietra, si commuoverà.

3 - Per farci acquistare molti meriti.
4 - Per motivo di riconoscenza. S. Bonaventura dice che non dobbiamo tediarci di pensare sovente a ciò che Nostro Signore non si tediò di soffrire(816). Che direste di uno che non pensasse ai sacrifici che voi avete fatto per lui, anzi ne scacciasse di proposito il ricordo? Lo direste un ingrato, un indegno. Così di noi, se passassimo i giorni, le settimane, i mesi senza pensare ai dolori che Nostro Signore soffrì per ciascuno di noi. E Gesù ci ebbe tutti presenti individualmente, soffrì per ciascuno di noi, come se fossimo soli: Mi ha amato e ha dato se stesso per me (817).

5 - Per procurare la nostra salvezza. Il Signore ha fatto tutto, i suoi meriti sono infiniti, ma vuole che anche noi facciamo qualche cosetta. S. Paolo diceva: Completo nella mia carne quello che manca delle sofferenze di Cristo (818). E che manca a questa Passione, se non la nostra corrispondenza, cioè che facciamo nostra questa fonte di grazia? Unire dunque i nostri piccoli sacrifici corporali e spirituali alle sue sofferenze.

Tutto questo significa che noi dobbiamo fare nostra la Passione di Nostro Signore, procurare cioè che essa sia sempre ben fissa nella nostra mente, nel nostro cuore, nel nostro corpo, nel nostro spirito.

Nella nostra mente - Pensiamoci sovente, anche durante l'anno, ma specialmente in questi giorni; conformiamo ad essa i nostri pensieri sul valore dei dolori, delle umiliazioni. In questo tempo la Chiesa ci fa pensare, meditare e come assistere alla Passione del Signore. Se ci sono persone che devono pensare alla Passione di Gesù, sono appunto i Missionari. Per voi dev'essere questa una divozione principale. Lo stesso SS. Sacramento è un memoriale e una rinnovazione della Passione: recolitur memoria Passionis eius (819).

Nel nostro cuore - Sì, sfoghiamo i nostri affetti sui dolori sofferti da Nostro Signore. Così faceva S. Paolo, il quale diceva: Quanto a me sia lungi il gloriarmi d'altro che della croce di N. S. Gesù Cristo (820). Noi incliniamo più alla malinconia che alla gioia, essendo questo un luogo di esilio e di pianto; ebbene, versiamo la nostra tenerezza sui patimenti di Gesù.

Nel nostro corpo - Uniamo i nostri dolori, le nostre sofferenze ai dolori di Gesù Crocifisso. Io porto nel mio corpo le stimmate di Gesù (821) diceva S. Paolo... Ci alziamo al mattino con un po' di mal di capo... sentiamo freddo... siamo calunniati... Ebbene, o Gesù, che tanto patisti per santificare ogni nostro dolore, accetta ciò che soffro e rendi dolce il mio patire! ".

In punto di morte - soleva dire il B. Sebastiano Valfrè - non ci pentiremo di aver sofferto, ma forse di non aver sofferto o non aver sofferto bene " (822). Procuriamo anche di moltiplicare i piccoli sacrifici lungo la giornata, in modo da preparare il fasciculus myrrhae per il Venerdì Santo.

Facciamo sovente la meditazione sulla Passione di Nostro Signore, facciamola ogni giorno durante il tempo quaresimale. A ciò ci gioverà il tener presenti alla mente le seguenti domande suggerite dal P. Spinola: Chi patisce? Chi lo fa patire? Per chi patisce? Per qual fine patisce? In che modo patisce? (823). Tenetele presenti nella meditazione dei singoli Misteri della Passione; ci aiuteranno assai e ci daranno materia di serie riflessioni. Non è necessario far passare tutti questi punti, ma è certo che ci aiutano. Poi bisogna fare atti di dolore, di contrizione, perché è per causa mia che Gesù ha sofferto tanto.

Dobbiamo andare a fondo nel meditare i dolori di Gesù Sofferente. Da questo verrà anche a voi il desiderio di soffrire per Lui, di fare dei sacrifici, di vincere le pene del cuore e dello spirito e, per quanto si può anche quelle del corpo. E' questo per voi il tempo di acquistare e praticare una virtù maschia. Ma fino a che non siamo ben penetrati della Passione di Nostro Signore, non saremo generosi nello spirito di sacrificio. Prendete amore, fortificatevi nello spirito della Passione. Ciò che vi darà più forza quando sarete in Missione, sarà appunto il pensiero della Passione di Gesù. Che cosa farà un Missionario, un successore di S. Paolo, se non avrà amore a Gesù Crocifisso? La meditazione sulla Passione di Nostro Signore vi farà comprendere il suo Sitio e vi accenderà di zelo per la salvezza delle anime.

Siamo divoti del SS. Crocifisso; procuriamo di averlo nelle nostre camere, sulla nostra persona; rivolgiamogli frequenti atti di fede e di amore specialmente in chiesa.

