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venerdì 5 aprile 2024

"Ama Dio con tutto te stesso e il tuo prossimo come te stesso''. PAGINE... MIRABILI

  


MAGISTRALE DIVINA SINTESI

DELL’OPERA VALTORTIANA
e Sacre Scritture 

 La grandezza della visione aumenta, e aumenta la potenza dell'estasi, perché il veggente non è chiamato più a vedere le cose attuali al suo tempo, segno e figura di ciò che, in diverse maniere e per diverse cause, si sarebbe ripetuto poi nei secoli, ma cose soprannaturali e cose future, note a Dio solo le future, note ai cittadini dei Cieli le soprannaturali.

   E in una nuova teofania, che è e non è uguale a quella di Ezechiele, egli vede la gloria del Signore assiso sopra il trono celeste in aspetto d'uomo, ma di uomo reso doppiamente glorificato per essere Dio e l'Uomo-Dio, il Santo dei santi, il Santo tra i santi. Perché nessuno tra gli uomini fu santo come il Figlio dell'Uomo. Quindi corpo reso luce "simile all'elettro e al fuoco" dice Ezechiele; "simile a pietra di diaspro e sardio" dice Giovanni; ed ambi terminano: "circondato da uno splendore simile all'arcobaleno, o iride". (continua)

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QUADERNI DAL 1945 AL 1950 CAPITOLO 692'Su l'Apocalisse di S. Giovanni Apostolo. Novembre 1950. II Quaderno' L'Apocalisse Cap. IV



AMDG et D.V.MARIAE

sabato 30 marzo 2024

Il film scorre e l'uomo vede

SANTA PASQUA A TE E FAMIGLIA:

"EVANGELII  LECTIO

SIT  NOBIS  SALUS  ET  PROTECTIO"

AMEN. 

'Su l'Apocalisse di S. Giovanni Apostolo. Settembre-ottobre 1950. I Quaderno' (Parte II)

                        L'Apocalisse 

   Cap. II

   L'Apocalisse è un libro di rivelazione, sì. Anzi esso conclude la grande Rivelazione. Ma è anche un libro profetico.
   Rivelazione e profezia vengono ambe da Dio. Perché solo Dio li ispira. Solo Dio li può ispirare perché solo Egli sa la Verità essendo la Verità, e conosce gli eventi futuri perché è l'Eterno, l'Onnisciente, l'Onnipotente.
   La profezia è come una proiezione di fatti futuri, visti da Dio solo, e illuminati a coloro che vivono nelle nebbie del loro temporaneo presente. Per far capire ai grandi analfabeti della religione — e sono tanti, tanti anche fra coloro che limitano l'esser cattolici al ricevere i Sacramenti, all'ubbidire al precetto festivo, al prender parte alle processioni, all'andare, sì, anche questo, alle prediche, ma che non sanno rispondere, se vengono interrogati, a tante cose, al significato di certe parole, e una è la parola "profezia e profeti" e l'altra è quella di "apostolo", e altre ancora, e confondono quanto è cosa buona, cosa di luce, con cosa non buona, non fatta di luce, perché non sanno — per far capire a questi analfabeti della religione cosa è la rivelazione e cosa è la profezia, così come altrove, a spiegare l'Unità e Trinità di Dio, si è portato il paragone delle tre facce di un poliedro, altrettanto ora si porti il paragone, e forse capiranno, di una proiezione su fatti reali, ma avvenuti in un altro luogo e in un tempo antecedente, o di una proiezione di fatti che certo verranno, ma ancora non sono, e una sola Mente li sa, una sola Pupilla li vede, una sola Parola li può illustrare.
   L'uomo, nei secoli, ha fatto molte invenzioni e scoperte, alcune buone, alcune cattive, altre che avrebbero potuto esser buone, perché potevano esser mezzo di formazione, di istruzione, e anche di elevazione, e che invece si sono fatte non buone perché hanno servito ad eccitare i bassi appetiti della parte inferiore, a corrompere l'intelletto, a ledere l'anima per conseguenza. Una di queste cose, che avrebbero potuto esser buone e che si son fatte non buone, avendo servito ad illustrare il vizio, il delitto, il peccato, è la cine­matografia; un'altra, la stampa. Ma a rendere la nostra idea serve la prima. La cinematografia, coi suoi film, può illustrare fatti e perso­ne del passato. Più o meno storicamente bene, perché l'uomo rara­mente fa bene ciò che fa, e più raramente ancora fa secondo la veri­tà delle cose. Ma, ad ogni modo, a mezzo di questa invenzione, è pos­sibile mostrare ai viventi persone, avvenimenti, usi e costumi di se­coli e anche di millenni passati. Il film scorre e l'uomo vede. (continua)

AMDG et D.V. MARIAE

venerdì 29 marzo 2024

Eppure, ancora, il mondo é pieno di atei



 ..."Colui che è" è l'antico Nome di Dio, quello col quale Dio si nominò a Mosè sul monte, quello da Mosè insegnato al suo Popolo perché così potesse chiamare Iddio. Tutta l'eternità, la potenza, la sapienza di Dio balena in questo nome.
    Colui che è: l'eternità. Non ha avuto un passato Dio. Non avrà un futuro. Egli è. Il presente eterno.
 Se l'intelletto umano, anche il più potente degli intelletti umani; se un potente, anche il più potente tra gli umani, con puro desiderio, con puro pensiero scevro di umani orgogli, medita questa eternità di Dio, sente, come nessuna lezione, meditazione o contemplazione valse a fargli sentire, ciò che è Dio e ciò che è lui: il Tutto e il nulla; l'Eterno e il transitorio; l'Immutabile e il mutabile; l'Immenso e il limitato. Sorge l'umiltà, sorge l'adorazione adeguata all'Essere divino cui va data adorazione, sorge la fiducia perché l'uomo, il nulla, il granello di polvere rispetto al Tutto e al tutto il creato dal Tutto, si sente sotto il raggio della protezione di Colui che, essendo dall'eternità, volle che gli uomini fossero, per dar loro il suo infinito amore.
   Colui che è: la potenza infinita.
   Quale cosa o persona potrebbe da se stessa essere? Nessuna. Senza combustioni e fusioni di particelle sparse per i firmamenti non si forma un nuovo astro, come spontaneamente non si forma una muffa. Per l'astro, grande più della Terra, o per la muffa microscopica, occorrono materie preesistenti e speciali condizioni di ambiente atte alla formazione di un nuovo corpo, sia esso grandissimo o microscopico. Ma chi dette modo all'astro e alla muffa di formarsi? Colui che creò tutto quanto è, perché Egli era da sempre, e da sempre era potente.
   Ci fu dunque, per ogni cosa che è, un Principio creatore che, o direttamente creò (la prima creazione), o mantenne e favorì il perpetuarsi e rinnovarsi della creazione. Ma Egli chi lo creò? Nessuno. Egli è. Per Se stesso. Non deve il suo Essere a persona o cosa alcuna. Egli è. Non ha avuto bisogno di un altro essere per essere, come nessun altro essere, a Lui avversario, benché da Lui creato — perché ogni spirito o carne o creatura del mondo irrazionale sensibile sono da Dio creati — può portarlo al non essere. E se tutto quanto è, nel Cielo spirituale, nel Creato sensibile, negli Inferni, è già testimonianza della sua immensa potenza, il suo essere, senza aver avuto principio da altro essere o cosa, è l'immensa testimonianza della sua immensa potenza.
   Colui che è: la sapienza perfettissima, increata, che non ha avuto bisogno di autoformazione o di formazione di maestri per essere. La Sapienza che nel creare il tutto, che non era, non commise uno sbaglio, creando e volendo perfettamente.
(continua)



lunedì 23 agosto 2021

I quattro evangelisti - UN TESORO

 


MATTEO  MARCO   LUCA ...  GIOVANNI


   La grandezza della visione aumenta, e aumenta la potenza dell'estasi, perché il veggente non è chiamato più a vedere le cose attuali al suo tempo, segno e figura di ciò che, in diverse maniere e per diverse cause, si sarebbe ripetuto poi nei secoli, ma cose soprannaturali e cose future, note a Dio solo le future, note ai cittadini dei Cieli le soprannaturali.
   E in una nuova teofania, che è e non è uguale a quella di Ezechiele, egli vede la gloria del Signore assiso sopra il trono celeste in aspetto d'uomo, ma di uomo reso doppiamente glorificato per essere Dio e l'Uomo-Dio, il Santo dei santi, il Santo tra i santi. Perché nessuno tra gli uomini fu santo come il Figlio dell'Uomo. Quindi corpo reso luce "simile all'elettro e al fuoco" dice Ezechiele; "simile a pietra di diaspro e sardio" dice Giovanni; ed ambi terminano: "circondato da uno splendore simile all'arcobaleno, o iride".
   Anche altri profeti avevano visto splendido, nel vestito di lino, come bronzo o altro metallo rovente, il Figlio di Dio e dell'uomo sin da quando Egli era ancora il Verbo in seno del Padre, e secoli dovevano scorrere prima che Egli prendesse Carne umana, e questa Carne, glorificata dopo il Sacrificio perfetto, ascendesse al Cielo per starvi, quale Dio Uomo, Re eterno, Giudice universale, Pontefice e Agnello, Vincitore del Male, della Morte, del Tempo, di tutto quanto è, perché a Lui è dato dal Padre ogni potere e primato.


