Visualizzazione post con etichetta Beata Elisabetta Canori Mora. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Beata Elisabetta Canori Mora. Mostra tutti i post

mercoledì 1 aprile 2020

Ogni giorno Dio vi chiede qualcosa...


Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi
02.12.1

La Mamma parla agli eletti


Figli cari e tanto amati, Gesù vuole per Sé ogni anima; chiama, perciò, ogni uomo della terra per farlo felice. Ma sono ancora molti che non vogliono dare risposta e restano muti! 

Provo un grande Dolore per questi figli che non si decidono per Dio e si lasciano ingannare! Sono qui vicino a ciascuno di voi per aiutarvi e sostenervi. Ogni giorno Dio vi chiede qualcosa, vi chiede di fare la Sua Volontà con gioia. Sapendo che Egli vuole solo il bene delle anime, figli del mondo, rispondete sempre sì a Dio e non chiedete spiegazione alcuna; vi basti sapere che Egli vuole solo ciò che è bene per voi perché è l’Amore. 

Oggi, piccoli cari, la Madre del Cielo vi dice: lasciatevi andare tutti, voi del mondo, tutti, proprio tutti nell’Onda Soave dell’Amore di Dio. Egli non vuole per Sé solo alcuni, ma vuole proprio tutti! Dio ha creato l’uomo per Amore e lo vuole accogliere nel Suo Amore, ma non lo costringe a farlo. Figli del mondo, la storia sta cambiando, sta mutando: Dio opera con Potenza, Dio vuole un mondo nuovo secondo il Suo Cuore e chiede a tutti cooperazione

Figli cari, non fermate l’attenzione sulle cose della terra che passano rapidamente, fermatela sulle cose del Cielo che sono stabili. Sono con voi per aiutarvi a fissare la vostra attenzione alle cose del Cielo, lì, dove è la vostra patria. Sulla terra ci state poco; pensate all’eternità con Gesù! Pensate a questo ogni volta che dovete fare una scelta. Se pensate a Gesù, la farete giusta e avrete gioia. 
Per ogni decisione che prendete ponetevi, figli cari, questa domanda: “Piace a Gesù la mia decisione?” Se la risposta è negativa, cambiate, cambiate e fate solo ciò che a Lui è gradito. Questo, figli, è amare Dio: fare ciò che Gli è gradito. Sono con voi per aiutarvi. Il Padre caro lo permette.

Insieme, lodiamo, ringraziamo, adoriamo Gesù Che viene per fare nuove tutte le cose. Vi amo.
Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima

*****************************************


AVE MARIA!

martedì 31 marzo 2020

I MIRACOLI DELLA MISERICORDIA!

di P. Antonio Maria Sicari ocd
ritratto beata Elisabetta
UNA SPOSA TUTTA MISERICORDIOSA

Oggi si parla molto della misericordia di cui avrebbero bisogno molte famiglie ferite e molti coniugi, sopraffatti da problemi e conflitti che non riescono più a sopportare. Forse, però, bisognerebbe parlare anzitutto della misericordia che gli stessi coniugi in crisi potrebbero umilmente esercitare fin da quando la famiglia comincia a vacillare. A volte, per salvarla, basterebbe anche soltanto la misericordia pazientemente esercitata da un suo solo membro, capace di sperare e di amare con speranza. Tale fu la vicenda di Elisabetta Canori Mora (1774-1825)1 che Giovanni Paolo II – nel 1994, Anno Internazionale della Famiglia – ha voluto beatificare assieme a Gianna Beretta Molla, definendole entrambe «donne d’eroico amore».
Il matrimonio tra Elisabetta, di nobile famiglia romana, col giovane e ricco avvocato Cristoforo Mora sembrò all’inizio l’avverarsi di una favola. Lui si diceva folgorato dalla bellezza di lei, tanto che giurava e spergiurava che non avrebbe mai e poi mai cercato alcun’altra donna, se ella si fosse degnata di accettarlo. E s’inquietava al pensiero che qualcosa potesse offuscarla: la sua sposa non doveva né stancarsi, né fare un qualsiasi lavoro che potesse sciuparla. Non ammetteva nemmeno che cucisse e ricamasse, perché non le si indurissero le dita. Ed era anche di una gelosia ossessiva, tanto da impedire alla moglie ogni contatto con i parenti.
Ma ecco che, dopo pochi mesi, alla gelosia ossessiva, seguì una freddezza glaciale: divenne sempre più spesso distratto, assente; prese a disertare la casa, a passare le notti altrove, finché fu sulla bocca di tutti la notizia che s’era legato a una donna di bassa condizione, che lo andava letteralmente dissanguando. Al giovane avvocato il denaro sembrava non bastare mai, le perdite al gioco si moltiplicavano, finché si ridusse sul lastrico.
Per pagare i debiti crescenti di Cristoforo, Elisabetta giunse a privarsi di tutti i gioielli, ma il ricavato sembrava cadere in un pozzo senza fondo. Così, impossibilitati a mantenere il ménage familiare a cui erano abituati, i due dovettero trasferirsi in un appartamentino attiguo alla ricca dimora dei suoceri. Nel più totale disinteresse del marito, Elisabetta doveva mantenersi e provvedere ai figli con il lavoro delle sue mani, ed era sempre più sola. Oltretutto la attanagliavano indicibili sofferenze di stomaco.
Ma iniziò qui la sua splendida avventura mistica. Di tale “avventura” si potrebbe dare una lettura facile, banale perfino, che ci lascerebbe banalmente tranquilli: una donna tradita dal marito, impossibilita perfino ad allevare i suoi figli, gravemente ammalata, privata di ogni affetto, sublima le sue angosce costruendosi un mondo affettivo spirituale, intenso ma fittizio.
Per chi crede, c’è invece una spiegazione più semplice e luminosa. Sappiamo che il matrimonio cristiano, con tutto il suo corredo di doni e di grazie, è un sacramento, cioè un mezzo, un segno di una realtà più grande e profonda. La realtà in esso indicata è quella dell’Amore di Gesù, Amante e Amato, che abbraccia assieme i due coniugi. Ma se uno dei due viene meno, perché negare che Lui possa decidere di mostrare (come chi dallo sfondo viene sul proscenio) la realtà delle «sacre nozze»?




