lunedì 30 gennaio 2012

"E non lasciate cadere nel vuoto le mie voci future"




"Ma tu, Pontefice (è Gesù che
parla a Pietro e agli Apostoli), e voi, Pastori, in voi e nei vostri successori vegliate perché non si perda lo spirito del Vangelo, e instancabilmente pregate lo Spirito Santo perché in voi si rinnovelli una continua Pentecoste - voi non sapete ciò che voglio dire, ma presto lo saprete - onde possiate comprendere tutti gli idiomi e discernere e scegliere le mie voci da quelle della Scimmia di Dio: Satan.  E non lasciate cadere nel vuoto le mie voci future. Ognuna di esse è una misericordia mia in vostro aiuto, e tanto più numerose saranno quanto più per ragioni divine Io vedrò che il Cristianesimo ha bisogno di esse per superare le burrasche dei tempi.

Pastore e nauta, Pietro! Pastore e nauta. Non ti basterà un giorno esser pastore se non sarai nauta, ed esser nauta se non sarai pastore. Questo e quello dovrai essere per tenere radunati gli agnelli, che tentacoli infernali e artigli feroci cercheranno di strapparti, ... "

"L'Evangelo ..." M. Valtorta, cap. 635.

AVE MARIA!
AMDG

venerdì 27 gennaio 2012

Liturgia senz'abito? L'abito non fa il monaco? «Grazie all'abito, alla tua nera talare, tu predichi la vita eterna anche senza aprir bocca. Senza quell'abito, dai la testimonianza del camaleonte che si fa del colore dell'ambiente per paura di farsi scorgere. San Francesco fino a quando andò vestito alla moda mondana non convertì alcuno ».



Chi vuol intendere intenda...



L’Associazione Internazionale UNA VOCE ha avuto un ruolo importantissimo per la salvaguardia della Liturgia Romana antica in tempi particolarmente perigliosi.
Fra gli Intellettuali Cattolici che aderirono, fin dal primo momento, all’Associazione Una Voce ci fu il noto critico d’arte Carlo Belli ( 1903-1991) che ho avuto l’onore di conoscere e di frequentare.
L’ultimo coraggiosissimo libro di Carlo Belli fu dedicato all'amata Liturgia Cattolica : “ Altare deserto, breve storia di un grande sfacelo” ( Giovanni Volpe Editore). Invano dal vicino Vaticano cercarono di convincere l’Autore e la Consorte di non far pubblicare il libro ( Le cose stanno cambiando con il nuovo Papa – il Beato Giovanni Paolo II - … vedrete che la Liturgia antica con il nuovo Papa sarà celebrata anche in San Pietro …ecc ecc ) .
Carlo Belli non si fece incantare dalle sirene vaticane e il libro vide la luce nel 1983 recensito e ripreso da diversi quotidiani. Nella Prefazione, a pagina 8, l'Autore accenna alla costituzione, in diverse parti nel mondo cattolico, dell'Associazione Una Voce :
“A tanto sfacelo non mancò una reazione vigorosa. Si costituirono in tutto il mondo gruppi di cattolici dissidenti, raccolti in varie associazioni — la più nota Una Voce — operanti in ogni Stato d'Europa e d'America (ma anche in India !), e si eressero a barriera della tradizione. Erano schiere di laici cattolici ferventi, bersagliate dalla Curia, la quale, con disegno a dir poco demoniaco, indicò come eretiche le difese della Tradizione. E ciò veniva proprio dagli eretici della stessa Curia “! ( C.Belli, Altare deserto, Prefazione pag.8).
La Consorte del Dott. Belli fu poi invitata a partecipare ad una celebrazione, Novus Ordo, nella Basilica di San Pietro dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger.
Qualche giorno dopo volle riferirmi di quella esperienza con termini positivi soprattutto per la dignità e per la devozione dimostrati dal Cardinale nel celebrare, senza concelebranti, la Messa. Ricordo che terminò il racconto dicendo “ Bene, molto bene…”
Dal Notiziario di Una Voce-Italia n.42-43 ( Gennaio-aprile 1978 ) ho trascritto la recensione, a firma C.B. ( Carlo Belli), di un libro che ebbe molta diffusione non solo negli ambienti tradizionalisti di allora : Pio XIV, pontefice di transizione.
Era ancora regnante Paolo VI quando quel libro fu dato alle stampe che in alcuni passi è stato persino profetico ...
Per motivi di spazio sono stato costretto a fare qualche taglio mentre ne raccomando la lettura ad alcuni amici Sacerdoti che in questi giorni sono alquanto disorientati ... A.C.

