sabato 30 agosto 2014

Leggiamo il Vangelo o Scrittura Sacra

 
Vangelo o Scrittura Sacra
1. Che cosa è la Sacra Scrittura?
2. Differenza tra l'antica e la nuova Legge. ­
3. Necessità della Scrittura o della Rivelazione.
4. I quattro Evangelisti. ­
5. Diversi sensi della Scrittura.
6. Antichità del Vangelo.
7. Eccellenza della Sacra Scrittura.
8. La Sacra Scrittura contiene la vera scienza.
9. Il Vangelo dà la vera libertà.
10. Santità del Vangelo.
11.Vantaggi della Sacra Scrittura.
12. Come bisogna leggere e studiare la Sacra Scrittura. ­
13. Mezzi per profittare della Sacra Scrittura.

1. CHE COSA È LA SACRA SCRITTURA? - Ci dicono S. Atanasio e S. Agostino, che S. Antonio chiamava la Sacra Scrittura «una lettera in­viata dal cielo agli uomini (August. in Psalm. XC)». Non altrimenti si esprime S. Gregorio Magno, che la chiama «un'epistola dell'Onnipotente alla sua creatura (Lib. IV, epist. LXXXIV)». 
E infatti, dice S. Cipriano, «lo Spirito Santo è colui che dettò e scrisse la Sacra Scrittura; i Profeti (gli Evangelisti, gli Apostoli) non erano che la mano, o meglio, la penna che vergava quello che lo Spirito Santo dettava (Serm. de Eleem)». Che cosa è il Vangelo? È il libro di Gesù Cristo; la filosofia di Gesù Cristo; la teologia di Gesù Cristo; è la preziosa, la buona novella della redenzione; è la grazia, la salute eterna del genere umano, arrecata al mondo da Gesù e concessa ai credenti.


2. DIFFERENZA TRA L'ANTICA E LA NUOVA LEGGE. - 


L'Antico Testamento è il Nuovo Testamento nascosto sotto figura; il Nuovo è l'Antico svelato e dichiarato. «Il Nuovo Testamento, dice S. Wilibaldo, è in confronto all'Antico, quello che è la luce in confronto dell'ombra, quello che è la verità in confronto della figura, l'anima in confronto del corpo, la vita in confronto di ciò che essa vivifica. Infatti, come il corpo riceve vita dall'anima, così le promesse dell'antico Testamento ricevettero la loro dichiarazione e il loro avveramento dalla verità manifestataci da Gesù Cristo nel Nuovo (in eius vita a Philipp. Episc.)».

La differenza fra l'antica e la nuova legge, consiste, 
1° nel loro autore; quella fu promulgata da Mosè e poi dai Profeti; questa fu dettata da Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo... 2° L'antica è meno perfetta della nuova... 3° L'antica non è che un'ombra della nuova; il Vangelo è la verità nel suo chiarore...4° La prima era legge di timore, la seconda è legge di amore... 5° La legge prometteva beni terreni e perituri; il Vangelo promette la grazia, il cielo e vi ci conduce... 6° La legge era giogo pesante e grave; il Vangelo è giogo dolce e leggero... 7° La legge era la via verso Gesù e il Vangelo; il Vangelo e Gesù Cristo sono il termine della legge (Rom. X, 4)... 8° La legge fu data ai soli Giudei; il Vangelo, a tutte le nazioni... 9° La legge era temporanea; il Vangelo durerà in eterno... 10° Quella era imperfetta; questo è perfetto, sia in ordine al dogma, sia in ordine alla morale... 11° L'antica legge era come una legge di schiavitù; la nuova è legge di libertà, di beneficenza universale, di carità... 12° La legge imponeva solamente dei comandi e non oltrepassava ciò che è conforme alla natura; il Vangelo dà precetti e consigli, insegna e insinua cose soprannaturali e divine... 13° La legge propone all'intelligenza il precetto puro e semplice; il Vangelo offre la grazia insieme con i precetti e i consigli, affinché si adempiano e gli uni e gli altri... 14° La legge non ha fatto nessun apostolo; il Vangelo ne ha prodotto moltissimi...


3. NECESSITÀ DELLA SCRITTURA o DELLA RIVELAZIONE. - 


«Oltre gli insegnamenti della filosofia è necessaria, dice S. Tommaso, alla sa­lute del genere umano, una certa dottrina insegnata da Dio (1.a l.ae q. art. 1)». Quest'insegnamento o rivelazione è necessaria per conoscere le cose che superano l'intelletto umano e le forze della natura. La rivelazione è anche necessaria, dice lo stesso Dottore, nelle cose stesse che la filosofia può scoprire con la luce naturale; poiché queste verità intravvedute dalla filosofia non si manifestano che ad un piccolo numero di uomini e solo dopo lunghi studi, e non mai scevre affatto di errori. Ci bisogna dunque una verità rivelata che diriga la filosofia, corregga gli errori e sia facilmente conosciuta da tutti, in modo positivo e certo. Ora, per questo, non è sufficiente la luce naturale.


4. I QUATTRO EVANGELISTI. - 


Con diversi simboli sono raffigurati i quattro Evangelisti, secondo la diversa indole della loro narrazione. 
S. Matteo viene rappresentato con accanto una testa d'uomo, perché racconta in modo speciale la vita di Gesù Cristo come uomo. 
Vicino a S. Marco si dipinge un leone, perché quest’Evangelista mette particolarmente in mostra la potenza e la sovranità di Gesù Cristo. 
S. Luca si appoggia a un bue, perché nel suo Vangelo Gesù ci compare sotto lo speciale titolo di vittima destinata a surrogare tutte le vittime antiche. 
S. Giovanni finalmente ha per emblema l'aquila, per dinotare che carattere suo speciale fu di penetrare fino nel seno del Padre, e di qui svelarci la divina origine di Gesù Cristo. S. Matteo dunque ci espone l'umanità del Salvatore; S. Marco, la sua sovranità; S. Luca, il suo sacerdozio; S. Giovanni, la divinità.


5. DIVERSI SENSI DELLA SCRITTURA. - 


Quattro sono i principali sensi contenuti nella Bibbia; il senso letterale che narra i fatti; l'allegorico che indica quello che si deve credere; il tropologico, o morale; che indica quello che si deve fare; l'anagogico che accenna quel che s'ha da sperare (*).

[ * Il Lirano ha compreso questi sensi nel seguente distico: - Littera gesta docet; quid credas, allegoria; - Moralis, quid agas; quid speres, anagogia]


La città di Gerusalemme, per esempio, nel significato letterale mostra la capitale della Giudea; nell'allegorico, figura la Chiesa di Gesù Cristo; nel morale, rappresenta l'anima fedele; nell’anagogico simboleggia la patria celeste. Si aggiunge comunemente un quinto senso che è l'accomodatizio o interpretativo. Si è liberi di servirsi di tutti questi sensi, purché non si offenda né il dogma, né la morale, né il culto approvati dalla Chiesa. Gravissimo delitto è poi sempre torcere a sensi nefandi o peggio, falsificare le Sacre Scritture. «Conserva, o Timoteo, scriveva S. Paolo, il buon deposito, per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi, schivando la profana novità dei vocaboli, e i cavilli di una scienza che non merita questo nome» (II, I, 14 - I, VI, 20).


6. ANTICHITÀ DEL VANGELO. - 


S. Paolo scrive: «Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato all'apostolato, eletto ad annunziare il Vangelo, già prima promesso da Dio per mezzo dei profeti nelle Sacre Scritture» (Rom. I, 1-2). Queste parole vogliono dire: Il Vangelo che io vi annunzio non è cosa nuova, né trovata da poco tempo, né inven­tata da me o da altri, ma è l'opera decretata da Dio fin dall'eternità. Perciò esso fu altre volte promesso da tutti i santi profeti, come cosa preziosa, salutare, certa, verissima, divina, annunziata, confermata e consolidata nel corso dei secoli; e in questo senso si deve intendere il detto di Cicerone: «La verità è figlia del tempo» - Temporis mia veritas (Offic.). E poi non è forse vero che l'antica legge conteneva in germe la nuova?...