È quello che accadde a Elisabetta: aveva accolto sacramentalmente (cioè come segno) il suo sposo che poi l’ha rinnegata e tradita. Allora il vero Sposo, l’Unico, ha deciso di riprendere il posto che gli spettava, e ha deciso di farlo anche «sensibilmente», cioè con qualche manifestazione straordinaria della sua presenza. Ma si noti bene: certe esperienze mistiche, vissute dai santi, sono sì uniche e straordinarie, ma Dio «le dona ad alcuni per rendere manifesto quale sia il dono gratuito fatto a tutti» (CCC n. 2014), quale sia, cioè, la grazia ordinaria che è concessa in tutti in tutti i matrimoni sacramentali. Ogni coniuge cristiano, infatti, deve, prima o poi, – parte nella sofferenza, parte nella gioia– imparare la distanza che c’è, in amore, tra la creatura e il Creatore.
La vita mistica di Elisabetta fu, dunque, ricca di preghiere, di visioni, d’irresistibili trasporti amorosi: ella viveva le sue giornate in totale unione col Signore, a partire da quando la mattina prestissimo si recava alla S. Messa e riceveva, ogni giorno, la Comunione; il resto del tempo lo dedicava alla cura delle sue bimbe, ai lavori domestici e alla preghiera. 
elisabetta trinitariaCristoforo non si faceva vedere quasi mai, ritornava a notte fonda, ed Elisabetta era sempre lì, sveglia, ad aspettarlo: aveva deciso di non litigare mai e di rivolgergli soltanto parole buone e qualche esortazione a cambiar vita. Nel tempo libero che le restava, si dedicava alle tradizionali «opere di misericordia»: col permesso della suocera (l’unica che la comprendeva e sosteneva) raccoglieva per i poveri il cibo che avanzava nelle cucine, andava negli ospedali a visitare i malati, non rifuggendo dagli uffici più umili e ripugnanti.
Denunciato per comportamento immorale dalle sorelle che volevano garantirsi l’eredità familiare, Cristoforo rischiò la prigione e riuscì a evitarla solo promettendo di ravvedersi, ma tornò in famiglia ancora più inferocito, al punto da tentare di uccidere la moglie. Racconterà poi che, ogni volta, sentiva una forza superiore che gli fermava il braccio.
Tutti consigliavano Elisabetta di lasciare la casa e nascondersi in qualche luogo, ma ella non volle. E gli stessi parenti non riuscivano a capire come facesse a restar sola la notte con un marito che minacciava d’ucciderla. Elisabetta aveva interrogato in proposito il suo Signore Gesù e ne aveva avuto la risposta “che non dovevo abbandonare queste tre anime, cioè le due figlie e il consorte, mentre per mezzo mio le voleva salvare”… Perfino il confessore, dato il rischio che ella correva, le suggeriva di separarsi dal marito, ma ella rispose: “Io antepongo la salvezza di queste tre anime al mio profitto spirituale”; e lo tranquillizzò raccontandogli che si addormentava pregando come una bambina: «Il mio spirito riposava dolcemente nelle braccia del Signore e un raggio di luce mi circondava e mi rendeva sicuro quel riposo».
Quel che c’è di più incredibile nel racconto non è l’accenno al raggio di luce che la proteggeva, ma il fatto di due anime a così stretto contatto coniugale: una immersa nelle minacciose tenebre del vizio, l’altra immersa nella luce protettiva della sua sponsale amicizia con Cristo. E non si tratta di due storie che si oppongono e si elidono, ma di un misterioso congiungimento.
Così la vita di Elisabetta scorreva in relativa serenità – tra lavoro, preghiera e bambine – tutta trapuntata di momenti di grazia in cui Gesù le illustrava, con visioni simboliche, le più belle verità della fede. E quando, crescendo le figlie, il loro mantenimento e comportamento cominciarono a darle qualche preoccupazione, Gesù le disse: “Non temere, da oggi in poi verrò io in persona a fare da padre e da padrone di casa; da qui in avanti non solo avrai il necessario per te e la tua famiglia, ma il sovrabbondante”. Così, per un concorso straordinario di circostanze, quella casa che non era potuta diventare una «chiesa domestica» a causa delle assenze del marito donnaiolo e spendaccione, divenne una «chiesa vera e propria» per l’intervento dello Sposo celeste che aveva deciso di sostituire personalmente il coniuge inadempiente. E i miracoli erano innumerevoli.
Intanto Elisabetta si era iscritta al Terz’Ordine dei Trinitari – un antico Ordine nato per la liberazione dei cristiani ridotti in schiavitù – e dalla sua spiritualità traeva una crescente passione per i più poveri e i più derelitti. La salvezza di tutti era diventata la sua ansia e perciò chiedeva con sempre maggiore insistenza la salvezza del marito che continua a vivere con la sua amante. Un giorno che le figlie, esasperate, auguravano il castigo divino a quella donna che aveva tolto loro il padre, Elisabetta intervenne “con forza ed energia” spiegando alle ragazze che lei «pregava sempre il Signore dicendogli che desiderava avere accanto a sé in paradiso quella donna che le aveva frastornato il marito e cagionato tanti danni». Al marito rivolgeva, invece, uno strano augurio e gli diceva: «Verrà anche per te la notte di Natale», come se la colpa del poverino fosse soltanto quella di non essere stato ancora avvolto dalla tenerezza dell’Incarnazione. Da più di un anno lei aveva previsto il giorno esatto della propria morte; anzi Dio glielo aveva fatto pregustare attimo per attimo in visione, e lei l’aveva così raccontato: «Mi pareva di spirare tra le braccia di Gesù e di Maria, godendo un paradiso di contento». Quando si avvicinò il fatidico giorno, alle figlie disse: «Vi lascio per andare da vostro padre, Gesù Nazareno», poi raccomandò loro che rispettassero sempre il papà e lo aiutassero sempre.
Morì nella data prevista, verso le due di notte, ed aveva appena compiuto i cinquant’anni. Quando Cristoforo tornò a casa, verso le quattro del mattino, non riusciva a credere che Elisabetta non vivesse più. Se ne stette lì, appoggiato al muro a singhiozzare, come istupidito. Da quel giorno, non fu più lo stesso. Non aveva detto nulla a nessuno, ma, poco tempo prima che spirasse Elisabetta, gli era già morta tra le braccia, anche l’amante. Era cambiato: finalmente mostrava interesse a tutto ciò che aveva fino ad allora disprezzato. Non si curava più della sua eleganza e del suo abbigliamento, passava lunghe ore in chiesa e si rigirava sempre tra le mani, piangendo, un suo vecchio cappello. Si può dire che pregava col cappello sul volto. Il fatto è che, all’interno di esso, sul fondo, aveva incollato un ritratto di Elisabetta e continuava a guardarlo e a piangere. Diceva che «l’aveva fatta santa con i suoi strapazzi».
Passarono nove anni dalla morte di Elisabetta, ed ecco si diffuse a Roma una notizia inattesa: nell’Ordine dei frati minori conventuali celebrava la prima Messa, un certo p. Antonio, ordinato sacerdote eccezionalmente a sessantun’anni, dopo che aveva espletato, a quella veneranda età, tutti gli studi di teologia. Il nome Antonio era quello assunto nella vita religiosa, ma nel mondo era conosciuto come «l’avvocato Cristoforo Mora»: secondo la promessa di Elisabetta, aveva finalmente avuto anche lui «la sua notte di Natale». E anche lui sarebbe morto – dopo undici anni di rimorsi, preghiere e penitenze trascorsi in convento – con la fama di un santo.
Riassumiamo ora l’insegnamento che tutto il racconto ci trasmette. La misericordia, di cui la famiglia ha bisogno, è anzitutto quella di capire che in un matrimonio cristiano è sacramento tutto: l’amore che i due coniugi riescono a comunicarsi è la parte bella del sacramento (del «segno sacro»); l’amore che un coniuge non vuole o non riesce a dare (con le pene che ne conseguono) deve diventare la parte verginale del sacramento (del «segno sacro»), quella che rimanda direttamente a Cristo e direttamente invoca la Sua presenza. Se anche un solo coniuge ne prende coscienza, la vita si riempie di misericordia e può riempirsi di miracoli.
elisabetta firmaFirma di Elisabetta con il suo nome di terziaria
Note:
1 Per tutta la vicenda cfr. P. Redi, Elisabetta Canori Mora. Un amore fedele tra le mura di casa, Città Nuova, Roma 1994.