   Ma se gli antichi Profeti non videro che l'Uomo Dio, alcuni, altri videro l'Uomo Dio portato sul suo trono dai suoi principali confessori. I quattro evangelisti dall'aspetto raffigurante la loro natura spirituale. Matteo: l'uomo, tutto uomo nel suo passato e uomo nel descrivere il Figlio dell'Uomo; Marco: il leone, nel predicare il Cristo tra i pagani più ancora che nel descrivere il tempo del Cristo nel suo Vangelo, nel quale però, da leone, amò far risaltare più la figura del divino Taumaturgo che dell'Uomo-Messia come aveva fatto Matteo. E ciò allo scopo di sbalordire e conquistare, attraverso allo sbalordimento, i pagani, sempre sedotti da quanto aveva aspetto di prodigio.




   Luca, paziente e forte come il bove nel completare, con ricerche pazienti anche sull'antefatto del vero e proprio lavoro apostolico del Cristo e dei suoi seguaci, tutta l'opera di Dio per la salute dell'umanità. Perché quest'opera di amore infinito ha avuto principio con il Concepimento immacolato di Maria, con la pienezza della Grazia a Lei concessa, con la continua comunione di Maria col suo Signore che, dopo averla creata, da Padre, con una perfezione unica tra tutti i corpi di nati da uomo e donna, come sua Figlia amatissima, la colmò poi della sua Luce: il Verbo che le si era rivelato nelle divine ed intime lezioni per cui Ella fu Sede della Sapienza sin dai più teneri anni, mentre lo Spirito Santo, eterno Amatore dei Puri, riversava in Lei i fuochi della sua carità perfettissima e, facendo di Lei un altare e un'arca più santa e diletta di quelli del Tempio, in Lei prendeva il suo riposo e raggiava in tutto lo splendore della sua Gloria.
   Nel tempo antico, costruito che fu il Tabernacolo, una nube di fuoco lo coperse notte e giorno, sia che fosse fermo, sia che peregrinasse verso la mèta, e il popolo di Dio si fermava o peregrinava a seconda che faceva la nuvola, che altro non era che la testimonianza della gloria del Signore e della sua Presenza.
   All'inizio del tempo nuovo, del tempo di Grazia, la nube di fuoco del Signore, fuoco che investe e preserva da ogni assalto dell'eterno Avversario, più che mai in azione perché avvertiva essere prossima la sua sconfitta, coprì un ben più santo Tabernacolo, in attesa di coprirlo in maniera più grande a celare il più grande mistero delle nozze feconde tra Dio e la Vergine, il cui frutto fu l'Incarnazione del Verbo. E sempre la gloria del Signore coperse la Vergine Inviolata, la Madre Deipara, sia che fosse ferma o si muovesse per ordine divino che da Nazaret la condusse al Tempio, dal Tempio a Nazaret vergine-sposa, e da Nazaret a Ebron e a Betlem Vergine-Madre, e da Betlem a Gerusalemme a sostegno nella profezia di Simeone, e da Betlem in Egitto a protezione della Odiata perché Madre di Dio, e da Nazaret a Gerusalemme conducendola là dove era il Fanciullo tra i Dottori, e da Nazaret in questo o quel luogo dove il Figlio-Maestro era perseguitato e afflitto, e da Nazaret a Gerusalemme e al Golgota a compartecipare alla Redenzione, e all'Oliveto da dove il Figlio ascendeva al Padre, e dall'Oliveto al Cielo nell'estasi finale in cui il Fuoco avrebbe aspirato a Sé la sua Maria così come il sole aspira a sé la pura goccia della rugiada.




   Luca, unico e paziente, interroga e scrive anche ciò che può dirsi il prologo del Vangelo = annunzio, parlandoci dell'Annunziata senza la quale, e senza l'assoluta ubbidienza della quale, non si sarebbe compita la redenzione.
   È proprietà del bue il ruminare anche ciò che da tempo è stato inghiottito. Luca lo imita. Il tempo aveva inghiottito da molti anni i preliminari episodi della venuta del Messia come tale, ossia come Maestro, Salvatore-Redentore. Luca li riporta a galla. Ci mostra la Vergine, necessario strumento perché si avesse Gesù Cristo, il Dio-Uomo. Ci mostra l'Umilissima Piena di Grazia, l'Ubbidientissima nel suo: "Si faccia di me secondo la Parola", la Caritatevolissima accorrente con santa fretta dalla cugina Elisabetta per esserle di conforto e aiuto, e, sebbene ciò non lo pensasse, di santificazione a colui che doveva preparare le vie al Signore Gesù, suo Figlio; la Purissima e Inviolata fisicamente, moralmente, spiritualmente sempre, dal concepimento all'estatico trapasso dalla Terra al Cielo.


   "Questa porta sarà chiusa e non si aprirà e nessun uomo passerà da essa perché il Signore Iddio d'Israele è entrato per essa; sarà chiusa per il principe, e il principe stesso si metterà a sedere in essa per mangiare il pane davanti al Signore, ed entrerà per la porta del vestibolo e per la stessa uscirà".
   Misteriose parole di significato oscuro sinché il Concepimento di Maria e la sua Maternità divina non le resero chiare a quanti, sotto il raggio della Luce eterna, non seppero leggerle nel loro giusto significato.
   Porta chiusa, porta esteriore del santuario, porta che guardava ad oriente, era veramente Maria. Chiusa, perché nulla mai di terreno entrò in Lei in cui era pienezza di Grazia. Porta esteriore perché tra il Cielo, la Dimora di Dio Uno e Trino, e il mondo era Lei, così prossima a Dio da esser simile alla porta che, dal Santo dei Santi, s'apriva sul Santo. In vero Maria fu, ed è, porta agli uomini, perché attraverso il Santo penetrino nel Santo dei Santi e vi facciano eterna dimora con Colui che vi abita. Porta che guardava ad oriente, ossia a Dio solo, chiamato Oriente dagli ispirati del Tempo antico. E in vero Maria non teneva che fissi in Dio gli occhi del suo spirito.


   Porta chiusa per cui nessuno, fuorché il Signore, sarebbe entrato per amarla da Padre, da Figlio, da Sposo, per renderla feconda senza lesione, per nutrirsi di Lei onde prender Corpo, nutrirsi davanti al Padre suo divino, compiendo la sua prima ubbidienza di Figlio dell'Uomo che, nell'oscurità di un seno di donna, chiude e limita la sua Immensità e Libertà di Dio, assoggettandosi a tutte le fasi che regolano una gestazione, come poi, sempre nutrendosi di Lei, seguirà tutte le fasi del crescere per divenire, da Infante, Fanciullo.


   Porta chiusa che neppure per la più santa delle maternità si aprì perché, per modo noto a Dio solo, così come Dio, passando per il vestibolo ardente di carità di Maria, entrò in Lei, altrettanto venne alla luce, Egli Luce e Amore infiniti, mentre l'estasi ardeva Maria e faceva di Lei un rutilante altare su cui l'Ostia fu posata e offerta perché fosse Salute agli uomini.
   Molti secoli dopo Ezechiele, Paolo, agli Ebrei, dirà: "… Cristo… venuto attraversando un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d'uomo".