7. ECCELLENZA DELLA SACRA SCRITTURA. - 


S. Paolo dice che il nostro Salvatore Gesù Cristo distrusse la morte e fece splendere la vita e l'incorruttibilità per mezzo del Vangelo... Infatti ogni scrittura inspi­rata da Dio è utile a insegnare, a riprendere, a correggere, ad istruir nella giustizia; affinché l'uomo di Di,o sia perfetto, e atto ad ogni opera buona (II Tim. I, 10), (Ibid. III, 16-17)... La Sacra Scrittura è un largo fiume, su le cui sponde verdeggiano alberi vigorosi ed altissimi, che sono i Santi.

Di lei, e particolarmente del Vangelo, Dio dice: «Ascolta, o po­polo, la legge uscirà dalla mia bocca; la mia giustizia illuminerà i popoli e si poserà in mezzo a loro» (ISAI. XLI, 4). La legge evangelica è chiamata giustizia, perché offre agli uomini la giustificazione, affinché vivano nella giustizia, nella pietà, nella santità. E chiamata giustizia, perché chi la riceve è giudicato degno del cielo e chi la ri­getta è da lei condannato all'inferno... Così ricca, così preziosa, così ben diretta è dallo Spirito Santo la Sacra Scrittura, che si confà a tutti i luoghi, a tutti i tempi, a tutte le persone; aiuta a superare le difficoltà, i pericoli, le malattie; a scacciare i mali, a procacciare i beni, a spegnere gli errori, a distruggere i vizi, a far fiorire ogni sorta di virtù.


Perciò non vi è da stupire se S. Giovanni Crisostomo scriveva: «La Sacra Scrittura è il regno dei cieli, ossia la beatitudine alla quale conduce; Gesù Cristo, nostra ragione e nostro verbo, ne è la porta; i sacerdoti ne sono i portinai; la chiave è parola della scienza; l'a­pertura è l'interpretazione fedele della medesima (In Catena)». Ugo da S. Vit­tore la celebra come il libro della vita, la cui origine viene dall'es­senza eterna e spirituale; scrittura indelebile, vista desiderabile, dot­trina facile, scienza dolce, profondità incommensurabile, unione di tutte le verità, le quali però ne formano fra tutte una sola (Tract. de Arca Noe). Anche l'abate Ruperto osserva che questo libro della Sacra Scrittura è uno solo, ed è per ciò che porta tal nome; è un solo ed unico libro, perché scritto da un solo Spirito; perché è il tesoro, il tabernacolo della parola di Dio che è una (In Etich.)».


8. LA SACRA SCRITTURA CONTIENE LA VERA SCIENZA. -


La Sacra Scrittura è di tutti i libri il più perfetto, di tutte le scienze la più certa, la più augusta, la più efficace, la più saggia, la più utile, la pIù solida, 1a più necessaria, la più estesa, la più sublime. È la sola necessaria, perché è la parola di Dio. Non è Mosè che parla, ma Dio: non sono i patriarchi e i profeti che parlano, ma è Dio. Non sono gli Evangelisti, gli Apostoli che parlano, ma è Dio. Ora Dio possiede ogni scienza e la possiede immune da ogni errore... 
La verità del Vangelo consiste principalmente in tre cose: 1° nella sincera conoscenza di Dio; 2° nella conoscenza della incarnazione e della redenzione; 3° nella conoscenza della vera felicità.

Il grande Apostolo, dopo di aver detto che Dio ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo (I Timoth. I, 10), esorta Timoteo a stare saldo nelle cose che aveva appreso e che gli erano state confidate, ben sapendo da chi le avesse imparate; e gli ricorda come fin da ragazzo avesse conosciuto le sacre lettere che possono istruirlo a sa­lute, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù (II Id. III, 14-15). «Il giudizio di Dio illuminerà i popoli», pro­fetava Isaia (LI, 4). La legge evangelica, a cui alludono queste parole, è chiamata giudizio, perché ci insegna quali siano i pensieri e i giudizi di Dio; ci manifesta quello che piace o dispiace a Dio, quello che approva o che condanna.


«Come bambini neonati, cercate il latte spirituale, dice S. Pietro, affinché vi faccia crescere a salute» (1 PETR. II, 2). L'Apo­stolo ci ordina di succhiare del continuo, dalle mammelle della Chiesa nostra santa madre, il latte della dottrina evangelica per istruirei e nutrirci e crescere nella sapienza e nella sanità spirituale. E sapete voi perché questa dottrina è chiamata tale? 1° per indicarne la soavità e la dolcezza...; 2° perché nutre e ingrassa l'anima, come il latte materiale nutre e ingrassa il corpo...; 3° perché purifica l'anima e la rende candida come il latte...; 4° perché è schietta, semplice e naturale come il latte...; 5° il latte è il cibo più appetitoso per i bambini; toglie loro la voglia di altri cibi e procura un dolce sonno; cosi la dottrina di Gesù Cristo forma le delizie dell'anima, la, calma, l'acquieta, e la rende felice nella verità... Sapere e conoscere la Sacra Scrittura, è dunque lo stesso che possedere la scienza della verità e della felicità, la scienza delle scienze.


Ma se a tutti i fedeli importa essere ammaestrati delle sacre carte, è debito tutto speciale di coloro che hanno l'ufficio di dispensarla, l'esserne istruiti a fondo. A loro dice il Signore: «Amate la luce della sapienza, voi tutti che presiedete ai popoli» (Sap. VI, 23). Scorrete i campi deliziosi della Scrittura e come l'ape, cogliete e riponete nell'alveare della vostra memoria i vari odorosissimi fiori del Vecchio e Nuovo Testamento; il giglio della castità, l'oliva della carità, la rosa della pazienza, i grappoli della perfezione spirituale... Tutta la teologia è fondata su la Santa Scrittura; poiché la teologia non è altro che la scienza delle conclusioni ricavate dai principi certi della fede. Da ciò si vede chiaramente che la Sacra Scrittura getta le basi della teo­logia; basi e principi sui quali il teologo forma e dispone le sue dimostrazioni per mezzo del ragionamento.


La Sacra Scrittura contiene in certo qual senso tutto lo scibile umano; abbraccia le scienze naturali e soprannaturali; fa conoscere l'essenza divina medesima con i suoi attributi... La Sacra Scrittura parla del principio delle cose, dell'ordine della natura, di Dio e dei suoi attributi, dell'immortalità dell'anima, della vera uguaglianza, della fraternità, delle pene, delle ricompense, di tutto ciò che esiste; e ne discorre in modo più esatto, più solido, più sublime di quello che non saprebbero fare tutti gli scienziati uniti insieme. S. Basilio dà per regola, che qualunque cosa facciamo o diciamo, procuriamo di appoggiarla su la testimonianza delle divine Scritture, a confor­mazione della fede dei buoni e a confusione dei malvagi (In Etich. Reg. XXVI, c. I).


S. Vincenzo Ferreri, che tante strepitose conversioni ottenne in Francia, in Italia, in Ispagna, in Germania, con le sublimi e commoventi sue prediche, non portava con sé altro libro che la Bibbia, e nient'altro predicava che la Bibbia (In Vita). S. Antonio da Padova citava così spesso e spiegava così bene la Sacra Scrittura, la insegnava e predicava con tanta eloquenza e forza, che il Sommo Pontefice lo chiamò col nome di Arca del Testamento (In Vita).


La Sacra Scrittura è l'arca del Testamento; in essa stanno chiuse tutte le meraviglie, tutte le scienze, tutte le perfezioni. Dobbiamo portare questo libro con gran rispetto, cioè leggerlo, studiarlo, ascol­tarlo con molto desiderio e profonda riverenza. «La continua medita­zione della Sacra Scrittura, fa dell'anima l'arca del Testamento ­», dice Cassiano (Collat.); e S. Gerolamo ci esorta ad avere in noi l’arca del Testamento; ad essere i custodi della legge di Dio, i cherubini della scienza; cosicché il nostro spirito meriti il nome di oracolo (Epist.).


9. IL VANGELO DÀ LA VERA LIBERTÀ. - «Chi mirerà addentro nella legge perfetta della libertà, scrive S. Giacomo, e in essa persevererà, non essendo uditore smemorato, ma fattore di opere, questi nel suo fare sarà beato » (IAC. I, 25). 