“ Un uomo che si firma Walter Martin ha scritto un libro intitolato Pio XIV, pontefice di transizione. … Da un certo punto di vista si potrebbe dire che il libro si presenta come una sconvolgente vicenda romanzata. Narra di un'epoca prossimo-futura in cui un nuovo papa va preparando una nuova Controriforma degli istituti e della vita religiosa per aprire la strada alla re-staurazione di quei princìpi teologici, di quelle pratiche liturgiche e istituzioni canoniche che costituivano il patrimonio se¬colare della Chiesa, tutti travolti negli anni post-conciliari.
Una Controriforma che folgori le farneticazioni dei cosiddetti « modernisti », o neo-modernisti, agenti di un falso progressismo sociale fatto di esaltazioni irrazionali, introdotto nel cle¬ro da ben individuati centri atei e politici, con lo scopo evidente di distruggere la Chiesa dal di dentro. Questo papa che si chiamerà Pio XIV perché successore di un Pio XIII di brevissima durata ( più che mai succube, questo, e « manovrato » dai rivoluzionari), è dipinto nel romanzo del Martin come un vecchietto sugli ot¬tanta, smilzo e timido, con barbetta ar¬gentea, deboluccio ma senza nessuna malattia specifica. Già vescovo missionario nei Medio Oriente era rientrato da qual¬che anno a Roma tornando ad essere soltanto un oscuro sacerdote. I progressisti, sempre più divisi tra loro da « correnti pluralistiche », in attesa di raggiungere un accordo tra essi, vanno a scovare in un convento il bravo missionario in pensione, mettendo in atto un disegno che ad essi sembrerà conveniente: farne un papa di comodo, essendo egli in età grave e ormai « preso unicamente dal pensiero del passaggio imminente attraverso all'estremo ponte verso l'Aldilà, il che non gli lascerà certo meningi bastevoli per pensare a prendersi delle gatte da pelare nell'Aldi-quà ».
Invece il vecchietto, che sale ai trono di Pietro tra la indifferenza del clero e del popolo prendendo appunto il nome di Pio XIV, esce a poco a poco da un suo stato di modesta contemplazione della morte, e come tutti gli agnelli, finirà per mostra¬re una forza incredibile fatta di dolcezza e di fermezza. A poco a poco supererà resistenze massicce, schiverà inciampi e loschi tranelli, scioglierà oscuri grovigli di palazzo, sventerà piani diabolici ed uscirà indenne perfino da attentati al tritolo! Così, nell'atto del trapasso, potrà assistere a un saldo inizio di restaurazione di valo¬ri, quali splendevano nella Chiesa pre-conciliare, e potrà chiudere gli occhi avendo conseguito una grande, storica vittoria della cattolicità.
Una nuova Lepanto.
Questa potrebbe essere una ingenua, patetica storiella, non priva qua e là di qualche spunto ameno, se a salvarla da un tale scivolo non soccorresse il rigoroso fondamento dottrinario sul quale si basa... il processo che, attraverso impressionanti raggiri, ha fatto del Concilio Vaticano II un valido strumento di distruzione della Chiesa, rovesciandone i suoi princìpi fondamentali attraverso una interpretazione falsa data ad essi da parte dei componenti il Consilium di famigerata memoria.
Questa storica falsificazione è presente in ogni pagina del libro; si può dire anzi che essa è la protagonista del romanzo.
Il povero vecchietto, il Papa N.D.R., dunque, lasciato solo nella Città del Vaticano abitata da potenti monsignori che vi si aggirano come temibili ombre spettrali nei corridoi e negli uffici sbalordito, non si raccapezza. Si sente stordito come se invece di ricevere così inaspettatamente il papato avesse ricevuto una botta in testa.
Poi, con l'aiuto di un fido cameriere, comincia lentamente a orientarsi: giorno per giorno, scopre trappole e trabocchetti tesi per farlo cadere nell'ambito di un modernismo ormai consumato e sostenuto dai più sciocchi luoghi comuni.
Alla mattina presto scende in San Pietro e dice la Messa tridentina, quella che non ha mai smesso di celebrare da quando era stato ordinato sacerdote. Gliela serve il bravo camerie¬re, unico amico per ora, il quale, già al primo giorno esce con una sottolineatura stupefacente: « Era tempo », dice, « che non servivo più una Messa un po' cristiano! ». « Volete dire in latino? », lo stuzzica il papa. E lui: « Non è questione di latino, Santità, ma di ciò che vi è dentro. Possono essere dette in latino fin che si vuole le Messe nuove e già logore; ma è come chi ti restituisce vuoto un portafoglio che ti rubò pieno... ».
Con vari strattagemmi, Pio XIV, supe¬rando veti e insidie, riesce a riprendere contatto con quattro vecchi sacerdoti amici suoi sparsi per il mondo. Che fa? Li convoca segretamente a Roma e li nomina idealmente cardinali. Con essi costruisce il castelletto di una prima resistenza al terribile « apparato » progressista, cercando di riconquistare l'immenso terreno perduto, palmo a palmo.
Ogni giorno, serrate polemiche dottrinali e politiche con i prelati di Curia, con vescovi pusillanimi e conformisti: quelli che si erano sùbito adeguati al tradimento del Concilio alla istituzione di una riforma da nessuno voluta, imposta da una minoranza di fanatici, soprattutto stranieri, per cui la Chiesa da Magistra che era fu costretta a riconoscersi peccatrice di fronte al mondo!
… Frattanto, Pio XIV, messo sul trono come cane muto che non sa latrare mentre i lupi sbranano le pecore, si fa invece leone.
Alcuni conventi, dove si sono coraggiosamente riprese le pratiche liturgiche pre-conciliari, vedono moltiplicarsi le vocazioni, mentre quelli progressisti sono deserti. Ormai si com¬batte alla insegna di una frase tratta dalla prima lettera di San Giovanni: Nolite diligere mundum, naque ea quae sunt in mundo...
Sono rimesse in circolazione anche certe proposizioni del Concilio di Trento...A poco a poco, la Messa tridentina che il Papa celebra di buon mattino in San Pietro, riempie di fedeli la navata maestosa.
Qualche vescovo prende coraggio: si scrolla di dosso i sinistri tabù posti dalla Curia post-conciliare, ritorna al rito millenario e lascia che specialmente i giovani riscoprano i tesori sepolti da qualche decennio.
Naturalmente tutto ciò non si compie senza un'accanita resistenza da parte dei porporati, specialmente stranieri.
… Cardinali e vescovi, fanatici fautori dell'autodistruzione della Chiesa, vengono motu proprio papale sollevati dagli incarichi che tenevano da despoti. …
Questo Pio XIV possiede poi la facoltà di rivoltare con poche parole e rimettere al loro giusto posto princìpi stravolti e dislocazioni insensate. L'abito non fa il monaco? « Grazie all'abito, alla tua nera talare, tu predichi la vita eterna anche senza aprir bocca. Senza quell'abito, dai la testimonianza del camaleonte che si fa del colore dell'ambiente per paura di farsi scorgere. San Francesco fino a quando andò vestito alla moda mondana non convertì alcuno ».
La paziente, tenace opera di restaurazione, contrastata con ogni mezzo lecito e illecito dai titolari e dai burocrati dei dicasteri vaticani, (e qui s'inseriscono nel racconto, anche troppo abbondantemente, episodi da romanzo giallo: spionaggi, attentati, bombe, eccetera!), dà frutti sempre più succosi. Vi sono ormai sacerdoti che osano rivelare il tradimento compiuto dal Consilium ai princìpi del Concilio. Altri rimettono in discussione tutta la cosidetta Riforma liturgica con argomenti ineccepibili, basati su una solida dottrina; lamentano il deserto provocato nella Chiesa dall'abbandono della lingua latina: la lingua universale dei cristiani e la conseguente manomissione della liturgia.
« Che Messa celebravano i Padri conciliari? Quella tradizionale, apostolico-romana. Che stabilirono con l'articolo quarto della Costituzione liturgica conciliare? Di conservarla. Che si dichiara ormai in nome del Concilio? Che è proibita. Che stabilirono detti Padri con l'articolo trentesimosesto di quella stessa Costituzione? Di conservare l'uso della lingua latina. Che si dichiara ora in nome del Concilio? Che l'uso del latino è segno di ribellione alla Chiesa e causa di scisma ».
Multa renascentur quae jam cecidere... La santa Restaurazione non è più lontana.
E' possibile che un libro congegnato in questo modo possa indurre qualcuno a una rimeditazione di ciò che è stata la cosiddetta riforma liturgica imposta da una minoranza di preti e da essi prescritta fino alla persecuzione. … Il lettore, specie se giovane, troverà nel racconto tutte le risposte esatte alle insidiose tesi modernistiche, falso-ecumeniche, social-luterane. Risposte date da un Autore che si rivela oltre che totalmente credente in Dio, uomo di soda cultura e di saldissima moralità”.C.B