   Molte interpretazioni furono date a queste parole. E anche giuste interpretazioni. Ma un'altra ve ne è. Ed è questa: che Gesù venne agli uomini, tra gli uomini, passando da un tabernacolo più grande, per bellezza soprannaturale, e più perfetto di quello che era mèta degli Ebrei di Palestina e della Diaspora, ché questo non era archi­tettonicamente perfetto ma santamente perfetto, e non fatto da ma­no d'uomo con marmi e ori e velari ornati, ma creato, e quasi po­trebbesi dir "fatto" da Dio, tanto Egli vegliò sulla sua formazione perché il suo Verbo trovasse, venuto il suo tempo d'Incarnazione, un tabernacolo sano, santo, eletto, perfetto in ogni sua parte, degno di accogliere, e di esserne temporanea dimora, la sua Santità divina.


   Luca, medico oltre che evangelista, con il paziente studio del medico che non si ferma al fatto oggettivo e al soggetto studiato, ma studia ed esamina l'ambiente e l'ereditarietà in cui il soggetto è vissuto, e da cui il soggetto può aver preso i caratteri psico-fisici, per presentarci il Dio incarnato, il Figlio dell'Uomo, e farcelo meglio conoscere nella sua dolcezza che è tale anche se, quando occorra, sa esser forte, nella sua amorevolezza verso malati e peccatori desiderosi di guarigione fisica o spirituale, nella sua ubbidienza perfettissima sino alla morte, nella sua umiltà che non cercava le lodi, ma anzi consigliava: "Non parlate di ciò che avete veduto", nella sua fortezza che sa superare ogni affetto o paura umana per compiere la sua missione, nella sua intemeratezza, per cui nulla poteva intaccare il suo senso, né albergare in Lui, sia pure fuggevolmente, alcuna passione che non fosse buona, ci presenta la Madre. Ossia Colei che, da sola, formò il Figlio trasmettendogli, in un col sangue che doveva rivestirlo di carne, la somiglianza, anzi più ancora, con Lei. Egli Uomo, e quindi più virile nei tratti e nelle maniere. Lei Donna, e quindi più dolce nelle sembianze e nei modi.


   Ma nel Fanciullo che sa risponderle: "Perché cercarmi? Non sapevate che devo fare ciò che il Padre mio vuole che Io faccia?", e nell'Uomo che dice: "Donna, che v'è più tra Me e te?" e ancora afferma: "Chi è mia Madre e i miei parenti? Coloro che fanno la volontà del Padre mio", è palese la fortezza comunicatagli da Colei che seppe soffrire fortemente sempre e per tanti motivi: per la morte dei genitori, per la povertà, per il sospetto di Giuseppe, per il viaggio a Betlem, la profezia di Simeone, la fuga ed esilio in Egitto, lo smarrimento di Gesù, la morte dello sposo, l'abbandono del Figlio che intraprende la sua missione, l'astio del mondo ebraico per Lui, il martirio del Figlio sul Golgota.


   Nella dolcezza del Figlio è palese la dolcezza ereditata dalla Madre, e così è per l'umiltà, l'ubbidienza e la purezza. Tutte le eccelse virtù della Madre sono anche nel Figlio. Gesù ci rivela, è vero, il Padre, ma anche la Madre ci rivela. E ben può dirsi che chi vuol conoscere Maria, troppo poco rivelata dagli Evangelisti e negli Atti degli Apostoli, deve guardare il Figlio suo che da Lei, e da Lei sola, ha preso tutto, meno che la sua Natura divina di Primogenito del Padre e suo Unigenito.
   "Si faccia la Volontà di Dio" dice Maria. "Si faccia la tua Volontà" dice Gesù.
   "Beata te che hai creduto" dice Elisabetta a Maria. E Gesù dà lode a coloro che sanno credere, molte e molte volte durante il suo evangelizzare.
   "Hai abbattuto i potenti ed esaltato gli umili" professa Maria nel suo Magnificat, e Gesù: "Ti ringrazio, Padre, perché hai celato le cose ai sapienti e ai grandi e le hai rivelate ai piccoli".
   Il Verbo, la Sapienza del Padre, fece Maestra in Sapienza la sua futura Madre. E la Madre al suo Figlio trasfuse, in un col sangue e il latte e le materne cure, i pensieri eletti che sempre avevano avuto sede nel suo intelletto senza lesione, e i sentimenti elettissimi che soli vivevano nel suo Cuore senza macchia.



Giovanni, il quarto Evangelista, è l'Aquila. È dell'aquila il volo alto, potente e solitario, e la capacità di fissare il sole. In Giovanni evangelista vi è la nobiltà dell'uccello regale, il volo potente, e il potere di fissare il divino Sole, Gesù: Luce del mondo, Luce del Cielo, Luce di Dio, infinito Splendore, il potersi innalzare ad altezze soprannaturali alle quali nessun altro evangelista si innalzò e, così innalzandosi, il poter penetrare il mistero, e la verità, e la dottrina, e tutto dell'Uomo che era Dio.

 Spaziando come aquila regale ben alto sopra le cose della Terra e dell'umanità, egli vide il Cristo nella sua vera Natura di Verbo di Dio. Più che il Taumaturgo e il Martire, Giovanni ci presenta "il Maestro". L'unico perfettissimo Maestro che ebbe il mondo. Il Maestro-Dio, la Sapienza fattasi carne e verbale maestra agli uomini, il Verbo, o Parola del Padre, ossia la Parola che rende sensibili agli uomini i pensieri del Padre suo, la Luce venuta ad illuminare le tenebre e a fugare le penombre.


   Le verità più sublimi, più soavi, più profonde, e le verità più amare, sono tutte sinceramente dette nel vangelo di Giovanni, che col suo occhio d'aquila e il suo innalzarsi con lo spirito seguendo lo spirito del Maestro ha, dall'alto, visto le supreme grandezze e le supreme bassezze, misurato l'ampiezza dell'amore di Cristo e dell'odio del mondo giudaico a Cristo; la lotta fra la Luce e le tenebre, delle troppe "tenebre", ossia dei troppi nemici del Maestro suo, tra i quali era persino un discepolo e apostolo che Giovanni chiaramente, in questo suo vangelo della Verità e della Luce, chiama col suo vero nome, con uno dei suoi veri nomi: "ladro"; ha visto le congiure sotterranee, i tranelli sottili, usati per rendere inviso il Cristo ai dominatori romani ed ebraici e ai "piccoli" che formavano il gregge dei fedeli al Cristo. E tutte le nota e le rende note, mostrando Gesù nella sua santità sublime, non solo di Dio ma anche di Uomo.


   Uomo che non viene a compromessi coi nemici per farseli amici; Uomo che sa dire la verità ai potenti e smascherare le colpe e ipocrisie degli stessi; Uomo che, non respingendo nessuno meritevole di esser avvicinato perché mosso al venire a Lui da desiderio d'anima di redimersi, sa lanciare il suo anatema a quanti, anche se potentissimi, lo circuiscono con false profferte d'amicizia per poterlo cogliere in colpa; Uomo che rispetta la Legge, ma calpesta le sovrapposizioni alla Legge: "i pesi" messi dai farisei ai piccoli; Uomo che rifiuta il regno e la corona terrena e fugge per liberarsene, ma non cessa di bandire il suo Regno spirituale e assume la corona di Redentore per confermare col sacrificio suo proprio la sua dottrina di sacrificio; l'Uomo santissimo che tutto volle conoscere dell'uomo, meno il peccato.


   L'aquila non canta, come invece fanno gli altri uccelli, più o meno melodiosamente, ma getta il suo grido potente che fa tremare il cuore agli uomini e agli animali tanto è affermazione di potenza. Anche Giovanni non canta dolcemente la storia del Cristo, ma getta il suo grido potente, per celebrare l'Eroe, ed è grido tanto possente nell'affermare la Divinità, la Sapienza luminosissima del Cristo, da far tremare l'anima e il cuore sin dalle prime parole del suo proemio.