1° La legge evangelica è la legge perfetta, la legge di libertà e non di servitù qual era la legge antica. La libertà della legge evangelica dataci da Cristo ci libera dai precetti legali e cerimoniali, ma non dai morali, cioè dal Deca­logo; poiché questa legge non obbliga in quanto è legge promulgata da Mosè, ma in quanto è legge di natura, sanzionata da Dio e rinno­vata da Gesù Cristo... 
2° Essa libera dal peccato e dalla potestà del demonio e dell'inferno... «La sola vera libertà agli occhi di Dio, è la libertà dal peccato», dice S. Gerolamo (Lib. sup. Matth.). 3° Questa legge libera dalla corruzione e dal timore; di modo che possiamo adempire la legge evangelica, non per timore della vendetta, ma per amore della giu­stizia. I Cristiani non sono schiavi come i Giudei, ma sono figli di Dio..


10. SANTITÀ DEL VANGELO. -

La santità del Vangelo consiste: 1° nell'esenzione da ogni errore...; 2° nel culto del vero Dio...; 3° nell’amore e non nel timore servile...; 4° nella dottrina di salute che contiene...; 5° il Vangelo conduce egli medesimo alla santità ed alla perfezione... Nessuno diventa e nessuno è veramente santo, se non a proporzione dell'esattezza con cui osserva il Vangelo; più si osserva, e più si cresce in santità.


11. VANTAGGI DELLA SACRA SCRITTURA. - 


Secondo la bella osservazione di S. Agostino, quando preghiamo, noi parliamo a Dio; ma quando leggiamo le divine Scritture, Iddio medesimo parla con noi (Serm. XCII, de Temp.); per­ ciò il medesimo Santo diceva: «Le tue sacre pagine, o Signore, for­mano le mie caste delizie; seguendo loro, né posso ingannarmi, né
ingannare (Confess. lib. II, c. II)». Che prezioso vantaggio non è quello di aver sem­pre tra le mani i Libri sacri, di leggere e rileggere a nostro piaci­mento quelle lettere divine che Dio medesimo ci ha consegnato e che sono i testimoni incorruttibili e certi della volontà divina! O dolce e salutare cosa è mai quella di consultare Dio, e consultarlo sovente!... Per la pratica del Vangelo, gli uomini diventano re; acquistare una sovranità non effimera, non terrena, non faticosa, ma durevole, ce­leste, piena di soavità e di consolazioni.


S. Agostino ci assicura che ogni malattia dell'anima trova nella Sacra Scrittura il farmaco conveniente (Epistad Votusian.); S. Basilio la chiama una farmacia aperta a tutti e provvista di ogni genere di rimedi effica­cissimi per qualunque sorta di mali (Homil. in Psalm. I). 
Si, la Bibbia è un tesoro immenso, una farmacia fornitissima di tutto ciò che conviene ai vari tempi, e luoghi, e bisogni, e malori della gente. Essa infuse il coraggio e diede la costanza ai martiri; essa formò i dottori istruendoli e ren­dendoli atti ad istruire gli altri. Essa è la luce della sapienza, il fiume dell'eloquenza, il martello dell'eresia; essa insegna a stare bassi e umili nella prosperità, grandi nell'avversità, laboriosi e vigilanti nelle tentazioni; essa riforma i costumi e li conserva intatti; dà vita e nu­trimento alle virtù; arresta, sradica, distrugge, ogni radice di vizio; essa è, in una parola, via, verità e vita.


12. COME BISOGNA LEGGERE E STUDIARE LA SACRA SCRITTURA. - 


S. Giovanni Evangelista racconta che vide nella destra di colui che stava assiso sul trono, un libro scritto dentro e fuori, e chiuso con sette sigilli (Apoc. V, l). Qual è questo libro chiuso da sette sigilli? Moltissimi Dottori insegnano che esso è la Sa­cra Scrittura; e nel primo sigillo vedono la profondità della Scrittura in se stessa; nel secondo, la molteplicità dei sensi che racchiude; nel terzo, la varietà delle figure; nel quarto, la sublimità della dottrina; nel quinto, l'oscurità dei misteri; nel sesto, la soavità del senso tropologico; nel settimo, l'ineffabile e trasparente verità mescolata alle cose misteriose... Gesù Cristo ha aperto questo libro suggellato, quan­do, prima di salire al cielo, diede ai suoi Apostoli l'intelligenza delle Scritture (Luc. XXIV, 45). Li confermò in quest'intelligenza e l'accrebbe in loro quan­do mandò sopra di loro lo Spirito Santo.

La Sacra Scrittura è un oceano senza fondo; sublimi, profondi, impenetrabili all'ingegno umano sono i suoi molteplici sensi; di ma­niera che S. Agostino esclamava: Mirabile è la profondità delle vostre Scritture, o Signore; esse non si possono considerare senza timore: timore di rispetto e timore di amore. Altrove confessava essere nella Sacra Scrittura molte più le cose ch'egli ignorava, che non quelle che sapeva (Epist. CXIX). Perciò con grande diffidenza di noi medesimi, e non senza la scorta di eruditi e provati interpreti, dobbiamo imprendere la lettura e lo studio dei libri divini. «Nella Sacra Scrittura, l'umile agnello, secondo la frase di S, Gregorio, nuota; il superbo elefante si annega (Praefat. in lib. mor., c. VI)». 

S. Gerolamo attesta di se medesimo che fin da fan­ciullo non aveva mai cessato dal leggere e dal consultare i dotti, e non si era mai fidato ai suoi lumi. E' alla fine si era recato in Ales­sandria a trovare Didimo, perché lo illuminasse e gli sciogliesse tutte le difficoltà che trovava nelle Sacre Scritture (praefat. in Epl, ad Eph.). Altrove, cioè nella lettera a Paolino, il medesimo santo Dottore ricorda come Paolo Apo­stolo si riteneva onorato di avere imparato la legge di Mosè e i Pro­feti ai piedi di Gamaliele.

Ruffino cosi parla dei santi Basilio e Gregorio Nazianzeno: Questi due nobili giovani, i più eruditi di Atene, e stretti in amicizia da tre­dici anni, messi da parte tutti i libri profani dei Greci, fecero loro unica occupazione lo studio delle Sacre Scritture, e ne cercavano l'intelligenza non nel loro ingegno, ma negli autori più dotti e più accreditati, e da quelli che discendevano dagli Apostoli (Histor. 1. II, c. IX). Dimostravano così in se medesimi il contegno del vero saggio il quale, come dice l'Ecclesiastico, interroga la sapienza di tutti gli antichi, studia continuamente nei Profeti; fa tesoro dei detti degli uomini; cerca di penetrare il senso delle parabole e di scoprire il senso occulto dei Proverbi (Eccli. XXXIX, 1-3). Fra gli interpreti poi della Sacra Scrittura si devono preferire quelli che alla dottrina accoppiano la santità, perché, come dice S. Gerolamo, «la vita dei Santi è interpreta­zione vivente della Scrittura» (Ep. ad Paulin.). L'esempio degli eretici ci sta dinanzi a mostrarci in quali scogli rompe e in quali errori precipita chi, non secondo l'interpretazione approvata dalla Chiesa, ma a proprio talento, si mette a studiare i Sacri Libri.


La Sacra Scrittura si deve leggere con profondo rispetto: vi erano anticamente nelle chiese due tabernacoli, l'uno dirimpetto all'altro: in uno si conservava la santissima Eucaristia, nell'altro la Bibbia. Prova palpabile ed evidente della riverenza grandissima ed infinita in cui la Chiesa ha sempre tenuto e l'Eucaristia e i Libri Sacri. San Carlo Borromeo non leggeva mai la Sacra Scrittura se non in ginoc­chio e a capo scoperto (In Vita).


13. MEZZI PER PROFITTARE DELLA SACRA SCRITTURA. - l° Bisogna leggere la Sacra Scrittura spessissimo...; 2° leggerla con umiltà...; 3° con purità di cuore...; 4° accompagnare la lettura con la preghiera...; 5° consultare uomini di scienza e di pratica, svolgere buoni commentari. Ecco i mezzi necessari per raccogliere abbondanti frutti dalla lettura e dalla meditazione dei Libri Sacri... Senza la scienza della Bibbia, acquistata per questa via, non si possono dare buoni e zelanti predicatori, veri apostoli.