AVE MARIA!
AMDG

giovedì 26 gennaio 2012

EL CIELO ETERNO y EL PURGATORIO


EL CIELO ETERNO 

Mensaje de Nuestro Señor Jesucristo 
a una monja anónima, Italia.



Este mensaje ha sido aprobado por varias censuras eclesiásticas en sus diversas ediciones y cuenta con el permiso del P. General de los Franciscanos O.F.M. 


Presentado el 7 de febrero de 1972 a S. S. Pablo VI, el Papa por carta de Mons. Benelli el día 26 agradecía el obsequio; y daba su bendición apostólica.


El texto presentado a continuación es un extracto del manuscrito de 450 páginas de una religiosa que permanece en el anonimato, que anotó día a día por obediencia a su director espiritual, también anónimo, todas las manifestaciones sobrenaturales, locuciones de la Virgen, de Jesús, y de su hermana que duraron desde julio de 1967 hasta los primeros meses de 1970, y después con largos intervalos hasta 1974. Hemos seleccionado para esta sección solamente las partes relacionadas con el purgatorio y el Cielo. En 1967 murió su única hermana - que era maestra y vivía con su hermano casado -, lejos de ella, causándole una gran tristeza. Al día siguiente, 20 de julio, estando recogida en su celda comenzó la siguiente comunicación.

***
- Comencé a escuchar en lo íntimo de mi alma su voz clara y distinta. Llamándome por mi nombre decía: "Soy yo, no llores. Estoy bien. Pero, ¿por qué lloras? No puedes verme, pero soy yo. No llores por mí".


Desconocedora de estos fenómenos, no estuve libre de miedo y angustia hasta el 30 de julio, día en que mi confesor me ordenó, en virtud de la santa obediencia, escribir escuetamente todo lo que mi querida hermana me decía de día y de noche.


El encuentro con Dios, muerte, juicio y purgatorio:


- Pero, ¿eres tú?


- Sí, sí, soy yo, pero tú no puedes verme. Soy un alma feliz.


He pedido al Señor la gracia de estar junto a ti, de enseñarte. Soy yo, no dudes, te daré una señal.


Jesús quiere mucho a nuestra familia por el esfuerzo común que se hace por serle fieles.


¡Misericordia divina! He encontrado más Misericordia que Justicia. Para Dios sólo cuenta nuestro esfuerzo. Estoy en un lugar de delicias.


- ¿En el Cielo?


- No, todavía no. Pero gozo. ¡Qué será después el Cielo! Gozo porque sufro, y sufro porque gozo; cuanto más gozo más sufro, y cuanto más sufro más gozo.


- ¿Y el juicio?


- He aquí la Misericordia divina. Es como si una madre dijese acariciando a su niño: "Pobre pequeño, no lo has hecho a propósito".


- ¿Y nuestras culpas?


- El Señor dice al diablo: "Esta es obra tuya". Todo está en unirse a Cristo de todo corazón por toda la vida. (Coloquios del 20.VII al 4.VIII.67).


Te entristece que la parálisis me dejó sin habla. Tal fue la voluntad de Dios, porque me hubiera traicionado contando las maravillas de amor que acompañaron mi viaje a la eternidad. No hubiera podido callar tantas cosas, ya que veía los cielos abiertos sobre mí (19.IX.67).


¿La muerte? ¿Los dolores físicos? ¿La agonía? No tienes que tener miedo, yo lo he experimentado. Ten confianza; Jesús, la Virgen, los ángeles, yo. Para quien muere de amor no hay pena en la muerte, sino alegría anticipada. Al fin se abren los cielos que tantas veces hemos contemplado suspirando, y aparece la gloria de Dios y de Sus ángeles. (29.IX.67)


La muerte. Qué mala cara se pone a la querida hermana muerte. El perro atado, apenas lo sueltas, te salta encima y te hace mil caricias para testimoniarte su alegría por la libertad recuperada. Debemos aprender de estas criaturas irracionales a recibir con agrado a nuestra gran libertadora. ¿No es justo que haya recompensa después de tantas tribulaciones? ¿Un salario después de una jornada de trabajo? ¿Un domingo después de un sábado? ¡Mil veces bendita nuestra hermana Muerte! No se la debe contemplar como espectro nocturno con la guadaña en la mano, sino como a quien amablemente se te acerca despacio y te susurra al oído: "Levántate amiga mía, y ven. El invierno ha pasado, ya canta la tórtola y los campos están esmaltados con las más bellas flores. Ven. Vamos a hacer ramos con ellas". (9.X.67)


¡Oh, el primer encuentro de Jesús con el alma! Querría volver a morir para experimentar toda Su dulzura. Cuanto más me acusaba yo, más me excusaba Jesús diciéndome que no lo había hecho a propósito. (16.IX.67)


El 5.VIII.67 oye a su hermana:


- ¡Despiértate! ¡Alaba a Dios! Yo cada día estoy más luminosa... Soy la mayor pecadora con quien el Señor ha tenido infinita Misericordia. Como el grano de trigo he sido triturada aquí abajo por el dolor, y como el oro probada en el crisol para que saliese oro fino, a fin de poder comunicarme con vosotros dos [la religiosa y su hermano].