AMDG et DVM

sabato 28 luglio 2018

La storia di un matrimonio singolare

Risultati immagini per BEATA ELISABETTA CANORI MORA
BEATA ELISABETTA CANORI MORA
un amore fedele tra le mura di casa
biografia
PAOLO REDI - 1994, Città Nuova Editrice Via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma
Con approvazione ecclesiastica

PREFAZIONE

«Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». (Mi 18, 21)

Una donna che viene da lontano

è vissuta due secoli fa, e questo sembra rendere lontana e sbiadita la sua figura. Cosa può dire alle donne e alle spose di oggi, la storia di una donna e sposa vissuta in Roma tra la fine del '700 e gli inizi dell'800? Forse nulla, o quasi. è trop-po distante e lontana. è vissuta in un'epoca che aveva menta-lità, cultura, abitudini troppo diverse dalle nostre. Per i gio-vani di oggi, le persone che hanno superato i 40 anni sono già dei «trapassati» o dei «dinosauri». Da questo punto di vista Elisabetta è separata da noi da una distanza stellare!

Eppure Elisabetta parla con la sua vita, e la sua voce giunge a noi limpida e chiara. Cambiano gli abbigliamenti, le pettinature, le abitudini delle «ragazze di buona famiglia» e il bon ton. Ma i sentimenti non cambiano. L'amore è sempre uguale; e le storie d'amore si rassomigliano tutte. Sotto il pe-plo, i cenci della mendicante, gli abiti dimessi della donna del popolo, i vestiti sfarzosi della regina, gli abiti firmati o il pret-à-porter della ragazza di oggi, il cuore batte sempre allo stesso modo, perché l'amore non ha data. E anche il tradi-mento si ripercuote nella vita delle persone sempre allo stesso modo: con le stesse amarezze e lo stesso senso di morte.

La storia di Elisabetta Canori è la storia di una donna tradita. Il suo uomo, Cristoforo Mora, l'aveva conosciuta quando Elisabetta aveva 20 anni e lui 22. Il giovane e pro-mettente avvocato se ne innamora a prima vista. Lei è bella, elegante, fine, colta, di sentimenti profondi e di una religio-sità sincera senza bigottismi. La chiede subito in sposa, e po-chi mesi dopo, con il consenso delle due famiglie, sono mari-to e moglie. Un vero matrimonio d'amore, anche se venato, da parte di Cristoforo, da un senso di eccessiva possessività e di accentuata gelosia. Giunge a impedirle di vedere i genitori perché la vuole tutta per sé; le proibisce di lavorare d'ago per-ché non rovini le sue belle mani; e al ritorno dalle feste spes-so la rimprovera perché troppa gente le ronzava attorno. Eli-sabetta deve essere tutta e solo sua. Dopo pochi mesi resta in-cinta, e Cristoforo segue la gravidanza con tenerezza e trepi-dazione. Nasce una bimba, ma nonostante le cure del suoce-ro, noto e affermato medico, la piccola vive solo pochi giorni. è il primo grande lutto che si abbatte su quella coppia felice. Ma da quel momento la sofferenza entra come ospite sgradito e indesiderato nella loro casa e vi prenderà stabile dimora: non la abbandonerà più.

L'idillio dura appena due anni. Elisabetta si accorge del cambiamento di Cristoforo. Non è più quello di prima. Chie-de spiegazioni; e lui la rassicura: sono preoccupazioni, nervo-sismi, assenze causate dalla professione. Ma il suo intuito di donna - confermato da voci di persone che dimostrano di es-sere bene informate su quello che sta avvenendo - le danno la certezza: Cristoforo ha un'altra donna. La conferma viene nel momento in cui è per la seconda volta incinta. Per lei è una mazzata. Non sa cosa fare. Tiene per sé il segreto, pen-sando che la cosa finisca. Cristoforo ha qualcosa di infantile.

La sua possessività e la sua gelosia ne sono una conferma. Ed Elisabetta si illude che dopo questa sbandata le cose ritorne-ranno come prima. Ma Cristoforo sembra letteralmente stre-gato. Ha incontrato una donna del popolo che è riuscita a le-garlo a sé, e che lo sta portando alla rovina.

Iniziano così i primi sette anni di tormenti, di speranze deluse, di attese senza rientri. Continuano a vivere insieme; e avranno ancora tre figlie, di cui solo due sopravvivranno. Eli-sabetta non si arrende: ritorna sull'argomento, discute, rim-provera, supplica, richiama il marito al senso di responsabi-lità, moltiplica le sue attenzioni. Ma inutilmente. Solo una volta, dopo una lunga malattia in cui Elisabetta ha dimostra-to tutta la sua dedizione e il suo amore, Cristoforo sembra de-ciso a ritornare alla sua famiglia. Ma è una promessa che non ha seguito. Appena guarito riprende la relazione con quella donna.

La donna fedele nel tradimento

Nonostante questa nuova delusione Elisabetta continua ad essergli fedele e ad amarlo. Ha capito fino in fondo che co-sa significa «sposarsi nel Signore»: sa che Dio le ha affidato Cristoforo e che lei ha la responsabilità di portarlo a salvezza. Resiste anche al consiglio del confessore che le suggerisce di separarsi. Non può abbandonarlo, perché Dio glielo ha affida-to. Quando ha promesso di amarlo per tutta la vita, ha preso sul serio queste parole. E quando le hanno detto che avrebbe dovuto amare Cristoforo «come Cristo ama la Chiesa», ha ca-pito che l'amore va oltre il gusto di stare insieme. è un impe-gno che non finisce mai. neppure quando l'altro rifiuta di la-sciarsi amare, neppure quando abbandona la casa e si allonta-na alla ricerca di nuove avventure, e ama altre donne. Il mo-dello è quello del Padre celeste, che ama anche quando il fi-glio decide di andarsene dalla casa paterna e sperpera tutto il suo patrimonio. è quello che Cristoforo sta facendo. Elisabetta sa che deve continuare a volergli bene e che deve lavorare per riportarlo alla sua famiglia e a Dio. Non sa ancora come. Ma è certa che questa è la missione che Dio le ha affidato. E questa convinzione la accompagnerà per tutta la vita.

Ma come può salvare la persona che ogni giorno si al-lontana sempre di più e che respinge ogni sua offerta e ogni suo intervento? Oggi sembrerebbe normale rivolgersi ad un consultorio, o a persone specializzate per chiedere consiglio o per iniziare con esse una analisi o una terapia d'appoggio, per essere aiutati a ricostruire un equilibrio interiore e una pro-pria identità nella situazione del tradimento.

Elisabetta seguirà un'altra via. O meglio. Sarà Dio stes-so a prenderla per mano e a condurla per una via assoluta-mente nuova, che la porterà a ricostruire il rapporto d'amore con il suo Cristoforo.

La logica degli uomini e la logica di Dio

I cristiani continuano a parlare di fedeltà; ma quando si racconta loro il modo in cui Elisabetta ha vissuto la fedeltà, molti di essi scuotono il capo. Perché anche tra di loro conti-nua a resistere la mentalità del mondo che presenta l'uomo infedele in modo simpatico o almeno tende a scusarlo. Si dice che è un uomo che non si chiude nel ristretto mondo del ma-trimonio, che sa conservare il gusto della conquista, che con-serva la freschezza e lo slancio di chi non si lascia dominare dalla noia e dalla routine quotidiana, che ha forza e fantasia e si butta con entusiasmo in nuove relazioni affettive. è l'uo-mo della novità, che sa rilanciare la sua vita quando si accor-ge che si sta spegnendo, o che non si accontenta di quello che ha, e va come un esploratore alla ricerca di prede e di terreni umani nuovi.
E accanto a questa figura maschile aitante e intrapren-dente, continua a resistere lo stereotipo della donna tradita che piange, si dispera, si consuma nell'attesa: la donna che è simile all'edera che vive finché si appoggia alla vita solida dell'uomo; ma che si affloscia, si ripiega su di sé e muore ap-pena da lui si distacca.