Lo studio, l'amore al lavoro, il ricorso a Dio sono mezzi indispen­sabili a chi vuol trarre dalla lettura della Sacra Scrittura il profitto che se ne deve aspettare. «Se piacerà al Signore, dice l'Ecclesiastico, egli lo riempirà dello spirito d'intelligenza; e allora questi ti spargerà come pioggia le parole della sua sapienza e confesserà il Signore con la preghiera. Iddio ne dirigerà i consigli e le determinazioni, ed esso indagherà i segreti del Signore. Pubblicherà le lezioni che ha rice­vuto, ed avrà gloria nella legge dell'alleanza di Dio. Il popolo encomierà la sua sapienza; e questa sua sapienza non cadrà mai in oblio (Eccli. XXXIII, 8-9). Quindi la meditazione, la preghiera, la lettura, il lavoro, l'umiltà, la purità, lo studio dei Padri, una condotta pia, sono le chiavi della Sacra Scrittura. Queste chiavi sono un dono del cielo; esse ci vengono da Dio, e a Dio ci conducono aprendoci il cielo (CHRYS. In Psalm.).


Non dimentichiamo poi quella massima di S. Gerolamo, che male si confanno alla spiegazione dei testi sacri le ricercatezze dell'elo­quenza mondana e i fiori di una rettorica tutta profana, ma a loro conviene soltanto l'erudizione e la semplicità del vero (proem. in lib. IIIComment. in Amos.), In questo argomento più che mai convengono quelle parole di Manilio: «Il tema non chiede, anzi sdegna ogni ornamento; di altro non ha bisogno che di essere messo in luce»; e quelle altre di Fabio: «Le grandi cose sono di lustro a se stesse; non si devono imbellettare per renderle amabili» (De Philos.).

venerdì 29 agosto 2014

Sermone Angelico - Venerdì - Santa Brigida


Nelle tre lezioni che seguono l'angelo tratta delle amarissime pene della gloriosa Vergine per la dolorosa morte del Figlio, e della costanza d'animo che la Vergine ebbe in tutti i suoi dolori.
LEZIONE PRIMA – CAPITOLO XVI  
Venerdì
Assoluzione: Ci riconcilii a Cristo redentore la vergine Madre del suo Creatore. Amen.

Si legge che la Vergine Maria si turbò all'annunzio dell'angelo. Certo, essa non si spaventò allora di qualche pericolo del suo corpo, ma ebbe timore che dall'inganno del nemico del genere umano le venisse qualche nocumento dell'anima. Perciò deve intendersi che quando lei giunse all'età che il suo senso ed intelletto poterono conoscere Dio e la sua volontà, come cominciò subito ad amarlo consapevolmente, così anche ad averne salutare timore. Giustamente, dunque, questa Vergine può chiamarsi rosa piacente; perché, come la rosa suol crescere tra le spine, così questa veneranda vergine crebbe nel mondo tra le tribolazioni. E, come la rosa, quanto più si espande crescendo, tanto più forte e acuta ne diventa la spina, così anche quest'elettissima rosa Maria, quanto più cresceva in età, tanto più a fondo era punta dalle spine di più forti tribolazioni.

Trascorsa finalmente l'età giovanile, il timore di Dio fu la sua prima tribolazione, perché non solo era angustiata dal più grande timore nella preoccupazione d'evitare i peccati, ma anche non poco penava nel ricercare come fare con perfezione le opere buone. E benché ordinasse con ogni attenzione pensieri, parole ed opere ad onore di Dio, temeva che in esse vi fosse qualche difetto. Considerino, dunque, gli stessi miseri peccatori che continuamente ardiscono commettere volutamente perverse lusinghe d'ogni genere, quanti tormenti e quante miserie accumulano alle loro anime, vedendo che questa gloriosa Vergine, immune da ogni peccato, compiva con timore anche le sue opere sommamente piacevoli a Dio. Comprendendo poi dalle sacre scritture dei profeti che Dio voleva incarnarsi, e che doveva essere straziato da svariate pene nella sua carne assunta, ne provò subito nel suo cuore, per il fervente amore che aveva verso Dio, non poca afflizione, benché non sapesse ancora ch'essa doveva esserne la madre.

Quando poi pervenne all'età che il Figlio di Dio divenne suo Figlio e sentì ch'egli aveva preso nel suo seno il corpo che doveva dar compimento in sé alle predizioni dei profeti, allora la mitissima rosa sembrava crescere maggiormente e dilatarsi nella sua bellezza, e le spine delle afflizioni, pungendola aspramente, si facevano sempre più dure e pungenti. Perché, come le veniva grande ed ineffabile gioia nella concezione del Figlio, così anche, al pensiero della crudelissima futura passione, il suo animo era afflitto da molteplice tribolazione. Godeva, infatti, la Vergine che il Figlio suo, con la sua umiltà, avrebbe ricondotti alla gloria del regno celeste i suoi amici, ai quali il primo uomo, per la sua superbia, aveva meritata la pena dell'inferno. Ma si addolorava perché, come l'uomo per la cattiva concupiscenza aveva peccato nel Paradiso in tutte le sue membra, così prevedeva che il Figlio suo, ad espiare il peccato dello stesso uomo, avrebbe soddisfatto nel mondo con atrocissima morte del proprio corpo. Esultava la Vergine per aver concepito il suo Figlio senza peccato e diletto carnale, ed averlo partorito senza dolore, ma si affliggeva prevedendo che un figlio così dolcissimo sarebbe morto d'ignominiosissima morte, e che lei stessa ne avrebbe vista la morte nella suprema ambascia del suo cuore.

Godeva inoltre, la Vergine, prevedendo che egli sarebbe risorto dalla morte, e per la sua passione sarebbe stato elevato al supremo fastigio di eterno onore; ma si addolorava prevedendo anche che, prima di quell'onore, sarebbe stato orrendamente straziato da atroci dolori, contumelie ed insulti.

Deve veramente credersi senza esitazione che, come la rosa sta costantemente eretta nella sua posizione, benché le spine all'intorno siano divenute più forti e più acute, così questa benedetta rosa, Maria, teneva l'animo talmente saldo che, per quanto le spine della tribolazione ne pungessero il cuore, non ne mutavano però la volontà, che si mostrava prontissima a soffrire e fare qualunque cosa piacesse a Dio. Molto degnamente, quindi, è paragonata a rosa che fiorisce, e propriamente alla rosa di Gerico; perché, come della rosa di quel luogo si legge che supera nella sua bellezza gli altri fiori, così Maria, con la bellezza della sua onestà e dei suoi costumi, supera tutti i viventi in questo mondo, eccettuato soltanto il suo benedetto Figlio. Perciò, come Dio e gli angeli gioivano per la sua virtuosa costanza nel cielo, così nel mondo si rallegrano sommamente di essa gli uomini, considerando con quanta pazienza si comportava nelle tribolazioni e con quanta prudenza nelle consolazioni.
LEZIONE SECONDA – CAPITOLO XVII  
Venerdì
Assoluzione: Ci scampi di sua madre per la prece chi per noi col suo sangue soddisfece. Amen.

Tra le altre cose che le voci dei profeti predissero del Figlio di Dio, preannunziarono anche qual dura morte voleva soffrire in questo mondo nel suo innocentissimo corpo, affinché gli uomini godessero eterna vita con lui in cielo. Preannunziavano poi i profeti, e lo scrivevano, come lo stesso Figlio di Dio, per la liberazione del genere umano, doveva esser legato e flagellato, e in qual modo doveva esser condotto alla croce, e quanto ignominiosamente doveva esser trattato e crocifisso. Perciò, credendo noi ch'essi sapevano bene per qual motivo l'immortale Dio volle assumersi carne mortale ed essere straziato in questa sua carne in tutti i modi, ne consegue che la fede cristiana non deve dubitare che anche più chiaramente sapesse questo la nostra Vergine e signora, che Dio prima dei secoli si era predestinata come madre; né è giusto credere che alla stessa Vergine fosse nascosta la ragione per cui Dio si degnava di vestirsi di umana carne in seno a lei. E certamente deve credersi che dall'ispirazione dello Spirito Santo essa comprese, più perfettamente degli stessi profeti, tutto quello che le loro parole illustravano, dicendo essi con la bocca le parole ispirate dallo stesso Spirito.

Quindi deve certissimamente credersi che, quando la Vergine, dopo averlo partorito, prese per la prima volta il Figlio di Dio tra le sue braccia, subito le venne in mente come egli doveva adempiere le scritture dei profeti. Quando poi lo avvolgeva nei panni, allora considerava nell'animo con quanto fieri flagelli doveva esser lacerato il suo corpo, da dover sembrare quasi un lebbroso. Anche raccogliendo dolcemente mani e piedi del suo Figlio bambino nelle fasce, la Vergine ripensava con quanto strazio dovevano esser trapassati da chiodi di ferro sulla croce. Guardando poi il volto dello stesso suo Figlio, bellissimo fra tutti i figli degli uomini, meditava con quanta irriverenza empie labbra l'avrebbero lordato di sputi.