Continúa del 8 al 13:


- Estoy más cerca de Dios que tú de ti misma; porque vivo en Dios. Alabemos al Señor. ¿Aún dudas respecto de mí? Piensa un poco: ¿Podrá un alma condenada venir a decirte: "Alabemos al Señor" cuando durante toda la eternidad no hará más que odiarle? Soy cada vez más feliz. Estoy radiante de eterna juventud. Brillo como una estrella.


- ¿En el Cielo?


- No, pero ya falta poco, gracias a las Misas Gregorianas.


- Entonces, ¿son tan eficaces esas misas?


- Sí. Bastaría una sola misa para hacer subir al Cielo, pero el Señor distribuye los méritos del Santo Sacrificio según las necesidades de la Iglesia.


- Dime, ¿qué encontraste a tu paso a la eternidad?


- Una infinita Misericordia, dos brazos amorosos y un Corazón palpitante de amor. Querría abrasarme de amor. Si me vieseis... soy un cáliz tres cuartas partes lleno de delicias. Tenía razón S. Pablo cuando decía que ni ojo vio, ni oído oyó lo que Dios tiene preparado para Sus elegidos. No lloréis por mí más que lágrimas de amor y agradecimiento a Dios.


Recemos: "Padre Eterno, te ofrezco la preciosísima Sangre de N. S. Jesucristo en reparación por mis pecados, en alivio de los agonizantes, en sufragio de las ánimas del purgatorio, y por las necesidades de la santa Madre Iglesia".


El 18 de agosto le vuelve a preguntar sobre el purgatorio.


- Tuve el Angel de la Guarda junto a mí. Mi purgatorio fue un purgatorio de deseo, lo que yo misma deseé hacer, y fue breve.


El 11.IX.67 añadía:


- Mis últimos sufrimientos y los vuestros me obtuvieron la entrada en el Paraíso inmediatamente después de mi muerte; pero (16.IX.67) si se te da entrada a un palacio de cristal resplandeciente, y te das cuenta de que tienes aún polvo bajo los pies, buscas el felpudo fuera de la puerta para limpiarlos. Por eso me quedé en la antecámara, pero moría de amor, ese fue mi verdadero martirio. Preferí (11.IX.67) yo misma la espera de pocos días en el antepurgatorio, lo que me fue compensado con el encuentro allí con mamá, donde estaba retenida desde hacía tiempo. No sufría, pero todavía no había sido admitida a la visión beatífica de Dios. Esperaba a papá, que estaba acabando de embellecerse; y Jesús nos reunió en un mismo abrazo el 15 de agosto.


El Señor dice:


- Tu solicitud, hija mía, no debe solamente extenderse a todas las almas que pueblan la tierra, sino que debe abrazar además a la inmensa muchedumbre de las almas del purgatorio, cuyo número es más grande que las estrellas del cielo y que los granos de arena en la playa: almas que deberían estar ya en posesión de la gloria del cielo y cantar las alabanzas al Señor, pero que negligentes y despreocupadas han dejado transcurrir su vida en caprichos, como si la hora del rendimiento de cuentas no hubiera de llegar nunca. Tu sed de almas no sería completa si no se extendiese tu solicitud a ese océano de almas que están en espera de su liberación. La gloria de mi Padre lo reclama.


Te he dicho que mis más acerbos dolores me vienen de las almas sacerdotales y religiosas de la tierra; pero esta pena se extiende también para esas mismas almas, - y son numerosísimas - que, por las múltiples gracias de su vocación, deberían estar ya en el paraíso alabando a Dios.


Ha cambiado en la Iglesia el modo de enseñar las más esenciales verdades de la fe. Poco o nada se habla hoy del infierno, del purgatorio y del cielo, pero todavía estos lugares no han dejado de existir.


La vida religiosa es un cuchillo de doble filo: vivida con empeño y amor, abre el cielo; al contrario, aumenta las penas y los tormentos. Muchas de esas almas están en el purgatorio hace ya siglos, no días, ni meses, ni años. Algunas quedarán allí hasta el día del Juicio. Con todo lo que Yo he hecho por vosotras, almas sacerdotales y religiosas, ¡qué pena cuando debo alejaros por años del rostro de mi Padre!


Para hablar un lenguaje accesible a ti, te diré que tengo "vergüenza" del fracaso de ciertas almas. Las mando al fuego del purgatorio y les digo: Id ahora, recorred el mundo mendigando el rescate de estas llamas purificadoras, pues no os bastó Mi Redención y Mi Sangre. Así están destinadas a andar errantes pidiendo limosna de oraciones a almas generosas y compasivas. Para estas almas consagradas la divina Justicia es siempre más dura. ¡Oh, si se pudiese ver lo que se pierde, perdiendo mis gracias y dones! Estas almas son como hijos que, a pesar de todos los sacrificios del padre para hacerlos estudiar, a fin de año llevan a casa suspensos. ¿Para qué todos mis dolores y mi Pasión? Esta tremenda advertencia quiero lanzar al mundo para esa particular categoría de almas. (6.VII.1968)


El 10.VII.68 se vuelve a Jesús y le pregunta si el fuego del purgatorio es fuego verdadero, como el que nosotros conocemos, pues ella siempre había imaginado a las almas del purgatorio inmersas en el fuego purificador, y en cambio su hermana le llama lugar de delicias. El Señor le contesta:


- El fuego del purgatorio no es de leña ni de carbón, pero es mucho más fuerte que éstos. Ni siquiera el sol es de leña o de carbón. Este fuego está destinado a consumir en el alma, con el deseo ardiente de poseer a Dios, toda culpa por mínima que sea, la más pequeña imperfección, por ser tan grande la santidad de Dios. Si mis santos y mis elegidos pudieran comunicar con los hombres de la tierra, les dirían que el fuego del purgatorio es tormento tan grande que debe ser evitado a toda costa.


El 14 de agosto la religiosa ve un globo de oro elevarse veloz hacia el cielo y quedar fijo en lo alto. Su hermana le dice:


- Estoy ya a la puerta, esperamos que venga la Reina.