Elisabetta cancella e supera questi schemi. Il marito si innamora di un'altra, e la tradisce per tutta la vita. Dopo il primo inevitabile smarrimento non si ripiega su se stessa, e non si abbandona al canto triste della «malmaritata»; ma si rimbocca le maniche e costruisce una vita nuova per sé, per le figlie e per lo stesso marito. Non si compiange, non elemosi-na compassione, non lotta contro chi le ha rubato il marito, perché sa che a quel livello è ormai perdente. Mette in atto una strategia nuova che è Dio stesso a suggerirle, e col Suo aiuto apre una strada che la ricongiungerà al suo Cristoforo. Si ritroveranno uniti in questo cammino anche se a livelli di vita più alti e in tempi diversi. è un cammino nuovo, diffici-le, faticoso, pieno di rinunce e di sofferenza; ma sereno, come è sereno un mattino di primavera, quando il sole dà vita e ca-lore e il cielo è terso e rende bella e luminosa la vita, anche se è tutta in salita.

Elisabetta esce dagli scenari costruiti dall'uomo e accet-ta di entrare in un orizzonte nuovo, con paesaggi costruiti se-condo la logica di Dio. Non le è stato facile, come non è stato facile ad Abramo lasciare tutte le sue sicurezze e iniziare un cammino verso terre sconosciute. Ma come Abramo, anche Elisabetta è certa di giungere alla terra promessa e di ritro-varsi col suo Cristoforo, perché in questo cammino ha Dio stesso come guida. Si affida a Lui e si lascia condurre per stra-de spesso incomprensibili. Sa che le vie e i pensieri di Dio di-stano da quelli degli uomini quanto i cieli distano dalla terra. Ha accettato di fare il salto di qualità che la fa entrare nella «pazzia di Dio». Ma sa che accettando la proposta di Dio co-struirà una donna «nuova» e riconquisterà l'uomo che la tra-disce. Potrà così ritessere con lui un rapporto nuovo, più profondo, definitivo.

Una fedeltà nuova per un rapporto nuovo

Dopo sette anni di tradimento e di inutile attesa, avvie-ne qualcosa che cambia profondamente la vita di Elisabetta. Giunge al termine della sua ultima gravidanza. è la quarta in otto anni di matrimonio. Forse lo stress fisico, ma ancor più la sofferenza morale la fanno cadere in una malattia che la costringe a letto per nove mesi. I medici non sanno come cu-rarla. All'improvviso sembra riprendersi e invece ricade in una prostrazione fisica che la porta alle soglie della morte. Le portano l'estrema unzione e il viatico, perché tutti sono or-mai convinti che non ci sia più nulla da fare se non preparar-la al passo estremo. E invece questa è l'ora dell'appuntamen-to con Dio.

Dio aspetta il momento in cui tutto sembra perduto per ricominciare tutto da capo. Il punto di partenza è sem-pre il deserto. Anche per Elisabetta. Non ha più nulla. Il marito la tradisce; due figlie sono morte, e non è in grado di accudire alle altre due; in casa non conta nulla, anzi le rim-proverano di essere la causa della vita dissoluta del marito; la stessa servitù la deride. Sembra una donna ormai finita: svuotata e senza futuro, ridotta ad una larva umana. E inve-ce è il deserto in cui incontra Dio. (La stessa cosa avverrà vent'anni dopo a Cristoforo). La malattia che l'ha afflitta è misteriosa, come misteriosa è la guarigione. Dio sta inizian-do in lei la sua opera. Elisabetta ha una visione. E in questa visione un dardo infuocato la colpisce al cuore. Si sente per-vasa dalla presenza misteriosa del Dio amante che riempie totalmente la sua vita. è una gioia che non ha mai provato: un riflesso della beatitudine stessa di Dio nel suo piccolo cuore di donna. Sente che Dio la chiama ad una missione particolare e che le è vicino per aiutarla a portarla a termi-ne. Si abbandona totalmente a Lui, e con Lui inizia il cam-mino.


Le strade divergenti che si ricongiungono in Dio

Da questo momento le vie di Elisabetta e di Cristoforo sembrano separarsi: l'uno infatuato della sua amante ed Eli-sabetta proiettata tutta in Dio. Invece è l'inizio della ricostru-zione del loro rapporto.
Cristoforo continua la relazione; e da questa storia rac-coglie frutti amari. La sua immagine pubblica viene offuscata dalla relazione adulterina; la perdita di reputazione influisce negativamente sulla sua affidabilità di professionista; inizia - sotto la pressione dell'amante - speculazioni sbagliate che lo riducono sul lastrico, con ripercussioni economiche pesanti anche sulla sua famiglia; subisce un processo; viene escluso dall'eredità dalle sorelle. E in tutte queste vicende Elisabetta continuerà a restargli vicina con il suo amore e anche con il suo aiuto concreto.

Continua a vivere con lui, ma la sua vita percorre una via tutta diversa. Ha accettato di camminare per la strada che Dio ha preparato per lei. Non è la via della fedeltà che atten-de con pazienza il ritorno del guerriero. Ma è una via di fe-deltà nuova. Nessun consultorio o professionista sarebbe ca-pace di proporla e soprattutto di sostenerla. Solo avendo Dio come consulente e come terapeuta è possibile iniziarla e por-tarla a termine. Vivrà giorno per giorno quello che Dio le chiede. è un Dio esigente, ma che non si lascia vincere in ge-nerosità. Passa ore e ore in preghiera; è arricchita di grazie speciali e di doni straordinari; gode la gioia dell'estasi; parte-cipa in visione a momenti della vita del Cristo; è dotata del dono delle guarigioni, della preveggenza, del consiglio, della bilocazione.

Una donna nuova per un rapporto nuovo

Ma tutto questo non la estranea dalla vita di ogni gior-no. Dio non ha la gelosia e la possessività dell'uomo. Al con trario, quanto più è amato, tanto più dilata il cuore della creatura che lo ama e lo rende capace di un amore ancor più generoso e profondo. Elisabetta in questo rapporto con Dio acquista uno straordinario equilibrio che le permette di vivere intensamente l'estasi e la vita di famiglia, le visioni e il suo lavoro di «camiciaia» per pagarsi l'affitto e mantenere le fi-glie, il dono della guarigione e l'impegno faticoso con i poveri e gli ammalati, il dono della preveggenza e del consiglio e l'ubbidienza assoluta al confessore. Ma soprattutto vive con più intensità l'amore per Cristoforo, e ha la forza di non ab-bandonarlo anche quando continua a deluderla con promesse che non mantiene. Anzi, si sente ancor più unita e responsa-bile del suo destino. La casa è sempre aperta, per lui. E quan-do lascia le due stanzette e la soffitta in cui viveva con le fi-glie e riesce a trovare una sistemazione più dignitosa, la pri-ma preoccupazione è di attrezzare uno studio dove Cristoforo possa esercitare la sua professione. Cristoforo sembra vivere distrattamente con loro, come chi ha il cuore e la testa altro-ve; ma lei non smette di metterlo al corrente e di chiedere il suo parere per ogni decisione che prende per sé e per le figlie: è sempre suo marito e deve sapere tutto. Così lo rende parte-cipe della vita della famiglia.