Ripensava anche dentro di sé la stessa Madre con quanti schiaffi sarebbero state colpite le guance di questo suo Figlio, e di quanti insulti e contumelie avrebbe avuto ripiene le benedette orecchie, ora immaginando come i suoi occhi si sarebbero offuscati dal fluire del suo sangue, ora come la sua bocca sarebbe stata amareggiata da aceto misto a fiele, ora ripensando come le sue braccia avrebbero dovute esser legate con funi, e come anche i suoi nervi e le sue vene e tutta la compagine del suo corpo dovevano esser distese crudelmente sulla croce, i suoi precordi contrarsi nella morte, e come tutto il suo glorioso corpo doveva essere straziato dentro e fuori, con suprema amarezza ed angoscia, fino a morirne. Sapeva ancora la Vergine che, esalato in croce lo spirito di quel suo benedetto Figlio, una lancia acutissima doveva trafiggerlo, trapassandogli in mezzo il cuore. Perciò, come era la più felice delle madri, quando vedeva il Figlio di Dio, nato da lei, sapendolo vero Dio e vero uomo, mortale nell'umanità ma eternamente immortale nella divinità, era anche la più afflitta delle madri, prevedendone l'amarissima passione.

Per tal modo, alla sua grandissima letizia andava sempre unita una grandissima tristezza, come se a una donna che partorisce si dicesse: « Hai partorito un figlio vivo e sano in tutte le sue membra, ma la pena che hai avuta nel parto durerà fino alla tua morte! »; ed ella, ascoltando ciò, godesse della vita salva di suo figlio, ma si rattristasse del patimento e della morte propria; certamente la tristezza di questa madre, proveniente dal ricordo della pena e morte del suo proprio corpo, non sarebbe più grave del dolore della Vergine Maria, ogni volta che rimuginava nell'animo la futura morte del suo amatissimo Figlio.

Comprendeva la Vergine che le predizioni dei profeti avevano già preannunziato ch'era necessario che il suo dolcissimo Figlio soffrisse molte e gravi pene, ed anche il giusto Simeone aveva predetto, non da lontano come i profeti, ma davanti a lei stessa, che la sua anima doveva esser trapassata da spada. Per cui deve notarsi che, siccome le forze dell'animo sono più forti e sensibili di quelle del corpo, così l'anima benedetta della Vergine, che la spada doveva trafiggere, era più afflitta dalla tristezza prima che il Figlio suo patisse, di quanto una donna possa soffrire prima di partorire un figlio. Perché quella spada di dolore si avvicinava ognor più al cuore della Vergine, quanto più il suo diletto Figlio si avvicinava al tempo della sua passione. Quindi deve credersi senza dubbio che l'affettuosissimo e innocentissimo Figlio di Dio, compatendo filialmente i dolori della madre sua, li alleviava con frequenti consolazioni. Altrimenti la vita di lei non avrebbe potuto durare fino alla morte del Figlio.
LEZIONE TERZA – CAPITOLO XVIII  
Venerdì
Assoluzione: Propiziazione al Padre per noi sia la passione del Figlio di Maria. Amen.

Finalmente la dolorosa punta della spada punse crudamente il cuore della Vergine, allorquando il Figlio disse: « Mi cercherete e non mi troverete ». E, dopo che fu tradito da un suo discepolo e catturato come loro piacque dai nemici della verità e della giustizia, allora la spada del dolore veniva trafiggendo cuore e precordi della Vergine, e trapassandone duramente l'anima, apportava gravissimi dolori a tutte le membra del suo corpo. Ogni volta, infatti, che al suo amatissimo Figlio venivano inferti tormenti ed obbrobri, anche nell'animo della Vergine infieriva con ogni amarezza quella spada crudele.

Vedeva invero il Figlio schiaffeggiato da empie mani, crudelmente ed impietosamente flagellato, condannato a morte umiliantissima dai capi dei Giudei, e gridando tutto il popolo « Crocifiggi il traditore! » lo vedeva condotto con le mani legate al luogo del supplizio, precedendolo alcuni che se lo trascinavano dietro, mentre con estrema stanchezza portava la croce sulle spalle, ed altri accompagnandolo e sospingendolo con pugni, e scuotendo come una belva feroce quell'agnello mansuetissimo che, secondo la profezia d'Isaia, in tutte le sue sofferenze era così paziente che, come pecora condotta al macello senza voce, e come agnello silenzioso davanti al tosatore, non apriva la sua bocca.

E come egli stesso mostrò in sé tanta pazienza, così la sua benedetta Madre sopportò tutte le sue pene con somma pazienza. Anzi, come l'agnello si associa alla madre, dovunque sia condotta, così la Vergine madre seguiva il Figlio ai luoghi dei tormenti. Vedendo ancora la Madre il Figlio coronato di spine, e il suo volto madido di sangue e le sue guance tumide per gli schiaffi, gemé di profondissimo dolore, e le sue guance cominciarono a impallidire per l'immensa pena. Per lo scorrere poi del sangue del Figlio in tutto il corpo nella sua flagellazione, un rivolo d'innumerevoli lacrime scorreva dagli occhi della Vergine.

Nel vedere poi la Madre il Figlio suo crudelmente steso sulla croce, cominciarono a venirle meno le forze del corpo. Ma l'intensità del dolore la fece cadere a terra come morta, essendole mancati i sensi, all'ascolto dei colpi di martello che trapassavano con chiodi di ferro le mani e i piedi del Figlio. Quando poi i Giudei l'abbeverarono di fiele e aceto, l'amarezza dell'animo le inaridì talmente il palato e la lingua, da non poter muovere le sue benedette labbra a parlare. Ascoltando quindi la flebile voce del Figlio che nell'agonia mortale diceva: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? », e vedendo poi tutte le sue membra irrigidirsi, e reclinato il capo, esalare lo spirito, allora l'acerbità del dolore oppresse talmente il cuore della Vergine, da sembrare come impietrita, senza alcun movimento nelle sue membra. Per cui si comprende che Dio fece allora non piccolo miracolo nel fatto che la Vergine Madre, trafitta interiormente da tali e tanto grandi dolori, non morisse, quando vide pendere dalla croce nudo e insanguinato, in mezzo a due ladroni, un sì amato Figlio, vivo e poi morto, ed anche trafitto dalla lancia, tra le derisioni di tutti, avendolo abbandonato quasi tutti i suoi conoscenti, ed essendosi molti di essi enormemente allontanati dalla fede.

Come, quindi, il suo Figlio sostenne la morte più amara di qualunque altro vivente in questo mondo, così anche la Madre, nella sua anima benedetta, portò la sofferenza dei più amari dolori. Ricorda ancora la sacra scrittura che la moglie di Finees, vedendo l'arca di Dio catturata dai suoi nemici, ne morì di colpo, per la veemenza del dolore, ma i dolori di quella donna non potrebbero paragonarsi ai dolori di Maria Vergine, che vedeva il corpo del suo benedetto Figlio (che la suddetta arca figurava) stretto e imprigionato tra i chiodi e il legno della croce. Perché la Vergine amava il suo Figlio, vero Dio e vero uomo, infinitamente più di quanto un nato da uomo e da donna possa amare se stesso o un altro. Quindi, se meraviglia il fatto che la moglie di Finees morì di dolore, pur essendo stretta da minore pena, mentre sopravvisse Maria, che fu assalita da ambasce più grandi, chi può attribuire ad altro che a un dono singolare dell'onnipotente Iddio, il fatto che, contro tutte le sue forze fisiche, poté rimanere in vita?

Finalmente, morendo, il Figlio di Dio aprì il cielo e liberò con potenza i suoi amici detenuti nell'inferno. La Vergine, poi, riavutasi, conservava essa sola nell'animo la retta fede, fino alla risurrezione del Figlio, e correggeva, riportandoli alla fede, i molti che ne avevano miseramente deviato. Infatti, morto il suo Figlio, fu deposto dalla croce e, avvolto in panni come negli altri mortori, fu sepolto. E allora tutti se ne allontanarono, e pochi credettero che sarebbe risorto. Allora, invece, nel cuore di Maria scomparvero le strette dei dolori, e cominciò a rinnovarsi soavemente in lei una deliziosa consolazione, sapendo che ormai erano totalmente finite le tribolazioni del Figlio suo, e che lo stesso doveva risorgere nella sua umanità e deità il terzo giorno, per una gloria eterna, e che in seguito non avrebbe più potuto patire alcuna molestia.


giovedì 28 agosto 2014

Domenica 31 Agosto 2014, XXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 16,21-27.