En el Cielo:


Al día siguiente, mientras oye misa a las 10:30 escucha a su hermana:


- En este momento he entrado en el cielo con nuestra Reina y toda la corte cantando Hosanna, los ángeles, los arcángeles; y también con mamá y papá, y con mi amiga difunta. Estoy postrada a los pies de la Stma. Trinidad, abismada en este océano de delicias. ¡En el cielo para toda la eternidad! ¿Te das cuenta? ¡Qué lugar ha preparado Dios para los que le aman! También están conmigo nuestros hermanos difuntos y la sobrinita. Todos reunidos en un gozo eterno; todos resplandecientes con eterna juventud. Ya no hay ninguno de nuestra familia en el purgatorio, pero orad por tantas otras almas retenidas allí. (El 31.VIII.67, añade: Los afectos familiares, verdaderamente puros, son mil veces benditos por Dios). Han pasado los dolores y las penas de la tierra y mis lágrimas se han vuelto perlas en mi vestido. "Cantaré eternamente las misericordias del Señor". Escribe con letras de fuego la Misericordia del Señor y proclámala a todas las gentes. Cuánta Bondad, cuánta Misericordia ha usado el Señor con nosotros.


El júbilo exuberante de la gloria no puede contenerlo y repite:


- Lo que debéis buscar es el Cielo. Aquí no se recuerda ya lo que fuimos, porque ahora somos como los ángeles de Dios. (16.VIII.67) En el Cielo se cumplen todos nuestros deseos; los afectos están más consolidados. Somos todos uno. Bajo nuestros pies, el suelo está sembrado de alegrías. Tengo un hermoso lugar en el Cielo.


- ¿Por qué no te me apareces?


- ¿Aparecerme a ti? Morirías.


- ¿Por qué?


- Porque no podrías resistir mi resplanndor. Sería necesario que un serafín te tocase con un carbón encendido. (18.VIII.67). Soy de una belleza inconcebible, porque estoy revestida de la Belleza misma de Dios, y por eso para verme será preciso que abandones tus despojos mortales. (28.VIII.67). El Señor en otros elegidos ha glorificado en unos su humildad, en otros su caridad. En mí ha glorificado mi gran miseria, porque no le he presentado otra cosa, y se ha contentado con ella. (9.IX.67) Soy una de las estrellas más bellas en el firmamento de Dios. ¿Sabes por qué? Porque ha sido infinita mi miseria. El Señor hace las cuentas en proporción inversa. (22.IX.67) Ninguno de nosotros puede crecer en gloria; cada cual ha alcanzado su altura. Todos nosotros somos estrellas en el firmamento de Dios, y jamás una estrella dirá a otra: "Soy más bella que tú", porque cada uno tiene su medida plena y todos viven de la vida divina. (9.IX.67) Hay santos canonizados por la Iglesia y otros canonizados por boca de Jesús. Yo soy uno de éstos, y no soy menos bella ni menos amante que aquellos. (9.IX.67)


Todos somos servidores de Dios en el Cielo. Cada uno tiene su medida plena, colmada, rebosante. Todos son felices y ninguno envidia la suerte de otro. San Francisco es en verdad el astro más refulgente en el paraíso, otro Cristo. Y cómo se alegra cuando ve llegar alguno de sus hijos o hijas santificados por su regla. El mundo debería recurrir más a San Francisco.




Si todos los hombres de la tierra pudiesen ver las delicias del Reino de los Cielos, la humanidad entera, buenos y malos, desearían morir al instante para poseerlas. (4.IX.67)


Si todos los hombres pudiesen ver a lo que estamos destinados con nuestra inmortalidad, estoy segura que desaparecería el pecado de la faz de la tierra. (2.II.68)


Aquí en el Cielo, cada momento es el comienzo de nuevas alegrías y de nuevas embriagueces. (18.VIII.68). Mi día es un día sin fin, porque el sol nunca se pone en el Reino del Amor. Cada minuto Dios crea nuevos goces para sus elegidos. (14.IX.67)


Di a todos que no malgasten los dones de Dios. ¡Si supierais qué es el Reino de los Cielos, y lo que se pierde perdiéndolo! ¿No dice el Evangelio que se debería vender todo por comprar este campo?


- ¿En el Cielo, tenéis presentes los grandes misterios de nuestra fe?


- Sí, vemos todo, y éstas son nuestras fiestas. (23.VIII.67)


Estoy en el cielo, pero no intento permanecer inerte. Siempre he trabajado, y vuestra santificación la llevo en el corazón (4.IX.67). Desde el Cielo quiero trabajar, quiero penetrar en el corazón de todos los hombres, y encender en ellos una gran llama de amor. ¡El amor no es amado! (7.IX.67)


- ¿Qué leguaje habláis en el Cielo?


- El lenguaje del amor que todos conocen muy bien.


- Dime: ¿el Cielo es un estado del alma en gracia o un lugar?


- Ambas cosas. Es el estado de gracia que necesariamente debe adquirir antes de entrar en el otro, que es un Reino sin límites. (9.X.67)


Jesús le añade (20.I.68):


- Hay puestos para todos en Mi Reino, y allí donde Yo estoy, deseo que estén todos los que el Padre ama, como Yo mismo amo al Padre. En Mi Reino no se pone nunca el sol: allí es la eterna primavera y el completo descanso en Dios.


En el purgatorio, la Stma. Virgen vino muchas veces a enjugar mis lágrimas, diciéndome: Animo, hijita, sólo un poco y después la eternidad feliz. Y Ella fue la que me acompañó a Jesús. (18.VIII.67)


Entra en el Cielo con la Virgen y exclama:


Ama mucho a la Virgen (15.VIII.67). Amad sin medida a la Virgen, pues también es sin medida el amor de María por vuestras almas (22.IX.67)