   L'aquila ama le vette solitarie su cui il sole dardeggia tutti i suoi fuochi, e più il sole splende e più l'aquila lo fissa, come affascinata dal suo splendore e dal suo calore. Anche Giovanni, il solitario, anche se era coi compagni sia prima che dopo la Passione e Ascensione del Maestro — perché veramente era l'Apostolo diverso, unico in particolari aspetti d'uomo e di discepolo, unito agli altri solo per la carità in lui vivissima — anche Giovanni come l'aquila amava stare sulla vetta, sotto all'incendio del suo Sole, e guardare Lui solo, ascoltarne tutte le parole verbali e quelle segrete, ossia le lezioni e le conversazioni profonde e amabili del Cristo, e le sue effusioni solitarie, le sue preghiere e comunioni col Padre, nel silenzio delle notti, o nel profondo dei boschi, dovunque il Cristo – 
il grande Solitario, perché il grande Sconosciuto ed Incompreso – si isolava per trovare conforto dall'unione col Padre suo.


   Gesù: il Sole della Carità; Giovanni: l'amante del Sole di Carità e il vergine sposato alla Carità, attratto, lui il puro, da Gesù, Purezza perfetta. L'amore dà speciali comprensioni. E più è forte l'amore e più l'amante comprende anche i moti intimi dell'amato. Giovanni, il fedelissimo e amantissimo di Gesù-Dio e Uomo, comprese tutto di Lui, come fosse non sul suo Cuore divino ma 
nel suo Cuore.
   Nessuno conobbe il Cristo intimo quanto Giovanni. Tutte le perfezioni del Cristo gli furono note. Penetrò nel suo mistero e nell'oceano delle sue virtù, misurandone veramente l'altezza, la larghezza e la profondità di questo Tempio vivente non fatto da mano d'uomo e che invano gli uomini cercavano di distruggere. E tutte, a distanza di decenni, le scrisse e descrisse, lasciando il Vangelo più perfetto in veridicità storica, più potente in dottrina, più luminoso di luci sapienziali e caritative, più fedele nella descrizione degli episodi e caratteri, capace di superare le restrizioni mentali degli ebrei e descrivere anche quanto gli altri evangelisti non avevano osato dire: la samaritana, l'ufficiale regio, lo scandalo e fuga e rivolta contro il Maestro dei discepoli dopo il discorso del Pane del Cielo, e l'adultera, e le aperte dispute con i Giudei, Farisei, Scribi e Dottori, e il suo rifugiarsi in Samaria ad Efraim, e i suoi contatti coi Gentili, e la verità su Giuda "che era ladro", e altre cose ancora.


   Più che maturo d'anni, perché longevo quando scrisse il suo vangelo, ma perennemente giovane perché puro, ma sempre ugualmente e ardentemente amoroso del Cristo, perché nessun altro amore umano aveva sottratto fiamme alla sua carità per l'Amato, Giovanni, l'amorosa aquila di Cristo, ci ha rivelato il Cristo, con una potenza superiore ad ogni altra, inferiore solo a quella del Cristo stesso, la quale era infinita perché potenza di Dio, nel rivelarci il Padre suo.


   Tutti i quattro che stavano intorno al trono erano coperti d'occhi. Infatti erano i contemplatori, coloro che avevano ben contemplato il Cristo per poterlo ben descrivere e confessare.

   Ma Giovanni, l'aquila, coi suoi occhi mortali e immortali, lo aveva contemplato da aquila, con sguardo d'aquila, penetrando nell'ardente mistero del Cristo. E oltre la vita, ormai al fianco del suo Amato, con vista perfetta, fissa, penetra sin nel centro del Mistero, e intona l'inno di lode che gli altri e i 24 vegliardi seguono, per fortificarsi lo spirito ad enunciare le cose dei tempi ultimi: il supremo orrore, la suprema persecuzione, i flagelli ultimi e le supreme vittorie del Cristo, e le supreme, eterne gioie dei suoi fedeli seguaci.


   Le prime parole del suo cantico evangelico sono lode alla Luce. Le sue estreme all'Apocalisse sono un grido d'amorosa risposta e d'amorosa domanda: "Sì, vengo presto!", "Vieni, Signore Gesù!". E questi due gridi, dell'Amato e dell'Amante, più di ogni altra cosa ci disvelano cosa era Giovanni per Gesù, e Gesù per Giovanni. Era: 
l'Amore.


   A questo amante ardente, che portato dall'amore salì con lo spirito e l'intelletto a zone eccelse e penetrò nei misteri più alti come nessun altro apostolo ed evangelista, contrapponiamo l'uomo: Matteo. Giovanni tutto spirito, sempre più spirito; Matteo materia, tutto materia sinché il Cristo non lo convertì e fece suo. Giovanni: l'angelo in aspetto d'uomo, il serafino, anzi, che con le sue ali d'aquila saliva là dove solo a pochissimi è dato salire; Matteo: l'uomo, ancora l'uomo anche dopo la conversione che di lui, uomo peccatore, fece l'uomo di Dio, ossia un uomo rielevato al grado di creatura ragionevole e destinata all'eterna vita del Cielo. Ma sempre uomo, senza la coltura di Luca, senza la sapienza soprannaturale di Giovanni, senza la forza leonina di Marco. Nella mistica scala degli evangelisti si può mettere Matteo al primo gradino, Marco ad un quarto della scala, Luca al mezzo di essa e Giovanni sul culmine.


   Pure l'esser rimasto "l'uomo" non gli nocque, anzi servì a portarlo in alto nella perfezione tenendolo umile, contrito per il suo passato, così come il suo descrivere il Verbo fatto Carne come "l'Uomo" più che come il Maestro, il Taumaturgo, il Dio, servì, allora e nei secoli futuri, a ribadire e confessare, e affermare la vera Natura del Cristo, che era il Verbo del Padre, in eterno, ma che fu realmente l'Uomo incarnatosi per un miracolo unico e divino, nel seno della Vergine per essere il Maestro e il Redentore per i secoli dei secoli.


   Non ebbe nè i rapimenti d'amore di Giovanni, né l'economia mirabile di Luca, che non si limitò a parlare del Cristo Maestro, ma ci parla anche di quanto è preparazione al Cristo, ossia della Madre di Lui, degli eventi che precedettero le manifestazioni pubbliche di Gesù Cristo, per renderci noto tutto, per confermare i profeti, per abbattere, con la narrazione più esatta della vita nascosta di Gesù, di Maria, di Giuseppe, le future eresie che sarebbero sorte – né ancor tutte sono finite – le quali alterano la verità sul Cristo, sulla sua vita e dottrina, sulla sua persona sana, forte, paziente, eroica come nessuna altra mai fu. Chi come Luca ci mostra il Cristo Salvatore e Redentore che inizia la Passione col sudor sanguigno del Getsemani? Ma se Luca è lo storico erudito, Marco è l'impulsivo che impone il Cristo alle folle pagane facendone risaltare la potenza soprannaturale, anzi divina, di miracolo d'ogni specie.

    Ognuno dei quattro servì per comporre il mosaico che ci dà il vero Gesù Cristo Uomo-Dio, Salvatore, Maestro, Redentore, Vincitore della morte e del demonio, Giudice eterno e Re dei re in eterno. Per questo, nella teofania che descrive l'Apostolo Giovanni nel suo Apocalisse, i quattro, coi loro quattro diversi aspetti, fanno da base e corona al Trono dove è assiso Colui che è, che era, che ha da venire e che è l'Alfa e l'Omega, principio e fine di tutto quanto era, è, e sarà, e le loro voci, unite a quelle dei ventiquattro, ossia dei dodici principali patriarchi e dei dodici più grandi profeti, o profeti maggiori, cantano l'eterna lode a Colui che è Santissimo e Onnipotente.