In realtà Cristoforo è colpito da questa forza interiore e da questa generosità; e osserva con stupore il cambiamento e i fatti straordinari che avvengono nella vita di Elisabetta. Ma non sa ancora decidersi a cambiare vita. Continua a mantene-re la posizione di chi sta alla finestra, e si accontenta di guar-dare senza mai entrare nei fatti. è ancora legato alla sua amante: ma Elisabetta lavora su di lui, irradiando su di lui la bellezza che le viene dal contatto con Dio. Cristoforo la vede sempre più trasfigurata nella luminosità di Dio, e nello stesso tempo sempre più innamorata di lui e delle figlie. Sente che la sua Elisabetta sta vivendo una vita straordinaria. E poco alla volta ne resta affascinato. Quando l'ha sposata era stato preso dalla sua bellezza; e ora si accorge che c'è in lei una nuova bellezza che nasce e cresce e si irradia diventando il punto di riferimento di tante persone che si rivolgono a lei per consiglio, per conforto, per aiuto.

In una delle ultime misteriose malattie di Elisabetta, Cristoforo passerà al suo capezzale ore ed ore. Parlano; ma più frequenti sono i silenzi. Per Elisabetta sono silenzi pieni di gioia per la presenza del suo Dio e del suo Cristoforo; per Cristoforo sono momenti di riflessione e di pentimento, in cui incomincia a risentire l'eco lontana della Sua voce. Elisa-betta lo sta trascinando insensibilmente nella direzione della mèta a cui lei è ormai quasi giunta. Ma la distanza che li divi-de è molto grande. Il problema ormai non è più la sua vici-nanza alla donna di cui si è innamorato e per la quale ha tra-dito Elisabetta per tutta la vita; ma è la sua distanza da Dio. è là che Cristoforo ritroverà la sua Elisabetta e si riunirà a lei per sempre.

Sulla stessa strada, verso la stessa mèta

Il cammino di Cristoforo incomincia dopo la morte di Elisabetta. E come è avvenuto per Elisabetta, anche lui inco-mincia dal deserto di cose e di persone; ma ha il vantaggio di avere davanti a sé l'esempio della sua Elisabetta e dentro di sé la sua presenza invisibile. Non si era lasciato prendere da lei quando era viva. Ora invece Elisabetta può finalmente prenderlo per mano e guidarlo per quella strada che lei per prima ha percorso. Anche le figlie gli stanno vicino, quelle fi-glie che nel passato aveva trascurato e che la madre aveva continuato ad educare nel rispetto del padre. Una è sposa feli-ce con un bimbo; l'altra è entrata nella vita religiosa. Ad una di esse che lo invitava a regolarizzare la sua situazione con la donna per la quale aveva tradito la mamma per tutta la vita, confida che anche lei è morta. Ora è solo. La decisione di cambiar vita è sincera, anche se è duro cambiare mentalità e abitudini. Si aggrappa col pensiero alla sua Elisabetta e da lei trae forza per restare fedele al proposito di conversione. Porta sempre con sé un suo ritratto e piange al pensiero delle soffe-renze che ha fatto patire alla donna che lo ha atteso per tutta la sua vita.
Inizia una vita di preghiera e di penitenza. Accetta l'amarezza della solitudine, il vuoto di affetti, l'umiliazione della povertà, la durezza delle rinunce. Per unirsi ancor più alla sua Elisabetta chiederà di essere accolto nel terz'ordine dei Trinitari, per vivere la sua stessa spiritualità. Poco alla volta matura l'idea di farsi religioso. Entra tra i Minori Con-ventuali. Viene ordinato sacerdote. Vive nell'umiltà, nel na-scondimento, nell'ubbidienza. Viene additato come esempio di religioso perfetto e gli vengono affidati i giovani frati per la loro educazione religiosa e teologica. Accetta tutto quello che gli chiedono di fare. Ormai la sua vita non è più sua, ma di Dio. è diventato come Elisabetta, e così diventa finalmen-te «uno» con lei. Per sempre.
Morirà a 72 anni in concetto di santità. Il suo cammino di conversione è durato quasi quanto il cammino di Elisabet-ta, vent'anni.


La storia di un matrimonio singolare

Si erano sposati nel gennaio 1796. Cristoforo inizia a tradirla l'anno seguente. Sette anni dopo, nel 1803, Elisabet-ta viene chiamata da Dio, e per 22 anni percorrerà il cammi-no da Lui indicato, fino al 1825, anno della sua morte. è il cammino che la trasforma e la rende donna «nuova» anche agli occhi di Cristoforo. Cristoforo se ne innamora di nuovo, e si riunisce in modo nuovo a lei percorrendo la sua stessa strada. Anche per lui sarà un cammino che durerà 20 anni, fi-no alla morte, avvenuta nel 1845. E al termine si ritroveran-no insieme, in Dio.
Possiamo dire che la loro è una storia in tre tempi. Il primo, breve, in cui godono insieme un amore felice. Il secon-do, lungo 27 anni, in cui Cristoforo si abbandona al tradi-mento ed Elisabetta invece inizia e porta a termine la fatica di una ricostruzione della sua personalità, lasciandosi plasma-re da Dio. Il terzo, lungo 20 anni, in cui Cristoforo, dopo aver riscoperto la nuova Elisabetta, se ne innamora per la se-conda volta e vive con lei la fatica della ricostruzione della sua vita e della sua personalità. I tempi sono sfasati. Ma il ri-sultato è ottenuto. Elisabetta non avrà la consolazione di ri-congiungersi al suo sposo in terra; ma avrà il conforto di aver costruito con lui un rapporto molto più profondo e duraturo: quello che due sposi raggiungono camminando sulla stessa strada che porta a Dio, e vivendo nella gioia della contempla-zione del suo Volto. Per l'eternità.



P Giordano Muraro O.P


mercoledì 21 ottobre 2015

I fabbricatori di questa nave sono i miei angeli.

“La nave della Chiesa” – della Beata Elisabetta Canori Mora

Beata Elisabetta Canori Mora
(su Luci sull’Est) 639- Il dì 10 gennaio 1824 l’anima fu ammessa a parlare familiarmente con il suo Dio, trattenendosi per sua infinita bontà a parlare con la povera anima delle presenti circostanze della nostra santa religione cattolica e della santa Chiesa.