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 31 Agosto 2014, XXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 16,21-27.
Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno.
Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». 
Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». 
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 
Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 
Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? 
Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni. 
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 346 pagina 327.

1Gesù deve avere lasciato la città di Cesarea di Filippo alle prime luci del mattino, perché ora essa è già lontana coi suoi monti e la pianura è di nuovo intorno a Gesù, che si dirige ver­so il lago di Meron per poi andare verso quello di Gennezaret. Sono con Lui gli apostoli e tutti i discepoli che erano a Cesarea. Ma che una carovana così numerosa sia per la via non fa stupo­re a nessuno, perché altre carovane si incontrano già, dirette a Gerusalemme, di israeliti o proseliti che vengono da tutti i luo­ghi della Diaspora e che desiderano sostare per qualche tempo nella Città Santa per sentire i rabbi e respirare a lungo l’aria del Tempio. 

Vanno lesti sotto un sole ormai alto ma che non da ancora noia, perché è un sole di primavera che scherza con le fronde novelle e con le ramaglie fiorite e suscita fiori, fiori, fiori da ogni parte. La pianura che precede il lago è tutta un tappeto fiorito e l’occhio, volgendosi ai colli che la circondano, li vede pezzati dei ciuffi candidi, tenuamente rosei, o rosa deciso, o ro­sa quasi rosso, degli svariati alberi da frutto, e, passando pres­so le rare case dei contadini o presso le mascalcie seminate per la via, la vista si rallegra sui primi rosai fioriti negli orti, lungo le siepi o contro i muri delle case. 

«I giardini di Giovanna devono essere tutti in fiore» osserva Simone Zelote. 
«Anche l’orto di Nazaret deve parere un cesto pieno di fiori. Maria ne è la dolce ape che va da roseto a roseto e da questi ai gelsomini che presto fioriranno, ai gigli che già hanno i bocci sullo stelo, e coglierà il ramo del mandorlo come sempre fa, anzi ora coglierà quello del pero o del melograno per metterlo nell’anfora nella sua stanzetta. Quando eravamo bambini le chiedevamo ogni anno: “Perché tieni sempre lì un ramo di albe­ro in fiore e non ci metti invece le prime rose?»; e Lei risponde­va: “Perché su quei petali io vedo scritto un ordine che mi ven­ne da Dio e sento l’odore puro dell’aura celeste”. Te lo ricordi, Giuda?» chiede Giacomo d’Alfeo al fratello. 
«Sì. Me lo ricordo. E ricordo che, divenuto uomo, io attende­vo con ansia la primavera per vedere Maria camminare per il suo orto sotto le nuvole dei suoi alberi in fiore e fra le siepi delle prime rose. Non vedevo mai spettacolo più bello di quella eterna fanciulla trasvolante fra i fiori, fra voli di colombi…». 

2«Oh! andiamoci presto a vederla. Signore! Che veda anche io tutto questo!» supplica Tommaso. 
«Non abbiamo che affrettare la marcia e sostare ben poco, nelle notti, per giungere a Nazaret in tempo» risponde Gesù. 
«Mi accontenti proprio, Signore?». 
«Sì, Tommaso. Andremo a Betsaida tutti, e poi a Cafarnao, e lì ci separeremo, noi andando con la barca a Tiberiade e poi a Nazaret. Così ognuno, meno voi giudei, prenderemo le vesti più leggere. L’inverno è finito». 
«Sì. E noi andiamo a dire alla Colomba: “Alzati, affrettati, o mia diletta, e vieni perché l’inverno è passato, la pioggia è finita, i fiori sono sulla terra… Sorgi, o mia amica, e vieni, colomba che stai nascosta, mostrami il tuo viso e fammi sentire la tua voce”». 
«E bravo Giovanni! Sembri un innamorato che canti la sua canzone alla sua bella!» dice Pietro. 
Lo sono. Di Maria lo sono. Non vedrò altre donne che sveglino il mio amore. Solo Maria, l’amata da tutto me stesso». 
«Lo dicevo anche io un mese fa. Vero, Signore?» dice Tommaso. 
«Io credo che siano tutti innamorati di Lei. Un amore così alto, così celestiale!… Quale solo quella Donna può ispirarlo. E l’anima ama completamente la sua anima, la mente ama e ammira il suo intelletto, l’occhio mira e si bea nella sua grazia pura che dà diletto senza dare fremito, così come si guarda un fiore… Maria, la Bellezza della terra e, credo, la Bellezza del Cielo…» dice Matteo. 
«È vero! È vero! Tutti vediamo in Maria quanto è di più dolce nella donna. E la fanciulla pura, e la madre dolcissima. E non si sa se la si ama più per l’una o l’altra grazia…» dice Filippo. 
«La si ama perché è “Maria”. Ecco! Sentenzia Pietro. 

3Gesù li ha ascoltati parlare e dice: «Avete detto tutti bene. Benissimo ha detto Simon Pietro. Maria si ama perché è “Maria”. Vi ho detto, andando a Cesarea, che solo coloro che uniranno fede perfetta ad amore perfetto giungeranno a sapere il vero significato delle parole: “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo”. Ma ora vi dico che c’è un altro nome denso di significati. Ed è quello di mia Madre. Solo coloro che uniranno perfetta fede a perfetto amore giungeranno a sapere il vero significato del nome “Maria”, della Madre del Fi­glio di Dio. E il vero significato comincerà ad apparire chiaro ai veri credenti e ai veri amorosi in un’ora tremenda di strazio, quando la Genitrice sarà suppliziata col suo Nato, quando la Redentrice redimerà col Redentore, agli occhi di tutto il mondo e per tutti i secoli dei secoli». 
«Quando?» chiede Bartolomeo, mentre si sono fermati sulle sponde di un grosso ruscello nel quale bevono molti discepoli. 
«Fermiamoci qui a spartire il pane. Il sole è a mezzogiorno. A sera saremo al lago di Merom e potremo abbreviare la via con delle barchette» risponde Gesù evasivamente. 
Si siedono tutti sulla erbetta tenera e tiepida di sole delle ri­ve del ruscello, e Giovanni dice: «È un dolore sciupare questi fiorellini così gentili. Sembrano pezzettini di cielo caduti qui sui prati». Sono centinaia e centinaia di miosotis. 
«Rinasceranno più belli domani. Sono fioriti per fare, delle zolle, una sala di convito al loro Signore» lo consola Giacomo, suo fratello. 
Gesù offre e benedice il cibo e tutti si danno a mangiare al­legramente. I discepoli, come tanti girasoli, guardano tutti in direzione di Gesù, che è seduto al centro della fila dei suoi apo­stoli. 

4I1 pasto è presto finito, condito di serenità e di acqua pura. Ma, posto che Gesù resta seduto, nessuno si muove. Anzi i di­scepoli si spostano per venire più vicino, per sentire ciò che dice Gesù, che gli apostoli interrogano. E interrogano ancora su quanto ha detto prima di sua Madre. 