   Dodici e dodici. Questo numero era uno dei numeri sacri agli ebrei. Dodici i Patriarchi, dodici i figli di Giacobbe, dodici le tribù d'Israele; e se i Comandamenti della Legge sono dieci – i Comandamenti dati da Dio-Padre a Mosè sul Sinai – in verità essi sono dodici da quando il Verbo del Padre, l'eterna e perfettissima Sapienza, completò la Legge e la perfezionò, insegnando che i comandamenti dei comandamenti sono: "Ama Dio con tutto te stesso e il tuo prossimo come te stesso'' perché questi due primi e principali comandamenti sono, in realtà, base di vita ai dieci comandamenti tutti, dato che i primi tre non possono praticarsi se non si ama Dio con tutto sé stesso, con tutte le proprie forze, con tutta l'anima, e gli altri sette neppure possono praticarsi se non si ama il prossimo come se stessi non mancando all'amore, alla giustizia, all'onestà in nessuna cosa o verso nessuna persona.


   Dodici erano gli anni prescritti dalla Legge perché un fanciullo ebreo divenisse figlio della Legge. E Gesù, fedele alla Legge, volle dodici apostoli al suo seguito perché sacro era tal numero. Ché se poi un ramo cadde, putrido, e la pianta novella rimase con soli undici rami, presto un novello dodicesimo ramo, e santo, rinacque sulla pianta del cristianesimo, e il numero sacro fu ristabilito.


   Quanti numeri sacri in Israele! E ognuno col suo simbolo che fu poi trasferito nella novella Chiesa. Il tre. Il sette. Il dodici. Il settantadue. E, nei tempi futuri, splenderà la verità sui numeri ancora oscuri contenuti nell'Apocalisse, numeri che stanno ad indicare la Perfezione e Santità infinita, e l'Empietà pure senza misura.
   Jehoshua = Perfezione, Santità, Salvezza, nome dalle otto lettere.
   Satana = Empietà, nemico del genere umano, perfezione del male, nome dalle sei lettere.
   E poiché il primo è nome di Bene perfettissimo e il secondo di Male perfettissimo, ossia senza misura, ognuno di essi moltiplica per 3, numero della perfezione, il numero delle sue lettere, divenendo il primo ottocentoottantotto e il secondo seicentosessantasei. // E guai, quattro volte guai a quei giorni in cui l'infinito Bene e l'infinito Male si daranno l'ultima battaglia prima della definitiva vittoria del Bene e dei Buoni, e della definitiva sconfitta del Male e dei suoi Servi! //


   Quanto di orrore e di sangue vi fu nella Terra da quando il Creatore la fece, sarà un nulla rispetto all'orrore dell'ultima lotta. Per questo Gesù Maestro parlò così chiaro ai suoi quando predisse gli ultimi tempi. Per preparare gli uomini alle lotte ultime in cui solo coloro che avranno una fede intrepida, una carità ardente, una speranza incrollabile, potranno perseverare senza cadere in dannazione e meritare il Cielo.
   Per questo dovrebbesi — poiché il mondo sempre più scende verso l'abisso, verso la non fede, o una troppo debole fede, e carità e speranza languono in troppi, e in molti sono già morte — per questo dovrebbesi, con ogni mezzo, far sì che Dio sia più conosciuto, amato, seguito. Ciò che non può ottenere il Sacerdote, da troppi sfuggito o non ascoltato, può farlo la stampa, i libri in cui la Parola di Dio sia di nuovo presentata alle folle.
   Una parola talora basta a rialzare uno spirito caduto, a ricondurre sulla via giusta uno smarrito, ad impedire il suicidio definitivo di un'anima.


   Per questo Dio, che tutto vede e conosce degli uomini, con mezzi della sua infinita Carità, rivela il suo pensiero, il suo desiderio a delle anime da Lui scelte per tale missione, e vuole che il suo aiuto non resti inerte, e soffre di vedere che quanto sarebbe pane di salute per molti non venga dato ad essi.
   Sempre più cresce il bisogno di cibo spirituale alle anime languenti. Ma il grano eletto, dato da Dio, sta serrato e inutile, e il languore cresce, e cresce sempre più il numero di coloro che periscono non tanto in questa quanto nell'altra vita.


   ?Quando, per una conoscenza più vera, vasta, profonda, di Cristo, quando, per aver finalmente levato i sigilli a ciò che è fonte di vita, di santità, di salute eterna, una moltitudine di anime potrà cantare l'inno di gioia, di benedizione, di gloria a Dio che li aiutò a salvarsi e a far parte del popolo dei Santi?
   ?Con quali parole e quali sguardi il Giudice eterno parlerà e guarderà coloro che impedirono coi loro voleri a molti di salvarsi?   ?Come chiederà loro conto di chi non ebbe il Cielo perché essi, come gli antichi Scribi e Farisei, hanno serrato in faccia alla gente la via che poteva portarli al regno dei Cieli, e acciecandosi volontariamente gli occhi e indurendo il loro cuore non vollero vedere né intendere?
  

 Troppo tardi e inutilmente si batteranno allora il petto e chiederanno perdono del modo come agirono.
   Ormai il giudizio sarà stato dato e irrevocabile, e dovranno espiare la loro colpa e pagare anche per coloro ai quali, col loro modo di agire, impedirono di ritrovare Dio e di salvarsi.


http://www.valtortamaria.com/operaminore/quaderno/3/manoscritto/85/su-lapocalisse-di-s-giovanni-apostolo-novembre-1950-ii-quaderno

AMDG et DVM


venerdì 2 luglio 2021

"Quante volte dovrò perdonare?"






 ..."Quante volte dovrò perdonare?" chiese un giorno Pietro a Gesù. E Gesù rispose: "Settanta volte sette", ossia un numero illimitato di volte. Perché Gesù sapeva che l'uomo, anche se rigenerato dalla Grazia, anche se nutrito dall'Eucarestia, anche se confermato nella Grazia dalla Confermazione, anche se elevato dal Sacerdozio, sempre sarebbe stato "l'uomo", l'uomo bisognoso di compatimento e perdono, perché facile all'errare.

   E presto, nel seno della Chiesa, per orgoglio o per tiepidezza, sorsero separazioni ed eresie. Ecco gli gnostici, i nicolaiti, i simoniti, i bileamiti. E più tardi gli antipapi, l'epoca trista della Corte pontificia in Avignone, e quella ancor più trista del nepotismo e di quanto ad esso fu congiunto. Astro perpetuo, come ogni astro, anche la Chiesa ha le sue fasi. Fiamma che non si spegne, come ogni fiamma ha alternative di divampamento e di affievolimento.
   Ma poiché il suo Capo, Gesù, e la sua Anima, lo Spirito Santo, sono eterni e perfettissimi, ed eterno ed infinito è il loro potere e volere, così Essa può avere momentanee fasi di discesa e di affievolimento. Ma non può cadere del tutto, né del tutto spegnersi. Anzi, dopo una di queste fasi, come persona scossa da un assopimento o persona rinvigorita da una medicina potente, Essa torna desta e vigorosa nel suo servizio e nella sua mirabile missione universale. Ed è da dirsi che proprio in ciò che è penoso vedersi in Essa – momentanei rilassamenti o persecuzione di nemici – è la causa di una sua novella fase ascendente.

   Coloro che hanno facile l'orgoglio, o facile il fare critiche e il giudicare tutti, meno se stessi, diranno, dopo queste parole: "Ma Essa è cosa soprannaturale! Quindi non può scemare nella sua perfezione". Così diranno i primi. Ed i secondi diranno: "Se fosse come vogliono dire che sia, sarebbe perfetta in tutte le sue membra. Invece…" e citeranno casi e casi più o meno veramente biasimevoli, dico veramente perché talvolta una cosa può avere apparenza non buona e in sostanza non essere malvagia.