AVE MARIA!
AMDG

 

mercoledì 25 gennaio 2012

La Mamma parla agli eletti




06.01.12
 File:Bartolomé Esteban Perez Murillo - Immaculate Conception - WGA16380.jpg

La Mamma parla agli eletti



Figli cari e tanto amati, gioite e sperate, siate forti, perché la Madre del Cielo è con voi e non vi lascia. Il bimbo, quando è tra le braccia della madre, è felice, sente di essere tanto amato. Figli del mondo, Io sono la Madre amorevole di ogni uomo della terra. Venite, amati figli! Venite tutti tra le Mia Braccia e sarete felici. Venite a Me e sarete protetti. Venite a Me e sarete consolati. Figli del mondo, sono vicina a ciascuno di voi e conosco bene ogni condizione del cuore e della mente: vedo tanta tristezza, vedo tanto dolore, tante pene. Date a Me la tristezza e la cambierò in Gioia; dateMi le pene e i dolori e li trasformerò in consolazione. Figli amati, ogni madre vuole vedere i figli felici; questo desidera. Ho grande Gioia, quando vedo che procedete sulla via di Luce; ho pena quando vedo i cuori pieni di tristezza. Capite il senso della Mia Venuta tra voi?
Mi dice la piccola figlia: “Madre, ho compreso. Madre Santissima, ho capito che l’Umanità corre un grande pericolo; per questo come Madre Dolce e premurosa sei venuta tra noi, per impedire la catastrofe mondiale. Tu, Dolce Tesoro, certo, salverai l’Umanità dall’autodistruzione. Sia Tu benedetta, Dolce Madre! Il mondo intero trovi riparo ed aiuto tra le Tue Braccia.”
Piccola Mia, questo proprio desidero: che le anime si salvino ed il mondo conosca l’Amore di Dio. Nessun uomo si senta triste e solo, ma capisca di essere oggetto di un grande Amore. Volgetevi a Me, figli del mondo: vi voglio salvare tutti!
Mi dice la Mia piccola: “Madre amata, sei la Stella luminosa che ci guida a Gesù. Possa capire questo ogni uomo e si lasci abbracciare da Te.”
Figli amati, decidetevi per Dio! Insieme uniamo i cuori per lodarLoringraziarLoadorarLo. Vi amo tutti.
Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima
AMDG

"La confessione è un sacramento che Io amo molto"

La buona e la cattiva Confessione sacramentale


<<Il confessionale, dopo l'altare, è il posto in cui più si rende gloria alla Trinità.

E perché?

Perché la sua immagine si rigenera nelle anime, 
perché si lava ogni colpa,
perché si fa valere presso l'eterno Padre il prezzo del mio Sangue, 
perché si rompono le alleanze con il Maligno,
perché Io triomfo sul demonio,
perché lo Spirito Santo di nuovo prende possesso dell'anima smarrita e forse anche perduta.


La confessione è un sacramento che Io amo molto, perché in essa entra necessariamente la Redenzione e i miei meriti infiniti, rallegrando il Padre con migliaia di gloriose conquiste. 
Lì si trova il seme della santità... lì si attua la fecondazione del Padre e dello Spirito Santo, donando vita nuova alle anime, perché le assoluzioni sacramentali non solamente cancellano sempre le colpe dell'anima, ma le danno vita con la forza redentiva del mio Sangue. 

Il sacerdote, degno o indegno che sia, per la sua intima unione con il Verbo, per il sigillo dello Spirito Santo indelebile nella sua anima, possiede una reale possibilità di fecondazione delle anime, ricevuta dal Padre.

Ma nonostante porti in sé questo germe, se il suo cuore non è puro, esso non fruttificherà, e cadrà nelle anime come l'aria che passa, senza germinare né mettere radici di virtù>> 

(CC 25, 306-309: Conchita Cabrera De Armida: "Sacerdoti di Cristo", pag 167). 

AVE MARIA!
AMDG

Un richiamo ai rituali e alle rubriche del passato che mantengono ancor oggi il loro significato




La croce, l'altare ed il modo giusto di pregare

Un richiamo ai rituali e alle rubriche del passato che mantengono ancor oggi il loro significato di p. Stefan Heid