L’anima mia così pregava il suo Dio per i presenti bisogni della santa Chiesa: «Mio Dio», diceva l’anima, «quando sarà che io vi veda da tutti gli uomini onorato e glorificato come conviene? Ma, oh mio Dio, quanto sono pochi quelli che vi amano! oh quanto è mai grande il numero di quelli che vi disprezzano, mio Dio, che grande pena è questa per me! Credevo con questa nuova elezione di pontefice si fosse rinnovata la santa Chiesa, e che il Cristianesimo avesse a mutare costume; ma, per quanto vedo, camminano ancora nello stesso piede».
A questo mio affannoso parlare, Dio così mi rispose: «Figlia, non ti ricordi che io ti dissi che la nave era la stessa e che poco gioverebbe ai naviganti di questa nave l’aver cambiato il pilota?».
L’anima: «Ah sì, mio Dio, mi ricordo che, tre giorni dopo l’elezione di questo sommo pontefice Leone, mi faceste bene intendere che la serie delle persecuzioni non era per terminare. Mio Dio, se la nave sarà sempre la stessa, noi andremo sempre soggetti agli stessi mali! Ah Signore, metteteci riparo voi, fate una nave nuova, che ci conduca tutti al porto della beata eternità del paradiso! Sì, mio Dio, vi chiedo questa grazia, deh non me la negate, per i vostri infiniti meriti, mi avete promesso di esaudire le povere mie preghiere, deh, per vostra bontà, ascoltatemi dunque, che io vi prego per tutto il Cristianesimo: rimetteteci sul buon sentiero, ve ne prego, ve ne supplico, per il vostro sangue preziosissimo; deh fabbricate la nave di nostra sicurezza!».
Così mi intesi rispondere: «Figlia, prima di costruire questa nave, si devono recidere cinque alberi che sono in terra sopra le loro radici».
A questo parlare, l’anima mia molto si rattristò, pensando che vi fosse un lunghissimo tempo per formare questa nave. «Dunque», dicevo piangendo, «non basteranno due secoli per fabbricare questa nave! Mio Dio, che pena è questa per me, se Noè mise cento anni per fabbricare l’Arca, voi dunque, mio Dio, proseguirete ad essere offeso per tanto spazio di tempo? Io non ci posso pensare, mi sento venir meno dal dolore. Gesù mio, levatemi la vita, mentre non reggo a vedervi tanto offeso».
Piangevo dirottamente ed ero sopraffatta da grande afflizione di spirito; nel tempo che stavo in questa afflittiva situazione, così intesi parlarmi: «Rasserena il tuo spirito, rasciuga pure le tue lacrime. Sappi che questo non è un lavoro terrestre, come quello di Noè, ma un lavoro celeste, mentre i fabbricatori di questa nave sono i miei angeli. Rallègrati, o mia diletta figlia, e non ti rattristare! Il tempo è nelle mie mani, posso abbreviarlo quanto mi piace, prega, non ti stancare, non sarà tanto lungo quanto tu pensi».
L’anima così rispose: «Quanto mi rallegrate, mio Dio, col farmi sapere che vi compiacerete di abbreviare il tempo alle vostre misericordie, venga presto questo tempo benedetto, o mio Signore, che da tutti siate conosciuto, amato e adorato come conviene».
Fonte: “La mia vita nel cuore della Trinità” – diario della Beata Elisabetta Canori Mora – © Libreria Editrice Vaticana – pagg. 701-703.
AVE MARIA!

lunedì 21 aprile 2014

Carissimo Amico,


Carissimo Amico,

Fra i problemi della società contemporanea, uno dei più gravi è la crisi della famiglia. Una rimessa in questione radicale dell'istituzione del matrimonio – ripresa di frequente dai mass media – non cessa di batterla in breccia: la stabilità delle famiglie è minacciata dalle leggi permissive che agevolano il divorzio; la missione della madre casalinga non è più stimata al suo giusto valore; le famiglie numerose non ricevono l'appoggio che meriterebbero; la castità e la fedeltà coniugale sono spesso ridicolizzate; una «cultura di morte» incoraggia instancabilmente l'aborto e la contraccezione; in numerosi luoghi, il bambino è sottoposto a tentativi di perversione (pubblicità blasfeme e pornografiche, droga, prostituzione, ecc.); vengono proposti nuovi modelli: libera unione, famiglia monoparentale, coppie di omosessuali, ecc.


Segno di contraddizione


La società si autodistrugge, distruggendo la famiglia, che è, secondo la volontà del Creatore, la sua cellula base. «La salvezza della persona e della società....

mercoledì 16 ottobre 2013

MIO MARITO VOLEVA UCCIDERMI. .... Dio vuole salvare il consorte e le figlie per mezzo mio


5 – MIO MARITO VOLEVA UCCIDERMI



Nel mese di luglio del 1807, dopo i santi esercizi spirituali, il Signore mi visitò con una grave tribolazione, che alla meglio che posso mi accingo a raccontare, per obbedire a vostra paternità.

Il padre e la madre e sorelle del mio consorte credettero bene d’impedire al suddetto la cattiva amicizia che aveva con una donna di poco buon nome, come nei passati fogli si accennò. Pensarono dunque a questo oggetto di farne un ricorso ai superiori, vollero da me il consenso, senza del quale il loro ricorso sarebbe stato di nessun valore. Mi consigliai con il mio direttore, e dopo essermi raccomandata al Signore, detti a voce al padre e alla madre il mio consenso.


5.1. Mio marito in castigo



Fatto il ricorso, i superiori conobbero la ragione, procedettero contro il suddetto mio consorte e la sua amica. Per ordine dell’eminentissimo cardinal vicario fu il suddetto condotto ai Santi Giovanni e Paolo, consegnato ai Padri Passionisti con ordine di ritenerlo in castigo fino a nuovo ordine.

Questi buoni padri gli dettero gli esercizi spirituali, e procurarono di fargli conoscere le sue mancanze; ma invece di approfittarsi delle ammonizioni, ogni giorno più si ostinava nel sostenere la sua cattiva amicizia. Si infierì crudelmente contro di me, credendomi autore del suddetto ricorso. Mi scriveva lettere fulminative piene di minacce. Intanto gli si andava formando il processo, e così risoluto dai superiori che il suddetto fosse tornato alla sua casa quante volte avesse dopo i santi esercizi avesse dato riprova del suo ravvedimento; ma che se fosse tornato a trattare la suddetta donna, la sua pena sarebbe stata di essere ritenuta in castello tutto il tempo che sarebbe piaciuto al signor cardinale vicario. La donna poi, come più rea per altre mancanze, se fosse tornata a trattare il suddetto, condannata a san Michele per cinque anni.

Passati quindici giorni il suddetto scrisse una lettera di sottomissione al padre e alla madre. Il padre non credendo alle sue parole, ma ritenendo a memoria le ingiurie e le minacce che nei giorni passati aveva a me fatto per mezzo di una sua lettera, come già dissi, voleva assolutamente dai Santi Giovanni e Paolo farlo passare in Castello, ma la madre si interpose presso il padre, e pregandolo a non recare a lei questo disgusto, avesse perdonato il figlio. Mi chiamavano e mi comunicavano i loro diversi sentimenti, io con la grazia di Dio, che molto più del solito invocavo, mi raccomandavo per non sbagliare, mi mostravo indifferente e obbediente ai loro voleri. Il suddetto ogni giorno più manifestava il suo malanimo contro di me. Le sorelle del suddetto, dubitando di vedere qualche fatto micidiale, mi consigliavano di andare in casa terza e non espormi agli insulti del loro fratello, consigliavano ancora il padre a non farlo tornare a casa. Finalmente l’afflitta madre vinse tutti, sicché si risolvette di comun consenso di farlo tornare a casa il giorno 18 del medesimo mese di luglio, dopo averlo per 18 giorni tenuto in Santi Giovanni e Paolo, come si disse di sopra.