S. Filippo Benizzi, in punto di morte, chiese il suo libro, e questo era il Crocifisso(824). Il SS. Sacramento non l'avrete sempre con voi, ma il Crocifisso sì. Sarà un libro in cui leggerete i vostri doveri Perché non basta portare il Crocifisso, né voi lo portate solo per far bella figura, ma per imitarlo. Gesù, per le anime ha fatto molto di più di quello che voi potrete e dovrete fare per le anime che vi saranno affidate. i Egli non ha lasciato la croce a metà strada; è caduto, ma si è rialzato e ha continuato fino alla fine. La nostra croce non è pesante come la sua; e, se portata in unione di amore con Gesù, diventa soave. Questo spirito dobbiamo averlo sempre, tutta la vita: sempre sacrificarci. La Passione di Nostro Signore vi sosterrà nelle fatiche e nelle pene dell'apostolato e nella stessa morte.

Santifichiamo dunque questa Settimana di Passione, procuriamo di passar bene questi quindici giorni, secondo lo spirito della Chiesa: preghiera, meditazione della Passione, sacrifici. Facciamo tutti i sacrifici che ci sono permessi; e i piccoli sacrifici son tutti permessi e a tutti. Più silenzio interno ed esterno, non divagarci troppo; e tutto per ben prepararci alla Settimana Santa. Nostro Signore ci darà tante grazie. Se avremo sofferto con Lui, canteremo con lui l'Alleluja della Pasqua!

Da Vita Spirituale, del Beato Giuseppe Allamano

AVE MARIA PURISSIMA!


martedì 16 febbraio 2016

Beato Giuseppe Allamano, GRAN MISSIONARIO

31. DEVOZIONE A GESÙ SACRAMENTATO

Mistero di fede
Nostro Signore disse un giorno ai suoi discepoli: Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete. Vi dico infatti che molti Profeti e Re vollero vedere le cose che voi vedete e non le videro (923). Fu certamente gran fortuna vivere al tempo di Nostro Signore, conoscerlo di presenza, udirlo parlare ed essere testimoni di tanti miracoli da lui operati. Questa fortuna non ebbero gli antichi Patriarchi e Re (S. Matteo dice: " i giusti ") ed i Profeti dell'Antico Testamento. Essi, come Abramo, sospirarono il venturo Messia, nella cui fede dovevano salvarsi. Abramo trasalì di gioia al pensiero che avrebbe veduto il mio giorno: lo vide e si rallegrò (924). Lo vide, sì, ma solo in visione, come Davide ed Isaia, i quali quasi ne scrissero in antecedenza la vita. I discepoli invece poterono vedere e udire Gesù in persona, trattare con Lui familiarmente. Beati essi! Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete! (925).

E noi siamo solo nella condizione di quelli dell'Antico Testamento? e non beati?... Oh, no! Gesù diceva a S. Tommaso, dopo avergli mostrato le sue sacratissime piaghe: Beati quelli che non videro [Me] e hanno creduto! (926). Dunque anche noi beati, se abbiam fede in Gesù.

E notate: noi siamo doppiamente beati. Prima, perché crediamo senza vedere; poi perché realmente vediamo e ascoltiamo. Non è necessario vedere con gli occhi e udire con le orecchie del corpo, per dire che vediamo e udiamo. Le cose si conoscono anche mediante la storia: per cui sappiamo quanto disse e fece Nostro Signore quand'era su questa terra, e quanto ancora Egli fece, nella Chiesa e per mezzo della Chiesa attraverso i secoli. Cosicché, sebbene non abbiamo avuto la fortuna di godere della presenza corporale e sensibile di Gesù, godiamo di quanto disse e fece; quindi siamo doppiamente beati. Gesù è sempre con noi fino alla consumazione dei secoli. Specialmente Egli è con noi nel SS. Sacramento, dove, vivo come in Cielo, possiamo vederlo con gli occhi della fede e ascoltarlo.

Ogni anno si celebra in Torino la festa del miracolo avvenuto nel 1453. Alcuni ladri avevano rubato in una chiesa del Delfinato (Francia), asportando l'ostensorio con l'Ostia consacrata. Di tutto fecero un involucro, lo caricarono su di un mulo, poi discesero in Italia, a Torino. Giunti presso la chiesa dello Spirito Santo, il mulo cadde, e né parole né bastonate poterono più muoverlo. Intanto si slegò l'involucro e l'Ostia santa con l'ostensorio si sollevò in alto, e là rimase splendente come il sole. Vi accorse tutta la città, con a capo il Vescovo. Da tutti si pregava. Venne giù l'ostensorio, ma l'Ostia no. Vescovo e fedeli continuarono a pregare. Il Vescovo prese il calice (quello che ancor oggi si usa il Giovedì Santo), e, genibus provolutus, pregava il Signore che discendesse. Discese infatti e fu portato in Duomo.