Nella basilica di San Pietro in Vaticano e nelle basiliche pontificie di Roma (un tempo chiamate "basiliche patriarcali"), è entrata recentemente in vigore la norma di installare una croce al centro di ogni altare maggiore o altare mobile. Non si specifica il tipo e la dimensione della croce. In genere, la norma è stata ben applicata: una grande croce con il Gesù crocifisso installata di fronte al celebrante, in modo che egli sia in grado di osservarlo. Tale norma, che regola una realtà che dovrebbe essere scontata, può invece sorprendere. Da molti anni infatti a Roma era invalsa la cattiva abitudine di spostare la croce all'angolo dell'altare, così da non "disturbare", facilitando una liturgia più "televisiva", soprattutto per le Messe papali. La croce è il punto focale della salvezza e dell'azione liturgica, deve armonizzarsi in stile e proporzione con l'altare e mai essere piccola. La croce deve disturbare! Il sacerdote non può guardarla "di sfuggita"! Talvolta si obietta che la croce crea una barriera tra il clero e il popolo, qualcosa di simile a una iconostasis (quella parete di icone nelle chiese di rito orientale che separa la navata dal presbiterio). Ma è un argomento specioso, visto che neanche l'enorme croce nella Basilica di San Pietro impedisce di vedere l'altare. Dopo tutto, sono pochissime quelle chiese in cui i fedeli stanno immediatamente dinanzi all'altare; è più comune che vedano l'altare da una prospettiva laterale, guardando il celebrante al di là della croce. Inoltre, più in alto sta la croce, meno probabile sarà che ostacoli la vista alla gente, divenendo per tutti un forte richiamo spirituale (se è veramente posta in alto). Infine, si obietta ancora che una croce d'altare crea un raddoppio di crocifissi, nel caso in cui una croce sia già sospesa sopra l'altare o dietro all'altare. Ma la croce sull'altare con Gesù crocifisso sta davanti al sacerdote, mentre i fedeli guardano la croce sopra l'altare. Non c'è dubbio che ci saranno dei contrasti nelle commissioni liturgiche quando i parroci, scegliendo di seguire la tradizione romana, cominceranno a tirar fuori dagli armadi le croci d'altare. Prevedendo reazioni affrettate nelle future polemiche, vorremmo definire il contesto più ampio del dibattito. Ci sono diverse pratiche liturgiche che sono scomparse da secoli, ma se non si studiano attentamente quei rituali, potrebbe benissimo succedere che perfino la più bella delle direttive liturgiche si ridurrebbe a formalismo insignificante. L'azione sacrificale dell'Eucaristia ha luogo sull'altare all'interno di una continua corrente di preghiera: dalla orazione sui doni, attraverso la Preghiera Eucaristica, fino al Padre Nostro. A questo riguardo, l'azione eucaristica è notevolmente diversa dalla Liturgia della Parola che la precede. L'ambone, di per sé, non è un luogo di preghiera; l'orazione d'ingresso è più appropriata alla sede del celebrante. Nell'usus antiquior, il sacerdote sta sempre in piedi all'altare e quasi sempre in preghiera! Le preghiere silenziose non sono né private né semplici riempitivi (horror vacui= paura del vuoto), piuttosto fanno dell'altare un luogo di incessante preghiera. Una volta riconosciuto questo aspetto, si comprende che il sacerdote assume sull'altare un atteggiamento o forma mentis ben diversi da ogni altro evento quotidiano. Qui sta, innanzitutto, come uno che prega. Tutti i cristiani riconoscono questa postura orante ben distinta, nella quale il sacerdote alza le mani e gli occhi. Alzare gli occhi e le mani al cielo sono gesti che risalgono alla primitiva preghiera cristiana, la stessa che praticava Gesù nella tradizione ebraica. Anche lo stare in piedi fa parte di tale tradizione, è la postura fondamentale per pregare; come pure il levare gli occhi e le mani stando in ginocchio, si ritrova nella primitiva cristianità. Fin dal Medio Evo però, questa postura per l'orazione, con mani e occhi levati in alto, si è alquanto affievolita. Attualmente, soltanto il sacerdote alza le mani (e gli occhi solo per brevissimi attimi) in quanto legge le preghiere. Guarda verso l'alto, ad esempio, nel Canone Romano al momento della consacrazione, pronunciando le parole: "et elevatis oculis in coelum". Pertanto, Gesù inaugura l'Eucaristia "alzando gli occhi al cielo". Anche nell'ordo novus, la rubrica a questo punto recita: "Il celebrante alza gli occhi". Ma dove esattamente il sacerdote deve guardare, al soffitto della chiesa? Per cui, quando il celebrante, a quel punto della preghiera, ha il dovere di guardare verso l'alto, invece che fissare uno spazio vuoto, lo rivolge al punto focale più naturale: la grande croce sull'altare maggiore. Ovviamente, la croce sull'altare dinanzi al sacerdote non serve solo per isolati momenti, ma ha uno scopo più generale: egli sta in piedi all'altare in incessante preghiera verso Dio, guardando fisso il Figlio di Dio, attraverso il quale indirizza ogni sua invocazione e ogni sua parola di lode. Per il fatto che Dio è creatore, il mondo non è caotico, ma un universo divinamente plasmato e provvidenzialmente ordinato. Esiste un "lassù" e un "quaggiù", o in termini scritturistici, il cielo è il suo trono e la terra sgabello ai suoi piedi. Già i primi Padri della Chiesa osservavano che i cristiani stanno eretti nel pregare da libere creature di Dio, tenendo alta la testa e guardando in alto verso Colui che guarda in basso verso di loro dal suo trono celeste. Pregare è conversare con Dio. Non è educato non guardare la persona con cui stiamo dialogando. L'atto di guardare in alto quando preghiamo è, perciò, espressione dell'intera teologia della creazione sia del Vecchio che del Nuovo Testamento. L'uomo peccatore tenta di nascondersi da Dio, come Adamo ed Eva si nascondevano dietro ai cespugli. L'uomo redento, invece, non abbassa più la testa per la vergogna, libero e felice egli può guardare Dio in faccia, e osare dire: "Padre Nostro, che sei nei cieli". Egli osa perché Gesù Cristo è veramente Dio in sostanza, lui solo può dire "Padre", mentre noi, mediante la grazia, possiamo godere della stessa relazione, invitati così a questo atto di filiale fiducia. Noi siamo solo creature, ma i battezzati sono creature privilegiate perché, uomini e donne, siamo in Cristo gli amati figli e figlie dello stesso Padre celeste. Era proprio questo che la Chiesa primitiva voleva manifestare con la postura orante che aveva adottato. Quando parliamo con Dio nella preghiera, abbracciamo la nostra identità filiale. Ma dal momento che nello spazio fisico della chiesa, lo sguardo verso il trono di Dio era bloccato dalle pareti, si fece di tutto per aprire una via virtuale di visione del cielo. L'abside venne spesso dipinta o arricchita di mosaici, riservando una zona del dipinto al cielo stellato. Ciò spalancò il soffitto della chiesa verso il cielo. I sacerdoti e i fedeli, pregando, potevano così alzare lo sguardo verso l'abside e vedere il cielo, per così dire. Lo sguardo dei fedeli non era più incentrato sull'altare e sul celebrante, ma al di sopra di essi. L'edificio stesso della chiesa doveva sempre essere "orientato" ad oriente a questa arte celeste così luminosamente dipinta. L'orientamento geografico verso oriente, in quanto tale, era di secondaria importanza. Fu