5.2. Diverse volte in pericolo di morire



Tornò in casa qual leone infierito, per vedersi privo della sua amica, la privazione di questa amicizia non ad altro servì che inferocirlo contro di me, sicché molto dovetti soffrire da quest’uomo forsennato. Finalmente con maltratti e con minacce, prese il partito di obbligarmi a dargli in scritto il consenso, per tornare liberamente a trattare la sua amica, ma questo non potevo farlo senza offendere Dio. Mi consigliai con il mio direttore, il quale mi disse che mi fossi piuttosto contentata di morire per le sue mani che dare questo consenso. Questo mi bastò, perché il mio spirito con la grazia di Dio, divenisse forte qual scoglio immobile alle furiose onde dell’agitato mare, con la grazia di Dio facevo io sola margine a questo uomo imbestialito, negando a costo della mia propria vita al suddetto il consenso. Sicché diverse volte corsi il pericolo di morire per le sue mani; ma particolarmente una sera che tornò a casa più del solito sdegnato e pieno di furore, risoluto di darmi la morte se non davo il consenso, con sottoscrivere una carta per giustificare presso i superiori la sua amicizia. Buono per me che erano buone due ore che mi trattenevo in orazioni, per mezzo delle quali Dio mi comunicò una forza di dare la vita piuttosto che offendere il mio Signore.

Il suddetto, dopo essersi servito delle ragioni per convincermi; mostrandomi che non ad altro fine voleva fare la mia sottoscrizione che per rendere la riputazione che con il ricorso si era tolto a questa donna; giurando di non più accostarsi alla casa di questa; ma io, nonostante le sue promesse, con la grazia di Dio, non mi feci vincere, ma valorosamente offrii la mia vita piuttosto che offendere Dio.


5.3. Offrii a Dio tutto il mio sangue



Nel vedermi così risoluta, divenne più fiero di un cane arrabbiato; mi si avventò addosso per uccidermi. La madre, allo strepito delle sue minacce, accorse per darmi aiuto, ma il mio spirito intrepido senza titolare invece di fuggire, mi inginocchiai avanti di lui, e pregando la madre, che lo riteneva, che avesse lasciato sfogare il suo sdegno contro di me. In questo tempo offrii al mio Dio tutto il mio sangue, per dimostrargli il mio amore, provando nel mio cuore gli affetti più vivi della sua carità, stavo tutta ansiosa aspettando il colpo, per dare al mio buon Dio un attestato dell’amor mio; ma quando speravo di trovarmi immersa nel proprio sangue, mi avvidi che era al suddetto mancata la forza di colpire il mio cuore, che con santo ardire stava aspettando il dolce momento di offrire il mio sangue. Ma il suddetto fu da forza superiore impossibilitato di mettere in esecuzione il suo disegno, confessando che forza superiore arrestò il suo braccio, ma pieno di timore, pallido nel volto, si adagiò sopra una sedia, perché gli era ad un tratto mancata la forza. Nel vedersi privo di forza, prese il partito di chiedermi perdono, confessando il grave torto che mi aveva fatto, ma questo proposito non fu durevole neppure un quarto d’ora, perché appena Dio gli restituì la primiera forza, che tornò di bel nuovo ad insultarmi, e preso dalla disperazione se ne partì, dicendo che per mia cagione si sarebbe da sé data la morte.

La madre, sentendo la espressione del figlio, vedendolo partire molto infuriato, si rivolse contro di me, facendomi dei rimproveri, per non aver condisceso alle sue voglie, ma il mio spirito era incapace di ogni apprensione, perché si trovava tutto immerso in Dio, godendo una mirabile unione con lui, che, sebbene in quei momenti mi avessero fatto in mille pezzi, non ero capace di risentimento.

Passai tutto il mese di agosto in questa fiera persecuzione; diversi erano i progetti che in questa occasione mi facevano i miei parenti: parte di loro mi consigliavano di ritirarmi in un monastero, mia madre voleva che fossi tornata in casa sua, il mio direttore mi consigliava di sciogliere il matrimonio, mostrandomi le forti ragioni che mi assistevano, in mezzo a tutti queste disparità di pareri, il mio spirito riposava dolcemente nelle braccia del mio Signore, tenendo per certo che l’affare sarebbe andato secondo la sua santissima volontà, di niente avevo paura, ai miei parenti recava molto meraviglia come io avessi tanto spirito di star sola di notte in camera con un uomo tanto imbestialito, senza paura di restar morta per le sue mani, ma questo spirito non a me, ma a Dio si doveva attribuire, che si degnava di trionfare della mia miseria, mentre parte della notte la passavo in ginocchio, occupata in alta contemplazione, e quando la necessità del corpo mi obbligava a prendere un poco di riposo, ero in quel tempo favorita da un raggio di luce, che mi circondava da ogni intorno e mi rendeva sicura il riposo.

Nella santa Comunione poi il Signore si degnava favorirmi in modo speciale, in questo tempo più volte fui visitata dal Signore, che sotto la forma di vago fanciullo, mi appariva consolandomi con farmi provare i dolci effetti della sua carità; sicché in mezzo alla tribolazione godevo nel mio cuore un paradiso di delizie e di dolcezza.


5.4. Dio vuole salvare il consorte e le figlie per mezzo mio



In questo tempo il suddetto si adoperò perché fosse bastato il consenso del suo padre e madre, perché i superiori gli avessero accordato di liberamente tornare alla sua amica. Il mio direttore mi consigliò di non mostrarmi per intesa di questo, che bastava per mia quiete di coscienza il non avergli dato il consenso; ma il mio direttore mi consigliava di separarmi dal consorte, con esporre le mie forti ragioni ai superiori. A questo oggetto mi comandò di raccomandarmi al Signore acciò degnato si fosse mostrarmi la sua volontà. Il Signore, mi fece conoscere che non dovevo abbandonare queste tre anime, cioè le due figlie e il consorte, mentre per mezzo mio le voleva salvare.

Dopo questa notizia, dissi al mio direttore: «Le basti così. Deponga ogni pensiero riguardo a questa separazione di matrimonio, perché io antepongo la salvezza di queste tre anime al mio profitto spirituale, perché di maggior gloria di Dio, il cooperare alla salvezza di queste tre anime non mi impedisce la perfezione. So bene che lei mi consiglia in mio vantaggio, mentre crede che nella quiete possa il mio spirito molto avanzarsi nella perfezione, ma io le dico che se Dio vuole, non mi saranno questi di inciampo, anzi mi aiuteranno ad esercitarmi nella virtù; ma per schivare ogni attacco che a questi potessi avere, fin da questo momento rinunzio ad ogni affetto sensibile che possa mai avere il mio cuore verso di loro, solo intendo di amarli per pura carità e cercare per questi tutti i vantaggi per la loro eterna salvezza, a costo di ogni mio incomodo».



AUXILIUM CHRISTIANORUM

sabato 12 maggio 2012

3 giorni di buio."VERRANNO TRE GIORNI DI CONTINUE TENEBRE..." B. Maria di Gesù Crocifisso (Mariam Baouardy), Maria Giulia Jahenny, Beata Elisabetta Canori Mora.


B. MARIA DI GESÙ CROCIFISSO
Mariam Baouardy

"...Durante l’oscurità che durerà tre giorni, la gente che si è data alle vie del male perirà, così che solo un quarto del genere umano sopravviverà..."

