giovedì 21 febbraio 2013

PENSIERI tratti dalle Omelie di s.Antonio




Febbraio
1. Non c'è angoscia più grande di quella d'una madre che abbia perduto il suo unico figlio: e unico figlio dell'anima è l'amore di Dio, senza del quale la fede è morta. Piangi dunque, o cristiano, questa perdita immensa.
2. Oggi i fedeli cristiani portano in processione nel tempio la candela accesa, che è composta di cera e di stoppino. Nella fiammella è simboleggiata la divinità, nella cera l'umanità, nello stoppino l'acerbità della passione del Signore. In questi tre elementi consiste la vera penitenza: nel fuoco l'ardore della contrizione, che sradica le radici di tutti i vizi; nella cera la confessione del peccato, che "fonde come la cera al fuoco", nello stoppino l'asprezza dell'espiazione.
3. La riconciliazione del peccatore con Dio si può chiamare uno sposalizio dello Spirito Santo con l'anima pentita. Da tale unione germoglia il cristiano nuovo, erede della vita eterna.
4. Il contadino benda gli occhi all'asino e lo batte con il bastone, e così l'asino trascina intorno una mola di grande peso. Il contadino è il diavolo e il suo asino è l'uomo mondano. Il diavolo gli chiude gli occhi quando gli acceca l'intelletto e la ragione con il bagliore delle cose terrene; e lo colpisce con il bastone della cupidigia perché trascini con sé la mola della vanità mondana.
5. Nessuno diventa perfetto da un momento all'altro. Perciò dobbiamo staccarci un po' alla volta dal mondo, disprezzandone le ricchezze e i piaceri. Un'abitudine si elimina con un'altra abitudine; e il filosofo dice: "Scompariranno i vizi, se si prenderà l'abitudine di abbandonarli per qualche tempo".
6. Se uno vuole fare veramente penitenza, non confidi nei suoi meriti, non abbia presunzione del bene fatto; ma palesi in confessione tutto il male compiuto, con dolore e rossore. E non basta che si proclami peccatore, ma, se qualcuno gli rinfaccia le sue colpe, umilmente sopporti; se no, dimostra di non essere pentito davvero.
7. Dobbiamo essere sempre occupati intorno alla nostra anima, perché non ci avvenga quello che dice Salomone: "Passai accanto al campo del pigro e presso la vigna d'un tale scriteriato, ed eccoli ingombri di erbacce. Le ortiche ne coprivano la superficie e il muretto di pietre era sgretolato" (Pro 24,30-31).
8. L'anima che si pente segue la povertà, l'umiltà, la passione di Gesù Cristo: esse ci parlano di lui e ci dicono quale è stata la sua vita in questo mondo. E così l'anima diviene sua sposa, con lui impegnata, a lui legata per mezzo dell'anello di una fede perfetta.
9. "Guardate i gigli del campo", dice il Signore. Gigli sono i poveri di spirito, nel cui cuore l'umiltà reprime la tumida superbia, il cui corpo è candido di castità, dalla cui vita emana il profumo della buona fama. Essi sono detti gigli del campo, non gigli del giardino o del deserto. Il campo è il mondo: conservare il fiore di virtù nel mondo è tanto più meritorio, in quanto è più difficile.
10. Gli eremiti fioriscono nel deserto, lontani dalla umana convivenza; in un giardino chiuso fioriscono i claustrali, anch'essi fuori dal contatto col mondo. Molto più degno è fiorire in mezzo al mondo, dove più facilmente la grazia del fiore può perire.
11. "Ci fu poi il mormorio di un vento leggero: ecco la serva del Signore"; questo è il mormorio del vento leggero. E lì c'era il Signore. Osserva che il mormorio si fa con le labbra un po' strette. La Vergine Maria "restrinse", rimpicciolì se stessa: la Regina degli angeli si dichiarò serva, e così il Signore guardò all'umiltà della sua serva. Guardiamoci dunque dal vento gagliardo della superbia, nel quale non c'è il Signore, e umiliamoci nel mormorio della nostra confessione e dell'accusa di noi stessi.
12. Vale più una sola anima santa con la sua preghiera, che innumerevoli peccatori con le armi in pugno: la preghiera del santo penetra i cieli!
13. Quand'è che la nostra anima è alla presenza di Dio? Quando è certa di non avere niente da sé, in se stessa e per sé, ma tutto attribuisce a colui che è ogni bene, il sommo bene, dal quale sgorga ogni grazia. Irradiata da Dio, l'anima veramente diviene un paradiso, fragrante di carità, di umiltà, di castità. In lei discende e riposa il Diletto.
14. La vita dell'uomo giusto viene paragonata a un organo musicale, dal quale scaturisce la melodia della buona fama, in armonia con una vita santa.
15. La natura ha posto davanti alla lingua due porte, cioè i denti e le labbra, per indicare che la parola non deve uscire dalla bocca se non con grande cautela... Ma la lingua, male ribelle, piena di veleno mortale, fuoco che incendia la foresta delle virtù, sfonda la prima e la seconda porta, esce in piazza come una meretrice, loquace e raminga, insofferente della quiete, e porta ovunque lo scompiglio. Chi è perfetto nella lingua, è perfetto in tutto.