   E sbaglieranno entrambi. Perché la Chiesa è, sì, una società o congregazione di membra elette, rigenerate alla Grazia dal Battesimo, confermate e perfezionate nelle virtù e nei doni dalla Cresima, nutrite dall'Eucarestia, mondate dall'assoluzione conseguente alla Penitenza, sovvenute nella loro nuova missione di sposi e di procreatori dal Matrimonio, o nell'altra di pastori d'anime dall'Ordine sacro. Ed inoltre la Chiesa, come Corpo mistico, è santa nel suo Capo, nella sua Anima, nella sua Legge, nella sua dottrina e in molti suoi membri. Questo sì. Né le membra inferiori sono da disprezzarsi, perché molte volte "le membra che sembrano più deboli sono quelle più necessarie", perché con la loro vita umile, santa, nascosta, vissuta e offerta per tutta la società dei cristiani, contribuiscono ad aumentare i tesori spirituali di tutto il mistico Corpo, e anche perché "Dio ha disposto il Corpo in maniera da dare maggior onore alle membra che non ne avevano". Ossia sovente Egli trae i santificatori, coloro che trascinano con l'azione e l'esempio anime innumerevoli a Dio, da quelli che sono "i minimi" nel mistico Corpo, senza gradi né ordinazioni, ma ricchi in giustizia perché identificatisi al Cristo in ogni loro azione. Sì, la Chiesa, come società dei fedeli, veramente tali, dal Ss. suo Capo, è santa, e mai la santità, che dal Capo scende e circola per tutte le sue membra, verrà totalmente meno. Ma non tutte sante sono le membra, ché l'uomo è l'uomo anche se è cattolico, e uomo resta anche se appartiene alla Chiesa in una qualunque delle sue parti.
   Quando molte membra divengono più "uomo razionale" che "uomo divinizzato", allora la Chiesa conosce un periodo di discesa, dal quale poi risorge perché Essa stessa comprende che occorre sorgere per poter far fronte ai nemici esterni ed interni. Gli aperti nemici già al servizio dell'Avversario e dell'Anticristo, e i nemici sottili che sgretolano l'edificio della fede, e conseguentemente raffreddano la carità, per voler dare una versione nuova ai misteri e prodigi di Dio col mezzo di quelle "profondità di satana e di spirito del mondo" di cui già si è parlato.
   Non dicano, coloro che hanno facile l'orgoglio: "La Chiesa non può conoscere ciò, perché sempre sarà santa".
   È detto, e da parola divina parlante ai Profeti, e dalla divina incarnata Parola del Padre parlante ai suoi eletti, che "grandi abominazioni quale la gelosia, e orribili abominazioni quale l'adorazione a idoli umani (e la scienza priva di sapienza ne è uno) e perversione con l'adorazione a ciò che non è da venerarsi" verranno nel Tempio, e che "dopo che sarà ucciso il Cristo e non sarà più suo il popolo che lo rinnegherà, la città e il santuario saranno distrutti da un popolo che verrà, il cui scopo sarà la devastazione, e finita essa verrà la desolazione decretata… e verranno meno le ostie e i sacrifici, e nel tempio sarà l'abominazione della desolazione, che durerà sino alla fine"; e ancora, a conferma diretta, da parte della Parola, alle parole dei suoi annunciatori, i profeti"Quando vedrete l'abominio della desolazione nel luogo santo,… allora la tribolazione sarà grande, quale non fu dal principio dei secoli… e dopo la tribolazione… vedranno il Figlio dell'Uomo". E la carità che si raffredderà in troppi cuori sarà uno dei segni precursori della fine.

   È detto. E verrà. Aprite gli occhi spirituali, per leggere le predizioni del Cielo! Se li aprirete, leggerete la verità, e vedrete quali sono i veri segni della fine, e come essa sia già in atto.
   Per Colui che è eterno, un secolo è men di un minuto. Quindi non è detto che sia domani. Ma se ancor lungo sarà il cammino perché tutto sia compiuto, le cose che già avvengono vi dicono che già si è iniziato il processo finale.

   Le grandi abominazioni: la gelosia dove dovrebbe essere solo carità fraterna, l'eccesso di amore alla scienza umana dove dovrebbe essere solo amore fedele alla Sapienza fonte della Rivelazione, compromessi tra ciò che dà utile terreno e ciò che dà utile soprannaturale per avere l'utile immediato, il Cristo ucciso in troppe anime, troppo suo popolo divenuto rinnegatore del suo Salvatore. Queste le cose preparatorie.
   
Poi "il popolo che verrà", con lo scopo di devastare. Un altro profeta disse: "Quando il popolo del settentrione… Un gran tumulto dalle terre del settentrione… Ecco venire dal settentrione…".
 L'una e l'altra predizione sono tanto chiare che basta alzar gli occhi e saper vedere, e voler vedere, per capire.

   E che devasterà? Oh! non solo gli edifici ed i paesi. Ma soprattutto la fede, la morale, le anime. E non tutte le anime devastate saranno anime comuni. E i sacrifici e le ostie verran meno non potendosi più aver libertà di culto, e temendo, in molti, d'esser presi per questo.           
     Già, pur non essendo ancora in atto la devastazione e la persecuzione, molti rinnegano la via già scelta, perché l'abominio si spande come perfida gramigna, e la carità si raffredda mentre sorgono i falsi profeti di cui parla il Cristo nel capo 24 di Matteo e Paolo nel c.II della II epistola ai Tessalonicesi.
   Per ora quelli soli. Ma poi verrà colui che essi precorrono: l'Anticristo, al quale essi avranno preparato la via affievolendo la carità, così come il Battista aveva preparato le vie al Cristo insegnando la carità, di cui era pieno essendo "ripieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre", come mezzo indispensabile per potersi unire a Cristo e vivere la vita di Dio. (Sugli insegnamenti di carità del Battista vedere Luca c.III v. 10-14).
   In verità, la carità è il legame che tiene unita la comunità cattolica a Dio e ai fratelli. Nella e dalla carità è l'unione e l'alimento delle anime, e la loro santificazione e quella di sempre nuove anime. Se viene a mancare la carità subentra l'amor proprio. E la differenza tra i due amori è questa.
   L'amore vero e santo, comandato e consigliato da Dio, è ricerca di Dio, è riconoscimento della sua onnipotenza visibile in tutte le cose, è elevazione a Dio. E tutto serve a questa elevazione per chi ha in sé la carità, che è pietà attiva per tutte le necessità del prossimo, perché in ogni prossimo la carità ci fa vedere un fratello, e sentiamo Gesù in lui, Gesù che soffre delle sofferenze del povero, del malato, del perseguitato, o che soffre perché un figlio del Padre sta divenendo un figliol prodigo che lascia la casa del Padre in cerca di un falso benessere, soffre perché uno dubita di avere un Padre, e occorre persuaderlo in questo esserci un Padre buonissimo perché egli non cada in desolazione e in peccato.
   L'amor proprio, invece, è ricerca di se stessi, è successivo amore a se stessi, è azione fatta per glorificare se stessi agli occhi del mondo. È quindi concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e orgoglio della vita, e da questa pianta dai tre rami vengono poi la vanagloria, la durezza di cuore, la superbia, la smania delle umane lodi, l'ipocrisia, lo spirito di dominio, la convinzione di sapersi guidare da sé, scrollando via da sé ogni comando o consiglio dell'Amore e di chi parla in nome dell'Amore.

   Si credono liberi e re perché, secondo loro, nessuno è meglio di loro; perché, sempre secondo loro, sono già stabiliti sulle vette del sapere e del potere. Invece sono schiavi come nessuno lo è. E di loro stessi, e del nemico di Dio, e dei servi del nemico di Dio. Schiavi, servi, nudi, ciechi. Schiavi di sé stessi, e servi o schiavi del nemico e dei nemici di Dio. Nudi delle vesti ornate, delle vesti delle nozze con la Sapienza, delle vesti candide per il convito nei Cieli e per seguire osannando l'Agnello. Ciechi, o per lo meno miopi, per essersi guastati la vista spirituale con inutili investigazioni umane.

   Questo divengono per aver rinunciato alla primogenitura, ossia alla più alta figliolanza, quella da Dio, per un povero piatto di lenticchie, cibo terreno. È piatto di lenticchie la sostituzione delle opere sapienziali, soprannaturali, e soprattutto della Grande Rivelazione che va accettata e creduta senza mezze misure. È piatto di lenticchie il sostituire ciò con libri scientifici, che sono, per perfetti che siano, sempre libri scritti da un uomo. Potranno perciò parere più chiari, e certo più comprensibili per chi sa solo leggere la lettera, restare alla superficie di una cosa, per chi non può penetrare oltre per pesantezza propria. Ma non trasformano l'uomo. Non lo portano in alto. I libri ispirati, invece, quei libri di cui l'Autore è Dio, per chi li sa leggere, sono mezzo di trasformazione e unione in Dio e con Dio, e di elevazione.
   Tutto quanto viene da Dio è mezzo di elevazione, di trasformazione e di più intima unione con Dio. Gli stessi miracoli, di specie diversa, miracoli di guarigioni di corpi e di spiriti, specie queste, sono mezzo di trasformazione e unione con Dio. Quanti, increduli o peccatori, poterono esser fatti credenti e redenti per il prodigio di un miracolo!