*


 "Verranno tre giorni di continue tenebre. Durante tali tenebre spaventose, solo le candele di cera benedetta faranno lume. Una candela durerà per tre giorni; però nelle case degli empi non arderanno. Durante questi tre giorni i demoni appariranno in forma abominevole e faranno risuonare l'aria di spaventevoli bestemmie. Raggi e scintille penetreranno nelle dimore degli uomini, però non vinceranno la luce delle candele benedette che non saranno spente né da venti né da tormente o terremoti. Una nube rossa come il sangue attraverserà il cielo; il rombo del tuono farà tremare la Terra. Il mare riverserà le sue onde spumose sulla Terra. La Terra si muterà in un immenso cimitero. I cadaveri degli empi come dei giusti copriranno il suolo. La carestia che seguirà sarà grande; tutta la vegetazione della Terra sarà distrutta, come pure saranno distrutti i tre quarti del genere umano. La crisi verrà per tutti repentina, i castighi saranno universali e si succederanno uno dopo l’altro senza interruzione."
XIX-XX secolo, messaggio di Gesù a Maria Giulia Jahenny, Blain in Francia [a, d, j, l]

"Io verrò sul mondo peccatore con un terribile rombo di tuono, in una fredda notte d'inverno. Un caldissimo vento del Sud precederà questa tempesta e pesanti chicchi di grandine scaveranno la terra. Da una massa di nuvole rosso-fuoco lampi devastatori saetteranno, incendiando e riducendo tutto in cenere. L'aria si riempirà di gas tossici e di esalazioni letali che, a cicloni, sradicheranno le opere dell'audacia e della follia e della volontà di potenza della Città della notte...Quando in una fredda notte d'inverno, il tuono romberà...allora chiudete molto in fretta porte e finestre...I vostri occhi non devono profanare il terribile avvenimento con sguardi curiosi...riunitevi in preghiera dinanzi al Crocifisso, ponetevi sotto la protezione di Mia Madre Santissima. Non lasciatevi prendere da alcun dubbio riguardo alla vostra salvezza...Accendete le candele benedette, recitate il Rosario. Perseverate tre giorni e due notti...Io, vostro Dio, avrò purificato tutto... Magnifico sarà il Mio regno di pace..."
XIX-XX secolo, messaggio di Gesù a Maria Giulia Jahenny, Blain in Francia [a2]

"I tre giorni di tenebre saranno di giovedì, venerdì e sabato...tre giorni meno una notte..."
XIX-XX secolo, messaggio a Maria Giulia Jahenny, Blain in Francia [m]

"Durante questi tre giorni di oscurità terrificante, non deve essere aperta nessuna finestra, perché nessuno riuscirà a vedere la terra e il colore terribile che essa avrà in quei giorni di punizione, senza che muoia immediatamente..."
XIX-XX secolo, messaggio a Maria Giulia Jahenny, Blain in Francia [m]

"Il cielo sarà in fiamme, la terra si spaccherà...Durante questi tre giorni di oscurità lasciate accese le candele benedette dappertutto, nessuna altra luce risplenderà..."
XIX-XX secolo, messaggio a Maria Giulia Jahenny, Blain in Francia [m]

"Nessuno fuori dalla sua abitazione...sopravviverà. La terra tremerà come al giudizio e la paura sarà grande..."
8 dicembre 1882, messaggio a Maria Giulia Jahenny, Blain in Francia [m]

"...Tutto tremerà tranne il mobile sul quale brucia la candela benedetta. Questo non tremerà. Vi riunirete tutti con il crocifisso e con la Mia immagine benedetta. Questo è ciò che terrà lontano questo terrore."
XIX-XX secolo, messaggio della Madonna a Maria Giulia Jahenny, Blain in Francia [m]

"Tre quarti della popolazione del globo sparirà. Metà della popolazione della Francia verrà distrutta."
XIX-XX secolo, messaggio a Maria Giulia Jahenny, Blain in Francia [m]

*


"Il cielo si ammantò di nera caligine, scoppiando i fulmini più tremendi, dove incenerivano, dove bruciavano; la terra, non meno che il cielo, era sconvolta. I terremoti più orribili, le voragini più rovinose facevano le ultime stragi sopra la terra. In questa guisa furono separati i buoni cattolici dai falsi cristiani. 

Molti di quelli che negavano Dio lo confessavano e lo riconoscevano per quel Dio che egli è. Tutti lo stimavano, lo adoravano, lo amavano. Tutti osservavano la sua santa legge. Tutti i religiosi e religiose si sistemavano nella vera osservanza delle loro regole. Il clero secolare era l’edificazione della santa Chiesa. Nelle religioni fiorivano uomini di molta santità e dottrina, e di vita molto austera. Tutto il mondo era in pace."
XIX secolo, visione della Beata Elisabetta Canori Mora [g]

"...tutto il mondo sarà in rivolta e si uccideranno gli uni con gli altri, si trucideranno tra loro senza pietà. ...la mano vendicatrice di Dio sarà sopra questi infelici, e con la sua onnipotenza punirà il loro orgoglio e la loro temerarietà e sfacciata baldanza, si servirà Dio della potestà delle tenebre per sterminare questi settari, uomini iniqui e scellerati, che pretendono di atterrare, di sradicare dalle sue profonde radici, di buttar giù dai suoi più profondi fondamenti la nostra santa madre Chiesa cattolica.

...con un solo cenno della sua destra mano onnipotente punirà questi iniqui, permettendo alla potestà delle tenebre di sortire dall’inferno, e queste grandi legioni di demoni scorreranno tutto il mondo, e per mezzo di grandi rovine eseguiranno gli ordini della divina giustizia, a cui questi maligni spiriti sono soggetti, sicché né più né meno di quanto lo permetterà Dio potranno danneggiare gli uomini e le loro sostanze, le loro famiglie, i loro poderi, villaggi, città, case e palazzi, e ogni altra cosa che sussisterà sopra la terra...

Permetterà Dio che siano castigati questi uomini iniqui dalla crudeltà dei fieri demoni... mi fu mostrato l’orrido carcere infernale. Vedevo aprirsi dal profondo cupo della terra una tenebrosa e spaventevole caverna, piena di fuoco, dove vedevo sortire tanti demoni, i quali, presa chi una figura e chi un’altra, chi da bestia, chi umana, venivano tutti ad infestare il mondo e fare dappertutto stragi e rovine.

...[i veri e buoni cristiani] in loro favore avranno il valevole patrocinio dei gloriosi santi apostoli san Pietro e san Paolo. Questi vigileranno alla loro cura e custodia, acciò quei maligni spiriti non possano nuocere né la loro roba né le loro persone; ma questi buoni cristiani saranno preservati ed immuni dalle spietate rovine che faranno questi maligni spiriti, con il permesso di Dio e non altrimenti, mentre questo immenso Dio è l’assoluto padrone del cielo e della terra e dell’inferno, la cui tenebrosa potestà non può farci alcun danno senza il suo sommo permesso, senza la sua volontà.

...puniti gli empi con morte crudele, demoliti questi indegni luoghi, vidi ad un tratto rasserenare il cielo, ...si vide sulla terra apparire un bello splendore, che annunziava la riconciliazione di Dio con gli uomini; dai santi angeli fu condotto il piccolo gregge di Gesù Cristo avanti al trono del gran principe san Pietro. Questo gregge era quel suddetto gregge di buoni cristiani, ... fu riordinata tutta la Chiesa secondo i veri dettami del santo Evangelo, ...tutto era ordinato all’amore di Dio e del prossimo."

DIOS SIEMPRE SABE LO QUE HACE
Ave Maria!