chiaro fin dall'inizio che la preghiera cristiana non era diretta solo verso Dio, ma al Padre celeste attraverso Gesù Cristo. E' precisamente in questo contesto che la croce diventa il punto focale. Perciò, nella Chiesa primitiva non soltanto il cielo ma anche la croce veniva dipinta sull'abside, o per lo meno collocata in un punto elevato dell'abside. Nessuno quindi, pregando, poteva fare a meno di guardare la croce. L'esempio più eloquente di tale disposizione lo abbiamo nell'abside della chiesa di Sant'Apollinare in Classe a Ravenna, risalente al VI secolo. La consuetudine della Chiesa di porre sull'altare una croce elevata, cosa normale fino a qualche decennio fa, era ben fondata sia liturgicamente che teologicamente. Anche dopo il Concilio Vaticano II, non vi era alcuna buona ragione di relegare i crocifissi agli altari laterali usati sempre più raramente. L'altare è il luogo della preghiera: la croce ne fa parte, tanto più quando è all'altare maggiore. E' il luogo in cui si alzano le mani, la mente e gli occhi per "guardare colui che hanno trafitto". Lì, il cielo si aprì allorquando le tenebre coprirono la terra: il Sole di Giustizia sulla croce fu innalzato al centro della terra, trasformando le nostre tenebre in luce. Nella miriade di pubblicazioni sulla postura della preghiera, raramente si trovano riferimenti alle mani alzate. Gli autori ritengono sempre che la prima postura dei "normali" credenti, quando pregano, sia quella di congiungere le mani. In effetti, tenere le mani giunte è una pratica antica di parecchi secoli. Eppure, si tace sempre che la "vera" postura di preghiera (ancor oggi) è quella del sacerdote quando celebra la Messa. Ogni volta che egli dice: "Preghiamo", alza le braccia appena inizia a recitare l'orazione. Nella Chiesa primitiva e in quella medievale, quando il sacerdote annunciava: "Preghiamo", l'assemblea si alzava in piedi e levava in alto le braccia. Nei tempi moderni, invece, le posture di preghiera di celebrante e fedeli divergono; infatti, essi si inginocchiano o rimangono in piedi congiungendo le mani. Così la primitiva postura cristiana di preghiera, mani e occhi rivolti al cielo, è stata completamente dimenticata, e non la si capisce nemmeno più come gesto di preghiera, anzi la si considera un rituale di origine oscura riservato ai sacerdoti . Tale grande divergenza e discontinuità della pratica non aiuta i fedeli a capire il significato delle mani alzate del sacerdote e cosa ha a che fare questo con la preghiera, soprattutto quando l'assemblea non usa tale postura. Gli stessi sacerdoti sembrano non avere alcuna idea del perché fanno quello che fanno, dal momento che ognuno lo fa in modo diverso. Attualmente, non c'è una pratica concorde sulla postura di preghiera. A me pare che qui manchi qualcosa. Dopo tutto, la fede cristiana, a motivo dell'Incarnazione, ha un rapporto molto più stretto e più consapevole con il corpo di qualsiasi altra religione. La preghiera non è mera interiorità, ma si deve incarnare in particolari posture. La cosa più importante a tale riguardo è quella che abbiamo trattato a proposito dell'alzare lo sguardo. I primi cristiani sottolineavano in modo esplicito che l'uomo non è come gli animali che camminano a quattro zampe; l'uomo sta in posizione eretta e, in un certo senso, si avvicina al cielo con la struttura del proprio corpo. L'uomo può riconoscere Dio e parlargli, ecco perché sta eretto, alza le braccia e gli occhi al cielo. Chiunque prega dovrebbe adottare questa postura, non solo il prete. I cristiani assunsero quella comune postura di preghiera dalla tarda antichità, rimarcando ancora più fortemente la sua continuità. Anche per essi Dio era in cielo. Naturalmente, per loro c'era un solo Dio che ha creato il cielo e la terra. Ma l'accettazione dei cristiani di tale postura di preghiera, che era comune sia agli ebrei che ai pagani, è stata assoluta. Per essi era importante alzare gli occhi e le mani, perché Dio ha il suo trono in cielo. Ancora più importante è un'altra pratica che i cristiani adottarono dall'antichità: la purificazione delle mani. Lavare le mani e il viso prima del rituale di preghiera, non è un'invenzione dei musulmani. I credenti islamici la adottarono nel VII secolo basandosi sulle pratiche degli oranti cristiani. I cristiani infatti si lavavano almeno le mani prima di pregare. Sul sagrato delle chiese c'era una fontana d'acqua proprio per tale scopo. Nell'atrio di San Pietro a Roma, c'era la famosa fontana di pietra a forma di pino. Su un sarcofago ravennate è raffigurato il catino per l'acqua delle abluzioni: un cantharus (catino profondo) adornato di pavoni. Il lavacro determinava un atteggiamento di purità ed integrità nella preghiera. Le mani dovevano essere pure proprio perché venivano alzate al cielo durante l'orazione. Il credente voleva essere visto da Dio, per cui chi pregava, mostrava le sue mani monde come segno che non erano macchiate di sangue. Per i cristiani, le mani monde erano l'espressione che si entrava alla presenza di Dio con una coscienza pura. "Chi ha mani innocenti e cuore puro" (Salmo 24,4) può salire la montagna del Signore, recitava un salmo cantato da coloro che si recavano pellegrini al tempio di Gerusalemme. Ciò spiega questa postura di preghiera nella Chiesa primitiva: si tenevano le mani relativamente vicine al volto con le palme verso l'esterno, come è ancora in uso oggi nel rito domenicano. Era come dire: "Ecco, o Dio, guarda le mie mani! Non vi sono tracce di sangue né d'ingiustizia su di esse. E solo così, io oso pregare e levare la mia voce fino a Te". San Giovanni Crisostomo diceva ai suoi fedeli che non era sufficiente alzare mani pure verso Dio, perché le mani devono essere anche rese sante con le opere di carità. Ecco perché sul sagrato della chiesa, non solo si andava alla fontana per lavarsi le mani, ma si coglieva l'occasione per fare l'elemosina ai poveri che stazionavano sul sagrato. Il rituale dell'abluzione delle mani, un tempo praticato da tutti i fedeli, oggi lo compie soltanto il sacerdote prima della Preghiera Eucaristica. I fedeli laici non si lavano più le mani perché non le alzano più quando pregano. In sostituzione, si benedicono con l'acqua santa entrando in chiesa, facendo così memoria del proprio battesimo. I rituali del passato mantengono il loro significato anche oggi. La preghiera cristiana presuppone "mani pure". Chi pecca contro il prossimo pecca anche contro Dio, e se rifiuta di riconciliarsi, non deve accostarsi all'altare di Dio. L'atto di fede non cancella automaticamente tutti i peccati passati e futuri. Le nostre azioni e comportamenti peccaminosi creano degli ostacoli sul nostro cammino verso Dio, e indeboliscono l'efficacia della nostra preghiera.
Il sacerdote fa memoria della propria inadeguatezza ogni volta che alza le mani. Questo gesto rituale deve provocare nel suo spirito un serio esame di coscienza: tu solo puoi alzare le mani in preghiera; ne sei degno? Hai fatto tutto ciò che è in tuo potere, con mani pure e trasparenza di spirito, per arrivare davanti a Dio e portargli i doni e le preghiere del popolo?

fonte: http://www.hprweb.com/2012/01/cross-altar-and-the-right-way-of-praying/
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