«Sì. Perché essermi madre per la carne sarebbe già grande cosa. Pensate che è ricordata Anna di Elcana come madre di Samuele. Ma egli non era che un profeta. Eppure la madre è ri­cordata per averlo generato. Perciò ricordata, e con lodi altissi­me, lo sarebbe Maria per avere dato al mondo Gesù il Salvato­re. Ma sarebbe poco, rispetto al tanto che Dio esige da Lei per completare la misura richiesta per la redenzione del mondo. Maria non deluderà il desiderio di Dio. Non lo ha mai deluso. Dalle richieste di amore totale a quelle di sacrificio totale, Ella si è data e si darà. E quando avrà consumato il massimo sacri­ficio, con Me, per Me, e per il mondo, allora i veri fedeli e i veri amorosi capiranno il vero significato del suo Nome. E nei secoli dei secoli, ad ogni vero fedele, ad ogni vero amoroso, sarà con­cesso di saperlo. Il Nome della Grande Madre, della Santa Nutrice, che allatterà nei secoli dei secoli i pueri di Cristo col suo pianto per crescerli alla Vita dei Cieli». 
«Pianto, Signore? Deve piangere tua Madre?» chiede l’Iscariota. 
«Ogni madre piange. E la mia piangerà più di ogni altra». 
«Ma perché? Io ho fatto piangere la mia qualche volta, per­ché non sono sempre un buon figlio. Ma Tu! Tu non dài mai do­lore a tua Madre». 
«No. Io non le do infatti dolore come Figlio suo. Ma gliene darò tanto come Redentore. Due saranno quelli che faranno piangere di un pianto senza fine la Madre mia: Io per salvare l’Umanità, e l’Umanità col suo continuo peccare. Ogni uomo vissuto, vivente, o che vivrà, costa lacrime a Maria». 
«Ma perché?» chiede stupito Giacomo di Zebedeo. 
«Perché ogni uomo costa torture a Me per redimerlo». 
«Ma come puoi dire questo di quelli già morti o non ancora nati? Ti faranno soffrire quelli viventi, gli scribi, i farisei, i sad­ducei, con le loro accuse, le loro gelosie, le loro malignità. Ma non più di così» asserisce sicuro Bartolomeo. 
«Giovanni Battista fu anche ucciso... e non è il solo profeta che Israele abbia ucciso e il solo sacerdote, del Volere eterno, ucciso perché inviso ai disubbidienti a Dio». 
«Ma Tu sei da più di un profeta e dello stesso Battista, tuo Precursore. Tu sei il Verbo di Dio. La mano d’Israele non si al­zerà su di Te» dice Giuda Taddeo. 
«Lo credi, fratello? Sei in errore» gli risponde Gesù. 
«No. Non può essere! Non può avvenire! Dio non lo permet­terà! Sarebbe un avvilire per sempre il suo Cristo!». Giuda Taddeo è tanto agitato che si alza in piedi. 
Anche Gesù lo imita e lo guarda fisso nel volto impallidito, negli occhi sinceri. Dice lentamente: «Eppure sarà», e abbassa il braccio destro, che aveva alto, come se giurasse. 

5Tutti si alzano e si stringono più ancora intorno a Lui - una corona di visi addolorati ma più ancora increduli - e mormorii vanno per il gruppo: 
«Certo... se così fosse... il Taddeo avrebbe ragione». 
«Quello che avvenne del Battista è male. Ma ha esaltato l’uomo, eroico fino alla fine. Se ciò avvenisse al Cristo sarebbe uno sminuirlo». 
«Cristo può essere perseguitato, ma non avvilito». 
«L’unzione di Dio è su di Lui». 
«Chi potrebbe più credere se ti vedessero in balìa degli uomini?». 
«Noi non lo permetteremo». 
L’unico che tace è Giacomo di Alfeo. 
Suo fratello lo investe: «Tu non parli? Non ti muovi? Non senti? Difendi il Cristo contro Se stesso!». 
Giacomo, per tutta risposta, si porta le mani al viso e si sco­sta alquanto, piangendo. 
«È uno stolto!» sentenzia suo fratello. 
«Forse meno di quanto lo credi» gli risponde Ermasteo. E continua: «Ieri, spiegando la profezia, il Maestro ha parlato di un corpo disfatto che si reintegra e di uno che da sé si resusci­ta. Io penso che uno non può risorgere se prima non è morto». 
«Ma può essere morto di morte naturale, di vecchiaia. Ed è già molto ciò per il Cristo!» ribatte il Taddeo, e molti gli danno ragione. 
«Sì, ma allora non sarebbe un segno dato a questa genera­zione che è molto più vecchia di Lui» osserva Simone Zelote. 
«Già. Ma non è detto che parli di Se stesso» ribatte il Tad­deo, ostinato nel suo amore e nel suo rispetto. 
«Nessuno che non sia il Figlio di Dio può da Se stesso risu­scitarsi, così come nessuno che non sia il Figlio di Dio può esse­re nato come Egli è nato. Io lo dico. Io che ho visto la sua gloria natale» dice Isacco con sicura testimonianza. 

Gesù, con le braccia conserte, li ha ascoltati parlare guar­dandoli a turno. Ora fa Lui cenno di parlare e dice: «Il Figlio dell’uomo sarà dato in mano degli uomini perché Egli è il Figlio di Dio ma è anche il Redentore dell’uomo. E non c’è redenzione senza sofferenza. La mia sofferenza sarà del corpo, della carne e del sangue, per riparare i peccati della carne e del sangue. Sarà morale per riparare ai peccati della mente e delle passio­ni. Sarà spirituale per riparare alle colpe dello spirito. Comple­ta sarà. Perciò all’ora fissata Io sarò preso, in Gerusalemme, e dopo molto avere già sofferto per colpa degli Anziani e dei Som­mi Sacerdoti, degli scribi e dei farisei, sarò condannato a morte infamante. E Dio lascerà fare perché così deve essere, essendo Io l’Agnello di espiazione per i peccati di tutto il mondo. E in un mare di angoscia, condivisa da mia Madre e da poche altre per­sone, morirò sul patibolo, e tre giorni dopo, per mio solo volere divino, risusciterò a vita eterna e gloriosa come Uomo e tornerò ad essere Dio in Cielo col Padre e con lo Spirito. Ma prima dovrò patire ogni obbrobrio ed avere il cuore trafitto dalla Menzo­gna e dall’Odio». 

6Un coro di grida scandalizzate si leva per l’aria tiepida e profumata di primavera. 

Pietro, con un viso sgomento, e scandalizzato lui pure, pren­de Gesù per un braccio e lo tira un poco da parte dicendogli piano all’orecchio: «Ohibò, Signore! Non dire questo. Non sta bene. Tu vedi? Essi si scandalizzano. Tu decadi dal loro concet­to. Per nessuna cosa al mondo Tu devi permettere questo; ma già una simile cosa non ti avverrà mai. Perché dunque prospet­tarla come vera? Tu devi salire sempre più nel concetto degli uomini, se ti vuoi affermare, e devi terminare magari con un ultimo miracolo, quale quello di incenerire i tuoi nemici. Ma mai avvilirti a renderti uguale ad un malfattore punito». E Pietro pare un maestro o un padre afflitto che rimproveri, amo­revolmente affannato, un figlio che ha detto una stoltezza. 

Gesù, che era un poco curvo per ascoltare il bisbiglio di Pie­tro, si alza severo, con dei raggi negli occhi, ma raggi di corruc­cio, e grida forte, che tutti sentano e la lezione serva per tutti: «Va’ lontano da Me, tu che in questo momento sei un satana che mi consigli a venir meno all’ubbidienza del Padre mio! Per questo Io sono venuto! Non per gli onori! Tu, col consigliarmi alla superbia, alla disubbidienza e al rigore senza carità, tenti sedurmi al Male. Va’! Mi sei scandalo! Tu non capisci che la grandezza sta non negli onori ma nel sacrificio e che nulla è ap­parire un verme agli uomini se Dio ci giudica angeli? Tu, uomo stolto, non capisci ciò che è grandezza di Dio e ragione di Dio e vedi, giudichi, senti, parli, con quel che è dell’uomo». 
Il povero Pietro resta annichilito sotto il rimprovero severo; si scansa mortificato e piange... E non è il pianto gioioso di po­chi giorni prima. Ma un pianto desolato di chi capisce di avere peccato e di avere addolorato chi ama. 

E Gesù lo lascia piangere. Si scalza, rialza le vesti e passa a guado il ruscello. Gli altri lo imitano in silenzio. Nessuno osa dire una parola. In coda a tutti è il povero Pietro, invano conso­lato da Isacco e dallo Zelote. 