 Il miracolo non va negato per ossequio al razionalismo. Non il miracolo della Creazione, non quello di una guarigione d'anima o di carne. La materia fu tratta dal nulla e ordinata al suo singolo fine da Dio. Un'anima morta o malata di malattia spirituale inguaribile, fu guarita da Dio, con questo o quel mezzo, ma sempre da Dio. Un corpo condannato a morire può da Dio esser guarito. Sempre da Dio, anche se Egli si serve di un'apparizione o di un giusto per con­vertire e guarire uno spirito, o della particolare fiducia in un santo per guarire una carne.
 I razionalisti sappiano vedere. Grande cosa la ragione. Gran­-de co­sa essere creatura razionale. Ma più grande cosa è lo spirito. E più grande è essere creatura spirituale, ossia che sa d'avere lo spirito, e quello mette in primo luogo come re del suo io e come cosa eletta più di tutte le altre. Perché se la ragione aiuta l'uomo a esser uomo e non bruto, lo spirito, quando sia re nell'io, fa dell'uomo il figlio adottivo di Dio, gli dà somiglianza con Lui, gli permette di parteci­pare alla sua Divinità e ai suoi eterni beni. Predomini quindi lo spi­rito sulla ragione e sulla carne o umanità. E non regni il razionali­smo che nega, o vuole spiegare ciò che va creduto per fede e che, nell'essere spiegato, anzi nel tentativo di venire spiegato, viene leso; e lesa, se non morta, viene la fede.

   I razionalisti sappiano vedere. Depongano le lenti opache del razionalismo. Esse non li serviranno. Anzi esse faranno vedere le verità alterate. Proprio come una lente, non adatta all'occhio indebolito, serve a far vedere peggio ancora. Chi pende verso il razionalismo è già un indebolito nella vista spirituale. Quando poi lo elegge, mette lenti inadatte al suo indebolito vedere, e vede malamente del tutto. Sappiano vedere. Vedere bene, e il Bene. Vedere Dio nel suo continuo perfetto operare col mantenere la Creazione che ebbe vita per il suo Volere, col rendere la salute e la vita dove già è certa la morte.

   Come possono, coloro che vogliono spiegare la creazione e la vita come autogenesi e poligenesi, negare che l'Onnipotente possa meno di ciò che poté creare al principio, e non era neppure materia, ma solo caos, e poi erano solo cose limitate e imperfette? È logico, puramente logico e ragionevole, che si possa ammettere il miracolo del caos che da sé si ordina, e genera da sé la cellula, e la cellula si evolve in specie, e questa specie in altre sempre più perfette e numerose, mentre si definisce che Dio non poté fare da Sé tutta la creazione? È logico e ragionevole sostenere l'evoluzione della specie, anzi di una data specie sino alla forma animale più perfetta perché dotata di parola e di ragione, anche solo di queste, quando si vede, da millenni, che ogni creatura animale non ha acquistato ragione e parola pur convivendo con l'uomo?

   Ogni animale, da millenni è quale fu fatto. Ci sarà stato impiccolimento strutturale, ci saranno stati incroci per cui, dalle razze prime create, vennero altre razze ibride. Ma per passare di epoche e di millenni mai si vide che il toro cessasse d'esser tale, e tale il leone, e tale il cane, che pur convive con l'uomo da secoli e secoli. E neppure mai si vide che le scimmie, col passare dei millenni e coi contatti con l'uomo, di cui possono, sì, imitare i gesti ma non possono imparare la favella, divenissero uomini, almeno animali uomini. Sono le stesse creature inferiori che smentiscono, con l'evidenza dei fatti, le elucubrazioni dei cultori della scienza solo razionale. Quali erano, sono. Testimoniano dell'onnipotenza di Dio con la varietà delle specie. Ma non si sono evolute. Quali erano sono rimaste, coi loro istinti, le loro leggi naturali, la loro speciale missione, che non è inutile, mai, anche se in apparenza può parerlo. Dio non fa opere inutili e totalmente nocive. Il veleno stesso del serpente è utile e ha la sua ragione d'essere.

   I razionalisti sappiano vedere. Si levino le lenti del razionalismo scientifico, e vedano alla luce di Dio, col mezzo della Parola divina che parlò per bocca dei patriarchi e profeti del Tempo antico, e dei santi, mistici o contemplatori del Tempo nuovo, ai quali sempre un Unico Spirito rivelò o ricordò cose nascoste e cose passate, alteratesi nella verità, passando di bocca in bocca. Vedano soprattutto col mezzo della Parola incarnata e Luce del mondo: Gesù, il Maestro dei maestri, il quale non ha cambiato una sillaba della Rivelazione contenuta nel Libro, ma, Egli che essendo Onniscienza e Verità tutto sapeva nella interezza della Verità, l'ha anzi confermata e riportata, nel senso talora svisato ad arte dai rabbi d'Israele, alla primiera forma che è l'unica vera.

   Voler aggiungere a quanto la Sapienza ha rivelato, la Tradizione ha tramandato, la Parola ha confermato e spiegato, è aggiungere orpello all'oro. 
*Non sono i gettoni della scienza quelli che aprono le porte del Regno dei Cieli. 
*Ma lo sono le auree monete della Fede nelle verità rivelate, 
le auree monete della Speranza nelle promesse eterne, 
le auree monete della Carità praticata perché s'è creduto e sperato, quelle che dànno agli spiriti dei giusti e poscia alle carni e agli spiriti dei giusti il loro posto nella Città eterna di Dio.

   Mai sarà abbastanza detto che la scienza è paglia che empie ma non nutre, è fumo che offusca ma non illumina, che, ove sopraffaccia fede e sapienza, è veleno spirituale che uccide, è zizzania che dà frutto di falsi profeti di un verbo nuovo e di nuove teorie che non sono verbo divino né divina dottrina.

   Altrove, dove non è quanto più sopra s'è detto, vi è chi sembra vivo ed è morto. Ossia chi non ha che l'apparenza di ciò che dovrebbe essere, in tutto simile ad una statua bella e ben ornata, ma che è insensibile e non può comunicare ad altri la vita che non possiede. Bocche che parlano perché non possono tacere. Ma che non persuadono, perché manca nella loro parola quella potenza che convince. Non sono convinti essi stessi, e non possono convincere. Strumenti meccanici che parlano anche bene, come eloquenza, ma senz'anima.
  
   Ci sono sempre stati. Sono quelli dalla vocazione sbagliata. Entusiasti al principio. Poi il loro entusiasmo si spegne lentamente. E non hanno coraggio di ritirarsi. Meglio un pastore di meno a un pastore che pare vivo ed è morto nello spirito, o molto prossimo a morire. Al suo posto potrebbe andare uno vivo, per dare vita. Ma il falso, il più falso dei rispetti umani, li trattiene dal confessare apertamente: "Non sono più capace e mi ritiro".

   Ci sono sempre stati. Giuda di Keriot ne è il prototipo. Meglio era per lui ritirarsi al permanere e giungere al supremo delitto. "Colui che dopo aver messo la mano all'aratro si volge indietro non è atto al Regno di Dio" ha detto il Maestro divino. E chi non è atto è meglio che si ritiri anziché far perire molti, farne mormorare più ancora, recar nocumento al Sacerdozio con lo scandalo dato.
   La folla generalizza, e vede più facilmente il male del bene. Quando si comprende d'esser morti alla missione, ci si ritiri, ma non si permetta che la folla giudichi, generalizzando e nuocendo a tutta la classe. I rami destinati a dar linfa ai frutti, se divengono sterili vanno tagliati, perché non solo sono inutili, ma levano vigore alla pianta sol per ornarsi di pompose e inutili foglie.