16. Per mezzo delle lingue del serpente, di Eva e di Adamo la morte entrò nel mondo. La lingua del serpente inoculò il veleno in Eva; la lingua di Eva lo inoculò in Adamo, e la lingua di Adamo tentò di ritorcerlo contro il Signore. La lingua è un membro freddo, sempre immersa nell'umidità, e quindi è un male ribelle ed è piena di veleno mortale, del quale nulla è più freddo. Per questo lo Spirito Santo apparve in forma di lingue di fuoco, per opporre lingue a lingue, e fuoco ardente a veleno mortale.
17. L'ira ottenebra la mente e non permette di distinguere la vera realtà delle cose; scompiglia tutte le facoltà dell'anima; riflette anche all'esterno l'alterazione che c'è all'interno: infatti, l'occhio si rannuvola, la lingua prorompe in minacce, la mano si appresta a percuotere. E così la carità va distrutta.
18. La nascita di un santo costituisce un bene per tutti e perciò è motivo di comune esultanza. Nascono i santi per l'utilità degli altri, essendo la giustizia (la santità) una virtù sociale che ridonda a vantaggio di tutti.
19. Nel cuore dell'uomo ci sono tre cose: c'è la sede della sapienza; in esso fu scritta la legge naturale che dice: "Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te". Il cuore è l'organo dal quale provengono lo sdegno, il ribrezzo, l'avversione. Così nei veri credenti c'è la sapienza della contemplazione, c'è la legge dell'amore, e c'è il ribrezzo e l'avversione per il peccato.
20. Cristo tiene i santi sotto il sigillo della sua provvidenza, affinché non appaiano quando vogliono loro, ma stiano pronti per l'ora stabilita da lui. E quando sentiranno risuonare nel cuore il suo comando, escano dal nascondiglio della vita contemplativa verso le attività richieste dalla necessità.
21. Come il ragno cattura le prede con i fili della sua rete, così il diavolo, tirando certi fili di pensieri capziosi, studiando cioè i difetti ai quali l'uomo è più incline, lo avvolge con la fitta rete delle sue tentazioni e lo fa sua preda.
22. La pazienza si alimenta e si affina a spese di chi ci perseguita; la vera pazienza si compiace dei duri trattamenti. Si può a mala pena purificare l'animo fra le tribolazioni di questo mondo, senza che resti qualche macchia da espiare in purgatorio.
23. Quando qualcuno ti dice, in aria di plauso o di adulazione: "Sei bravo e sai molte cose", tu gli devi rispondere: "Da me stesso non so nulla, nessun bene io possiedo, ma onoro il Padre mio. A lui tutto attribuisco, a lui rendo grazie, perché fonte di ogni sapienza, di ogni potenza e scienza".
24. Considera quanto è spaventoso un uomo infiammato dall'ira. Corruga la fronte, ha la faccia pallida, le narici frementi, gli occhi torvi, le labbra livide, digrigna i denti e ha i pugni stretti pronti a colpire. Un uomo così ridotto altro non sembra che una belva feroce... Preghiamo Cristo Gesù che estirpi dal nostro cuore il vizio dell'ira, che infonda nel nostro spirito la tranquillità, per poter amare il prossimo con la bocca, con le opere e con il cuore, e giungere così a lui che è la nostra pace.
25. La pazienza è il muro inespugnabile dell'anima, che la difende da ogni turbamento. L'anima unita dallo Spirito Santo è tutta umile e povera, e perciò inclinata alla obbedienza e alla pazienza. Senza pazienza, non c'è obbedienza.
26. Se ti risolvi a venire al mercato delle tribolazioni, dove si acquistano le vere ricchezze, bada bene, prima, se hai a disposizione un tesoro di pazienza sufficiente per fare buone compere: altrimenti, io ti consiglio di non andare verso le tribolazioni volontarie, perché ne ritorneresti a mani vuote. Ma se sei disposto a sborsare molta pazienza, allora vieni: non far caso alle difficoltà, perché è certo cosa amara il bere al calice delle tribolazioni. Ma quando lo avrai sorbito, ne sarai felice, perché sarai collocato alla destra del Signore, dove è la vita che non finisce mai.
27. Chi non ha pazienza in mezzo alle tribolazioni non è oro, ma è ferro dorato; non ha la vera virtù, ma virtù apparente. Percosso, il ferro non manda un suono gradevole; così l'impaziente, percosso dai persecutori, si incollerisce e viene meno.
28. La Scrittura parla spesso per immagini, per metafore, affinché ciò che non si può vedere in una cosa, si possa scoprire in un'altra simile. Il ventre, ad esempio, viene paragonato a un dio quando dice: "Il loro dio è il ventre e la loro gloria è una vergogna" (Fil 3,19), cioè si gloriano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi.
Il dio-ventre viene soddisfatto con le vittime di varie portate, tende l'orecchio ai rumori, è solleticato dalle varie specie di sapori, si commuove alle chiacchiere e non alle preghiere, è gratificato dall'ozio e si abbandona alle delizie della sonnolenza. E questo dio-ventre ha purtroppo monaci, canonici e conversi che lo servono devotamente e sono quelli che nella chiesa di Dio vivono placidamente nell'ozio, che non si danno alla preghiera segreta, ma sono curiosi di ascoltare i fantasiosi racconti degli oziosi, in cui si odono risate, sghignazzi e i rutti di un ventre rimpinzato.
29. La sapienza, così chiamata da sapore, consiste nel gusto della contemplazione, la prudenza nel prevedere e cautelarsi dalle insidie, la fortezza nel sopportare le avversità, l'intelligenza nel rifuggire dal male e scegliere il bene.

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