L'Ostia consacrata fu conservata a lungo, poi fu consumata perché non si corrompesse. A Chieri, nel Duomo, c'è ancora il tabernacolo nel quale fu riposta. Quindi si fabbricò la chiesa detta ancor oggi del Corpus Domini, nella quale una piccola cancellata segna il luogo preciso del miracolo.

Ogni anno si fa una grande funzione e, alle cinque pomeridiane, tutte le campane di Torino suonano a festa. Vennero poi istituiti i Canonici del Corpus Domini, poi l'Ufficiatura, ecc. Ecco il miracolo, ed ecco perché Torino è chiamata la città del SS. Sacramento, come è la Città della Sindone e della Consolata. Ed è tanto certo il miracolo, che, sotto i portici del Palazzo di Città, è ricordato e descritto da una lapide.

Noi stimiamo fortunati i Torinesi di allora, che poterono assistere a sì strepitoso miracolo. Se fossimo vissuti in quel tempo, come saremmo accorsi! Non così fece S. Luigi re di Francia. Un giorno vennero a dirgli che nell'Ostia, dopo la consacrazione della Messa, si vedeva il Divin Bambino e che perciò andasse a vederlo. Anzi, a questo scopo, il sacerdote s'era fermato e aspettava. Ma il santo re rispose: " Credo che nell'Ostia consacrata c'è il Signore e non ho bisogno di vederlo; il sacerdote continui pure la Messa ". Egli non volle perdere il merito della fede.

Talora si dice: " Ah, se vedessi! Mi pare che avrei più fede ". No, no; se anche domani si ripetesse il miracolo, molti crederebbero, sì, ma molti no. A noi basta sapere che c'è. È là vivo, come son vivo io in questo momento. È là con il suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Lo crediamo più che se lo vedessimo. Se lo vedessimo, potrebbe essere un'illusione; e invece lo sappiamo per fede e quindi siamo più certi che se lo vedessimo coi nostri occhi. La fede e la parola di Dio ce ne assicurano più di ogni altro mezzo. Praestet fides supplementum sensuum defectui: la fede supplisce in modo da non lasciarci dubbio alcuno.

In quel bell'Inno dell'Adoro Te devote, che cosa diciamo? Visus, tactus, gustus in te fallitur: la vista, il tatto, il gusto non Ti percepiscono; sed auditu solo tuto creditur. Il Signore l'ha detto, dunque credo! Credo tutto quello che Egli ha detto: credo quidquid dixit Dei Filius! Non vi è nulla di più vero della parola di Dio: Quod non capis, quod non vides, animosa firmat fides. La fede, una fede viva ci dice, ci attesta, ci conferma che nell'Ostia santa c'è Nostro Signore Gesù Cristo, e noi lo crediamo, anche se non comprendiamo, anche se non vediamo.

È tale la nostra fede? Così intima, viva e continua?... Eppure Gesù è realmente con noi, là nel santo tabernacolo, e vi sta giorno e notte, e vi dimora solo per noi: come padre, padrone, amico; pensa continuamente a noi per aiutarci. Lo crediamo noi con fede viva e pratica? Operiamo noi secondo questa verità, vivendo sempre sotto i suoi occhi e tutto facendo in unione con Lui e per Lui?... Vedete, può avvenire che, pel fatto che Gesù è sempre con noi, noi non vi diamo più tanta importanza. Il Signore si lamentava già con i Giudei: che la regina Saba s'era mossa per andare a vedere Salomone, attratta dalla sapienza di lui, eppure: plus quam Salomon hic! (927). Così noi, che pur diciamo di credere alla sua presenza reale, sovente non vogliamo disturbarci e lo lasciamo solo. Non dico che lo trascuriamo, ma non palpita il cuore!
Vi ho detto che noi siamo più felici, che non quelli che vissero ai tempi di Nostro Signore; ora aggiungo che così è per altri due motivi. Dapprima, perché essi lo possedevano in stato di infermità, passibile; noi in stato di gloria, impassibile come è in Cielo. Poi perché allora Nostro Signore non poteva essere veduto che da alcuni, in pochi luoghi, ad intervallo; per vederlo, dovevano portarsi da un luogo all'altro, e quel poveretto di Zaccheo dovette faticare non poco e arrampicarsi sul sicomoro. Noi invece l'abbiamo continuamente in mezzo a noi, dal mattino alla sera, dalla sera al mattino. Abbiamo solo da andare in cappella, solo da pensare al tabernacolo... sempre Egli ci dà udienza. Cosicché si può dire che la sua Presenza Sacramentale in mezzo a noi è per noi più preziosa, che non fosse la sua presenza corporale e sensibile per i Giudei. Si può anzi aggiungere che non c'è diversità sostanziale tra i Beati e noi, perché Nostro Signore nel SS. Sacramento è tale quale si trova in Cielo. Quindi anche noi siamo felici come i Beati!
Io vorrei che oggi e sempre meditaste maggiormente questo Mistero d'amore. Sì, mistero di fede e mistero d'amore!

Funda nos in pace