   Sempre vi fu, nelle cose create perfette da Dio, una parte che non seppe rimanere tale. La prima defezione vi fu nell'esercito angelico, ed è un mistero impenetrabile come possa essere accaduta in spiriti creati in grazia, che vedevano Iddio, ne conoscevano l'Essenza e gli Attributi, le opere e i disegni futuri. Pure si ribellarono, non seppero permanere nel loro stato di grazia, e da spiriti di luce, viventi nella gioia e nella conoscenza soprannaturale, divennero spiriti di tenebre, viventi nell'orrore.
   La seconda defezione fu quella dei Progenitori, e anch'essa è cosa inspiegabile. Come poté accadere che due Innocenti, che godevano dei benefici innumerevoli di Dio e, per il loro felice stato di grazia e degli altri doni, erano in grado di conoscere e amare Dio come nessun altro uomo — eccetto il Figlio dell'Uomo e la Madre di Lui, perché pieni d'Innocenza e Grazia — potessero ascoltare, ubbidire il tentatore, e preferirlo, ad ascoltare la voce di Dio che li ammaestrava amorosamente e chiedeva loro una sola ubbidienza? Facile ubbidienza. Perché essi non avevano necessità di cogliere quel frutto per essere sazi di ogni appetito. Avevano tutto. Dio li aveva fatti ricchi di tutto quanto era loro necessario per essere felici, sani di corpo e di spirito. Pure si ribellarono, disubbidirono, non seppero permanere nel loro stato di grazia, e da creature viventi nella gioia e nella conoscenza soprannaturale divennero infelici nello spirito, nel cuore, nella mente, nelle membra. Affaticate queste per il lavoro, impaurita la mente per le difficoltà del domani immediato e del domani futuro ed eterno, affranto il cuore per l'uccisione di un figlio e la perfidia di un altro, abbattuto lo spirito, ormai avvolto nelle caligini della colpa che impedivano allo stesso di comprendere le amorose guide del Padre Creatore.
   La terza grande, misteriosa, inspiegabile defezione è quella di Giuda di Keriot che spontaneamente volle essere di Cristo, che per tre anni godé del suo amore, si nutrì della sua Parola e che, perché deluso nei suoi sogni concupiscenti, lo vendette per trenta denari, divenendo da apostolo, ossia eletto alla più alta dignità spirituale, il traditore dell'Amico, il deicida e il suicida.
   Queste le defezioni più grandi. Ma sempre ve ne sono, sebbene minori. Perché l'uomo è l'uomo. Perché ciò che è creato mai è eternamente perfetto come lo è il Creatore, eccettuato il Regno celeste dove solo spiriti confermati in grazia, e non più soggetti al peccare, hanno dimora, ed eccettuato il Figlio dell'Uomo e la Madre sua. Il primo perché era il Dio-Uomo, e quindi, come aveva unito alla sua persona d'Uomo la sua Persona di Dio, così aveva unito le sue perfezioni divine alle sue perfezioni umane. La seconda perché ai doni straordinari di cui Dio la colmò dal suo concepimento corrispose con una buona volontà ed una fedeltà raggiungenti una potenza quale nessuno dei santi mai la raggiunse e raggiungerà.

   E che l'uomo sia talora imperfetto non costituisce colpa imperdonabile. Dio è anche Misericordia. Ed è Pazienza. Egli attende il ravvedimento di chi erra, e perdona se esso ravvedimento è sincero. Quindi ogni uomo che cade può rialzarsi ed essere di nuovo giusto. Anzi può divenire più giusto, perché, conscio della sua debolezza, può essere meno orgoglioso di sé e più misericordioso verso i suoi simili nel ministero o nella sorte d'uomini.  Dio trae anche dal male il bene, quando l'uomo non si rifiuta ai suoi inviti e consigli e a quelli di altri suoi fratelli più santi di lui. Ma quando vede l'uomo ostinato nelle sue imperfezioni, pago di un quietismo che non gli fa commettere né il bene né il male, di un quietismo che fa di lui uno che pare vivo ma è morto, e col suo esser tale provoca la morte e il languore di molti, allora Dio viene a lui "come un ladro, né essi sapranno in quale ora verrà".

   Disse il Maestro ai suoi: "I vostri fianchi siano cinti ed accese nelle vostre mani le lucerne". Non disse già: "Riposate, dormite, perché ormai voi siete eletti, e siete a posto". Il servo di Dio è un operaio, e Dio vuole che operi ad ogni ora della sua giornata terrena. E tanto più operi, più ha da Dio ricevuto speciali amorosi doni d'elezione. "A chi molto fu dato molto sarà richiesto". E operi sull'esempio dato dal Maestro, esempio di pazienza, misericordia e amore instancabile. Perché come si vorrebbe vedere misurate da Dio le proprie debolezze, con ugual misura si deve misurarle alle altre creature, onde non incorrere nel rigore di Dio per aver con rigore, verso gli altri, misurato. "Con la misura da voi usata per misurare vi sarà rimisurato, e con giunta".

   Altrove ancora vi è poca virtù, praticata in forma eroica, ma fedeltà alla Parola sia per sé stesso, sia col lavorare perché altri gli siano o gli divengano fedeli, e costanza nel confessare il Nome del Signore anche davanti a schernitori o nemici del cattolicesimo. Non di persecutori, ma di oppositori, ma di sviati, ma di ignoranti di esso Nome e di Colui che lo porta. Quanti sono della "sinagoga di satana" o di quella del mondo, perché non sono istruiti nella Verità. Istruiti con pazienza e amore, secondo lo spirito del Vangelo, del suo Autore: Gesù, della sua Custode e Dispensiera: la Chiesa Romana.

   Anime che sono nelle tenebre ma che tendono istintivamente alla Luce. Anime che sono nell'errore di un culto idolatra o separato, ma che tendono istintivamente alla Verità. Anime che per loro propria natura tendono al Bene e appartengono così anche senza saperlo all'anima della Chiesa, e alle quali basta una mano, una parola, un aiuto apostolicamente fraterni, per divenire membra vive del Corpo mistico e adoratori del vero Dio.

   Ora, poiché è certo che chi salva o dà vita anche ad un'anima sola salva la propria e dà ad essa il premio della Vita eterna, perché Dio è infinitamente riconoscente a chi gli dona un figlio, è parimenti certo che Dio perdonerà molte cose a chi si industria di far entrare nelle vie del Signore — le vie che conducono al Cielo — molte anime, tenendo aperta la porta della misericordia, della verità, della sapienza: l'Evangelo; perché tutti quanti vogliano, dietro l'invito del ministro di Dio, entrarvi, trovino facile il farlo.
   Da questa rassegna e confronto tra le sette chiese di allora e lo stato attuale delle diverse religioni e chiese, viene quindi l'ammonimento e l'incitamento a non lasciar morire la carità; a non seguire umane dottrine, troppo simili a quella di Balaam, che sono ragione di scandalo, di avvelenamento e fornicazione spirituale dei piccoli, per quanto è "scandalo", e dei grandi per le altre due cose; a combattere quanti e chiunque abbia commercio o pratichi persone e atti di tenebre, fornicando con le potenze del male e della menzogna, e nutrendosi di cibi mentali sacrificati od offerti agli idoli di una scienza e di una curiosità impure; a scuotere da sé il quietismo e a tornar vivi, per dare la vita; a  riparare alla debole virtù lavorando con tutte le forze che si hanno per portare altri alla conoscenza di Dio e dell'Evangelo e, conseguentemente, alla virtù, onde i salvati perorino essi stessi presso il Padre dei Cieli e di tutti gli uomini, per il loro salvatore; ad ardere  per ardere, a splendere per illuminare, a staccarsi da quanto è concupiscenza anche solo di ricchezze, di potere, di salute e tranquilla comodità umana, per rivestirsi delle cose soprannaturali ed essere liberi, senza ostacoli nel lavoro apostolico.

 Allora coloro che vollero divenire santi, vincendo tutte le cose contrarie alla santità, riceveranno il "nome nuovo", si nutriranno dell'"albero della vita", della "manna nascosta", saranno rivestiti della "candida veste", coronati della "corona" di gloria celeste, fatti "colonna" del Tempio eterno, e "siederanno sul trono" che è preparato per i vincitori.



BEATI QUEI FIGLI FEDELI PERCHE' FEDELE CON LORO SARO'

AMDG et DVM