Andrea si volge più di una volta a guardarlo e poi mormora qualcosa a Giovanni, che è tutto afflitto. Ma Giovanni scuote il capo con cenni di diniego. Allora Andrea si decide. Corre avan­ti. Raggiunge Gesù. Chiama piano, con apparente tremore: «Maestro! Maestro!...». 
Gesù lo lascia chiamare più volte. Infine si volge severo e chiede: «Che vuoi?». 
«Maestro, mio fratello è afflitto... piange...». 
«Se lo è meritato». 
«È vero, Signore. Ma egli è sempre un uomo... Non può sem­pre parlare bene». 
«Infatti oggi ha parlato molto male» risponde Gesù. Ma è già meno severo e una scintilla di sorriso gli molce l’occhio divino. 
Andrea si rinfranca e aumenta la sua perorazione a pro del fratello. «Ma Tu sei giusto e sai che amore di Te lo fece erra­re...». 
«L’amore deve essere luce, non tenebre. Egli lo ha fatto tene­bre e se ne è fasciato lo spirito». 
«È vero, Signore. Ma le fasce si possono levare quando si vo­glia. Non è come avere lo spirito stesso tenebroso. Le fasce sono l’esterno. Lo spirito è l’interno, il nucleo vivo... L’interno di mio fratello è buono». 
«Si levi allora le fasce che vi ha messo». 
«Certamente che lo farà, Signore! Lo sta già facendo. Volgiti a guardarlo come è sfigurato dal pianto che Tu non consoli. Perché severo così con lui?». 
«Perché egli ha il dovere di essere “il primo” così come Io gli ho dato l’onore di esserlo. Chi molto riceve molto deve dare...». 
«Oh! Signore! È vero, sì. Ma non ti ricordi di Maria di Laz­zaro? Di Giovanni di Endor? Di Aglae? Della Bella di Corozim? Di Levi? A questi Tu hai tutto dato... ed essi non ti avevano da­to ancora che l’intenzione di redimersi... Signore!... Tu mi hai ascoltato per la Bella di Corozim e per Aglae... Non mi ascolte­resti per il tuo e mio Simone, che peccò per amore di Te?». 
Gesù abbassa gli occhi sul mite che si fa audace e pressante in favore del fratello come lo fu, silenziosamente, per Aglae e la Bella di Corozim, e il suo viso splende di luce: «Va’ a chiamar­mi tuo fratello» dice, «e portamelo qui». 
«Oh! grazie, mio Signore! Vado...», e corre via, lesto come una rondine. 

8 «Vieni, Simone. Il Maestro non è più in collera con te. Vie­ni, ché te lo vuole dire». 
«No, no. Io mi vergogno... Da troppo poco tempo mi ha rim­proverato... Deve volermi per rimproverarmi ancora...». 
«Come lo conosci male! Su, vieni! Ti pare che io ti porterei ad un’altra sofferenza? Se non fossi certo che ti attende là una gioia, non insisterei. Vieni». 
«Ma che gli dirò mai?» dice Pietro, avviandosi un poco re­calcitrante, frenato dalla sua umanità, spronato dal suo spirito che non può stare senza la condiscendenza di Gesù e senza il suo amore. «Che gli dirò?» continua a chiedere. 
«Ma nulla! Mostragli il tuo volto e basterà» lo rincuora il fratello. 
Tutti i discepoli, man mano che i due li sorpassano, guarda­no i due fratelli e sorridono, comprendendo ciò che avviene. 
Gesù è raggiunto. Ma Pietro si arresta all’ultimo momento. Andrea non fa storie. Con una energica spinta, uso quelle che dà alla barca per spingerla al largo, lo butta avanti. Gesù si ferma... Pietro alza il viso... Gesù abbassa il viso... Si guarda­no... Due lacrimoni rotolano giù per le guance arrossate di Pie­tro... 
«Qui, grande bambino irriflessivo, che ti faccia da padre asciugando questo pianto» dice Gesù e alza la mano, sulla qua­le è ancora ben visibile il segno della sassata di Giscala, e asciuga con le sue dita quelle due lacrime. 
«Oh! Signore! Mi hai perdonato?» chiede Pietro tremebon­do, afferrando la mano di Gesù fra le sue e guardandolo con due occhi di cane fedele che vuole farsi perdonare dal padrone inquieto. 
«Non ti ho mai colpito di condanna...». 
«Ma prima...». 
«Ti ho amato. È amore non permettere che in te prendano radice deviazioni di sentimento e di sapienza. Devi essere il pri­mo in tutto, Simon Pietro». 
«Allora... allora Tu mi vuoi bene ancora? Tu mi vuoi anco­ra? Non che io voglia il primo posto, sai? Mi basta anche l’ulti­mo, ma essere con Te, al tuo servizio... e morirci al tuo servizio, Signore, mio Dio!». 
Gesù gli passa il braccio sulle spalle e se lo stringe al fianco. 
Allora Simone, che non ha mai lasciato andare l’altra mano di Gesù, la copre di baci... felice. E mormora: «Quanto ho sof­ferto!... Grazie, Gesù». 
«Ringrazia tuo fratello, piuttosto. E sappi in futuro portare il tuo peso con giustizia ed eroismo. 
9Attendiamo gli altri. Dove sono?». 


Sono fermi dove erano quando Pietro aveva raggiunto Gesù, per lasciare libero il Maestro di parlare al suo apostolo mortifi­cato. Gesù accenna loro di venire avanti. E con loro sono un branchetto di contadini che avevano lasciato di lavorare nei campi per venire ad interrogare i discepoli. 




Gesù, tenendo sempre la mano sulla spalla di Pietro, dice: 

«Da quanto è avvenuto voi avete compreso che è cosa severa essere al mio servizio. L’ho dato a lui il rimprovero. Ma era per tutti. Perché gli stessi pensieri erano nella maggioranza dei cuori, o ben formati o solo in seme. Così Io ve li ho stroncati, e chi ancora li coltiva mostra di non capire la mia Dottrina, la mia Missione, la mia Persona. 

Io sono venuto per essere Via, Verità e Vita. Vi dò la Verità con ciò che insegno. Vi spiano la Via col mio sacrificio, ve la traccio, ve la indico. Ma la Vita ve la dò con la mia Morte. E ri­cordate che chiunque risponde alla mia chiamata e si mette nelle mie file per cooperare alla redenzione del mondo deve es­sere pronto a morire per dare ad altri la Vita. Perciò chiunque voglia venire dietro a Me deve essere pronto a rinnegare se stesso, il vecchio se stesso con le sue passioni, tendenze, usi, tradizioni, pensieri, e seguirmi col suo nuovo se stesso. 

Prenda ognuno la sua croce come Io la prenderò. La prenda se anche gli sembra troppo infamante. Lasci che il peso della sua croce stritoli il suo se stesso umano per liberare il se stesso spirituale, al quale la croce non fa orrore ma anzi è oggetto di appoggio e di venerazione perché lo spirito sa e ricorda. E con la sua croce mi segua. Lo attenderà alla fine della via la morte ignominiosa come Me attende? Non importa. Non si affligga, ma anzi giubili, perché l’ignominia della terra si muterà in grande gloria in Cielo, mentre sarà disonore l’essere vili di fronte agli eroismi spirituali. 

Voi sempre dite di volermi seguire fino alla morte. Seguite­mi allora, e vi condurrò al Regno per una via aspra ma santa e gloriosa, al termine della quale conquisterete la Vita senza mu­tazione in eterno. Questo sarà “vivere”. Seguire, invece, le vie del mondo e della carne è “morire”. Di modo che se uno vorrà salvare la sua vita sulla terra la perderà, mentre colui che per­derà la vita sulla terra per causa mia e per amore al mio Van­gelo la salverà. Ma considerate: che gioverà all’uomo guada­gnare tutto il mondo se poi perde la sua anima? 

10E ancora guardatevi bene, ora e in futuro, di vergognarvi delle mie parole e delle mie azioni. Anche questo sarebbe “morire”. Perché chi si vergognerà di Me e delle mie parole in mez­zo alla generazione stolta, adultera e peccatrice, di cui ho par­lato, e sperando averne protezione e vantaggio la adulerà rin­negando Me e la mia Dottrina e gettando le perle avute nelle gole immonde dei porci e dei cani per averne in compenso escrementi al posto di monete, sarà giudicato dal Figlio dell’uo­mo quando verrà nella gloria del Padre suo e cogli angeli e i santi a giudicare il mondo. Egli allora si vergognerà di questi adulteri e fornicatori, di questi vili e di questi usurai e li caccerà dal suo Regno, perché non c’è posto nella Gerusalemme celeste per gli adulteri, i vili, i fornicatori, bestemmiatori e ladri. E in verità vi dico che ci sono alcuni dei presenti fra i miei discepoli e discepole che non gusteranno la morte prima di avere veduto il Regno di Dio fondarsi, col suo Re incoronato e unto». 

Riprendono ad andare parlando animatamente, mentre il sole cala lentamente nel cielo... 

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/